

Il paesaggio è delizioso, vario, incantevole, di una bellezza che ammalia senza avvincere, che affascina senza sedurre e che, in una parola, dimostra di possedere più buon senso che grandezza e più intelligenza che poesia:
è L’Occitania.
Montpellier

Capitale della regione Linguadoca-Rossiglione, collocata a metà strada fra Spagna e Italia e a soli sette chilometri dal Mediterraneo, Montpellier è una delle città predilette dai francesi. Fra stradine e piazzette assolate, festival internazionali e feste goliardiche, Montpellier offre una qualità di vita decisamente fuori del comune e invidiata da tutti.
Montpellier è una città molto giovane rispetto alle altre grandi città della regione come Nîmes, Narbonne, Béziers o Carcassonne che furono fondate in epoca romana. Montpellier invece è stata fondata nell’XI secolo. La città è famosa anche per la sua università, dove Petrarca iniziò gli studi.
Formata da due villaggi, Montpellier e Montpellieret, dipendeva dall’arcivescovo di Maguelonne e la sua importanza aumentò gradualmente dopo che Carlo Martello ebbe distrutto quest’ultimo (737). Nel XII e XIII secolo si tennero a Montpellier alcuni concili. Nel 1141 ottenne una carta di franchigia e nel 1204 passò agli Aragona.
Famose erano la sua scuola di medicina e la sua già citata università. Nel XIV secolo fu ceduta dal re di Maiorca a Filippo di Valois (1349), poi da Carlo V a Carlo di Navarra e infine, Carlo VI la riprese nel 1382. Dopo un periodo assai fiorente, conobbe la decadenza in seguito alla guerra dei cento anni.
Durante le guerre di religione fu presa dagli ugonotti (1567), appoggiò il duca di Rohan e rimase una repubblica indipendente fino al 1622 quando fu assediata e conquistata da Luigi XIII, che ne fece distruggere le mura. Fu poi eretta dallo stesso Luigi capoluogo di una delle généralités di Linguadoca.
Cosa vedere a Montpellier

L’Écusson, è il quartiere più noto e vivace di Montpellier, cuore nevralgico del centro storico: è il punto di riferimento per gli abitanti che si incontrano qui, nelle sue stradine labirintiche, per bere un drink in terrazza, fare shopping, godersi le sue piazze e i suoi luoghi culturali. Costruito in epoca medievale e quasi interamente pedonale, con le sue stradine lastricate, i palazzi eleganti, le chiese e le piazze ombreggiate come Place Saint-Roch ePlace de la Canourgue è il luogo ideale per passeggiare in ogni momento della giornata. Potrete ammirare le sue attrazioni più importanti come Place de la Comédie, una delle più grandi aree pedonali d’Europa e l’Opéra Comédie, uno dei più famosi teatri francesi, realizzato nel 1785 da un allievo di Charles Garnier, colui che ha costruito la celebre Opéra Garnier di Parigi. Vi consigliamo di perdervi per i vicoli stretti del centro, alla scoperta di botteghe artigiane, creperie, gastronomie e tantissimi negozi eccentrici ed originali.
Place de la Comédie
La Place de la Comédie con la sua Fontana delle Tre Grazie, risalente al 1776, è il cuore del centro storico. Sul lato sud-ovest della piazza si trova il teatro Opéra Comédie. Da qui i grandi viali si irradiano verso la maggior parte della zona pedonale. Nel quartiere, annidati e nascosti dietro facciate imponenti, si celano superbi palazzi. Solitamente chiusi al pubblico, alcuni cortili di queste residenze del ‘600 e del ‘700 possono essere ammirati seguendo apposite visite guidate.
Cattedrale di Montpellier

Con le sue due torri rotonde, la cattedrale di Saint-Pierre possiede un’architettura tanto colossale quanto originale. Un tempo cappella di un monastero benedettino del XIV secolo, questa cattedrale gotica si distingue infatti per le sue due gigantesche torri circolari di oltre 4 metri di diametro che la fanno assomigliare ad una fortezza militare. Fondata nel 1364 da papa Urbano V, è l’unica chiesa del quartiere ancora in piedi dopo le devastazioni delle guerre di religione del ‘500: in quel periodo venne assediata e saccheggiata più volte dai protestanti che causarono il crollo di una torre e la distruzione dell’intero edificio. Solo nel XVII secolo si cominciò a ricostruire la cattedrale, grazie al volere di re Luigi XIII e i lavori si conclusero soltanto nel corso dell’Ottocento. Gli interni sono squisitamente gotici: vantano un’altissima navata di 28 metri, luminose vetrate che illustrano alcune scene bibliche, maestose arcate in pietra e uno splendido organo settecentesco.
Esplanade Charles-de-Gaulle
Fiancheggiata da quattro filari di platani, l’Esplanade Charles de Gaulle è una passeggiata ombreggiata, animata da taverne e gelaterie, che garantisce una sosta rinfrescante e rilassante ai margini del centro storico. I suoi prati con aiuole fiorite sono abbelliti da bacini esagonali, ricostruiti nel 1988 ad immagine delle originali fontane del 18° secolo. Con le sue antiche fontane, i giochi d’acqua, il padiglione del popolo, il palco dell’orchestra e le carrozze trainate da cavalli per visitare la città, il visitatore prova l’illusione di essere tornato indietro di cento anni, in un’oasi di pace e tranquillità
Quartiere Antigone
Superata l’Esplanade Charles de Gaulle, vi sembrerà di aver cambiato improvvisamente città. L’architettura è completamente stravolta, con un balzo improvviso nella modernità. Il tutto è merito dell’architetto Ricardo Bofill ideatore del quartiere Antigone che si estende fino al fiume Lez, un bell’esempio di architettura postmoderna. Siete nella parte avveniristica di Montpellier, caratterizzata da edifici architettonici all’avanguardia, grandi spazi verdi, splendide fontane, negozi alla moda, ristoranti, bistrot e centri commerciali. Questo vasto comprensorio si estende su 36 ettari di terreno pensato per creare un nuovo quartiere vicino al centro della città e rispondere a una domanda sempre più forte di alloggi. Il centro focale sono le persone e lo scopo è quello di creare spazi pubblici ad uso della comunità, attraverso la diffusione delle piazze. Il quartiere di Antigone è quindi strutturato attorno a diverse piazze, la prima delle quali è Place du Nombre d’Or. È circondato da edifici in cemento in un colore giallo ocra che ricorda la pietra di Montpellier e lo stile dell’intero progetto è neoclassico: l’ispirazione è tratta dall’Antica Grecia, da cui il quartiere prende il nome.
Promenade du Peyrou

Passando sotto l’Arco di Trionfo si arriva sulla Promenade du Peyrou, un immenso parco rialzato su due livelli, risalente al XVIII secolo, che offre una bellissima vista sia sulle Cévennes che sul mare, romantico soprattutto al tramonto. Al centro si erge una statua equestre del Re Sole, del 1828, mentre all’estremità occidentale della terrazza si trova una monumentale torre dell’acqua classificata come monumento storico, che si affaccia su una grandissima vasca. È alimentato dall’acquedotto Saint-Clément, costruito tra il 1753 e il 1766, lungo 14 chilometri, chiamato les Arceaux per il doppio livello di arcate
La città francese di Montpellier è attraversata dal Camino de Santiago, la grande via di pellegrinaggio che conduceva alla tomba di San Giacomo di Compostella nella Galizia spagnola. A Montpellier facevano tappa gli jacquets che seguivano la Via Tolosana, il percorso che congiungeva la valle del Rodano con la Spagna. Partiti da Arles – lo Chemin d’Arles iniziava dal cimitero degli Alyscamps e da St-Trophime – gli jacquets facevano tappa all’abbaziale di Saint-Gilles, à Vauvert o a Gallargues-le-Montueux, arrivavano nella città universitaria di Montpellier, traversavano l’Hérault sul Pont du Diable, toccavano Saint-Guilhem-le-Désert e proseguivano verso Albi, Tolosa e i Pirenei. Questa strada era anche percorsa in senso inverso dai Romei, i pellegrini che scendevano a Roma, per visitare le tombe degli Apostoli Pietro e Paolo. La Tolosana calcava i basoli della Via Domitia romana, le cui vestigia sono ancora visibili in più punti; a Montpellier assumeva il nome provenzale di Camin Roumier (la via dei Romei). Il percorso urbano è segnalato da numerose conchiglie di bronzo piantate sul fondo stradale.
L’ingresso nel centro storico di Montpellier avviene seguendo l’Avenue de Nîmes e districandosi nel nodo stradale sottostante il colle che regge le moderne strutture congressuali del Corum. Qui troviamo lo Jardin Archéologique che custodisce le vestigia medievali della Cappella dello Spirito Santo e dell’Ospizio costruito nel Duecento per l’accoglienza dei pellegrini in transito.
Varcando la porta e risalendo la Rue du Pila-Saint-Gély troviamo una delle numerose memorie di San Rocco, il popolarissimo santo pellegrino di Montpellier. Sullo spigolo dell’edificio all’inizio della Rue Vieille Aiguillerie una statua e alcune lapidi ricordano che “ici le pauvre Roch, exténué de fatigue, à son retour à Montpellier s’est assis sur un banc et a été arrêté”.
Tra la Rue Vieille Aiguillerie e la Rue du Collège troviamo la basilica di Notre-Dame des Tables, antica chiesa madre di Montpellier, ricostruita nel Settecento come Cappella del Collegio dei Gesuiti. Il riferimento alle Tables deriva dai banchi dei cambiavalute e dei mercanti del locale mercato a servizio dei pellegrini medievali in transito.
La Couvertoirade

Famoso per la presenza dei templari. Il paese è completamente pedonale e presenta piccole ed intrecciate viuzze. I Templari costruirono un castello su di uno sperone roccioso ai piedi del quale si sviluppò questo paesino medievale, oggi circondato dalle mura costruite dagli Ospitalari nel XV secolo. Cubertoirada, in occitano, significa acqua coperta o cisterna. Il paese si trova a 18 Km. da Montpellier Immerso nel cuore del Causse du Larzac, in una cornice naturale selvaggia e incontaminata, il borgo medievale di La Couvertoirade vanta un complesso fortificato davvero degno di nota, testimonianza del suo passato templare e ospitaliero. Torri e cammini di ronda, porte fortificate, castello templare della fine del XII secolo, chiesa-fortezza del XIV secolo, stradine acciottolate su cui si affacciano le tipiche abitazioni in pietra e dimore antiche, come la casa della vedova Scipione e il palazzo di Grailhe, fanno di La Couvertoirade un sito collocato fra i beni culturali dello Stato assolutamente imperdibile!
Due ordini militari e religiosi delle Crociate costruirono questa città. Questi sono l’Ordine del Tempio (i Templari) e l’Ordine dell’Ospedale o Cavalieri dell’Ordine di San Giovanni di Gerusalemme (gli Ospitalieri). Dopo la dissoluzione dell’ordine dei Cavalieri Templari, il Papa attribuisce il castello agli Ospitalieri. Costruiranno la chiesa e i bastioni, ancora intatti oggi.

I Cavalieri Templari
I Cavalieri Templari furono istituiti all’incirca nell’anno 1119 e venne loro dato riconoscimento papale nel 1129. Era un ordine militare cattolico medievale i cui appartenenti combinavano abilità marziali ad una vita monastica per difendere i siti sacri cristiani ed i pellegrini in Medio Oriente ed altrove. I Templari, con sede in Gerusalemme e successivamente ad Acri, furono un importante elemento elitario degli eserciti Crociati.

Col tempo, i Cavalieri Templari divennero un corpo molto potente arrivando a controllare sia castelli sia territori nel Levante ed attraverso l’Europa. Accusati di eresia, corruzione, e conduzione di pratiche proibite, l’ordine venne attaccato dal re francese Filippo IV (r. 1285-1314) il venerdì 13 nell’ottobre del 1307 e successivamente abbandonato ufficialmente da papa Clemente V (r. 1305-1314) nel 1312.
Fondazione e primi anni
L’ordine venne formato all’incirca nel 1119 quando sette cavalieri, guidati da un cavaliere e nobile francese dello Champagne, Hugues de Payns (Hugo de Paganis in latino e nelle fonti italiane spesso Ugo de’ Pagani), fece giuramento di difendere i pellegrini cristiani in Gerusalemme ed in Terrasanta fondando una confraternita che prese i voti monastici, che includevano quelli di povertà, conducendo una vita insieme in una comunità chiusa con un codice di condotta costituito. Nel 1120 Baldovino II, il re del Regno di Gerusalemme (r. 1118-1131), diede ai cavalieri il suo palazzo, la ex moschea di Aqsa sul Monte del Tempio di Gerusalemme, da utilizzare quale loro sede. L’edificio era comunemente conosciuto come ‘Il Tempio di Salomone’ cosicché la confraternita venne presto conosciuta come ‘l’Ordine dei Cavalieri del Tempio di salomone’ o semplicemente i ‘Templari’.
Ufficialmente riconosciuto come un ordine da papa Onorio II (r.1124-1130) al Concilio di Troyes nel gennaio 1129 (il primo siffatto ordine militare ad essere costituito), i Templari erano inizialmente considerati un ramo dei Cistercensi. Nel 1145, ai cavalieri dell’ordine venne garantito il permesso di indossare il mantello bianco con cappuccio che i monaci Cistercensi avevano fatto proprio. I cavalieri presto adottarono il loro distintivo mantello bianco ed iniziarono ad usare l’insegne fatta da una croce rossa su sfondo bianco. Non vi era impedimento nel combattere per la dottrina religiosa, purché la causa fosse giusta – le Crociate e la difesa della Terrasanta essendo proprio la causa medesima – e quindi l’ordine ricevette il supporto ufficiale della Chiesa. La prima grande battaglia che coinvolse i cavalieri Templari avvenne nel 1147 contro i Musulmani durante la Seconda Crociata (1147-1149).
DONAZIONI GIUNSERO ALL’ORDINE IN TUTTE LE FORME, MA DENARO, TERRE, CAVALLI, EQUIPAGGIAMENTO MILITARE E PRODOTTI ALIMENTARI ERANO I PIU’ COMUNI.
L’ordine crebbe grazie alle donazioni dei sostenitori che riconoscevano il loro ruolo importante nella protezione dei piccoli stati cristiani nel Levante. Altri, dai più umili fino ai ricchi, davano ciò che potevano semplicemente per contribuire a garantirsi sia una miglior vita nell’aldilà e, poichè i donatori potevano essere menzionati nei servizi di preghiera, forse per una miglior vita su quest terra e subito. Donazioni giungevano in ogni forma, ma denaro, terre, cavalli, equipaggiamento militare, e prodotti alimentari erano i più comuni. A volte venivano donati privilegi che aiutavano l’ordine a risparmiare sulle proprie spese. I Templari investivano anche i propri soldi, acquistando proprietà che generavano reddito in modo che l’ordine giunse a possedere fattorie, vigneti, mulini, chiese, municipalità o qualsiasi altra cosa che essi ritenessero un buon investimento.
Un altro incremento alle casse dell’ordine era il bottino e nuove terre vennero acquisite quale risultato di campagne di successo mentre tributi potevano anche essere riscossi dalle cittè conquistate, territori controllati dai castelli Templari, e stati del Levante più deboli. Col tempo, l’ordine fu in grado di istituire centri sussidiari nella maggior parte degli stati dell’Europa occidentale, che divennero fonti importanti di guadagni e di nuove reclute.
Anche se soldi affluivano da tutti gli angoli d’Europa vi erano anche alti costi da sostenere. Il mantenimento dei cavalieri, i loro scudieri, cavalli (i cavalieri spesso ne avevano quattro ciascuno), le armature e gli equipaggiamenti erano tutte incombenze sulle finanze dei Templari. Vi erano tasse da pagare allo stato, donazioni al papato, ed a volte decime per la chiesa, così come ricompense da dare a dignitari locali, e l’esecuzione di messe ed altri servizi avevano anche i loro costi non insignificanti. I Templari avevano anche scopi di beneficienza ed avrebbero dovuto aiutare i poveri. Un decimo del pane prodotto, per esempio, era distribuito ai bisognosi quale elemosina. Infine, disastri militari risultavano nella perdita di uomini e proprietà in quantità enormi. Le risorse esatte dei Templari non sono conosciute, ma è più che probabile che l’ordine non fu mai veramente così ricco come tutti pensavano che fosse.
Dalla metà del 12mo secolo, i Templari ampliarono la loro influenza e combatterono nelle campagne crociate nelle penisola Iberica (la ‘Reconquista’) per conto di diversi sovrani in Spagna ed in Portogallo. Anche operando nelle crociate Baltiche contro i pagani, nel 13mo secolo i Cavalieri Templari giunsero a possedere tenute dall’Inghilterra alla Boemia e divennero un vero ordine militare internazionale con straordinarie risorse a propria disposizione (uomini, armi, equipaggiamenti, ed una considerevole flotta navale). I Templari stabilirono un modello che venne copiato da altri ordini militari quali i Cavalieri Ospitalieri ed i Cavalieri Teutonici. Vi era una attività, comunque, dove i Templari eccellevano veramente: quella bancaria.
Ritenuti come posti sicuri dalle genti locali, le comunità Templari od i conventi divennero depositi per denaro contante, gioielli e documenti importanti. L’ordine possedeva le proprie riserve di contante che erano, fin dal 1130, messe in buon uso nella forma di prestiti fruttiferi di interessi. I Templari permettevano anche alla gente di depositare denaro in un convento e, purché potessero mostrare una missiva idonea, trasferire e quindi prelevare il denaro equivalente da un convento differente. In un altro dei primi servizi bancari, la gente poteva disporre di quello che oggi sarebbe chiamato un conto corrente con i Templari, versando depositi regolari e disponendo che i Templari versassero, per conto del correntista, determinate somme a persone specifiche. Già nel 13mo secolo, i Templari erano divenuti banchieri tanto abili ed affidabili che i sovrani di Francia ed altri nobili custodivano i loro tesori presso l’ordine. Sovrani e nobili che si imbarcavano per le crociate in Terrasanta, in modo da poter pagare gli eserciti sul luogo e soddisfare le necessità di approvvigionamento, spesso inviavano grandi somme di denaro ai Templari che potevano successivamente venire prelevate nel Levante. I Templari prestavano anche denaro a regnanti e quindi divennero un elemento importante nella crescente sofisticata struttura finanziaria nell’Europa del tardo medioevo.
Organizzazione e Reclutamento
Reclute arrivavano da tutta l’Europa occidentale, anche se la Francia da sola era il bacino più grande. Essi erano motivati da un senso di dovere religioso nel difendere ovunque i cristiani ma specialmente la Terrasanta ed i luoghi sacri, quale pegno per i peccati commessi, come mezzo per garantirsi l’ingresso in paradiso, o motivi più terreni quali la ricerca di avventura, guadagni personali, promozioni sociali o semplicemente un introito regolare e pasti decenti. Le reclute dovevano essere uomini liberi di nascita legittima, e se essi desideravano divenire cavalieri medievali dovevano, a partire dal 13mo secolo, essere di discendenza cavalleresca. Anche se raramente, un uomo sposato poteva aderire a patto che la sua moglie acconsentisse. Da molte reclute ci si aspettava che effettuassero donazioni significanti entrando nell’ordine, e poiché i debiti erano inaccettabili, la condizione finanziaria di una recluta era sicuramente considerato. Benché alcuni minorenni aderirono all’ordine (inviati dai genitori, ovviamente, nella speranza di un addestramento militare utile per un figlio giovane che non avrebbe ereditato il patrimonio famigliare), la maggior parte delle nuove reclute per divenire Templare avevano circa 25 anni di età. A volte arrivavano reclute in età avanzata. Un esempio è il famoso cavaliere inglese Sir William Marshal (m. 1219), che, come molti nobili, si unì all’ordine appena prima della sua morte, lasciando ad essi denaro nel suo testamento, e
Vi erano due gradi all’interno dell’ordine: cavalieri e sergenti, dove nel secondo gruppo era incluso personale non militare e laici. La maggior parte delle reclute faceva parte del secondo gruppo. Indubbiamente, il numero di cavalieri all’interno dell’ordine era sorprendentemente basso. Vi erano probabilmente solo alcune centinaia di confratelli-cavalieri Templari a pieno titolo in un qualsiasi lasso temporale, a volte arrivando a 500 cavalieri in periodi di intensa attività militare. Questi cavalieri erano in forte inferiorità numerica rispetto ad altri soldati utilizzati dall’ordine quali fanti (i sergenti o le reclute di territori vassalli) e mercenari (specialmente arcieri), cosi come scudieri, portatori di bagagli, ed altri non-combattenti. Altri appartenenti all’ordine includevano preti, artigiani, lavoratori, servi, ed anche alcune donne che erano aderenti di conventi affiliati.
L’ORDINE ERA GUIDATO DAL GRAN MAESTRO CHE SEDEVA IN CIMA ALLA PIRAMIDE DEL POTERE I CONVENTI ERANO RAGGRUPPATI IN REGIONI GEOGRAFICHE CONOSCIUTE COME PRIORATI.
L’ordine era guidato dal Gran Maestro che sedeva in cima alla piramide del potere. I conventi erano raggruppati in regioni geografiche conosciute come priorati. In zone problematiche come il Levante, molti conventi erano all’intero di castelli mentre altrove erano istituiti per controllare aree di terreni posseduti dall’ordine. Ogni convento era amministrato da un ‘precettore’ o ‘comandante’ che riferiva al capo del priorato dove il proprio convento era ubicato. Lettere, documenti e notiziari andavano avanti e indietro tra conventi, tutti portanti il sigillo dell’ordine – normalmente due cavalieri su di un singolo cavallo – in modo da favorire qualche unità tra entità distanti. I conventi normalmente inviavano un terzo dei loro proventi al quartier generale dell’ordine. Il Gran Maestro risiedeva nel quartier generale a Gerusalemme, e successivamente ad Acri a partire dal 1191, ed a Cipro dopo il 1291. Ivi egli era assistito da altri ufficiali di alto rango come il Gran Comandante e Maresciallo ed insieme ad altri ufficiali inferiori incaricati di specifiche mansioni quali l’abbigliamento. Vi erano riunioni occasionali o concistori dei rappresentanti da tutto l’ordine ed assemblee a livello provinciale, pure, ma sembra che vi fosse una notevole autonomia in conventi locali, e solo episodi di colpa grave vennero sanzionati.
Uniformi e Regole
I cavalieri prendevano i voti entrando nell’ordine, molto similmente ai monasteri, anche se non così rigidi e senza la restrizione di dover rimanere sempre all’interno della loro residenza comunitaria. Obbedienza al Gran Maestro era la promessa più importante ad essere fatta, la frequenza alle funzioni religiose era obbligatoria, anche il celibato, e consumare i pasti in comune (che includevano, ogni giorno dispari, carne). I piaceri mondani non erano permessi, e questi includevano passatempi tipicamente cavallereschi quali caccia e falconeria ed il non indossare abiti ed armi sfarzose per le quali erano normalmente famosi i cavalieri. Per esempio, le cinture erano spesso un elemento decorativo, ma i Templari indossavano solo una semplice cintura di corda di lana per simboleggiare la castità.
I cavalieri templari indossavano una sopravveste bianca e un mantello sopra la propria armatura, come già menzionato, e portavano una croce rossa sul lato sinistro del torace. La croce rossa appariva anche sulla livrea dei cavalli e sullo stendardo dell’ordine. Questo li distingueva dai Cavalieri Ospitalieri (che indossavano una croce bianca su di uno sfondo nero) e dai Cavalieri Teutonici (che indossavano una croce nera su sfondo bianco. Gli scudi templari, di contro, solitamente erano bianchi con in cima una spessa striscia nera orizzontale. I sergenti indossavano un mantello od una cappa marrone o nera. Un’altro elemento distintivo dei Templari era che tutti si facevano crescere la barba ed avevavno capelli corti (per gli standard medievali).
I confratelli cavalieri potevano avere le loro proprietà personali (mobili o immobili), diversamente da altri ordini militari. Le cose erano anche un po meno severe anche in termini di vestiario; ai Templari era concesso indossare lino in primavera ed estate (non solo lana), una concessione senz’alro apprezzata dagli appartenenti nei climi più caldi. Se qualsiasi tra le nomee dell’ordine, conosciute collettivamente come la Regola, non venivano seguite, gli aderenti venivano puniti con sanzioni che potevano andare dalla revoca di privilegi alla flagellazione ed anche alla prigionia a vita.
Le Crociate
Abili con la lancia, spada e balestra, e ben corazzati, i Cavalieri Templari ed altri ordini militari erano i migliori addestrati ed equipaggiati di qualsiasi reparto di un esercito crociato. Per questo motivo, essi erano spesso impiegati per proteggere i fianchi, l’avanguardia o la retroguardia di un esercito sul campo. I Templari erano particolarmente conosciuti per le loro cariche disciplinate di cavalleria raggruppata quando, in formazione stretta, facevano breccia nelle linee nemiche originando caos che poteva poi essere sfruttato dalle truppe alleate che seguivano nella loro avanzata. Essi erano anche altamente disciplinati sia in battaglia che nei campi, con pene severe imposte ai cavalieri che non seguivano gli ordini, inclusa l’espulsione dall’ordine per la perdita della propria spada o del cavallo a causa di incuria. Detto ciò, l’ordine nel suo insieme poteva dimostrarsi difficile da controllare da parte di un comandante di una crociata, dato che spesso erano le truppe più zelanti e desiderose di conquistare onore e gloria.
Ai templari veniva dato di frequente il compito di difendere passi importanti quali quello di Amanus a nord di Antiochia. Essi acquisirono terre e castelli che gli stati crociati non erano in grado di mantenere autonomamente per carenza di manodopera. Essi ricostruirono anche castelli distrutti o ne costruirono di completamente nuovi per difendere meglio l’oriente cristiano. I Templari non dimenticarono neanche mai la loro funzione originale quali protettori dei pellegrini, e gestirono molti piccoli forti lungo le rotte dei pellegrini nel Levante od agirono quali guardie del corpo.
Benché coinvolti in molti successi come nell’assedio di Acri nel 1189-1191, Damietta nel 1218-1219, e Costantinopoli nel 1204, vi furono alcune grandi sconfitte lungo il percorso, e tale era la loro reputazione marziale, i Templari potevano aspettarsi di essere giustiziati se fossero stati mai catturati. Nella battaglia di La Forbie a Gaza nell’ottobre del 1244, un esercito di Ayyubidi sconfisse un grande esercito Latino e 300 cavalieri Templari vennero uccisi. 230 cavalieri Templari catturati vennero decapitati dopo la Battaglia di Hattin nel 1187, vinta dall’esercito di Saladino, Sultano di Egitto e Siria (r. 1174-1193). Membri più importanti dell’ordine, come era usanza nel periodo venivano offerti per un riscatto. Il castello Templare di Gaza dovette essere ceduto in modo da poter ottenere il rilascio del Maestro catturato a seguito della medesima battaglia. Un’altra pesante sconfitta arrivò nella battaglia di Mansourah in Egitto nel 1250 durante la Settima Crociata (1248-1254). La vasta rete di conventi, però, sembrò sempre in grado di reintegrare qualsiasi perdita di risorse e manodopera.
Critiche, Processo ed Abolizione
In gran parte una legge a sé stante ed una potente minaccia militare, i governanti occidentali divennero diffidenti nei confronti degli ordini militari, specialmente in quanto iniziarono ad accumulare una vasta rete di terre e riserve di denaro. Come altri ordini militari, i Templari erano anche stati accusati da tempo di abusare dei propri privilegi ed estorcere il massimo profitto dai loro accordi finanziari. Essi erano accusati di corruzione e di soccombere ad orgoglio grossolano ed avarizia. Critici dissero che essi vivevano una vita troppo leggera e sprecavano denaro che avrebbero potuto spendere meglio mantenendo truppe per la guerra santa. Essi erano accusati di sprecare risorse per competere con ordini rivali, specialmente gli Ospitalieri. Vi era, anche, l’annosa questione che monaci e guerrieri non erano una combinazione compatibile. Alcuni rimproverarono anche l’ordine nel non essere interessato a convertire i musulmani ma semplicemente nella loro eliminazione. La maggior parte di queste critiche erano basate su ignoranza delle attività dell’ordine, una esagerazione della propria effettiva ricchezza in termini reali, ed un sentimento generale di gelosia e sospetto.
Alla fine del 13mo secolo, molti consideravano gli ordini militari troppo indipendenti per il bene di ognuno ed una loro amalgamazione in una singola entità sarebbe stata la migliore soluzione per renderli più responsabili nei confronti della Chiesa e dei governanti dei singoli stati. Poi, a partire dal 1307 circa, accuse molto più pesanti contro i Templari vennero fatte circolare. Si diceva che essi negavano Cristo quale Dio, la crocifissione e la croce. Vi erano dicerie che l’iniziazione nella confraternita contemplava calpestare, sputare, ed urinare su di un crocifisso. Queste accuse vennero fatte pubbliche, particolarmente dal governo della Francia. Il clero ordinario, pure, era geloso dei diritti dell’ordine come quello sulla sepoltura, un’attività collaterale potenzialmente lucrativa per ogni chiesa locale. Le istituzioni politiche e religiose stavano unendosi con il fine di distruggere i Templari. La perdita degli stati crociati nel Levante nel 1291 può essere stata la miccia (anche se molti pensavano ancora che sarebbe stato possibile riconquistarli nuovamente, e per ciò, gli ordini militari erano necessari).
Il venerdì 13 del 1307 Re Filippo IV di Francia ordinò l’arresto di tutti i Templari in Francia. Le sue motivazioni restano poco chiare, ma ipotesi di storici moderni annoverano la minaccia militare dei Templari, un desiderio di acquisire il proprio benessere, un’opportunità di conquistare un vantaggio politico e prestigio sul papato, ed anche che Filippo credeva di fatto a queste voci contro l’ordine. Alla negazione di Cristo e la mancanza di rispetto verso la croce vennero aggiunte ulteriori accuse di esercitare pratiche omosessuali, baci indecenti, e la venerazione di idoli. Inizialmente, papa Clemente V (r. 1305-1314) difese questo attacco infondato su ciò che era, dopo tutto, uno dei suoi ordini militari, ma Filippo riuscì ad estorcere confessioni da diversi Templari incluso il Gran Maestro Jacques de Molay. Come risultato, il papa ordinò l’arresto di tutti i Templari in Europa occidentale, e le loro proprietà vennero sequestrate. I Templari furono incapaci di resistere eccetto in Aragona dove un numero resistette nei propri castelli fino al 1308.
Seguì un processo a Parigi nel 1310, dopo il quale 54 confratelli vennero bruciati sul rogo. Nel 1314 il Gran Maestro dell’ordine, Jacques de Molay, ed il precettore di Normandia, Geoffrey de Charnay, vennero pure bruciati, di nuovo a Parigi, il primo ancora protestando la sua innocenza mentre veniva condotto verso la sua pira funeraria. Il destino dell’ordine nel suo insieme, comunque, venne deciso dal Concilio di Vienna del 1311. Indagini condotte nei tre anni precedenti negli affari dell’ordine in tutta Europa vennero prese in considerazione, così come confessioni (verosimilmente acquisite attraverso tortura), che erano inique in natura – la maggior parte dei cavalieri in Francia ed in Italia, e tre dall’Inghilterra confessarono tutte le accuse ma nessuna in merito a quelle più gravi provenienti da Cipro o dalla penisola Iberica. Un gruppo di cavalieri chiamati per sentire la loro difesa non furono alfine chiamati all’audizione,, e quando Filippo giunse al concilio, il papa dichiarò ufficialmente lo scioglimento dell’ordine il 3 aprile 1312, anche se la ragione era la dannosa perdita della propria reputazione piuttosto che qualsiasi verdetto di colpevolezza. Evidenza fisica delle accuse – documenti, statue di idoli ecc. – non vennero mai prodotti. Inoltre, molti cavalieri in seguito ritrattarono le loro confessioni anche quando erano stati già condannati e fare ciò non serviva a nulla.
La maggior parte degli ex cavalieri templari fu mandata in pensione e bandita dall’unirsi a qualsiasi altro ordine militare. Molti dei beni dei Templari vennero ceduti ai Cavalieri Ospitalieri su ordine del papa il 2 maggio 1312. Comunque, molte terre e soldi finirono nelle tasche di nobili, specialmente in Castiglia. L’attacco sui Templari, diversamente, ebbe poche conseguenze sugli altri ordini militari. Il dibattito di combinarli tutti in una sola unità si concluse nel nulla, ed i Cavalieri Teutonici, probabilmente più idonei ad essere criticati di qualunque altro ordine, vennero salvati grazie agli stretti legami con i regnati secolari germanici. I Cavalieri Teutonici spostarono il loro quartier generale da Vienna alla più remota Prussia mentre i Cavalieri Ospitalieri saggiamente spostarono il proprio quartier generale nella maggiore sicurezza di Rodi, entrambe le mosse avvennero nel 1309 e probabilmente assicurarono la loro esistenza continua in una forma o nell’altra fino ai giorni odierni
Il Viadotto di Millau, un’opera leggendaria

Da quando è entrato in servizio nel 2004, il viadotto di Millau è entrato nel libro dei record. La piattaforma, che culmina a 270 metri al di sopra del Tarn, è il ponte veicolare più alto al mondo (2.460 m), il cui pilone più alto si trova a 145m di altezza.

Un’opera titanica senza dubbio, ma anche un concentrato di alta tecnologia propria al mondo dei lavori pubblici: cassaforme autorampanti, cementi ad alta resistenza e materiali innovativi hanno concorso al successo dell’opera concepita dall’architetto britannico Norman Foster e dall’ingegnere francese Michel Virlogeux.
L’impegno di questi ultimi è riuscito a sorprenderci. Fin dal primo sguardo, il ponte sembra sospeso in aria, come se sfidasse la gravità. E il merito è anche dei materiali di fabbricazione: acciaio e cemento conferiscono al viadotto una struttura fine e resistente con solo 7 punti d’appoggio per tutta la lunghezza dell’opera e 1.500 tonnellate di cavi sotto tensione che coprono la superficie dell’opera.
13 anni di studi
Non ci sono voluti 13 anni di studi per questa opera titanica per niente! È stato necessario superare enormi ostacoli legati alla geografia del territorio e alle condizioni climatiche della regione.
Venti violenti possono arrivare a soffiare fino a 200 km/h nella valle del Tarn. E bisognava considerare anche i rischi sismici del luogo, considerati molto deboli.
Diversi modi per scoprire…
Se vuoi visitare questo simbolo della modernità nella sua maestosa cornice, ci sono mille e un modo per farlo: innanzitutto è possibile percorrere i 2460 metri di lunghezza del viadotto tramite un’autostrada di 2 corsie per senso di marcia; oppure in canoa, a piedi, in bici, in quad oppure anche dall’alto su un girocottero o con il parapendio.
Ogni anno, sono oltre 500.000 le persone che visitano questa opera d’arte da ogni angolazione.
Questo viadotto ha inoltre permesso di collegare la regione: è il trait d’union autostradale dell’A75 che ha permesso di legare Parigi al Mediterraneo.
Il Viadotto di Millau in cifre
- Lunghezza: 2.460 m
- Larghezza: 32 m
- Altezza massima: 343m, cioè 19m di più della Tour Eiffel
- Pendio: 3,025% in direzione nord-sud (direzione Clermont-Ferrand-Béziers)
- Altezza pilone più alto (P2): 245m
- Altezza piloni: 87m
- Numero piloni: 7
- Peso totale: 10.100 tonnellate
Roquefort
Situato nell’Aveyron, nel Parco Naturale Regionale dei Grands Causses, il borgo di Roquefort-sur-Soulzon è celebre per il Roquefort, un formaggio a pasta erborinata noto in tutto il mondo e prodotto con il latte delle pecore Lacaune che pascolano sull’altopiano del Larzac. Il Roquefort si fregia del marchio di Denominazione d’Origine Controllata (AOC in Francia).
Grazie all’azione del Penicillium roqueforti, un fungo microscopico, il Roquefort, una volta confezionato, viene affinato per un periodo di almeno tre mesi in grotte naturali in cui un fenomeno di ventilazione naturale assicura una temperatura costante, che si aggira intorno agli 8-10°C, e un’umidità del 95%.
Roquefort DOP
Il re dei Blue Francesi

Il Roquefort DOP è un formaggio erborinato al latte ovino crudo, il cui gusto è potente e molto persistente. Le macchie blu si chiamano Pennicilmium Roqueforti e danno il suo nome al formaggio.
Il Roquefort esiste di sicuro sin dal XI° secolo nel paese del Aveyron, ma ci sono scritti di Plinio il Vecchio che parlano di un formaggio simile in questa zona. È sempre prodotto tradizionalmente in grotta naturale collegate tra di loro con le “fleurines”, sorta di tunnel naturale aperto. Quest sistema fa si che la temperatura di stagionatura è sempre di 10°C e l’igrometria di 80% minimo.
Nel periodo moderno, non ci sono più che 7 produttori di cui solo 2 ancora artigianali.
GUSTO: Potente e sapido. La rusticità del latte di pecora si sente bene, con delle note erbacee, di fungo e di nocciola. Consistenza morbida.
ABBINAMENTO DI VINO: Sauternes, Loupiac o Gewurztraminer Grand Cru
Rodez
Abbarbicato a uno sperone roccioso, a 627 metri di altezza, il capoluogo dell’Aveyron invita gli amanti dei patrimoni edilizi ad andare alla scoperta dei suoi molteplici tesori architettonici e artistici.

La splendida cattedrale di Notre-Dame in arenaria rosa, emblema di Rodez risalente al periodo fra il XIII e il XVI secolo, è un capolavoro dell’arte gotica. Sormontata da un magnifico campanile in stile gotico fiammeggiante, questo monumento storico con l’aria di una fortezza, presenta due imponenti torri ai lati della facciata occidentale e custodisce fra le sue mura uno jubé (tribuna che separa il coro dalla navata) in pietra e stalli in legno di quercia intagliato del XV secolo, nonché una cassa d’organo del Seicento.
Dopo la visita alla cattedrale è possibile fare una passeggiata per il centro storico di Rodez e andare alla scoperta delle sue numerose attrattive: il palazzo vescovile con lo scalone a ferro di cavallo, le torri Corbières e Raynalde del XV secolo, le vie pedonali punteggiate di negozi e botteghe e le splendide dimore medievali e rinascimentali, fra cui spiccano la casa di Benoît, quella di Guitard, d’Armagnac e dell’Annunciazione.
Belcastel

Villaggio medievale ben conservato, racconta una storia ricca e affascinante: costruito intorno all’XI secolo, oggi vanta un patrimonio architettonico ricco di fascino e caratteristico, che rievoca la vita dei suoi abitanti al tempo del medioevo. Passeggiando nel cuore del borgo di Belcastel, adagiato lungo le rive del fiume Aveyron, impossibile non restare affascinati dall’assetto urbano medievale con le stradine tortuose e acciottolate, il forno per il pane, le case in pietra inserite in un ambiente naturale incredibile, caratterizzato da tranquillità e pace. Bellissimo il ponte in pietra del XV secolo che sovrasta il fiume Aveyron e da non perdere la “sedia del signore” scolpita nella roccia di Roquecante, anche in scisto, quest’ultima data dal XVI secolo. La città, inoltre, è conosciuta per le tipiche caselle postali, tutte diverse tra loro e una più divertente dell’altra.
Il castello medievale (le cui fondamenta risalgono al IX secolo) fu attaccato dagli inglesi durante la Guerra dei Cent’anni, ma mai conquistato. Acquisito nel 1251 dal conte Ugo, e dato nel 1385 a Guglielmo di Saunhac, da Giovanni III conte di Armagnac e Rodez.
Fu poi abbandonato al suo destino per almeno tutto il XVII secolo. Durante la Rivoluzione francese, il castello e i suoi dintorni servirono come rifugio per Pierre de Barrau, nobile di Aveyron ricercato dalle autorità rivoluzionarie. L’architetto Fernand Pouillon (1912-1986) lo scoprì nel 1974 in uno stato molto avanzato di rovina, e cominciò a restaurarlo insieme al villaggio.
Il suo restauro fu eseguito in base a modelli, in quanto era impossibile stabilire come fosse: infatti ormai non era più che un campo di rovine (Pierre de Lagarde disse che ripristinare il castello Belcastel era l’equivalente di “voler svuotare il mare con un cucchiaino” ). Sebbene presentasse permessi di costruzione per tutte le case in rovina del paese, ebbe il tempo per ripristinare pienamente solo il castello. Aveva però consolidato la maggior parte delle altre rovine del villaggio, luoghi che sono stati successivamente acquistati dalla città grazie ai fondi europei, per essere restaurati e affittati.
Conques

Conques fu un importante luogo della Cristianità, fin dal XII secolo, è stato una tappa fondamentale sui cammini di Santiago. Proprio per la sua importanza nel pellegrinaggio due suoi monumenti simbolo sono stati inseriti nella lista del Patrimonio Mondiale dell’Umanità dell’Unesco. Si tratta dell’Abbazia di Sainte Foy e del ponte dei pellegrini che attraversa il fiume del Dourdou. La costruzione dell’abbazia si deve ai monaci che, nell’ XI secolo, edificarono una grande struttura sui resti di un antico eremo che venne eletto come depositario delle reliquie di Sainte Foy, una giovane martire del IV secolo. La chiesa si presenta agli occhi del visitatore con la sua architettura romanica rimaneggiata in alcuni punti.
Il villaggio di Conques si sviluppa tutto intorno alla sua abbazia ed è formato dalle tipiche case con facciate a graticcio e tetti in pietra. Tra gli edifici da visitare spicca lo Chateau d’Humeries del Cinquecento, caratterizzato da mensole scolpite, un’alta torre ed una curiosa finestra a bifora. Proseguendo fino alla Porte du Barry si arriva al fiume, dove si erge il Vieux Pont, il ponte vecchio conosciuto anche come Ponte dei Pellegrini perché si trova sul percorso del cammino di San Giacomo.

L’adattamento musicale di La Bella e la Bestia firmato Bill Condon, con Emma Watson, Ewan McGregor e Dan Stevens, ha sedotto il pubblico francese e quello di tutto il mondo. Le sequenze che si svolgono nel villaggio abitato da Belle e da suo padre incantano per l’architettura medievale.
Abbazia di Sainte Foy
L’edificio è considerato un precoce capolavoro dell’architettura romanica del sud della Francia e uno dei primi edifici romanici di una certa grandezza coperti completamente a volte. La fondazione dell’abbazia e della chiesa risalgono all’epoca carolingia. È considerata Abbazia della Sancta Propago, in quanto ivi è sepolta Ildegarda di Egisheim (tra 1024 e 1035 – Schlettstadt, 1094 o 1095) fu contessa palatina di Brisgovia, e contessa di Riesgau nel Ducato di Svevia.
Apparteneva alla nobile famiglia dei conti di Egisheim, o Eigesheim, traducibile con “Uovo Sacro”, o “San Genesio”, suo padre era Gherardo III, conte di Egisheim-Dagsbur e sua madre era Ildegarda di Schlettstadt. In quanto cugina e moglie di Federico di Büren è considerata antenata degli Hohenstaufen.
Una volta vedova, volle la costruzione dell’ormai distrutta chiesa di Sainte-Foy a Colmar e ne fece dono all’abbazia di Sainte-Foy di Conques. Di questa ricostruzione rimangono testimonianze artistiche all’interno dell’edificio sacro, che è in stile romanico e risale al secolo successivo.
La costruzione fu iniziata tra il 1041 e il 1052 dall’abate Odolrico. Il coro fu completato intorno al 1065 mentre la costruzione della navata si protrasse fino all’inizio del XII secolo. Le due torri in facciata sono del XIX secolo. La chiesa risulta ben conservata al contrario del complesso monastico di cui si conservano alcune vestigia del chiostro. La chiesa, tempio del Templarismo più puro, era una delle tappe lungo il Cammino di Santiago di Compostela e conserva le reliquie di Santa Foy d’Agen.
Descrizione
La navata
La chiesa presenta una pianta a tre navate orientata est-ovest, con navata centrale, piuttosto corta, coperta a botte, un grande transetto anch’esso a tre navate, un grande coro con deambulatorio che consentiva il transito dei pellegrini e cappelle radiali e rappresenta un modello, non ancora maturo, per le chiese romaniche dell’Auvergne ed in generale per le chiese di pellegrinaggio. All’incrocio del transetto con la navata si trova un’imponente torre.
L’interno è molto sobrio con la volta della navata centrale molto alta, divisa dalle navate minori, tramite archi a tutto sesto retti da pilastri. Sopra le navate laterali, voltate a crociera, si colloca il matroneo aperto verso l’interno, senza finestrature soprastanti. La chiesa conserva importanti opere d’arte tra cui alcuni affreschi del XV secolo in sagrestia, un altorilievo dell’Annunciazione, i capitelli figurati ed un famoso tesoro d’oreficeria religiosa, avventurosamente salvato dai tumulti della rivoluzione francese. Le vetrate sono novecentesche.
Il portale
Il portale occidentale dell’abbaziale di Sainte-Foy è sormontato da un grande timpano scolpito ad altorilievo considerato un’opera fondamentale della scultura romanica. Viene rappresentato un affollato Giudizio Universale con 124 personaggi su tre ordini ed un Cristo in Maestà che divide i dannati e gli eletti secondo un diffuso modello simbolico che lega la porta della chiesa con Cristo “porta di salvezza”.

Najac
incombente su un promontorio che domina la splendida valle del Aveyron. Il villaggio offre la tranquillità e la bellezza di un paesaggio in cui l’acqua si sposano, l’albero e la roccia. Il villaggio è ora classificato tra i più bei villaggi di Francia ed ha con Villefranche-de-Rouergue, la prestigiosa etichetta “Grandi Luoghi Midi-Pirenei.”

A Najac, si gode l’imponente fortezza belvedere posto a 200 metri sopra le gole del Aveyron. Dalla cima della torre, la vista è mozzafiato. Copie di arte militare medievale, la fortezza è ben rimasti “la chiave per l’intero paese” voluta dal suo sponsor, il conte Alphonse de Poitiers.
Cordes sur Ciel
Magnifica bastide albigese del Tarn, una delle più antiche dell’Occitania, Cordes-sur-Ciel è dotata di un eccezionale patrimonio gotico di cui sono rappresentate tutte le fasi: il primitivo del XIII secolo, il radiante del XIV e il fiammeggiante del XV. Fondata nel 1222 dal conte di Tolosa Raimondo VII, ha conservato tutta la sua autenticità e un fascino irresistibile. La passeggiata nella città medievale è un vero incanto, tanto più che le strade sono fiancheggiate da botteghe di artigiani e gallerie d’artisti.

Si dice che la creazione della città è stata presieduta dalle stelle, e la sua posizione è stata scelta dal destino… la sua parte di vita, una genuinità rara, è stata in grado di attrarre e trattenere artisti e artigiani che trovano la loro ispirazione. Riparato potenti porte fortificate, palazzi sontuosi con facciate scolpite magnificare l’arte gotica… Sfoglia le strade, attraversando le soglie, viaggiando attraverso i secoli !
Assaggiate un croccante di Cordes, la specialità locale per eccellenza a base di farina, albumi, zucchero, mandorle e… con un pizzico di mistero per renderlo unico!
« Il viaggiatore che, dalla terrazza di Cordes, ammira la notte estiva sa che non ha bisogno di andare oltre e che, se vuole, la bellezza qui, giorno dopo giorno, lo allontanerà da ogni solitudine »
Albert Camus.
Albi

La meravigliosa e affascinante città di Albi si compone di quattro rioni storici, che circondano i due giganti del mattone, la cattedrale e il palazzo vescovile. Il quartiere di Castelviel, di fronte al campanile della cattedrale, è la culla della città. Con le sue piazze circondate da case medievali a graticcio e i vicoli stretti, sembra una cartolina o un’immagine uscita dai libri di storia.
Il Castelnau, pittoresco quartiere con strade larghe e diritte, è il simbolo del moderno sviluppo della città nel XII secolo. La casa Vieil Alby, vicino a rue Toulouse-Lautrec, sede dell’associazione Albi Patrimoine, è uno dei suoi emblemi. Invece il borgo Saint-Salvi, a forma di anello o ruota, circonda la collegiata e il chiostro di Saint-Salvi. Questo è un notevole complesso eretto a partire dall’XI secolo, che combina architettura romanica e gotica. Mentre le Combes e le sponde del Tarn, compreso il Pont-vieux, costruito intorno al 1030-1040, sono il fulcro della prosperità commerciale nel Medioevo.
Cattedrale di Santa Cecilia
Segui con lo sguardo i pilastri e alza la testa verso la volta e goditi le decorazioni in stile rinascimentale italiano su sfondo di blu profondo, di origine minerale, realizzate in soli 3 anni di lavoro (1509/1512).

Il Coro dei Canonici
Una recinzione di pietra bianca, vero pizzo di pietra, separa la cattedrale in due parti: la navata e il coro. Al di là dello schermo di pietra, c’è il coro dei canonici, una vera e propria chiesa nella cattedrale. Il deambulatorio, (corridoio che circonda il grande coro), presenta statue di pietra cesellate da Maestri borgognoni.
Apprezza attentamente tutti i dettagli dei vestiti, i tratti dei volti, le pieghe della pelle. Si noti che queste 200 statue la rendono la statuaria più importante della Francia alla fine del Medioevo.

Palazzo Berbie
L’ex palazzo dei vescovi, ovvero il palazzo Berbie prestigiosa sede del museo Toulouse-Lautrec. Costruito nel XIII secolo, il Palazzo Berbie è uno dei più antichi castelli di Francia, anteriore alla costruzione del famoso Palazzo dei Papi ad Avignone. Costruito su un sito naturalmente fortificato, un belvedere sul Tarn, è caratterizzato da un’architettura militare che affermava il potere dei vescovi contro i consoli della città. Nei secoli i Vescovi l’hanno trasformata in una dimora di piacere. Elencato come monumento storico nel 1862, è uno dei palazzi episcopali meglio conservati in Francia. È nel cortile principale, fiancheggiato da due torri, che ora possiamo accedere all’ingresso del museo Toulouse-Lautrec. Inoltre si possono visitare i giardini del palazzo e l’antica cinta muraria, ora diventata uno splendido sentiero pedonale, da cui si gode una vista panoramica sulle rive del Tarn, sul pontile delle chiatte, sul quartiere della Madeleine e oltre, sulle colline circostanti su cui si trova Notre Dame de la Drèche.
Il Museo di Toulouse-Lautrec
Il museo Toulouse-Lautrec raccoglie la più grande collezione al mondo di opere del pittore Henri de Toulouse-Lautrec: 31 manifesti, 219 dipinti, 563 disegni, 183 litografie. Troverete dipinti irriverenti di bordelli e locali di spettacolo, insieme a importanti stampe pubblicitarie, oltre alle sue opere tardive. Si tratta di una collezione eccezionale che segue ogni fase della sua produzione, evidenziando il suo dono di osservazione, il suo talento di disegnatore, la sua linea precisa nei dettagli. Il percorso di visita è arricchito da pannelli informativi che spiegano in maniera esaustiva l’evoluzione della sua arte, mostrando ogni aspetto della vita complicata di questo artista albigese, di cui la città è così orgogliosa. Le prime sale sono dedicate alle opere giovanili che rappresentano la sua famiglia, i suoi amici e i suoi animali. Successivamente il visitatore viene lentamente introdotto nell’universo parigino: i bordelli, i club della belle epoque, il mondo dello spettacolo e il circo. Stanza dopo stanza, potrete seguire l’evoluzione di questo artista atipico, segnato da una vita difficile e da una salute cagionevole. Infatti da adolescente, il giovane Henri riportò una frattura del femore sinistro e poi della gamba destra. Inoltre a causa della picnodisostosi, una malattia ossea ereditaria, la sua crescita fu stentata, le sue gambe rimasero molto corte, e non arrivò mai a superare un’altezza di 1,52 metri. Dopo una vita ai margini della società e dotato di un talento pittorico incredibile, morì a soli 37 anni.
Collegiata di Saint-Salvy
La collegiata di Saint-Salvi, intitolata al 1° vescovo della città, si erge orgogliosa dall’XI secolo, all’angolo di Place Sainte-Cécile. Questa chiesa è una delle più grandi chiese romaniche della regione albigese. La caratteristica principale di questa costruzione è la mescolanza di pietre e mattoni in coincidenza con il cambio dei materiali nel XIII secolo. È possibile leggere le varie fasi architettoniche della struttura e il passaggio dal romanico al gotico. Nella chiesa, sei grandi tele offerte dai consoli di Albi nel 1725 raccontano la vita di Saint-Salvi e la storia del paese. Sul retro della chiesa, sotto l’organo Moucherel si trovano una serie di sculture a misura d’uomo, sorprendentemente dettagliate e colorate. Da non perdere il suo meraviglioso chiostro, costruito nel 1270: è una piccola oasi di pace dove regna il silenzio, un invito alla pace e alla meditazione, abbellito da arcate romaniche impreziosite da capitelli gotici scolpiti con figure, animali o tralci di vegetazione. Al centro del chiostro si coltivavano erbe aromatiche e medicinali, che vengono messe gratuitamente a disposizione dei visitatori.
La Maison du Vieil Alby
Questo antico edificio a graticcio ha conservato intatte le caratteristiche delle vecchie case medievali del centro storico: costruita in altezza per guadagnare superficie, si trova nel cuore del centro, in un reticolo di viuzze che hanno come sfondo l’onnipresente campanile della cattedrale. Il piano terra ricorda le antiche taverne e una scala conduce ai piani superiori per scoprire una mostra permanente sulla giovinezza del pittore albigese Henri de Toulouse-Lautrec.
Mercato coperto di Albi
A due passi dalla cattedrale, il mercato coperto di Albi, ogni sabato mattina, diventa il vivace fulcro della città. Girate fra i banchi e lasciatevi tentare dai petit jeannots, i biscotti all’anice tipici di Albi, o dalle bougnette, un ripieno a base di pane, carne di maiale e uova. I venditori locali sapranno darvi i migliori consigli sulle ricette albigesi da cucinare con i loro prodotti genuini. Il mercato è aperto tutte le mattine dal martedì alla domenica.
Pont Vieux
Il Pont-Vieux d’Albi è uno pochi ponti di origine medievale ancora in uso. Collegando le due sponde del Tarn, il Pont-vieux è un elemento fondamentale del patrimonio di Albi, classificato monumento UNESCO. Il ponte rappresentava un punto di passaggio obbligato nei commerci di prodotti alimentari, materie prime per concerie e industria tessile. Infatti, nel XII secolo, Albi era un importante crocevia sulle rotte tra il Mediterraneo e l’Oceano, dai Paesi Baschi e da Tolosa a Lione, così come dalla Catalogna a Parigi. Il ponte permetteva così di riscuotere i pedaggi per l’ingresso in città. Nel XVI secolo, il ponte aveva un aspetto completamente diverso: lungo 151 metri, chiuso su entrambi i lati da ponti levatoi, un tempo era difeso al centro dalla torre fortificata di Notre Dame, oggi scomparsa. Inoltre numerose case a graticcio erano costruite a cavallo della carreggiata. Vi abitavano undici famiglie: conciatori, calzolai, tessitori, follatori, commercianti di frutta. Nel 1766, a seguito di una grave inondazione del Tarn, il Comune acquistò le case danneggiate per distruggerle.
Museo Lapérouse
Jean-François de Galaup de Lapérouse è stato uno dei cittadini albigesi più famosi, nato nel 1741. Luigi XVI apprezzò le qualità umane e le doti marinaresche di questo giovane capitano e gli affidò una grande spedizione con due fregate, La Boussole e l’Astrolabe, allo scopo di completare le scoperte di James Cook. Ben 225 uomini, marinai, studiosi e artisti partirono da Brest nel 1785, viaggiarono lungo Brasile, Cile, Alaska, California, Cina, Russia, Australia e si incagliarono nel 1788 a Vanikoro, presso le Isole Salomone, nel Pacifico. Durante questo viaggio, il capitano svolse precisi e preziosi lavori di cartografia e ricerca scientifica. Questo museo è fortemente consigliato agli amanti della storia, dell’esplorazione e della storia marittima. Sono esposti più di 600 pezzi, tra cui molte vestigia delle due fregate, provenienti dagli scavi nel luogo del naufragio. Potrete ammirare armi, uniformi, strumenti di navigazione e modellini che costituiscono una vera attrazione, in particolare quello di Vanikoro (l’isola del naufragio), la città di Brest nel 18° secolo e la bellissima riproduzione di La Boussole, l’ammiraglia di Lapérouse. Il museo Lapérouse non è solo la storia di un uomo, ma una grande pagina della storia marittima della fine del 18° secolo e un invito a prendere parte ai misteri che ancora rimangono da esplorare.
Passeggiata lungo il fiume Tarn
Albi è attraversata dal fiume Tarn che nasce dal Mont Lozère, si snoda tra le famose Gorges du Tarn, segue la valle del Tarn e i suoi meandri e prosegue verso Montauban dove sfocia nella Garonna. Dalle sue rive si ammira un panorama unico sul Ponte Vecchio e sulla città episcopale e il modo migliore per vivere questa esperienza è seguire i numerosi percorsi pedonali. Il sentiero più famoso si chiama Echappée verte: si svolge per 4 chilometri in un ambiente naturale preservato e incontaminato. Rapidamente, il rumore della città si placa e il canto degli uccelli prende il sopravvento per accompagnare la passeggiata. Le rive del Tarn seguono l’antica alzaia, un luogo propizio per passeggiate rilassanti, pic-nic e giochi con i bambini. L’Echappée verte è diviso in tre sezioni ben segnalate, percorribili separatamente o tutte insieme: le Sentier des Berges parte dal parcheggio della Cattedrale e conduce alla foce del torrente Causses; permette di capire la posizione della città rispetto al fiume. le Sentier Sauvage: tra il Pont-neuf e l’Avenue du Loirat, questa porzione è percorribile esclusivamente a piedi da persone esperte e durante la stagione estiva. le Sentier de la Mouline: dall’Avenue de Loirat al parcheggio Planques, il sentiero corre lungo la cresta dell’argine e una vasta pianura. Da giugno a settembre, gli alberi da frutto offrono agli escursionisti l’opportunità di raccogliere le prelibatezze delle varietà locali. Questo tratto è percorribile anche in bicicletta ed è particolarmente adatto per le passeggiate in famiglia. In alternativa, le rive del Tarn possono essere esplorate via fiume, partecipando ad escursioni sulle gabarre, le tradizionali chiatte a fondo piatto. Questa esperienza offre ai passeggeri panorami inaspettati del patrimonio albigese e un’atmosfera di tranquillità lungo il Tarn.
La vista più scenografica di Albi
Se vi state chiedendo da dove si scatta la foto più rappresentativa di Albi, quella che si vede in tutte le cartoline, la risposta è: dal ponte del 22 agosto 1944. Da questo punto infatti potrete abbracciare con un solo sguardo il Pont Vieux, la città episcopale, il Palais de la Berbie e la Cattedrale. Insomma, tutti i grandi monumenti classificati Patrimonio dell’Umanità dall’UNESCO in un unico, spettacolare scatto.
Quartiere dei Cordeliers
Questo quartiere è stato in gran parte restaurato e ristrutturato, lasciando il posto a edifici culturali di punta: il Grand Théâtre des Cordeliers, simbolo del distretto culturale di Albi, una costruzione contemporanea firmata dall’architetto Perrault, il multisala CGR-Cordeliers, il cinema d’arte e di saggistica, la mediateca Pierre-Amalric, il Centro Universitario Jean-François Champollion. Place Lapérouse invita a fare una pausa negli spazi verdi ma anche a giocare tra i getti d’acqua della fontana Encircle, creata dall’artista danese Jeppe Hein. In particolare vi segnaliamo una visita alla struttura del Grand Théâtre des Cordeliers: l’edificio è ricoperto da una maglia color rame dorato e in alluminio per evocare il sipario del teatro. Le facciate di vetro catturano lucentezza, riflessi, colori e ne fanno un vero e proprio abito di luce. Inoltre dall’alto della sua terrazza panoramica si gode di una vista mozzafiato sul centro storico di Albi: il vostro sguardo potrà ammirare la cattedrale di Sainte-Cécile, la collegiata di Saint-Salvi, i tetti di Vieil Alby e la piazza Lapérouse
Henri de Toulouse-Lautrec

Artista francese tra i maggiori del post-impressionismo, Henri de Toulouse-Lautrec (Henri-Marie-Raymond de Toulouse-Lautrec-Montfa; Albi, 1864 – Saint-André-du-Bois, 1901) fu una delle più importanti figure di transizione tra l’impressionismo e l’espressionismo, fu uno dei più acuti e interessanti disegnatori del suo tempo, capace di opere di grande sagacia e profondità (e il suo stile quasi filiforme veniva applicato anche ai suoi dipinti), frequentatore dei bassifondi di Parigi, e soprattutto fu artista che intuì le connessioni che l’arte poteva stabilire con la pubblicità (fu infatti uno dei primi artisti-pubblicitari). Sono famosi i suoi numerosi manifesti, realizzati per aziende e locali.
Di origini aristocratiche, fu una delle figure più eminenti della Parigi di fine Ottocento, ambiente che gli fornì spesso spunti per le sue opere e, come detto, fu tra i maggiori artisti della generazione che seguì quella degli impressionisti, assieme ad altri grandi come Georges Seurat, Paul Gauguin, Vincent van Gogh, Paul Cézanne. Toulouse-Lautrec è noto anche per aver avuto una vita movimentata: affetto da una disabilità (probabilmente dovuta a una malattia genetica) che gl’impedì un normale sviluppo degli arti inferiori, Henri de Toulouse-Lautrec reagì però attraverso l’arte ma anche dedicandosi alle sue passioni, in particolare all’alcol, ma anche alla cucina (pare fosse un abilissimo cuoco, tanto che fu poi pubblicato un libro postumo di sue ricette) e ovviamente alla vita notturna, essendo Toulouse-Lautrec un habituédei ritrovi dei bohémiens, dei café-chantants, dei bordelli. Ma oggi è ricordato soprattutto per la sua arte fortemente innovativa.
Vita di Henri de Toulouse-Lautrec
Henri-Marie-Raymond de Toulouse-Lautrec-Montfa nacque all’Hôtel du Bosc di Albi, nella Francia meridionale, il 24 novembre del 1864, da Alphons Charles, conte di Toulouse-Lautrec-Montfa, e da Adèle Zoë Tapié de Celeyran. Di origini nobili, non ebbe mai il titolo di conte perché non sopravvisse a suo padre (morì infatti prematuramente a trentasei anni). All’età di otto anni andò a vivere con la madre (che si era separata dal marito nel 1867) a Parigi, dove cominciò per diletto a disegnare, soprattutto caricature. La famiglia si rese subito conto del suo talento e gli fece prendere lezioni dal pittore René Princeteau, amico del padre, e artista specializzato nella raffigurazione di animali (tanto che le prime opere note di Toulouse-Lautrec sono raffiguruazioni di cavalli). Nel 1875 l’artista, a undici anni, tornò ad Albi per ragioni di salute (i segni della malattia avevano infatti già cominciato a manifestarsi: all’epoca era stata peraltro attribuita alla storia familiare di consanguineità, dal momento che padre e madre erano cugini di primo grado) e passò qualche tempo alle terme di Amélie-les-Bains. A tredici anni si fratturò il femore destro e a quattordici il sinistro: le fratture non si sarebbero mai rimarginate in maniera corretta. Da adulto, Toulouse-Lautrec sarebbe diventato alto 1,52 m: il fatto di non poter partecipare a tutte le attività tipiche di un ragazzino lo spinse a dedicarsi completamente all’arte. Dopo essersi diplomato a Tolosa, nel 1882 tornò a Parigi per studiare con Léon Bonnat e poi con Fernand Cormon, nel cui atelier rimase fino al 1886. A Parigi ebbe modo di conoscere anche Vincent van Gogh ed Émile Bernard.
Stabilitosi a Montmartre, espose le sue opere per la prima volta nel 1885 al cabaret Mirliton di Aristide Bruant(che sarebbe diventato poi soggetto di un suo celeberrimo ritratto). Nel 1887 espose a Tolosa sotto lo pseudonimo di “Tréclau”, la variante in verlan del cognome “Lautrec”, dopodiché espose a Parigi assieme a Van Gogh e a Louis Anquetin. Nel 1885 cominciò a intrattenere una relazione con Suzanne Valadon, terminata tre anni dopo. Tra il 1889 e il 1894 Toulouse-Lautrec partecipò con regolarità al Salon des Indépendants e nel frattempo aveva stretto amicizia con Van Gogh (peraltro nel 1888 Theo Van Gogh aveva acquistato un’opera di Toulouse-Lautrec alla galleria Goupil), tanto che nel 1890, a Bruxelles, durante una cena sfidò a duello Henri de Groux che aveva criticato Van Gogh (e Signac si unì a lui, dicendo che avrebbe combattuto per difendere Van Gogh qualora Toulouse-Lautrec fosse rimasto ucciso): alla fine il duello non ebbe luogo perché De Groux si scusò per aver offeso l’artista olandese. Nel frattempo Toulouse-Lautrec era diventato abituale frequentatore dei locali di Parigi (il Moulin de la Galette, il Café du Rat-Mort, il Moulin Rouge e molti altri) e aveva cominciato a compiere diversi viaggi (oltre che a Bruxelles si sarebbe poi recato in Spagna e a Londra: nella capitale inglese sarebbe tornato più volte, con cadenza pressoché biennale, essendo Londra la città che più lo attirava fuori da Parigi).
Tra il 1889 e il 1892 si intensificò la produzione di dipinti con scene dal Moulin Rouge e dal Moulin de la Galette, mentre risalgono al triennio seguente i dipinti e i disegni sul teatro, sui bordelli e sul circo, altri temi ben noti della sua arte: la serie di litografie Elles, dedicata alle prostitute della maison close di rue d’Amboise, dove l’artista aveva fissato la sua residenza nel 1892 (leggi qui un approfondimento sulla serie), è una delle più famose dell’epoca. Presto però i suoi problemi con l’alcolismo cominciarono ad avere la meglio su di lui: nel 1899 fu ricoverato in un sanatorio a Neuilly-sur-Seine a seguito di un intervento della madre che temeva per la sua salute (durante il ricovero realizzò diverse opere a tema circense), ma ci fu poco da fare. Nel marzo del 1901 fu colpito da un ictus, che lo lasciò paralizzato costringendolo sulla sedia a rotelle. Un nuovo ictus lo colpì il 15 agosto del 1901: in seguito andò a vivere con la madre nel castello di Malromè, una delle tenute di famiglia, nel territorio di Saint-André-du-Bois, e qui morì il 9 settembre del 1901, a trentasei anni d’età.
Nonostante una vita molto breve, Henri de Toulouse-Lautrec fu un pittore piuttosto prolifico, dal momento che il catalogo ragionato delle sue opere, pubblicato nel 1971, elenca 737 dipinti, 275 acquerelli, 369 litografie e 4.784 disegni. Durante la prima fase della sua attività fu artisticamente legato soprattutto a Edgar Degas, come si vede da dipinti quali La Toilette in collezione privata o l’Equestrienne dell’Art Institute di Chicago. Inoltre, Toulouse-Lautrec era stato uno dei primi artisti europei, assieme a Van Gogh, a guardare alle stampe giapponesi, dalle quali mutuò il segno grafico essenziale e i piani quasi piatti che caratterizzeranno soprattutto la sua opera grafica ma che si vedono anche in alcuni dipinti (per esempio Un coin du Moulin de la Galette conservato alla National Gallery di Washington). Tratte dalle stampe giapponesi sono anche le forti diagonali, come si vede in Au Moulin Rouge, una delle opere più famose di Toulouse-Lautrec, che si inserisce nel filone dei dipinti che traducono su tela la vita notturna della Parigi di fine Ottocento (l’artista, tuttavia, più che alle luci era interessato alle ombre, e in particolare alle storie tragiche e all’umanità derelitta che frequentava questi luoghi: personaggi equivoci, sbandati, sfruttatori, ballerine che all’occorrenza vendevano il proprio corpo, ricchi annoiati: le opere di Toulouse-Lautrec sono sempre animate da una vena d’inquietudine).
A partire dagli anni Novanta, i dipinti di Toulouse-Lautrec assumono lo stile per il quale sono universalmente noti: i contorni ben definiti, le campiture uniformi (anch’esse dunque derivanti dalle stampe giapponesi), le pennellate sciolte che invece risentono dell’iniziale interesse per l’arte espressionista, il luminismo artificiale. La sua pittura, veloce e molto lineare, era frutto di una forte passione: essendo di famiglia ricca e non avendo dunque bisogno di dipingere per vivere, poteva permettersi il lusso di non lavorare su commissione. I suoi soggetti preferiti erano le donne, e in particolare le ballerine e le meretrici, che diventano le protagoniste principali dei suoi dipinti in virtù della loro spontaneità: Toulouse-Lautrec amava infatti il modo in cui si muovevano e si destreggiavano tra i clienti e nei locali. Nelle sue raffigurazioni di ballerine e prostitute, tuttavia, Toulouse-Lautrec non indugiava in moralismi o sentimentalismi: ciò che traspare è verità e umanità. Altro tema che domina la produzione di Toulouse-Lautrec è il circo: come ricordato, le prime opere di Toulouse-Lautrec sono raffigurazioni di animali, e l’artista, appena poteva, andava a vedere il circo (il Cirque d’Hiver e il Cirque Fernando in particolare) per dipingere i cavalli. Ma il circo era importante per Toulouse-Lautrec perché ben s’accordava alla sua natura anticonformista ed esibizionista, e inoltre lo affascinavano i movimenti degli acrobati e degli animali.
Particolarmente importante è l’opera grafica di Toulouse-Lautrec, essendo stato uno dei più grandi e apprezzati disegnatori del suo tempo, oltre che uno dei primi artisti a intuire il potenziale che l’arte poteva offrire alla pubblicità. L’artista si prestò così di buon grado a disegnare manifesti per i caffè che frequentava. “La novità introdotta da Toulouse-Lautrec nel mondo contemporaneo”, sottolineavano Danièle Devynck e Claudia Zevi in occasione della mostra Toulouse-Lautrec. Il mondo fuggevole(Milano, Palazzo Reale, dal 17 ottobre 2017 al 18 febbraio 2018) da loro curata, “fu il modo di raffigurare gli artisti e le ballerine attraverso un’affiche. Egli fu il primo a percepire la necessità di inventare un nuovo ‘stile’ per quel nuovo genere artistico, tipicamente cittadino, che è il manifesto. Mostrandosi sensibile all’influsso delle stampe giapponesi, Lautrec impiegò linee impetuose, tagli compositivi audaci, colori intensi e piatti, colori squillanti che, applicati omogeneamente su superfici estese, rendevano il manifesto visibile anche da lontano, facilmente riconoscibile al primo sguardo e, soprattutto, attraente per il potenziale consumatore”. Sono caratteristiche che si evincono da uno dei suoi manifesti più famosi, Divan Japonais del 1893, realizzato per l’omonimo locale: l’arredamento in stile orientale, unito ai modi che richiamano l’arte giapponese, rendono evidenti le fonti d’ispirazione dell’artista.
La grafica di Toulouse-Lautrec è fatta di stilizzazioni estreme, di primi piani, di pose inconsuete, di visuali particolarmente ardite: lo si nota in celebri manifesti come Aristide Bruant, dove il noto cabarettista appare come una massa di colore blu sormontata dalla sciarpa e dal suo ritratto reso con poche linee, o come Jane Avril, dove la cantante assume un aspetto quasi filiforme, o ancora come in May Milton, dove il profilo della protagonista è parimenti reso con pochi segni grafici. Si trattava comunque di opere che richiedevano impegno e studio, come attesta la pubblicità per la catena da bicicletta Simpson (leggi qui un approfondimento), preceduta da molti disegni. A proposito della sua attività grafica, Giulio Carlo Argan ha scritto che Toulouse-Lautrec “è stato il primo a intuire l’importanza di quel nuovo genere artistico, tipicamente cittadino, che è la pubblicità: disegnare una affiche o la copertina di un programma costituiva, per lui, un impegno non meno serio che fare un quadro. E si capisce: nella pubblicità il comunicare per sollecitare è più importante che il rappresentare. Se la rappresentazione è qualcosa che si fissa e si prospetta, la comunicazione si insinua e colpisce: per la prima volta, con Toulouse, l’attività dell’artista non tende più a concludersi in un oggetto finito, il quadro, ma si dipana nella serie ininterrotta dei dipinti, delle incisioni, dei disegni, nell’album di schizzi che si sfoglia come si leggerebbe una raccolta di poesie”.
Dove vedere le opere di Toulouse-Lautrec

Il nucleo principale di opere di Toulouse-Lautrec si trova al Museo Toulouse-Lautrec di Albi, la sua città natale: l’istituto fu aperto per volontà della famiglia nel 1922, anche se fin dalla morte nel 1901 i parenti avevano cercato di far esporre pubblicamente le sue opere (fu scelta la città di Albi perché i musei parigini rifiutarono la donazione della madre di Henri). Ogni anno il museo è visitato da circa duecentomila persone. In secondo luogo è possibile visitare il Musée d’Orsay di Parigi, che ospita un altro nucleo importante, ma le opere di Henri de Toulouse-Lautrec sono molto presenti anche nei musei americani, dall’Art Institute of Chicago al Philadelphia Museum of Art, dalla National Gallery di Washington al Dallas Museum of Art.
In Italia non ci sono dipinti di Toulouse-Lautrec. Diverso invece è il discorso per le litografie, che si trovano invece in molte collezioni e vengono regolarmente esposte in mostre in tutto il paese.
Carcassonne
Potrete accedervi attraverso la Porte de la Narbonnaise, la porta principale della città, interamente riservata ai pedoni. Avrete il piacere di passeggiare per le strade strette, piene di negozi, caffè e ristoranti. Scoprite le belle case e l’eccezionale patrimonio di una città che, fin dall’epoca romana, ha sfruttato la sua posizione strategica all’incrocio delle rotte che collegano l’Atlantico, il Mediterraneo e la Spagna.

L’insieme Carcassonne e Citadelles du Vertige è classificato come uno dei Grands Sites Occitanie.
I bastioni
Le cinte murarie sono doppie e tra di loro c’è una grande area erbosa in cui si può passeggiare, le palizzate, una volta utilizzate durante i tornei cavallereschi. Anche voi entrerete nella palizzata, contemplando questo splendido scenario di torri, merli, castelli e torri di guardia.
La cinta muraria interna è il risultato di un rimodellamento del bastione originale gallo-romano intorno al 1280. La cinta muraria esterna fu aggiunta intorno al 1320, su una lunghezza totale di più di 3 km.

Abbandonata nel XVIII secolo, demolita, saccheggiata per le sue pietre, la città deve la sua salvezza a uno di questi notabili: Jean-Pierre Cros-Mayrevieille che avvisa Prosper Mérimée, allora ispettore generale dei monumenti storici.
L’architetto Eugène Viollet-le-Duc viene incaricato del restauro, iniziato nel 1855. Egli riorganizzerà la città: vengono innalzate le mura, riparate e trasformate le torri. Alcune sono sopraelevate, con ampie aperture e perdono le loro merlature per tetti inclinati ricoperti di ardesia. L’architetto rimuove le palizzate delle case che vi sono state costruite. Restituisce alla città tutto il suo splendore. Un lavoro enorme al quale si dedica fino alla sua morte nel 1879.
La ristrutturazione sarà completata dal suo allievo Paul Louis Boeswillwald e poi dall’architetto Henry Nodet. I lavori dureranno più di 50 anni.
Nei secoli Carcassonne ha subito la dominazione di Romani, Visigoti, Saraceni e Crociati. Fondata nel periodo gallo-romano, nel XII secolo conobbe il periodo di massimo splendore. A quest’epoca risalgono il castello e la cattedrale, voluti dalla famiglia Trencavel che esercitava il suo dominio sul borgo. Lo stesso periodo venne segnato da una convivenza pacifica tra ebrei, cristiani e catari, che subì una brusca interruzione durante la crociata contro gli Albigesi, quando la città fu assediata e poi conquistata da Simon de Montfort, segnando così la fine dei Trencavel. Nel corso del XIX secolo la città conobbe un periodo di fioritura culturale, legata in gran parte al commercio del vino. Proprio in questo periodo la cittadella medievale venne fedelmente restaurata ad opera dell’architetto Eugène Emmanuel Viollet-le-Duc.
La storia di Carcassonne è segnata da molti racconti popolari, tra cui la leggenda di Dama Carcas, ricordata con un busto all’ingresso della Cité. Si tratta di una principessa saracena che, rimasta vedova, prese il controllo dell’esercito e con uno stratagemma liberò la città dall’assedio di Carlo Magno. Dopo anni di estenuanti battaglie che avevano decimato l’esercito saraceno, per dimostrare che le provviste erano ancora abbondanti, Dama Carcas fece ingurgitare a un maiale l’ultimo sacco di grano. Gettò poi il povero animale dalla torre e spinse i soldati a credere che il popolo avesse viveri a sufficienza, così Carlo Magno e i suoi uomini batterono in ritirata. La donna esultò in modo così rumoroso da far suonare tutte le trombe della città. La leggenda narra che i soldati di Carlo Magno, voltandosi, esclamassero “Carcas sonne”, da cui deriverebbe il nome della città, appunto Carcassonne.
Il castello Comtal (Castello del Conte) è un castello medievale all’interno della città La Cité Medievale si trova all’interno della città moderna di Carcassonne
Anche se la cortina esterna della cité è francese, e l’intero sito è stato sostanzialmente restaurato, il Castello Comtal ha una forte pretesa di esse re chiamato un ” Castello cataro “. Quando l’esercito crociato cattolica è arrivata nel 1209 che prima hanno attaccato Raymond-Roger Trencavel castrum a Beziers e poi passata a sua principale roccaforte a Carcassonne.
Il castello è stato restaurato nel 1853 dall’architetto Eugène Viollet-le-Duc. E ‘stato aggiunto alla lista UNESCO del Patrimonio Mondiale dell’Umanità nel 1997.
In questa zona della Francia, oggi Occitania, ma fino a pochi anni fa denominata Linguadoca.
La crociata contro i catari (1209-1229) venne bandita da papa Innocenzo III nel 1209 e terminò nel 1229 con la pace di Meaux-Paris: venne siglata da un lato, per il re Luigi IX di Francia (San Luigi) da sua madre, la regina reggente Bianca di Castiglia e dall’altro da Raimondo VII conte di Tolosa; Raimondo si dichiarò sconfitto e sottomesso. Sua figlia, Giovanna di Tolosa, avrebbe sposato il fratello del re; essendo Giovanna l’erede di Raimondo, questo trattato fu in pratica un accordo per far passare la Contea di Tolosa con gran parte della Linguadoca, nei domini dei Capetingi di Francia.
Il catarismo fu un movimento ereticale diffusosi in Europa tra il XII e il XIV secolo. Il termine cataro deriva dal latino catharus e dal greco καϑαρός, puro. Con il termine catari sono indicati tutti gli eretici dualisti medievali (albigesi, manichei, bulgari…), i quali fondavano il loro credo sul rapporto avverso tra materia e spirito. Secondo questi ultimi Gesù avrebbe avuto solamente in apparenza un corpo mortale e pur accettando la sua divinità, essi credevano che fosse apparso sulla Terra unicamente come angelo dalle sembianze umane. Rifiutando ogni bene materiale, astenendosi dal consumo di carne e uova e non praticando perfino il sesso, i catari accusarono la Chiesa di Roma di essere al servizio di Satana (Ecclesia Malignatium), a causa della sua corruzione e dell’attaccamento così ostinato alla materia. L’ideologia catara si insinuò più velocemente nei ceti più umili. Sfruttando il malcontento della popolazione per la mancata vicinanza della Chiesa cattolica ai più poveri e bisognosi dopo la riforma gregoriana. Territorialmente essa si diffuse e si radicò nelle regioni del Tolosano, del Lauragais, dell’Albegois e del Carcasses, nonché nell’Italia settentrionale. Interessante notare come solamente pochi eretici nel medioevo venissero chiamati cathari; nemmeno alcuna persona interrogata dall’Inquisizione di Tolosa parlò mai di quest’ultimi ma di “buoni uomini” e “buone donne”. I “buoni uomini” erano raramente giovani mentre le “buone donne” erano sempre ragazze e di nobili origini. La Chiesa non tardò a fornire una pronta risposta al crescere esponenziale di questa eresia e già nel terzo Concilio Lateranense del 1179 papa Alessandro III stabilì misure contro il catarismo. Si stabilì che venissero confiscati i loro beni e i principi presenti nei territori macchiati da questa onta, furono invitati a combattere gli eretici, i quali oramai pubblicavano apertamente il loro sdegno contro la Chiesa di Roma e cercavano sempre nuovi seguaci.
Con l’elezione di Innocenzo III al soglio pontificio nel 1198, la lotta contro le eresie e in particolare contro il catarismo si inasprì. Il pontefice affidò all’Ordine di Cîteaux ogni potere per combattere l’eresia catara nella regione della Linguadoca (così scriveva l’abate di Cîteaux Arnaut Amaury nel settembre del 1212: “Benedetto sia nostro Signore Gesù Cristo, che per la sua misericordia, ai nostri tempi, sotto il felice pontificato del papa Innocenzo, ha accordato la vittoria ai cattolici cristiani sopra la tripilice pestilenza dei nemici della santa Chiesa, e cioè gli scismatici all’Est, gli eretici all’Ovest, e al Sud i saraceni”). Se in un primo momento si era aperto un dialogo pacifico con gli “esponenti di queste miscredenze”, l’uccisione del legato pontificio Pietro di Castelnau il 14 gennaio 1208, tuttavia, creò un pretesto che venne immediatamente sfruttato da Innocenzo III, il quale decise di intervenire militarmente. Venne accusato del delitto il conte Raimondo VI di Tolosa, già precedentemente scomunicato (autunno del 1207). Oramai il re di Francia non può non autorizzare i suoi vassalli a rispondere all’appello del papa ed inviò i suoi uomini a “prendere la croce” contro i più lontani vassalli: i conti di Foix e di Toulose, il visconte di Albi, Carcassonne e Razès. Fu la prima crociata interna alla christianitas che tuttavia degenerò presto in una guerra di conquista tra i vari baroni francesi. Il comando della crociata venne affidata proprio all’abate di Cîteaux. Giunti nella valle del Rodano i crociati assistettero alla sottomissione del conte di Toulose, il quale dirottò le forze nemiche contro il nipote Raimondo Ruggiero Trencavel e i suoi principati. Nel luglio del 1209 l’abate Amaury ordinò il massacro della popolazione di Béziers con il compito di propagare il terrore nell’animo dei nemici eretici. Contro i primi risentimenti dei suoi uomini che erano restii ad uccidere così tanti uomini e donne, la famosa frase che viene attribuita all’abate fu “uccideteli tutti; Dio riconoscerà i suoi”. Il giovane visconte Raimondo Ruggiero Trencavel venne gettato in prigione dove morirà, dopo che si era consegnato all’esercito crociato per negoziare una più onorevole pace per la sua gente. L’abate Amaury scelse allora un nuovo visconte di Carcassone: Simon de Monfort, conte di Leicester. Quest’ultimo, in due anni, sottomise le signorie vassalle dei Trencavel. Tuttavia consapevole della sua forza e volendo instaurare una sua dinastia nelle terre Occitane, rivolse la sua attenzione ai territori di Foix e di Toulouse. Fece il passo decisivo nel settembre del 1213. Con pochi uomini il Monfort riuscì a sconfiggere le forze coalizzate di Toulouse, di Foix e dell’Aragona. Lo stesso re Pietro II d’Aragona, arrivato nelle terre francesi per difendere il cognato Raimondo VI, trovò la morte alle porte di Toulouse. Proprio il primo ottenne, al termine della crociata, tutte le terre conquistate dai crociati, ma dovette prenderle in feudo dai precedenti titolari. La terra non conquistata sarebbe stata amministrata dalla Chiesa finché Raimondo VII, figlio di Raimondo VI, mandato in esilio, non fosse stato in grado di governarla autonomamente. Nell’autunno del 1215 durante il quarto Concilio Lateranense, Innocenzo III dichiarò la suprema autorità della Chiesa sul mondo cristiano e la fine della ribelle regione di Linguadoca. Riconobbe, inoltre, la legittimità della famiglia Montfort sopra la regione della Tolosa, sul Carcassonne e sull’Albigese. Il conte di Tolosa Raimondo il giovane mantenne il dominio della Provenza. Quest’ultimo, tuttavia, infiammò una rivolta popolare da Avignone a Marsiglia riuscendo in tal modo a riconquistare i territori perduti. Il Monfort trovò la morte nel giugno del 1218 sotto le mura di Tolosa. La riconquista occitana ebbe così inizio. Nel 1221 morì Raimondo VI di Toulouse e suo figlio Raimondo VII portò a termine la riconquista dei territori occitani. Anche la chiesa catara del Tolosano, dopo il ripiego di Amaury de Montfort (figlio di Simon de Monfort) a Carcassonne. La crociata dei baroni contro i principati cristiani fu un fiasco poiché l’introduzione nelle contee meridionali di una dinastia per diritto di conquista fu vigorosamente rigettata. Amaury de Monfort nel frattempo, dopo aver riportato i resti del padre dall’Ille-de-France al priorato cistercense di Hautes Bruyères dove lo seppellì, si recò a Parigi, deponendo ai piedi di Luigi VIII i diritti del suo casato su Carcassonne e Toulouse. Nella primavera del 1226 l’esercito reale guidato dal re, che troverà tuttavia la morte durante il viaggio, giunse nella Linguadoca e il processo di conquista francese incominciò. Con le “guerre di Cabaret e di Limoux” terminate in maniera favorevole per l’esercito reale, Raimondo VII di Toulouse fu costretto a deporre le armi e a giungere ad una pace. Il trattato venne firmato a Meaux nel 1229 dal conte di Touluse e dalla reggente Bianca di Castiglia, madre del re infante Luigi IX. Si riconobbe la legittimità di Raimondo come conte di Toulouse, tuttavia quest’ultimo perse definitivamente i suoi domini nella bassa Linguadoca e in Provenza.
L’unione della Linguadoca al regno di Francia, rappresentava anche il punto di partenza per l’estirpazione dell’eresia tanto odiata dal papa e di cui l’Inquisizione doveva ormai prendersi carico. Era ora quest’ultima che doveva svolgere un compito assai importante, che la guerra non aveva del tutto compiuto: eliminare definitivamente l’eresia catara dalle terre francesi. L’ultimo episodio militare della crociata albigese segnò ancora un orrore perseguito nei confronti dei catari; con la conquista della roccaforte di Montségur l’ultimo bastione degli eretici, nella primavera del 1243, il catarismo venne debellato. La leggenda vuole che i crociati, presi da una divina pietà, dopo aver ottenuto la vittoria, nel medesimo giorno concessero quattordici giorni di tregua agli avversari per permettere loro di piangere i loro morti. Durante la notte però quattro Catari fuggirono dalla roccaforte, portando con loro un immenso tesoro: il santo Graal. Tuttavia, in realtà, i crociati misero al rogo più di duecento uomini, donne e bambini disarmati nel giugno del 1244. Oggi a Montségur è possibile vedere una lapide a commemorazione di quei morti.
Gli episodi cruenti durante questi anni furono tanti perpetrati sia da una parte che dall’altra. Come già ricordato l’esercito della Chiesa di Roma. La strage di Marmande del 1219 fu ricordata nella Canzone della crociata albigese, un antico poema occitano, che così lo descrisse: “Corsero nella città [le armate dei cattolici], agitando spade affilate, e fu allora che cominciarono il massacro e lo spaventoso macello. Uomini e donne, baroni, dame, bimbi in fasce vennero tutti spogliati e depredati e passati a fil di spada. Il terreno era coperto di sangue, cervella, frammenti di carne, tronchi senza arti, braccia e gambe mozzate, corpi squartati o sfondati, fegati e cuori tagliati a pezzi o spiaccicati. Era come se fossero piovuti dal cielo. Il sangue scorreva dappertutto per le strade, nei campi, sulla riva del fiume”. La crociata catara sancì una vittoria, per così dire, del trono e dell’altare: il re di Francia riunì sotto la Corona i territori meridionali del Paese e la Chiesa ampliò la sua influenza sul mondo debellando l’eresia catara.
Il Canal du Midi o Canal des Deux Mers è un canale artificiale lungo circa 240 km che si trova nella Francia meridionale, ovvero, tra le città di Tolosa e Sète, porto sul mar Mediterraneo che venne fondato proprio in quanto termine del canale, che collega il fiume Garonna al mar Mediterraneo. Attraverso questo canale è possibile la navigazione ininterrotta da Bordeaux a Sète, ovvero tra l’oceano Atlantico e il mar Mediterraneo.

L’idea di collegare la Garonna al Mediterraneo da un canale risale a tempi molto antichi, già sotto l’imperatore Augusto, ripresa da Carlo Magno prima e da Francesco 1 e Enrico IV poi. Obiettivo iniziale era di realizzare un canale navigabile per rendere facile il transito delle merci tra l’Oceano Atlantico ed il mar Mediterraneo, senza dover circumnavigare la Spagna, un viaggio di più di 3000 km. Con il canale, il transito delle merci sarebbe più veloce ma anche più sicuro, le navi non saranno esposte agli attacchi dei pirati che approfittavano della poca difesa delle navi mercantili.
Il canal du Midì insieme al canale laterale alla Garonne è indicato come il canale dei Due Mari. Progettato e costruito, dal 1662, da Pierre Paul Riquet. L’opera di costruzione del canale è straordinaria sia per le sue dimensioni sia per l’ingegnosità del sistema d’alimentazione, nonché dalla quantità titanica di lavoro svolto sul breve periodo della sua costruzione. Nel 1789 i rivoluzionari rinominarono il Royal Canal in Canal du Midì, nome più popolare e democratico.
Nascono i primi ponti-canale al mondo, le chiuse del Sud sono molto particolari nelle loro forme allungate, rotonde o ovali.
Il Canal du Midi ha 103 chiuse che servono a superare un dislivello totale di 190 metri. Considerando anche i ponti, le dighe, e un tunnel, il canale è costituito complessivamente da 328 strutture. La via d’acqua è lunga 240 chilometri, larga anche 15-20 metri e profonda 2.
Quando fu costruito, il Canal du Midi fu considerato il più grande progetto idraulico della sua epoca, e ancor oggi viene visto come una grande realizzazione ingegneristica, tanto che nel 1996 fu inserito nell’elenco dei Patrimoni dell’umanità dell’UNESCO.
Il canale era arricchito da filari di platani maestosi su di ogni lato del canale. I 42.000 alberi, che risalgono al 1830, furono piantati per stabilizzare le banchine. Nel 2006 una infezione fece appassire e successivamente morire gli alberi. Circa 2.500 vennero eliminati a metà del 2011, momento in cui si è deciso che tutti sarebbero stati tagliati e sostituiti nel giro di 20 anni.
In corrispondenza della città di Béziers, il canale attraversa il fiume Orb tramite un ponte canale, in pratica un ponte portante il canale che scavalca il fiume. In totale furono costruiti sette ponti canali, sia per evitare il dislivello tra il canale e il corso del fiume, sia per evitare del tutto il corso d’acqua attraversato, considerato spesso troppo variabile e inaffidabile. Il canale, infatti, ha un proprio complesso sistema di accumulo e scorrimento delle acque, che assicura un flusso adeguato e costante
Il progetto del canale prevedeva anche la costruzione del primo tunnel mai realizzato per permettere il passaggio di un canale, il tunnel di Malpas, una galleria lunga 173 metri, all’interno di una collina nei pressi di Nissan-lez-Enserune. Questo tunnel è considerato un simbolo dell’ostinazione di Pierre-Paul Riquet contro le avversità.
Le cittadelle della Vertigine


I castelli catari sono fortificazioni costruite intorno al XII secolo nella regione francese della Linguadoca-Rossiglione, protagoniste della Crociata albigese. Fra queste abbiamo quelli di Montségur, Lastours/Cabaret, Peyrepertuse, Puivert, Puilaurens, Queribus, Termes, Aguilar o Roquefixade. Di essi non molto è rimasto in quanto quasi tutti vennero prese dai francesi, ricostruiti e riadattati al compito di sorveglianza dei confini meridionali contro il regno di Aragona.
Tali fortificazioni erano poste in cima a colline rocciose (pog in occitano), il cui accesso era possibile solo attraverso uno stretto sentiero roccioso, facilmente difendibile. Per tal motivo, allorché i crociati e le forze francesi cercarono di assediarli, si trovarono di fronte a serie difficoltà, nonostante il numero relativamente esiguo di difensori. Spesso quindi si evitavano gli assalti, preferendo un lungo assedio.
Debolezza intrinseca delle fortificazioni catare era la mancanza di fonti d’acqua, a causa della loro posizione: vitali quindi erano le cisterne per la raccolta dell’acqua piovana. A Peyrepertuse e a Lastours tali strutture sono ancora visibili. Non poche furono le fortezze che dovettero arrendersi per la mancanza d’acqua.
Con la fine della crociata albigese (1226), la città di Carcassonne e cinque castelli vennero elevati a fortificazioni reali, cioè dipendenti direttamente dalla Corona, con lo scopo di difendere il Rossiglionedal Regno di Aragona. I villaggi fortificati catari di Aguilar, Peyrepertuse, Termes, Puilaurens e Queribus vennero pertanto ricostruiti come castelli veri e propri, con dongione per il comandante della piazzaforte, e gli alloggi per gli armigeri. A Peyrepertuse nel 1260 trovavano posto, oltre al comandante, 9 “sergenti-in-armi” e 12 armigeri. Di questi castelli rimangono le rovine in quanto dalla fine del XVIII secolo lo scopo di tali fortificazioni venne meno e quindi furono abbandonate. In generale le rocche catare altro non erano che villaggi fortificati circondati da una cortina in pietra e, sovente, con al centro un torrione del signore locale. Un esempio è nel sito archeologico di Cabaret, facente parte dei castelli di Lastours, nell’Aude.
20 min di salita . Passerelle, caditoie, feritoie… le varie stanze con pietre antiche conducono ai piedi dell’enorme scalinata di San Luigi.
In alto, la cappella di San Jordi vi offre un panorama favoloso sulla natura selvaggia e incontaminata delle Corbières.
Occupata fin dall’antichità, la fortezza venne menzionata per la prima volta solo nel 1020. Nel 1162 apparteneva alla linea di difesa del Regno d’Aragona contro i signori occitani. Nel 1240 divenne possedimento del re di Francia, che ne fece il fulcro della sua linea di difesa contro gli Aragonesi. Luigi IX ed i suoi successori vollero affermare qui tutto il loro potere. Peyrepertuse, capolavoro di innovazione e adattamento al rilievo: fiore all’occhiello dell’architettura militare medievale che, alla fine del XIIIe secolo, sfidò orgogliosamente il Regno d’Aragona, fino al Trattato dei Pirenei del 1659.
Peyrepertuse è uno dei 7 castelli che, insieme alla città di Carcassonne, hanno intrapreso il percorso della classificazione del patrimonio mondiale dell’UNESCO. Queste cittadelle della vertigine devono dimostrare il loro eccezionale valore universale e soddisfare almeno uno dei dieci criteri di selezione fissati dall’UNESCO. L’obiettivo è dimostrare che questa unità territoriale fortificata è unica al mondo!

Il castello di Queribus, situato su uno sperone roccioso a 728 metri di altezza, è un vero “nido d’aquila” sulla catena dei Corbières Orientali, nella regione dell’Aude dalla sua posizione è possibile dominare l’intera pianura del Rossiglione, dai Corbières ai Pirenei e dal mare alla regione del Fénouillède.

Tutta l’area del castello è percorsa da camminamenti a gradini che collegano le tre cinte murarie, situate a livelli differenti, le quali rafforzano la protezione naturale della fortezza; numerose sono le cisterne che, raccogliendo l’acqua piovana, costituivano l’unica forma di approvvigionamento idrico per la guarnigione.
Le cortine difensive presentano varie feritoie e cannoniere, in particolare la seconda cinta orientata a controllo del sottostante passo del Grau de Maury (432 metri).

Il castello si trova nel comune di Cucugnan.
A predominio della fortificazione è situata un’imponente torre poligonale, il donjon, probabilmente del XIII secolo, con una base muraria di circa quattro metri di spessore. Ospita al suo interno la famosa “sala del pilastro”, un ambiente quadrato così chiamato da un pilastro cilindrico che sostiene una crociera a ogiva, le cui nervature poggiano su piccole mensole di forma piramidale; la sala prende luce da una grande finestra con modanatura a croce. L’ingresso è difeso da una caditoia e controllato da una torre quadrata, collocata sul lato destro, al cui interno è ricavata una scala a chiocciola.
Il castello di Queribus viene citato per la prima volta, come «Popia Cherbucio», nel testamento di Bernard Taillefer, conte di Besalù, nel 1020. Nel 1117 appartiene ai contadi di Barcellona, Besalù, Cerdagna e Provenza.
Nel castello sono presenti varie cisterne: posta in cima a un cucuzzolo roccioso, l’unico approvvigionamento idrico possibile era infatti l’acqua piovana
Ramiro II di Aragona lo acquisisce per matrimonio nel 1137 e successivamente lo annette al regno di Aragona quando questo verrà costituito nel 1162. Dieci anni più tardi, figura tra i possessi della conte del Rossiglione e successivamente, sul finire del XII secolo, tra quelli della contea di Fénouillède e del viscontado di Narbona, a opera di Pedro II il Cattolico, re di Aragona.
Nel periodo della persecuzione contro i Catari (la cosiddetta “Crociata albigese”, 1209-1255), Queribus venne coinvolto solo nella seconda parte, nella cosiddetta “crociata reale”, iniziata nel 1216 da Luigi VIII, re di Francia (morto nel 1226), e proseguita dal figlio Luigi IX.
In quegli anni signore di Queribus era Chabert de Barberà, un “faidit” (appellativo dei signori occitani che professavano la fede catara) ribelle alla conquista francese, che fece del suo castello un rifugio di eretici: nel 1241 vi morì il vescovo cataro di Razès, Benoit de Termes, che nel 1207 aveva partecipato al grande contraddittorio nel castello di Pamiers tra i “perfetti” catari e la delegazione cattolica guidata da San Domenico Guzman.
Nel 1254 Luigi IX ordinò al siniscalco di Carcassonne, Pierre d’Autel, di conquistare il castello di Queribus che resistette per un anno sotto la guida di Chabert de Barberà. Purtroppo quest’ultimo cadde vittima di un tranello ordito dal suo vecchio amico Olivier de Termes (parente del vescovo Benoit), il quale lo consegnò ai soldati del re di Francia, dopo averlo tenuto prigioniero nel castello di Aguilar.
Chabert de Barberà, a questo punto, negoziò la sua libertà in cambio della resa di Queribus, che fu occupato dai francesi nel maggio del 1255. Questo castello quindi fu l’ultima fortezza catara a cedere ai crociati e non, come normalmente si afferma, quella di Montsegur che venne conquistata nel 1244.
Con il “Trattato di Corbeil” del 1258 venne fissata la frontiera tra Francia ed Aragona lungo la linea montuosa dei Corbières, vicino al castello di Queribus, che venne occupato da un castellano nominato dal siniscalco di Carcassonne; il primo, nel 1259, fu Nicolàs de Navarra.
Quasi tutte le fortezze catare, trovandosi al confine tra il regno di Aragona e quello di Francia, furono utilizzate da quest’ultimo per il controllo della frontiera meridionale. Queribus divenne così una piazzaforte importante nel dispositivo di difesa francese dipendente da Carcassonne, comprendente altri quattro fortezze catare: Aguilar, Peyrepertuse, Puillorenç e Termes (i cosiddetti “cinque figli di Carcassonne”). Il castello venne ampliato e rafforzato proprio in funzione di controllo della frontiera con l’Aragona, e infatti nel 1473 sarà assediato e conquistato dagli Aragonesi.
Solo nel 1659, con il “Trattato dei Pirenei” che spostava la linea di confine tra Francia e Spagna lungo la catena dei Pirenei, Queribus perse la sua importanza strategica, anche se ospiterà una piccola guarnigione per diversi anni; progressivamente però verrà abbandonato dai soldati e occupato da bande di fuorilegge che ne faranno un sicuro rifugio, vista l’imprendibilità dal luogo.
Dal 1907 è classificato tra i “Monuments Historiques de France” e, insieme al vicino villaggio di Cucugnan, gode del beneficio di “luogo protetto”, in base alla legge sui siti storici del 1943. Nel 1951 hanno avuto inizi i primi lavori di rinnovamento e consolidamento, che sono proseguiti negli anni successivi fino ad arrivare, tra gli anni 1998 e 2002, al completo restauro e all’apertura al pubblico.
Arles
Fondata dai Romani sul fiume Rodano, Arles conserva intatto tutto il fascino e i colori di un tempo perduto. I turisti indugiano nei caffè colorati, che hanno ispirato tra i più celebri quadri di Van Gogh (che qui visse a lungo) e passeggiano sul lungo fiume, romantico al tramonto. Girovagando per il centro potrete scorgere antiche case dalle facciate scrostate, piazzette affollate che si animano durante le feste e monumenti di pietra bianca che riluccica sotto il caldo sole estivo. Questa languida cittadina può essere considerata il punto di partenza per visitare la Camargue, un angolo di natura selvaggia e incontaminata, che alterna paludi, spiagge battute dai venti e saline colorate, dove potrete ammirare magnifici fenicotteri rosa e indomiti cavalli selvatici. Con il suo fascino dalle note gitane e i suoi colori provenzali, Arles incanta i suoi visitatori, che rimangono stregati dagli scorci pittoreschi.

Le suggestive strade di Arles vi proietteranno magicamente in un quadro di Van Gogh: angoli suggestivi, incantevoli bistrot all’ombra dei platani, dove si respira l’atmosfera del periodo impressionista, il lungo Rodano romantico al tramonto, le viuzze nascoste, i resti dell’antica città romana.
Anfiteatro Romano
Questo splendido esempio di anfiteatro romano si trova nel cuore del centro storico, in una piazza circolare che segue la sua forma. E’ infatti circondato da antiche dimore con le persiane colorate: un colpo d’occhio che vi lascerà senza parole. Con i suoi 136 metri di lunghezza e 107 metri di larghezza, la sua forma ovale caratterizzata da due livelli e i suoi 60 archi, sembra un Colosseo in miniatura, di rara bellezza e in perfetto stato di conservazione. Al tempo dell’Impero Romano qui si svolgevano le corse con le bighe e le lotte fra gladiatori. Oggi è diventato il luogo cittadino dedicato ai concerti, agli spettacoli e anche alle corride, che animano la città attirando fino a 12.000 spettatori: gli abitanti del posto e i turisti accorrono per assistere a due tipologie di corride: la tauromachie, dette anche corride carmaguesi, dove il toro non viene ucciso e il combattimento fra uomo e animale è solamente simbolico e le corridas, in stile spagnolo, dove alla fine il povero toro ne esce tristemente abbattuto.
Teatro Romano
Per secoli ma soprattutto nel Medioevo, questo antico teatro romano è stato utilizzato come cava per la costruzione della città. A causa di questo terribile saccheggio, oggi rimangono poche vestigia visitabili, tra cui le antiche gradinate e solamente due colonne, che appartenevano alla scena e alcuni mosaici sul pavimento dell’orchestra. Dopo aver visto l’anfiteatro potreste rimanerne delusi ma il Teatro Romano offre il meglio di sé quando ospita la programmazione teatrale e musicale estiva della città, diventando un palcoscenico affascinante e suggestivo.
Piazza della Repubblica
E’ indubbiamente una delle piazze più scenografiche di Arles. Questa grande area pedonale abbraccia alcuni degli edifici e dei monumenti più importanti della città: l’Hotel de Ville, la cattedrale Saint-Trophime, la chiesa di Sant’Anna e un imponente obelisco egizio costruito in granito. Quando il sole batte sulla piazza, si capisce molto bene come l’accecante luce provenzale abbia stregato così tanti pittori impressionisti: fa brillare il bianco candido della pietra con cui sono state costruite le case e accende tutti i colori circostanti.
Cattedrale e Chiostro di St-Trophime
Questa meravigliosa chiesa è un vero gioiello dell’arte romanica provenzale. Nelle assolate mattine estive la pietra bianca illumina tutta la piazza e mette in risalto il superbo portale finemente scolpito con un’elaborata scena biblica, il Giudizio Universale. Soffermatevi ad osservare i dettagli finemente scolpiti e potrete individuare una pluralità di soggetti che incarnano i diversi esiti del Giudizio Universale: accanto a figure nude e incatenate, che vengono trascinate verso le porte dell’inferno, ci sono angeli che suonano le trombe e i beati che ascendono verso il paradiso, sotto forma di algide donne. Non perdete anche il Chiostro, inserito dall’UNESCO nel Patrimonio Mondiale dell’Umanità. Passeggiando sotto i portici, dalle cui colonne filtra incantevole la luce, lo stile romanico e gotico si fondono in maniera armoniosa creando un insieme unico nel suo genere in tutta la Provenza.
I Criptoportici
Sotto la piazza della cattedrale, si cela un immenso quadrilatero sotterraneo di colonnati romani. Questo enorme forum era adibito a magazzino del grano e si scorgono ancora le zone usate come negozi, le condutture d’acqua e le fognature. Una visita insolita quanto affascinante, ideale nelle torride giornate estive, per trovare un pò di refrigerio ma sconsigliata a chi soffre di claustrofobia.
Museo di Arles Antica
Per approfondire la storia di Arles nell’antichità e in particolare durante il periodo dell’Impero Romano, vi consigliamo di fare una visita al Museo di Arles antica, una tappa da non perdere per tutti gli appassionati di arte e archeologia. Il museo vanta una collezione di 30.000 pezzi originali, di cui solamente 18.000 sono esposti al pubblico a rotazione. Potrete ammirare sarcofagi, statue, oggetti di vita quotidiana di epoca romana e magnifici mosaici perfettamente conservati.
I luoghi di Van Gogh ad Arles
La storia di Arles è fortemente intrecciata a quella di un grande personaggio della pittura impressionista, Vincent Van Gogh, che trascorse in Provenza alcuni anni della sua vita, prima che la malattia lo consumasse definitivamente. Fu proprio ad Arles che dipinse alcune delle sue opere più famose come I girasoli, La sedia e Il café la nuit. Stregato dai colori, dalla luce e dai paesaggi della Provenza, incantato dai campi assolati che circondano la città, purtroppo l’artista olandese non trovò pace nemmeno grazie alla compagnia dell’amico Paul Gauguin. La sua salute mentale peggiorò sensibilmente, fino a sfociare nell’episodio di autolesionismo che portò Van Gogh a tagliarsi un orecchio e ad ricoverarsi di sua spontanea volontà prima ad Arles e poi a Nimes. Gli amanti della pittura di Van Gogh potranno ripercorrere le tappe della sua permanenza ad Arles, visitando alcuni angoli pittoreschi che hanno animato le sue opere più significative. Purtroppo delle 300 opere che l’artista dipinse in questo angolo di Provenza, non ne è rimasta nemmeno una in città.
Le Café Van Gogh
Il nostro giro per i luoghi di Van Gogh non può che iniziare da qui: il tormentato pittore olandese amava molto questo caffè dai colori accesi che si affaccia su Place du Forum, una tipica e squisita piazzetta provenzale all’ombra di grandi platani. Al centro della piazza si erge la statua di Frédéric Mistral, il poeta francese insignito del premio Nobel nel 1904. Fu proprio ai tavolini di questo bar che Van Gogh litigò con l’amico Paul Gauguin, tirandogli un bicchiere. Qui Van Gogh sedeva spesso, osservando la vita attorno a sé e traendo ispirazione. Infatti immortalò l’esterno di questo caffè nel quadro Terrazza del caffè all’aperto, e il suo interno dell’epoca, desolato e solitario, in un altro quadro, Caffè di notte.

Il ponte di Langlois

Alle porte della città di Arles si trova un altro iconico scorcio delle opere di Van Gogh, Il ponte di Langlois, di cui si trovano cinque versioni, in cui l’artista ha giocato con le variazioni di prospettiva, luce e colore. Questo piccolo ponte fu scelto dall’artista per il suo contesto naturalistico. Infatti lo scorcio spiccava per l’intenso blu del cielo e il giallo del sole e dei campi di grano: questi elementi gli ricordavano la somiglianza con alcuni paesaggi giapponesi da cui l’artista era particolarmente attratto, pur non essendoci mai stato. L’influenza dell’arte e delle stampe giapponesi in Van Gogh fu consistente e ritroviamo delle somiglianze con Acquazzone Improvviso Sul Ponte Ōhashi Ad Atake di Ichiryusai Hiroshige. Per motivi di restauro il ponte venne spostato dopo la seconda guerra mondiale, a 3 km di distanza dal punto esatto originale e oggi si trova sul canale che collega Arles a Port-de-Bouc. Vi avvisiamo che è alquanto difficile da trovare: vi conviene chiedere informazioni dettagliate sul punto esatto presso l’ufficio del turismo. Place Lamartine 10 Su questa piazza si affaccia una casa lilla, un tempo tinteggiata di giallo. Questo edificio fu immortalato da Van Gogh nel dipinto La casa gialla: fu proprio qui che visse, dividendo l’affitto con l’amico Paul Gauguin e al cui interno si trovava la famosa Camera di Vincent ad Arles, una delle sue opere più significative.
Ponte di Trinquetaille sul lungo Rodano 11 Pont de Trinquetaille, 13200 Arles, Francia E’ proprio da questo punto preciso che Van Gogh dipinse uno dei suoi quadri più suggestivi, Notte stellata sul Rodano. Durante le sue passeggiate notturne s’imbatté in questo scorcio sul fiume Rodano: da quel momento iniziò un lungo processo creativo, che portò alla produzione di diverse versioni dello stesso soggetto e numerosi bozzetti che spediva al fratello Théo. In questo quadro sublime si avverte come il pittore utilizzi i colori, la prospettiva e la luce delle stelle, per tradurre in immagini tutti i suoi turbamenti emotivi e le passioni che non riusciva a gestire razionalmente. Il lungo Rodano è un luogo magico al tramonto: è davvero imperdibile passeggiare senza fretta sotto i lampioncini che si accendono piano piano e scegliere uno dei tanti ristorantini per cenare.
L’espace Van Gogh 12 Pl. Félix Rey,

Un tempo si chiamava Hôtel-Dieu ed era l’ospedale principale di Arles, dove Van Gogh venne ricoverato tra dicembre 1888 e maggio 1889, dopo il taglio dell’orecchio. Durante la sua degenza, il pittore non smise mai la sua produzione pittorica e immortalò i giardini interni della struttura ne Il cortile dell’ospedale di Arles. Negli anni ’90 il complesso è stato trasformato di uno spazio culturale cittadino e da allora il cortile interno è aperto al pubblico.
Alyscamps 13 Av. des Alyscamps
Questa grande e antica necropoli romana chiamata I campi Elisi, fu il luogo di sepoltura ai tempi dei Galli e dei Romani prima e successivamente anche del Medioevo. Era una tappa fissa dei pellegrini lungo il cammino verso Santiago de Compostela ed era considerato uno dei luoghi più sacri di tutta Europa. La sua decadenza e rovina iniziò quando i monaci iniziarono a riutilizzare i marmi delle tombe e delle lapidi per costruire nuove chiese e luoghi sacri, dando vita ad un vero e proprio saccheggio. Questo grande complesso che comprende il Viale dei Sarcofagi e la Chiesa di Saint Honorat ha però mantenuto vivo un fascino decadente e malinconico, in cui i simboli della morte e della natura convivono mestamente. Il suo aspetto suggestivo non poteva non attrarre Van Gogh, che si recava in questi luoghi a meditare in autunno, nel momento di massimo raccoglimento della natura. Da queste passeggiate è nato Les Alyscamps, un quadro del 1888.
Saint Remy de Provence
Saint-Rémy-de-Provence (in occitano Sant Romieg) è un comune francese di 10.663 abitanti situato nel dipartimento delle Bocche del Rodano nella regione della Provenza-Alpi-Costa Azzurra, ed è situata ai piedi delle Alpilles, modesta catena montuosa prealpinica ricoperta di oliveti selvatici.

Fondata nel VI secolo a.C. dai greci di Marsiglia, venne distrutta intorno al II secolo a.C., probabilmente dai Teutoni.

Dell’epoca romana conserva nei pressi il Mausoleo dei Giulii, monumento funebre eretto tra il 30 a.C. e il 20 a.C., durante il principato di Augusto e l’arco di trionfo eretto intorno al 10 d.C. In epoca romana la città ebbe un periodo di floridezza grazie alla sua posizione strategica, lungo la via tra Italia, Francia e Spagna. Gli scavi archeologici hanno portato alla luce anche i resti delle terme, di un monumento absidato, di due templi gemelli, di un santuario dedicato ad Ercole e di un teatro.

Ininterrottamente francese sin dall’anno mille, la città deve però notorietà al suo più grande concittadino, Nostradamus, che vi nacque nel 1503, e al grande pittore olandese Vincent van Gogh, che nel 1889-1890 fu ricoverato nel locale manicomio di Saint Paul de Mausole e che dipinse qui alcuni capolavori assoluti quali la Notte stellata, Iris ed un celebre autoritratto.


La cucina Occitana
in Occitania esiste una lunga e solida tradizione gastronomica, basata su prodotti locali eccezionali e su prodotti nobili come il foie gras, il tartufo nero, il Roquefort e, per quanto concerne il versante Mediterraneo, l’ostrica di Bouzigues, le olive Lucques della Linguadoca, il riso di Camargue, le acciughe di Collioure
L’Occitania vanta oltre 250 prodotti denominati di qualità (DOC/DOP, Label Rouge, IGP, AB): dall’agnello del Quercy alla fragola di Nîmes, passando per il formaggio Pélardon delle Cevenne e altro ancora.
I prodotti nobili di Occitania sono facilmente reperibili nei numerosi mercati sparsi ovunque nei paesi e città.
Potete gustarli nelle innumerevoli feste del territorio, nonché sulle nostre generose tavole certificate (marchi Logis de France, Restaurateur de France, Cuisineries de France,…).
L’Occitania è la prima regione francese per la produzione di vini e il numero di ettari coltivati biologicamente, nonché la 2a per la produzione di frutta.
Specialità originali
Specialità uniche come il cassoulet, che sia di Castelnaudary, Carcassonne o Tolosa, accrescono il fascino culinario dell’Occitania. Per quanto concerne la montagna, abbiamo la garbure e il millas nei Pirenei, l’aligot in Aubrac. I due territori condividono la tradizione del gâteau à la broche (torta allo spiedo).
Il litorale mediterraneo delizierà il vostro palato con il baccalà alla provenzale, la cargolada o la gardiane de taureau (stufato di toro). E naturalmente la tielle de Sète e la crema catalanaLe cassoulet
Parliamo di Cassoulet…
La cittadina di Castelnaudary, situata nel Lauragais, nel dipartimento dell’Aude, è la capitale del cassoulet. Ricetta familiare per eccellenza, questa famosa specialità culinaria del Sud-Ovest, la cui origine risale al Medioevo, è uno dei piatti più consumati in tutto il paeseLa cittadina di Castelnaudary, situata nel Lauragais, nel dipartimento dell’Aude, è la capitale del cassoulet. Ricetta familiare per eccellenza, questa famosa specialità culinaria del Sud-Ovest, la cui origine risale al Medioevo, è uno dei piatti più consumati in tutto il paese
Per preparare il vero cassoulet di Castelnaudary, la cui base prevede fagioli cannellini, cosce d’anatra o d’oca confit, stinco o spalla di maiale, salsicce di Tolosa e cotenna di maiale, ci sono alcune regole da seguire. In particolare riguardano l’uso di una casseruola speciale – un recipiente di terracotta prodotto a Issel – e di ingredienti provenienti dal Lauragais. Inoltre la ricetta prevede una cottura delicata e prolungata. Si tratta di una tradizione molto antica, celebrata dalla grande confraternita del cassoulet di Castelnaudary
La strada del cassoulet di Castelnaudary – un percorso di 180 chilometri costellati di aziende agricole che producono gli ingredienti necessari per la preparazione del piatto (fagioli cannellini, anatre, oche, maiali), laboratori di vasai, ristoranti e aziende dell’industria di trasformazione – è un tour gastronomico imperdibile per chi desidera assaggiare questa mitica pietanza o semplicemente per chi vuole saperne di più. Gli amanti del buon cibo e delle passeggiate potranno approfittare della sosta a Castelnaudary per fare un giro sulle sponde del grande bacino del Canal du Midi.
Per preparare il vero cassoulet di Castelnaudary, la cui base prevede fagioli cannellini, cosce d’anatra o d’oca confit, stinco o spalla di maiale, salsicce di Tolosa e cotenna di maiale, ci sono alcune regole da seguire. In particolare riguardano l’uso di una casseruola speciale – un recipiente di terracotta prodotto a Issel e di ingredienti provenienti dal Lauragais. Inoltre la ricetta prevede una cottura delicata e prolungata. Si tratta di una tradizione molto antica, celebrata dalla grande confraternita del cassoulet di Castelnaudary!
La strada del cassoulet di Castelnaudary – un percorso di 180 chilometri costellati di aziende agricole che producono gli ingredienti necessari per la preparazione del piatto (fagioli cannellini, anatre, oche, maiali), laboratori di vasai, ristoranti e aziende dell’industria di trasformazione è un tour gastronomico imperdibile per chi desidera assaggiare questa mitica pietanza o semplicemente per chi vuole saperne di più. Gli amanti del buon cibo e delle passeggiate potranno approfittare della sosta a Castelnaudary per fare un giro sulle sponde del grande bacino del Canal du Midi.
Terra di vigneti, la regione produce vini di grande qualità. Il perimetro mediterraneo che va dalle regioni di Nîmes a Rossiglione, è primatista in materia con una cinquantina di denominazioni (DOC Linguadoca, DOC Corbières, DOC Côtes du Roussillon…), suddivise tra il Gard, l’Hérault, l’Aude e i Pirenei Orientali.
Il Gers, il Lot, il Tarn e l’Aveyron contribuiscono a rendere la nostra regione una fantastica destinazione enoturistica con l’Armagnac e i vini delle coste di Guascogna, Cahors, Gaillac…
RICETTA CASSOULET
Il cassoulet richiede tempo e pazienza, ma alla fine non vi pentirete
Ingredienti per 4 persone
300 g di fagioli bianchi
300 g di carne di maiale
400 g di cosce anatra (4)
200 g di salsiccia
100 g di cotenna di maiale
2 carote
2 cipolle
2 cucchiai di concentrato di pomodoro
1/2 tazza di pangrattato
1 mazzetto di erbe aromatiche (prezzemolo, timo, alloro, basilico)
2 spicchi d’aglio
2 chiodi di garofano
4 cucchiai d’olio
sale
pepe
Preparazione
Mettete a bagno i fagioli per dodici ore, scolateli e risciacquarli.
Metteteli in una casseruola con acqua fredda, portate a ebollizione e cuocete per dieci minuti. Aggiungete le carote tagliate a rondelle, la cipolla steccata con i chiodi di garofano, l’aglio tritato e il mazzetto di erbe aromatiche, legate insieme.
Sbollentate la cotenna, tagliatela a pezzetti e unitela al resto, con la carne di maiale tagliata a tocchetti.
Coprite con acqua abbondante e portate a ebollizione.
Abbassate la fiamma e continuate la cottura per almeno un’ora.
Aggiungetele cosce d’anatra, fatela rosolare in una padella con tre cucchiai d’olio e la cipolla tritata finemente.
Dopo qualche minuto bagnate con il concentrato di pomodoro diluito con mezzo bicchiere d’acqua.
A metà cottura dei fagioli, unite al anatra e la salsiccia a pezzi. Aggiustate di sale, pepate e cuocete coperto ancora per un’ora.
Con l’olio rimasto e un mestolo del brodo di cottura stemperate il pangrattato e fatelo gratinare in forno. Prima di servire togliete il mazzetto aromatico e la cipolla steccata. Sul piatto di ogni commensale distribuite un po’ di pangrattato gratinato e servite questo piatto caldissimo.

Grazie dell’attenzione
Luca
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