Guida di Firenze

Firenze, è un comune italiano di 373.446 abitanticapoluogo dell’omonima provincia e della regione Toscana.FIRENZE

È l’ottavo comune italiano per popolazione e il primo della regione

Nel Medioevo è stato un importante centro culturale, commerciale, economico e finanziario; nell’età moderna ha ricoperto il ruolo di capitale del Granducato di Toscana sotto il dominio delle famiglie dei Medici e dei Lorena. Fu capitale d’Italia dal 1865 al 1871, dopo l’unificazione del Paese (1861).

Importante centro universitario e patrimonio dell’umanità UNESCO, è considerata il luogo d’origine del Rinascimento ed è universalmente riconosciuta come una delle culle dell’arte e dell’architettura, nonché rinomata come una delle più belle città del mondo, grazie ai suoi numerosi monumenti e musei – tra cui il Duomo, Santa Croce, gli Uffizi, Ponte Vecchio, Piazza della Signoria e Palazzo Pitti.firenze-300x200

Territorio

Firenze si trova in una posizione scenografica, al centro di un’ampia conca ad anfiteatro, circondata su tre lati dalle incantevoli colline argillose di Cercina, appena sopra il quartiere di Rifredi e l’ospedale di Careggi (a nord), dalle colline di Fiesole (a nord-est), di Settignano (a est), e di Arcetri, Poggio Imperiale e Bellosguardo (a sud).

La piana dove sorge la città è attraversata dall’Arno (la città stessa divide il suo corso fra Valdarno superiore e Valdarno inferiore) e da corsi d’acqua minori come il Mugnone, il Terzolle e il fiume Greve.

L’area metropolitana Firenze – Prato – Pistoia istituita dal Consiglio Regionale della Toscana il 29 marzo 2000 comprende interamente le province di Firenze, Prato e Pistoia, con una popolazione di circa 1.500.000 abitanti. Le zone pianeggianti dell’area metropolitana costituiscono un ambiente fortemente antropizzato con presenza di ampie zone industriali e commerciali, dove gli spazi naturali sono ridotti. Le zone collinari hanno da secoli una vocazione agricola e abitativa, con i boschi originari fortemente ridotti, specialmente nelle zone a sud e a est della città.

Clima

Firenze ha un climatemperato con estati calde e talvolta con episodi afosi e inverni moderatamente freddi e umidi.

Storia

Età antica

La storia conosciuta di Firenze comincia nel 59 a.C., con la fondazione di un villaggio (“Florentia“) per veterani romani. Sede di una diocesi a partire dal IV secolo, la città passò attraverso periodi di dominazione bizantina, ostrogota, longobarda e franca, durante i quali la popolazione a volte scese fino ad appena 1000 persone.

Età medievale

A partire dal X secolo la città si sviluppò e dal 1115 si rese Comune autonomo. Nel XIII secolo fu divisa dalla lotta intestina tra i Ghibellini, sostenitori dell’imperatore del Sacro Romano Impero, e i Guelfi, a favore del Papato romano. Dopo alterne vicende, i Guelfi vinsero (la cosiddetta “battaglia di Colle“, 17 giugno1269), ma presto si divisero internamente in “Bianchi e Neri“.

La conflittualità politica interna non impedì alla città di svilupparsi fino a diventare una delle più potenti e prospere in Europa, assistita dalla sua propria valuta in oro, il fiorino (introdotto nel 1252), dalla decadenza della sua rivale Pisa (sconfitta da Genova nel 1284 e comprata da Firenze nel 1406), e dalla sua potenza mercantile risultante da una costituzione anti-aristocratica, i cosiddetti “Ordinamenti di giustizia” di Giano della Bella (1293).

Nel 1345 Firenze fu teatro di uno sciopero da parte dei Ciompi, che nel 1378 organizzarono una breve rivolta contro il dominio oligarchico della città. Dopo la repressione, la città cadde sotto il dominio della famiglia Albizi (13821434), acerrimi nemici ma anche precursori dei Medici.

Fu sotto il dominio, anzi la Signoria, di questa famiglia che Firenze conobbe la sua era probabilmente più fausta. A partire dal 1437 e per diversi secoli, i Medici per dar lustro alla casata, ma anche per un senso di offerta e amore verso la propria città e i cittadini, radunarono a corte i migliori artisti, letterati, umanisti e filosofi del tempo: tra gli altri, Michelangelo, Pico della Mirandola, Verrocchio, Michelozzo, Angelo Poliziano, Antonio Pollaiolo, Sandro Botticelli, Filippo Brunelleschi e Leonardo da Vinci. Firenze presto divenne ricchissima, fare affari coi Medici e con le banche fiorentine rappresentava in quei tempi il miglior investimento possibile e la moneta locale, il fiorino, arrivò presto a essere la monetà più forte e la più scambiata d’Europa, una sorta di dollaro dell’epoca.

Nel corso del XV secolo Firenze da sola aveva un reddito superiore a quello dell’intera Inghilterra, grazie alle industrie e alle grandi banche di cui se ne contavano circa ottanta tra sedi e filiali, le ultime sparse in buona parte dell’Europa.

Firenze e il Rinascimento

Firenze è conosciuta come la culla del Rinascimento: la città è ovunque caratterizzata da quello straordinario sviluppo letterario, artistico e scientifico che ebbe luogo nel XIVXVI secolo. Firenze, con i propri artisti, pensatori, letterati, scienziati di fama mondiale (basti pensare a Leonardo da Vinci che qui creò i suoi capolavori come per esempio la Gioconda, Michelangelo, Raffaello, Sandro Botticelli, Niccolò Machiavelli, Filippo Brunelleschi, Galileo tra i tanti) beneficiò sotto tutti gli aspetti, materialmente e spiritualmente, di questo grande cambiamento sociale e divenne uno dei luoghi catalizzatori di quella corrente di pensiero, costituendo uno dei più importanti centri di rinascita della cultura mondiale.

Età moderna

Il primo periodo del dominio dei Medici terminò con il ritorno di un governo repubblicano, influenzato dagli insegnamenti del radicale priore Domenicano Girolamo Savonarola (che fu giustiziato nel 1498 e che prima di morire lasciò un trattato sul governo di Firenze)girolamo-savonarola-501x700, nelle cui parole si ritrovano spesso argomenti che saranno oggetto di controversie religiose dei secoli seguenti. Un altro personaggio importante fu Niccolò Machiavelli, le cui indicazioni per il governo di Firenze da parte di una figura forte sono spesso lette come una legittimazione delle tortuosità e anche degli abusi dei politici. Il 16 maggio1527 i fiorentini estromisero nuovamente i Medici – riportati al potere dagli spagnoli nel 1512 – e ristabilirono una repubblica.

Rimessi al loro posto per la seconda volta nel 1530, con il sostegno sia dell’Imperatore sia del Papa, i Medici diventarono nel 1537duchi ereditari di Firenze, conquistarono la Repubblica di Siena nel 1555 sempre con l’aiuto imperiale e Montalcino nel 1559, arrivando a governare due Stati: lo Stato “Vecchio” di Firenze e lo Stato “Nuovo” di Siena, separati nelle strutture politiche ed istituzionali, ma riuniti nell’unica persona del Sovrano. Questa situazione fu poi sancita nel 1569 con la creazione del titolo di granduchi di Toscana (dignità mai esistita prima di quel momento in Italia).

Firenze nel corso dei secoli arrivò a regnare su tutta la Toscana, ad eccezione della Repubblica di Lucca, che rimase indipendente e sovrana fino al diciottesimo secolo (con l’arrivo in Italia di Napoleone Bonaparte), e del Ducato di Massa e Principato di Carrara, indipendente fino al 1829, quando fu assorbito dal Ducato di Modena.

L’estinzione della dinastia dei Medici e l’ascensione nel 1737 di Francesco Stefano, duca di Lorena e marito di Maria Teresa d’Austria, portò all’inclusione della Toscana nei territori della sfera d’influenza asburgica.

Il granduca Pietro Leopoldo il 30 novembre del 1786, promulgò il nuovo codice criminale, grazie al quale, per la prima volta nella storia degli stati moderni, furono abolite la pena di morte e la tortura.

Età contemporanea

Il regno della dinastia austriaca finì prima per mano della Francia e poi definitivamente nel 1859, quando la Toscana venne annessa, tramite plebiscito, al Regno di Sardegna poco prima che diventasse Regno d’Italia nel 1861.  Firenze prese il posto di Torino come capitale d’Italia nel 1865, su richiesta di Napoleone III in base alla Convenzione di settembre, finché l’ambito ruolo non fu trasferito a Roma cinque anni dopo, quando la città papalina fu annessa al regno. Nel XIX secolo la popolazione di Firenze raddoppiò e triplicò nel XX con la crescita del turismo, del commercio, dei servizi finanziari e dell’industria.

Durante la seconda guerra mondiale la città fu occupata per un anno dai tedeschi (1943-1944), per poi essere liberata dalla lotta delle brigate partigiane il giorno dell’11 agosto. Firenze è tra le Città decorate al Valor Militare per la Guerra di Liberazione perché è stata insignita della Medaglia d’Oro al Valor Militare per i sacrifici della sua popolazione e per la sua attività nella lotta partigiana durante la seconda guerra mondiale.

Il 4 novembre 1966 è ricordato dai fiorentini come il giorno dell’alluvione di Firenze. Gran parte del centro fu invaso dall’acqua del fiume Arno. La furia delle acque portò una grande devastazione e alcuni morti, invase le chiese, i palazzi e i musei distruggendo archivi ed opere d’arte, allagò i depositi della Biblioteca Nazionale danneggiando molti preziosi volumi. Mischiata alla nafta, per via della rottura delle cisterne di combustibile, l’acqua del fiume s’inerpicò velocemente nei vicoli del centro storico, nei fondi commerciali. Il prezioso Crocifisso di Santa Croce di Cimabue venne deturpato dalla fanghiglia, divenendo presto un simbolo della devastazione. Questo immenso dramma venne vissuto dal mondo con una partecipazione unica, dando ben presto l’avvio ad una incredibile gara di solidarietà che vide la nascita dei famosi angeli del fango, giovani provenienti da ogni dove che si adoperarono nella difficile opera del recupero dei tesori artistici danneggiati.

 

Simboli

Il simbolo sullo stemma e sul gonfalone è il giglio di Firenze, simbolo della città fin dal secolo XI. Oggi il giglio è rosso su fondo bianco anche se anticamente i colori erano invertiti proprio in riferimento al colore del giaggiolo “Iris florentina”. I colori attuali risalgono al 1251 quando i Ghibellini, in esilio da Firenze, continuavano a ostentare il simbolo di Firenze come proprio. Fu allora che i Guelfi, che controllavano Firenze, si distinsero dai propri avversari invertendo i colori che poi sono rimasti fino ai giorni nostri. Il tradizionale simbolo fiorentino subì nel 1809 un attacco da parte di Napoleone Bonaparte che, con un decreto, provò a imporre un nuovo simbolo per Firenze: una pianta di giglio fiorito su un prato verde e uno sfondo argentato sormontato da una fascia rossa e tre api dorate (simbolo dedicato alle grandi città dell’impero napoleonico). Il dissenso fiorentino non fece dare seguito al decreto.

 

Monumenti e luoghi d’interesse

Firenze è universalmente riconosciuta come città dell’Arte, con un inestimabile patrimonio di architetture, dipinti, sculture, memorie storiche e scientifiche, che formano il tessuto cittadino, come in un pulsante museo diffuso.

Centro storico di Firenze

Patrimonio dell’Umanità riconosciuto dall’UNESCO nel 1982, il centro storico di Firenze, conchiuso all’interno della cerchia dei viali tracciati sulle vecchie mura medievali, raccoglie i più importanti beni culturali della città. Delimitato dal tracciato della cerchia muraria del XIV secolo, edificata grazie alla potenza commerciale ed economica raggiunta, conobbe nei due secoli successivi il suo massimo splendore.

Il centro storico può essere apprezzato nella sua interezza dalle colline d’intorno, in particolar modo dal Forte Belvedere, dal Piazzale Michelangelo con la Basilica romanica di San Miniato al Monte e dalla collina di Fiesole che offre uno dei panorami più suggestivi della vallata dell’Arno.

Piazza della Signoria

 

Piazza della Signoria

Piazza della Signoria è la piazza centrale di Firenze, sede del potere civile con Palazzo Vecchio e cuore della vita sociale della città. A forma di L, si trova nella parte centrale della Firenze medievale, a sud del Duomo e a poche decine di metri dal Ponte Vecchio e dall’Arno.

Storia

Grazie ai ritrovamenti archeologici effettuati a partire dal 1974, si è potuto stabilire che le prime attività nell’area della piazza risalgono al Neolitico e che la piazza attuale costituiva una zona importante della città romana, con un impianto termale di epoca adrianea ed una fullonica (bottega romana per la tintura e il lavaggio dei tessuti) di dimensioni industriali vicino al teatro, i cui resti sono stati rinvenuti sotto Palazzo Vecchio (scavi di Palazzo Vecchio). Successivamente (IV-V secolo) le terme e la fullonica vennero abbandonate e riutilizzate da poveri edifici ed attività artigianali, mentre fu realizzata una grande basilica paleocristiana (27×50 metri circa).

La basilica sembra essere rimasta in uso sino al VII secolo per poi essere sostituita da una piccola chiesetta (9×16 metri circa) dedicata a chiesa di Santa Cecilia (datata all’VIII secolo e documentata nel IX secolo). A partire dal X secolo iniziò il processo di ricostruzione urbanistica che portò alla definizione del quartiere medievale poi abbattuto per la realizzazione della piazza. Gli scavi archeologici hanno riportato alla luce diverse torri, case ed i resti di due chiese (Santa Cecilia e San Romolo) con le rispettive aree cimiteriali. Una lapide quasi all’angolo con via de’ Calzaiuoli ricorda appunto San Romolo vescovo e martire, più o meno dove si trovava la chiesa e dove oggi sorge il palazzo Bombicci.

Nella zona settentrionale della piazza vi era il quartiere dei ghibellini Uberti con la turris maior.

La piazza cominciò ad assumere la forma attuale intorno al 1268, quando le case dei Ghibellini che si ergevano nella zona furono demolite dai Guelfi vittoriosi a Benevento, ma senza dare all’area un’impostazione coerente ed unitaria, tanto che fu pavimentata solo nel 1385. Di pari passo venne costruito il Palazzo della Signoria, così la piazza divenne il centro della vita politica cittadina, in antitesi con il centro religioso di Piazza del Duomo e la piazza per i commerci che era il Mercato Vecchio, dove oggi sorge Piazza della Repubblica. Nel XIV secolo vengono aggiunte la Loggia della Signoria, per le cerimonie pubbliche, e il Tribunale della Mercanzia, istituto atto a dirimere le controversie di tipo civile e commerciale.

Sede del potere civile, la piazza era anche sede delle pubbliche esecuzioni, di cui la più famosa è quella del 23 maggio1498, quando Girolamo Savonarola fu impiccato e bruciato per eresia (una targa sulla piazza, di fronte alla Fontana del Nettuno, ricorda questo evento) nello stesso luogo in cui, con i suoi discepoli, aveva operato il cosiddetto Rogo delle Vanità, dando alle fiamme molti libri, poesie, tavoli da gioco, vestiti, ecc.

Gli interventi nei secoli successivi riguardano soprattutto l’arredo scultoreo e culminano in epoca granducale con la trasformazione della Loggia della Signoria in una sorta di museo all’aperto. La costruzione degli Uffizi alla metà del Cinquecento, crea inoltre una nuova prospettiva in direzione del fiume. La piazza non resta estranea al “risanamento” ottocentesco del centro storico, nell’ambito del quale vengono realizzati interventi stile neorinascimentale, come il Palazzo delle Assicurazioni davanti a Palazzo Vecchio.

L’elemento centrale della piazza è il trecentesco Palazzo Vecchio, edificato tra il 1299 e il 1314 per dare una degna sede ai Priori delle Arti, i rappresentanti delle corporazioni professionali che dal 1282 detenevano il Governo della città e che erano soliti risiedere al Bargello.

La tipologia dell’edificio reinterpreta con originalità i caratteri delle strutture fortificate medievali e costituisce un modello per i palazzi pubblici toscani costruiti successivamente.

In particolare la Torre di Arnolfo, alta 95 metri, presenta un’ardita soluzione architettonica essendo allineata con il ballatoio sporgente, anziché posta in posizione più centrale. Al tempo della Repubblica savonaroliana, infatti, l’allargamento del Consiglio del Popolo a cinquecento membri, determinò la costruzione del Salone dei Cinquecento sopra il Cortile della Dogana (1495). La saldatura tra i diversi corpi di fabbrica è leggibile sul lato di via de’ Gondi, dove il Salone si riconosce per il paramento esterno incompiuto e i grandi finestroni del Cronaca.

I lavori più consistenti ebbero inizio nel 1540, quando il Granduca Cosimo I de’ Medici decise di trasferire la residenza della famiglia ducale dal Palazzo Medici di via Larga a quello che era stato il Palazzo Pubblico. L’unica modificazione di rilievo sulla facciata si ha nell’Ottocento con la demolizione dell’aringhiera, un alto parapetto in marmo con sedili, realizzato nel 1323 per le cerimonie ufficiali del Comune.

Loggia della Signoria o dei Lanzi

La Loggia della Signoria, chiamata anche Loggia dei Lanzi (perché vi si accamparono il Lanzichenecchi nel 1527) o Loggia dell’Orcagna (per via di un’errata attribuzione al fratello dell’architetto progettista), venne costruita tra il 1376 e il 1381 da Benci di Cione (fratello appunto dell’Orcagna) e Simone di Francesco Talenti con funzione di “arengario” coperto, ossia di balcone per arringare la folla durante le cerimonie ufficiali. Dal punto di vista architettonico la costruzione unisce elementi gotici, come i pilastri a fascio e il coronamento traforato, ad elementi di matrice classica come i grandi archi a tutto sesto, secondo la particolare interpretazione fiorentina del linguaggio gotico.

Nel corso del Cinquecento la loggia perse l’originaria funzione, una volta venute meno la struttura democratica, per divenire una sorta di museo all’aperto delle sculture della collezione medicea. Nel 1555Cosimo I vi pose infatti il Perseo del Cellini e nel 1585Francesco I vi collocò il Ratto delle Sabine del Giambologna. Alla fine del Settecento, all’epoca di Pietro Leopoldo di Lorena, venne realizzato un nuovo allestimento con la collocazione nella Loggia di numerose sculture antiche trasferite a Firenze da Villa Medici a Roma. Le successive modificazioni ottocentesche, infine, consolidano l’aspetto di Galleria delle Statue che conserva tuttora.

Statue

Le statue di Piazza della Signoria non sono solo un insieme decorativo di altissimo livello, ma rappresentano anche un vero e proprio ciclo allegorico laico, unico nel suo genere al mondo, che avrebbe dovuto ispirare i governanti della città che si recavano a Palazzo Vecchio.

Proprio davanti al Palazzo, sul cosiddetto “arengario” si trovano le sculture più antiche,  che un tempo si trovavano più avanti verso la piazza: sono il Marzocco e la Giuditta e Oloferne (145560 circa), entrambe opera di Donatello, sostituite da copie per la loro preziosità (il Marzocco è conservato al Bargello, la Giuditta dentro Palazzo Vecchio).

Il Marzocco in pietra serena è un leone possente che poggia una zampa sull’emblema con il giglio fiorentino, ed è ormai diventato un simbolo della città.

La Giuditta di bronzo è un simbolo dell’autonomia politica della Repubblica Fiorentina. Fu infatti saccheggiata dal Palazzo Medici dopo la prima cacciata dei Medici (1495) dove ornava una fontana del giardino, e simboleggia quindi la vittoria del popolo contro i tiranni. Al ritorno dei Medici, sebbene gran parte del loro patrimonio fu riacquistato e riunito di nuovo nelle collezione della casata, la Giuditta rimase in Piazza per non offendere la sensibilità del popolo.

Un secondo capitolo di questa contesa tra Medici e repubblica è rappresentato dal David di Michelangelo, oggi sostituito da una copia messa nella collocazione originaria della famosa scultura. Michelangelo la realizzò attorno al 1500 quando infuriava la stagione savonaroliana e il suo significato è quello ancora del popolo (simboleggiato da Davide) che, con l’aiuto di Dio, sconfigge il tiranno (Golia). La grandezza della scultura di Michelangelo è ancora più notevole se confrontata con le opere di Donatello e questo “gigantismo” diede il la a tutte le altre statue che furono in seguito collocate in piazza.

Continua il tema politico il Perseo di Benvenuto Cellini nella Loggia dei Lanzi (chiamato anche con il titolo più completo Perseo con la testa di Medusa del 1554), commissionato da Cosimo I dopo il reinsediamento della casata dei Medici a Firenze nel 1531: Perseo alza la testa della sconfitta Medusa dalla quale escono i serpenti, chiaro simbolo del “taglio netto” con l’esperienza repubblicana, tristemente nota per le proverbiali discordie cittadine che avevano da sempre minato una vera democrazia.

 

L’Ercole e Caco di Baccio Bandinelli (1533) si trova accanto al David e rappresenta la vittoria con la forza e l’astuzia contro i malvagi, in una simbologia tratta dalle Dodici fatiche. La scultura doveva essere in un primo momento realizzata da Michelangelo, ma per i suoi continui impegni fu invece affidata a Baccio Bandinelli, il quale tentò di emulare lo stile poderoso del David senza però riuscirci, e guadagnandosi molte aspre critiche e una brutta fama (d’invidioso) giunta fino ai giorni nostri.

Ai lati dell’ingresso principale di Palazzo Vecchio troviamo i due Termini marmorei, quello maschile di Vincenzo de’ Rossi e quello femminile di Baccio Bandinelli che riprendono una tipologia della statuaria classica. Raffigurano i coniugi Filemone e Bauci, che secondo la leggenda furono trasformati da Giove lui in quercia e lei in tiglio, per questo esemplari del reciproco amore. Originariamente sostenevano una catena che veniva posta a sbarramento dell’ingresso.

La Fontana del Nettuno di Bartolomeo Ammannati (15631565) e di alcuni suoi allievi, tra i quali il Giambologna, è la prima fontana pubblica di Firenze. Il grande Nettuno in marmo bianco non è molto amato dai fiorentini che lo chiamano Biancone (celebre l’epitomo espresso dal popolo all’inaugurazione della statua nel 1565 “Ammannato Ammannato, che bel marmo hai rovinato!”).

Infine, in posizione centrale a sinistra di Palazzo Vecchio si trova la grandiosa Statua equestre di Cosimo I, opera in bronzo del Giambologna (1594).

Altre scultura famose sono ospitate sotto la Loggia dei Lanzi (il Ratto delle Sabine, il gruppo di Polissena, Nesso e il Centauro, eccetera).

Piazza del Duomo

Piazza del Duomo sorge nel cuore del centro storico di Firenze. È dominata dalla mole della cattedrale e degli edifici correlati come il Campanile di Giotto e il Battistero di San Giovanni, anche se l’ipotetica linea fra Via de’ Martelli e Via Calzaiuoli divide la piazza in due sezioni, con il Battistero nell’omonima Piazza San Giovanni.

Storia della Piazza

Escluso dalla cerchia romana, il sito era originariamente sul lato nord del primitivo quadrilatero cittadino. Con la fondazione del Battistero in epoca paleocristiana il centro religioso della città si spostò gradualmente più a nord e venne inglobato nella seconda cerchia di mura. Forse ancor più antica era Santa Reparata, prima cattedrale cittadina, a ridosso del Battistero molto più dell’odierno Duomo, e che, con le chiese di San Salvatore al Vescovo e San Michele Visdomini, formava un asse sacro corredato anche di un Palazzo Vescovile davanti al Battistero, un ospedale, una canonica ed un cimitero.

Nel 430 (tradizionalmente) le spoglie di san Zanobi, primo vescovo cittadino, vennero traslate in Santa Reparata da San Lorenzo, a suggellare il raggiunto primato cittadino del centro religioso. La piazza era molto più piccola di quella odierna, con il Palazzo vescovile a ridosso del battistero, oltre la cui porta est si apriva, dopo una stradina, la facciata di Santa Reparata. Tutt’intorno le costruzioni, divise da un dedalo di vicoli, riempivano la superficie. La realizzazione di un portico davanti alla chiesa di Santa Reparata nell’XI secolo ridusse ad appena 17-18 metri lo spazio antistante il battistero.

Sul finire del Duecento, con il cantiere della nuova cattedrale, furono abbattute numerose case per far posto all’enorme cattedrale e al campanile. Un aneddoto ancora famoso è quello legato alla famiglia dei Bischeri, che si rifiutava di vendere le proprie case per far spazio alla costruzione della Cattedrale, ma si ritrovò beffata perché un incendio le distrusse, da cui deriverebbe l’offesa tipica cittadina indirizzata agli stolti (“O Bischero!”). Fra le prime demolizioni, fu quasi subito distrutta una campata della vecchia chiesa per dare aria al Battistero, che divenne il principale edificio religioso della città.

Nel corso dei secoli successivi gli edifici della piazza rimasero per lo più inalterati, mentre Piazza San Giovanni veniva allargata nell’Ottocento facendo arretrare il Palazzo Vescovile. In quel periodo venne comunque regolarizzato il contorno ed in parte ampliato il piazzale che circonda il Duomo. Sul Palazzo dei Canonici, rimodellato per l’occasione, furono poste due statue degli architetti della Cattedrale (Arnolfo di Cambio e Brunelleschi) in posa di guardare il loro capolavoro in una loggetta appositamente creata.

Dal 25 ottobre 2009 la piazza è stata resa completamente pedonale negando quindi l’accesso ad auto, autobus e macchine di servizio (ad eccezione delle ambulanze e delle auto delle forze dell’ordine) all’intera piazza e alle antistanti via de’ Martelli, via dei Servi ed altri tratti di strade del centro.

 

Cattedrale di Santa Maria del Fiore

La cattedrale di Santa Maria del Fiore è il Duomo di Firenze e si affaccia su piazza del Duomo.

Era nel 1971 la quinta chiesa d’Europa per grandezza, dopo la Basilica di San Pietro, la Cattedrale di San Paolo a Londra, la Cattedrale di Siviglia e il Duomo di Milano. È lunga, infatti, 153 metri mentre il basamento della cupola è largo 92 braccia fiorentine, pari a circa 54 metri. Ha una pianta peculiare, composta com’è di un corpo basilicale a tre navate saldato ad una enorme rotonda triconca che sorregge l’immensa Cupola del Brunelleschi, la più grande cupola in muratura mai costruita. Al suo interno è visibile la più grande superficie mai decorata ad affresco; 3600 metri quadri, eseguiti tra il 15721579 da Giorgio Vasari e Federico Zuccari.

La costruzione, iniziata sulle antiche fondazioni della chiesa di Santa Reparata nel 1296 da Arnolfo di Cambio, fu continuata da Giotto a partire dal 1334 fino alla sua morte avvenuta nel 1337. Francesco Talenti e Giovanni di Lapo Ghini la continuarono nel 1357. Nel 1412 la nuova cattedrale fu dedicata a Santa Maria del Fiore, e consacrata il 25 marzo del 1436 al termine dei lavori della cupola del Brunelleschi da papa Eugenio IV.

Il centro religioso di Firenze era nell’alto Medioevo tutt’altro che baricentrico, essendosi sviluppato nell’angolo nord-est dell’antica cerchia romana. Come tipico dell’epoca paleocristiana le chiese si erano infatti sviluppate, anche a Florentia, a ridosso delle mura e solo nei secoli successivi vennero inglobate nella città. La prima cattedrale fiorentina fu San Lorenzo, dal IV secolo, e successivamente, forse nel VII secolo, il titolo passò a Santa Reparata, la primitiva chiesa che si trova sotto il Duomo e che all’epoca era ancora fuori dalle mura. In epoca carolingia la piazza era un misto di potere civile e religioso, con la residenza del margravio accanto alla sede del vescovo, più o meno sotto il palazzo Arcivescovile. Nel 1078Matilde di Canossa promosse la costruzione della cerchia antica (come la chiamò Dante), inglobando anche Santa Reparata e la primitiva forma del Battistero di San Giovanni, risalente al IV o V secolo.

Alla fine del XIII secolo la Platea Episcopalis, il complesso episcopale fiorentino, presentava rapporti spaziali completamente differenti. La piazza San Giovanni era poco più di uno slargo tra il palazzo Vescovile e il Battistero di San Giovanni, allora vero fulcro del complesso, appena completato col suo attico e il tetto in marmo a piramide ottagonale. Ad est, a ridosso di quella che venne chiamata poi Porta del Paradiso, si trovava il portico della chiesa di Santa Reparata, che disponeva all’estremità orientale di un vero e proprio coro armonico munito di due campanili.

A nord-est sorgevano anche l’antica chiesa di San Michele Visdomini, poi spostata più a nord, che si trovava sullo stesso asse Duomo-Battistero, e il più antico “Spedale” fiorentino; a sud sorgevano le abitazioni dei Canonici, organizzate intorno a un chiostro centrale. Lo spazio religioso assolveva, come normale all’epoca, anche funzioni civiche, come le nomine dei cavalieri, le assemblee popolari, la lettura dei messaggi delle autorità, le consacrazioni al Battista dei prigionieri di guerra, ecc.

Tra la fine del XIII e l’inizio del XIV secolo Firenze visse un picco di fioritura politica e culturale, che culminò con la creazione di un nuovo polo civico legato al potere politico, poi detto piazza della Signoria, e la costruzione di una nuova cattedrale. Santa Reparata infatti, pur antica e veneranda, non era più adeguata alla città in fortissima espansione, ricca e potente, che aveva appena regolato i suoi conti con la rivale Siena (Battaglia di Colle Val d’Elsa, 1269) e imposto, sia pure a fatica, la sua egemonia nel caotico scacchiere toscano. Santa Reparata veniva descritta dal Villani come molto di grossa forma e piccola a comparazione di sì fatta cittade e nei documenti del comune come Cadente per estrema età. Nel 1294 infine il governo cittadino decise la ricostruzione della chiesa con dimensioni tali da eclissare le cattedrali delle città avversarie, tra cui Pisa e Siena. Sulla ricchezza della fabbrica venne, dunque, posto un particolare accento, in modo da rappresentare l’icona della potenza cittadina.

 

La cupola

Lo schema della cupola secondo la ricostruzione arbitrariamente regolarizzata del Nelli.

Era rimasta nella cattedrale una grande cavità larga 43 metri e posta su un tamburo ad un’altezza di circa 60 metri, della cui copertura nessuno, fino ad allora, si era ancora posto il problema di trovare una soluzione concreta.

Nel 1418 fu indetto un concorso pubblico per la progettazione della cupola, o anche solo di macchine atte al sollevamento di pesi alle altezze mai raggiunte prima da una costruzione a volta, cui parteciparono numerosi concorrenti. Il concorso, generalmente considerato come l’inizio della costruzione della cupola, non ebbe alcun vincitore ufficiale: il cospicuo premio messo in palio non fu infatti assegnato. Filippo Brunelleschi, che era tornato da Roma appositamente per lavorare alla cupola, stava già (come gli archivi registrano) costruendo un modello per conto dell’Opera. Alla fine venne deciso di affidare la costruzione a lui e a Lorenzo Ghiberti, il quale aveva già strappato a Brunelleschi il contratto per la Porta del Paradiso. Nella descrizione dei lavori che Filippo stilerà per gli Operai dell’Arte della Lana (responsabili del buon andamento della costruzione) si stabilisce che si comincerà a costruire la cupola fino all’altezza di trenta braccia e poi in base al comportamento delle murature si deciderà come continuare. L’altezza indicata è quella alla quale i mattoni avrebbero dovuto essere posati ad un angolo tale (rispetto all’orizzontale) da non poter essere trattenuti al loro posto dalle malte a lenta presa conosciute dai muratori dell’epoca (la tecnica romana della pozzolana non era più in uso) con conseguente rischio di scivolamento all’interno della muratura. Un grave problema era anche la differenza in larghezza dei lati del tamburo, che richiedevano così una estrema precisione per la posa dei letti di mattoni in modo da non creare pericolose interruzioni nella tessitura muraria. A ricordare i pericoli di una costruzione poco accurata bastava guardare alcuni metri più in basso per vedere la vistosa crepa che si era aperta nella muratura ancora fresca di una delle semicupole del grande triconco basamentale.

Il 7 agosto1420 ebbe inizio la costruzione della cupola, e, dopo un diverbio fra i due architetti, nel 1425 Ghiberti venne estromesso dai lavori che passarono interamente in mano a Brunelleschi.

Quest’ultimo aveva un’idea ben precisa di come realizzare l’impresa, avendo potuto studiare il Pantheon a Roma e, per illustrarla, costruì un modello ligneo con l’aiuto di Donatello e Nanni di Banco, che alcuni identificano con quello oggi al Museo dell’Opera del Duomo. Fra i prototipi creati per convincere della fattibilità dell’opera, il Vasari racconta anche che il grande architetto accettò la commissione di costruire una cappella per la famiglia Rinuccini dotandola di una versione in miniatura della cupola. Tale cappella si trovava nella chiesa di San Jacopo Soprarno ed è andata perduta. In ogni caso, una cupola con un diametro di pochi metri non costituiva affatto un modello probante per l’immensa costruzione in progetto.

Il vero problema della costruzione della cupola è nella sua forma, che non è una “cupola di rotazione”, come nel Pantheon, ma una volta cupoliforme (cioè con la chiave di volta ad una altezza molto superiore a quelle degli archi d’imposta) a pianta ottagonale. Mentre costruire senza sostegni una cupola del primo tipo è sempre possibile, non si può fare a meno di centinatura per costruire una cupola come quella della Cattedrale fiorentina. Il problema era che sarebbe stato necessario usare una quantità colossale di legname per costruire impalcati e centine di quella dimensione a quell’altezza, e travi della lunghezza necessaria, sarebbero state praticamente impossibili da reperire. Brunelleschi risolse, però, tutti questi problemi costruendo con successo una cupola interna con uno spessore enorme (due metri e mezzo alla base) ed una cupola esterna più sottile (inferiore ad un metro) con l’unica funzione di proteggere la cupola interna dalla pioggia e farla apparire, secondo le parole dell’architetto, più magnifica e gonfiante all’esterno. Il “segreto” che rese possibile la costruzione della cupola fu indagato in modo scientifico solo a partire dagli anni sessanta con i lavori (vedi bibliografia) di Mainstone e Di Pasquale. Un cantiere di restauro aveva reso necessaria la rimozione delle tegole che coprono uno degli spicchi della cupola, il che consentì di osservare come le facce dei mattoni non fossero perfettamente parallele, ma sistemate lungo rette originate da un punto situato al centro dell’ottagono di base della cupola. La disposizione dei mattoni a spina di pesce serviva soprattutto a creare un appiglio per le file dei mattoni in modo da impedirne lo scivolamento fino alla presa della malta. Numerosi rinforzi di pietra e metallo consolidarono la struttura. Un’altra teoria suffragata da affermazioni scientifiche è quella formulata dal Professor Massimo Ricci; Secondo questa ipotesi la tecnologia della Cupola non risponderebbe affatto, nemmeno nelle strutture interne, ad una cupola di rotazione; i mattoni a spinapesce non sarebbero apparecchiati secondo “corsi circolari”, ma “paralleli” alle superfici delle vele. In questa ricostruzione la struttura della Cupola è concepita come una successione di piattabande radiali orizzontali. Recenti verifiche su questa ipotesi costruttiva fatte nell’intradosso delle calotte verificherebbero che la struttura della Cupola fu sviluppata in senso radiale-verticale e non “orizzontale” come l’ipotesi “di rotazione” richiederebbe.

Un altro fattore di primaria importanza nella costruzione della cupola fu la necessità di progettare macchine innovative per il sollevamento di migliaia di tonnellate di materiali da costruzione alla vertiginosa altezza della cupola. Brunelleschi diede prova di genio assoluto disegnando numerose macchine che facevano uso di demoltipliche e ingranaggi di tipo assolutamente nuovo. Queste macchine furono inoltre usate, anni dopo la morte dell’architetto, per issare la grande sfera dorata in cima alla cupola e, rimaste in bella vista a marcire, non essendo possibile destinarle ad altri usi, furono studiate e disegnate con grande attenzione da numerosi artisti. Fra di loro, il giovane Leonardo da Vinci, nei cui codici si trovano ancora alcuni disegni di macchine brunelleschiane e attribuite erroneamente al Da Vinci da numerosi entusiasti.

I lavori terminarono nel 1436 e la chiesa fu solennemente consacrata da Papa Eugenio IV il 25 marzo, capodanno fiorentino.

Per realizzare la lanterna fu bandito un nuovo concorso, vinto anche questa volta da Brunelleschi, con un progetto sempre basato sulla forma ottagonale che si ricollega con le colonne e gli archi alle linee dei costoloni bianchi della cupola. La costruzione della lanterna iniziò nel 1446, pochi mesi prima della scomparsa di Brunelleschi. Dopo un lungo periodo di stallo, durante il quale vennero anche proposte numerose modifiche, fu terminata definitivamente da Michelozzo nel 1461. In cima alla copertura a cono fu posta nel 1468 una grande sfera dorata opera di Verrocchio. La croce fu poi applicata tre anni dopo.

La sfera cadde nel 1492 (si dice che fu un infausto presagio della vicina morte di Lorenzo il Magnifico) e di nuovo durante una tempesta la notte del 17 luglio1600. Un disco di marmo bianco sul retro di Piazza del Duomo ricorda ancora il punto dove si arrestò la sfera, che fu sostituita con quella, più grande, che si può ammirare ancora oggi (ricollocata nel 1602).

A questo punto rimaneva incompiuta solo la facciata della cattedrale, la quale presentava ancora la parziale costruzione decorativa risalente ad Arnolfo di Cambio.

L’interno

La cattedrale è costruita sul modello della basilica, ma non è provvista delle tradizionali absidi assiali, bensì di una rotonda triconca saldata all’estremità orientale. Il corpo basilicale è diviso in tre navate e i muri della navata centrale sono sorretti da grandi pilastri compositi.

Le dimensioni sono enormi: 153 metri di lunghezza per una larghezza di 38 metri. le absidi nord e sud del triconco distano fra loro 90 metri. L’altezza dell’imposta delle volte nella navata è di 23 metri, al sommo dell’estradosso delle volte di circa 45 metri e il dislivello dal pavimento alla cima della cupola interna è di circa 90 metri.

L’interno, piuttosto semplice ed austero, dà una forte impressione di vuoto aereo.

Molte delle decorazioni della chiesa sono state rimosse nel corso del tempo, a volte distrutte a volte spostate nel vicino Museo dell’Opera del Duomo, come le magnifiche cantorie di Luca della Robbia e di Donatello, a causa dei restauri ottocenteschi dell’architetto Baccanti, che coprì di intonaco bianco le pareti.

Alcune opere della cattedrale rispecchiano la sua funzione pubblica, con monumenti dedicati ad illustri uomini ed a comandanti militari di Firenze. Nel Quattrocento, infatti, il cancelliere fiorentino Coluccio Salutati vagheggiava il progetto di trasformarla in una sorta di Pantheon dei fiorentini illustri, con opere d’arte celebrative. A quel programma decorativo risalgono essenzialmente:

  • Dante con in mano la Divina Commedia di Domenico di Michelino (1465), interessante anche per la precisa veduta cittadina del 1465.
  • Affreschi staccati dei condottieri, sulla parete sinistra, raffiguranti i monumenti a due figure eroiche in cavalcatura trionfante. Entrambi presentano una prospettiva incerta, con due punti di fuga diversi per il piedistallo e la statua equestre, e, inoltre, i cavalli non potrebbero in realtà stare in piedi dato che hanno entrambe le zampe alzate dallo stesso lato. Lo strappo è stato fatto nel XIX secolo.

Più tardi sono invece i busti, realizzati nel XV e nel XIX secolo.

Sopra il portale centrale un grande disco dell’orologio a ventiquattro ore di Paolo Uccello (1443). L’orologio, di uso liturgico, è uno degli ultimi funzionanti che usa la cosiddetta hora italica, un giorno diviso in 24 “ore” di durata variabile a seconda delle stagioni, che comincia al suono dei vespri, in uso fino al XVIII secolo. I ritratti degli evangelisti non sono identificabili col tradizionale ausilio degli animali-simbolo, ma attraverso i tratti fisionomici che richiamano l’animale (o, nel caso di Matteo, l’angelo) simbolico.

Le 44 vetrate colorate antiche sono fra le più importanti in Italia relativamente al periodo fra il Trecento e il Quattrocento. Le bifore della navata e del transetto ritraggono Santi e personaggi del Vecchio e Nuovo Testamento, mentre i grandi occhi circolari sul tamburo rappresentano scene mariane. I principali artisti rinascimentali del tempo disegnarono i cartoni per le finestre, fra i quali Donatello (l’Incoronazione della Vergine, unica visibile dalla navata), Lorenzo Ghiberti (Assunzione della Vergine, San Lorenzo in trono tra quattro angeli, Santo Stefano in trono tra quattro angeli, Ascensione, Orazione nell’orto, Presentazione al Tempio), Paolo Uccello (Natività e Resurrezione) e Andrea del Castagno. Il rosone raffigura Cristo incorona Maria su disegno di Gaddo Gaddi (inizio del Trecento). La vetrata ovest del tamburo, visibile solo dall’altare e dal’estremità del transetto è la sola rimasta non istoriata.

L’organo della Cattedrale, del XX secolo, è stato costruito da Vincenzo Mascioni. È dotato di ben settemila canne e quattro tastiere.

Sotto la cattedrale furono realizzati dei difficili lavori di scavo fra il 1965 e il 1974. La zona sotterranea della cattedrale fu usata per la sepoltura dei vescovi fiorentini per secoli. Recentemente è stata ricostruita la storia archeologica di quest’area, dai resti di abitazioni romane, ad una pavimentazione paleocristiana, fino alle rovine della vecchia cattedrale di Santa Reparata. Si accede agli scavi da una scala nella navata sinistra dove, vicino all’entrata, si trova la tomba di Filippo Brunelleschi, a riprova della grande stima dei fiorentini verso il grande architetto della cupola.

Avvenimenti storici avvenuti nella Cattedrale

Nella cattedrale si svolse il Concilio di Firenze del 14381439, durante il quale Cosimo il Vecchio presiedette alla riunificazione fra la chiesa latina, rappresentata da Papa Pio II, e quella bizantina, rappresentata dall’Imperatore Giovanni VIII Paleologo e dal patriarca Giuseppe. In realtà, questo accordo rimase solo sulla carta e fu il disperato tentativo dell’Imperatore di Bisanzio di ottenere aiuto dall’occidente per fronteggiare l’assedio sempre più stretto dei turchi alla sua capitale (l’Impero Romano d’Oriente cadrà infatti poco dopo nel 1453). Nonostante ciò, l’arrivo degli illustri personaggi segnò la raggiunta importanza di Firenze a livello europeo e l’esotico corteo dei dignitari stranieri ebbe un notevole impatto sugli artisti della città, come raffigurato nella Cappella dei Magi di Benozzo Gozzoli.

Il momento più tragico della storia del Duomo si ebbe con la Congiura dei Pazzi, quando fu teatro del brutale assassinio di Giuliano de’ Medici e del ferimento di suo fratello maggiore Lorenzo, il futuro Magnifico. Il 26 aprile 1478, dei sicari si appostarono durante la messa per colpire i rampolli di casa Medici, su mandato della famiglia dei Pazzi appoggiata da papa Sisto IV e da suo nipote Girolamo Riario, tutti interessati a bloccare l’egemonia medicea. Giovan Battista da Montesecco però, che avrebbe dovuto uccidere Lorenzo, si rifiutò di agire in un luogo consacrato e fu sostituito da un sicario di minor esperienza. Mentre Giuliano cadeva sotto le numerose coltellate, Lorenzo riuscì a fuggire nella Sacrestia barricandovisi dentro. La popolazione fiorentina, favorevole ai Medici, si accanì dunque contro gli assassini e sui loro mandanti. In giornate molto drammatiche, la folla inferocita linciò e fece impiccare sommariamente la maggior parte dei responsabili. A partire dal 1491, inoltre, Girolamo Savonarola, frate del Convento di San Marco, pronunciò in Santa Maria del Fiore le sue famose orazioni, improntate all’assoluto rigorismo morale ed ispirate da un grande fervore religioso, durante le quali esprimeva tutto il suo disgusto per la decadenza dei costumi, per il rinato paganesimo e per la sfrontata ostentazione della ricchezza.

Astronomia in cattedrale

La cupola del Brunelleschi ospita anche uno strumento astronomico per lo studio del sole, rappresentato dal grande gnomone creato da Paolo Toscanelli e restaurato da Leonardo Ximenes. Più di uno gnomone vero e proprio, inteso come asta che proietta un’ombra su una zona illuminata, si tratta di un foro gnomonico presente sulla lanterna ad un’altezza di 90 metri, che dà una proiezione del sole su una superficie in ombra, in questo caso il pavimento della cattedrale.

Uno strumento del genere esisteva anche nel Battistero di San Giovanni già attorno all’anno Mille (il foro è stato poi chiuso), ma nel 1475 l’astronomo Toscanelli approfittò del completamento della cupola per installare una lastra bronzea con un foro circolare di circa 4 centimetri di diametro, che desse un’immagine ottimale dell’astro. Studiando infatti il rapporto tra altezza e diametro del foro si ottenne una vera a propria immagine solare stenopeica, capace di mostrare anche le macchie solari o l’avanzare delle eclissi in corso, oppure il raro passaggio di Venere tra il sole e la terra. L’utilizzo più importante dello gnomone al tempo della sua creazione fu quello di stabilire il solstizio esatto, cioè la massima altezza del sole nel cielo a mezzogiorno durante l’anno e, quindi, la durata dell’anno stesso, osservazioni che porteranno insieme ad altre analoghe rilevazioni, come quella del 1510 ricordata da un disco di marmo nel pavimento della cappella Della Croce nell’abside destra della cattedrale, a convincere papa Gregorio XIII circa la necessità di riformare il calendario, allineando la data solare con quella ufficiale e creando il calendario gregoriano (1582).

Nei secoli successivi, lo strumento ebbe modo anche di essere usato per indagini più ambiziose, come quella promossa dall’astronomo della corte granducale Leonardo Ximenes nel 1754, che si propose di studiare se l’inclinazione dell’asse terrestre variasse nel corso del tempo, una questione molto dibattuta dagli astronomi del tempo. Le sue osservazioni, confrontate con quelle del 1510 furono incoraggianti e, ripetute per più anni, gli permisero di calcolare un valore dell’oscillazione terrestre congruente con quello odierno. Fu lui che tracciò la linea meridiana in bronzo sul pavimento della stessa Cappella dove è presente il disco di Toscanelli. Pochi decenni dopo, però, lo gnomone di Santa Maria del Fiore divenne obsoleto sia per la scoperta di nuove strumentazioni che permettevano osservazioni più precise, con un ingombro ridotto a pochi metri, sia perché ci si accorse che le misurazioni erano influenzate dai piccoli movimenti della cupola dovuti alla temperatura esterna.

La rievocazione di tali osservazioni ha un carattere prettamente storico e spettacolare, ed ha luogo ogni anno il 21 giugno alle 12.00 ora solare (le 13.00 da quando è in vigore l’ora legale).

L’interno del Duomo prima del restauro (si noti il coro del Bandinelli), Fabio Borbottoni (1820-1902)

Il Campanile di Giotto è situato a fianco della cattedrale, originalmente disposto a fianco della facciata invece che in posizione arretrata. Fu progettato da Giotto, da cui il nome, ma realizzato da Andrea Pisano e completato da Francesco Talenti. È alto 84 metri e progressivamente si alleggerisce nelle forme per la presenza di bifore e trifore. Interamente rivestito da marmi policromi bianchi, verdi e rosati, è decorato anche da numerose sculture e formelle, oggi in larga parte sostituite da copie e conservate nel Museo dell’Opera del Duomo. Nelle formelle del basamento sono raffigurate le Attività umane, vero manifesto della Firenze corporativa del medioevo, eseguite da Andrea Pisano e Luca della Robbia, mentre nella seconda fascia I pianeti, le Virtù, le arti liberali ed i sacramenti.

 

Battistero di San Giovanni

 

« Non mi parean [i fori] men ampi né maggiori
che que’ che son nel mio bel San Giovanni,
fatti per loco de’ battezzatori »

(Dante AlighieriDivina Commedia, Inferno, XIX canto, versi 16-18)

 

Il Battistero dedicato a San Giovanni Battista, patrono della città di Firenze, sorge di fronte al duomo di Santa Maria del Fiore, in piazza San Giovanni.

Inizialmente era collocato all’esterno della cerchia delle mura, ma fu compreso, insieme al Duomo, nelle mura realizzate da Matilde di Canossa (“quarta cerchia”). In origine era circondato da altri edifici, come il palazzo Arcivescovile che arrivava molto più vicino, i quali vennero abbattuti per creare l’attuale piazza.

L’edificio fu costruito su resti di una struttura romana, una ricca domus del I secolo DC, con mosaici a motivi geometrici ritenuta in origine un tempio dedicato al dio Marte. La data di fondazione è assai incerta: si pensa al IVV secolo DC, con rimaneggiamenti nel VII secolo durante la dominazione longobarda, forse in seguito alla conversione al cristianesimo della regina Teodolinda.

La prima citazione risale all’anno 897, quando l’inviato dell’imperatore rende giustizia sotto il portico “davanti alla basilica di San Giovanni Battista”: la denominazione di basilica indica che l’edificio doveva svolgere le funzioni di chiesa cattedrale. Il papa fiorentino Niccolò II riconsacrò la basilica, ancora cattedrale di Firenze, nel 1059.

Nel 1128 l’edificio diventa ufficialmente il battistero cittadino e intorno alla metà dello stesso secolo viene eseguito il rivestimento esterno in marmo, successivamente completato anche all’interno; il pavimento, sempre in tarsie marmoree, viene realizzato nel 1209. Nella seconda metà del XIII secolo viene inoltre realizzata la cupola. L’abside a pianta rettangolare (scarsella) viene realizzata nel 1202, in sostituzione di una precedente abside semicircolare, e dotata di un altare. Vengono realizzati quindi i mosaici della scarsella (anni 1220) e successivamente il complesso mosaico della cupola a spicchi ottagonali, al quale si lavora tra il 1270 e il 1300, con l’intervento di Jacopo Torriti e la partecipazione di Coppo di Marcovaldo e di Cimabue.

Tra il 1330 e il 1336 viene eseguita la prima delle tre porte bronzee,con l’utilizzo di 24 formelle,commissionata ad Andrea Pisano dall’ “Arte dei Mercatanti, o di Calimala”, l’Arte più antica dalla quale discendono tutte le altre, sotto la cui tutela era il Battistero. La porta, inizialmente collocata sul lato est, il più importante, di fronte al duomo, fu spostata sul lato sud per collocare al posto d’onore la seconda porta.

Tra il 1401 e il 1424 venne realizzata la seconda porta da Lorenzo Ghiberti, vincitore di un concorso a cui parteciparono anche Filippo Brunelleschi, Jacopo della Quercia, Simone da Colle Val d’Elsa, Niccolò di Luca Spinelli, Francesco di Valdambrino e Niccolò di Pietro Lamberti. Inizialmente collocata sul lato orientale fu successivamente spostata sul lato nord.

La terza porta,in oro, eseguita sempre dal Ghiberti tra il 1425 e il 1452 e chiamata da MichelangeloPorta del Paradiso“, tuttora occupa il lato orientale. Per la realizzazione delle due porte, il Ghiberti creò una vera e propria bottega di bronzisti, nella quale si formarono artisti come Donatello, Michelozzo, Masolino e Paolo Uccello.

Nel 1576, in occasione del battesimo dell’atteso erede maschio del Granduca Francesco I de’ Medici, Bernardo Buontalenti ricostruì il fonte battesimale, distruggendo i battezzatoi medievali ricordati da Dante Alighieri (Inf. XIX vv. 16-20).

Architettura  

Ha pianta ottagonale, con un diametro di 25,60 m, quasi la metà di quello della cupola del Duomo. La necessità di un edificio di vaste dimensioni si spiega con l’esigenza di accogliere la folla che riceveva il battesimo solo in due date prestabilite all’anno.

L’edificio è coperto da una cupola ad otto spicchi, mascherata all’esterno dall’attico e coperta da un tetto a piramide schiacciata. Sul lato opposto all’ingresso sporge il corpo dell’abside rettangolare (scarsella). L’ornamento esterno, in marmo bianco di Carrara e verde di Prato, è scandito da tre fasce orizzontali, ornate da riquadri geometrici, quella mediana occupata da tre archi per lato, nei quali sono inserite superiormente finestre con timpani. I pilastri angolari in pietra serena furono anch’essi successivamente rivestiti di marmo. La fascia superiore rappresenta la base del tiburio che nasconde la cupola.

La decorazione interna è suddivisa, come all’esterno, in tre fasce orizzontali, la più alta però coperta dalla cupola, mentre la fascia mediana è occupata dai matronei. Inferiormente le pareti sono suddivise verticalmente in tre zone per mezzo di lesene e di colonne monolitiche in granito e in marmo cipollino di spoglio, come gran parte dei marmi del rivestimento.

La fonte battesimale in origine occupava il centro del pavimento, abbellito da intarsi marmorei con i segni dello Zodiaco e con motivi geometrici orientaleggianti.

Nonostante il Battistero sia considerato la matrice del “Romanico fiorentino”, alcune caratteristiche della sua architettura non hanno riscontro altrove. La disposizione di colonne e capitelli – differenziati per tipologia e per colore del marmo – non è né uniforme né casuale, ma come nella architetture della Tarda Antichità è finalizzata ad indicare precise gerarchie spaziali. All’interno l’asse principale est-ovest è indicato dal contrapporsi dell’arcone e della coppia di colonne con capitelli compositi ai lati della Porta del Paradiso (in tutti gli altri casi abbiamo invece capitelli corinzi, eccetto uno probabile frutto di restauro); un secondo asse di simmetria obliquo sudest-nordovest è invece indicato dai fiori dell’abaco dei capitelli corinzi di pilastro, che sono di tre tipi differenti. All’esterno le finestre a edicola si differenziano per forma, tipo di capitelli e colonne, e colore dei marmi impiegati, secondo un ordinamento molto complesso che distingue i lati obliqui da quelli volti ai punti cardinali e tra questi il lato est, con l’ingresso principale, differenziato in tutto dagli altri. La disposizione simmetrica di differenti tipi di capitelli si riscontra anche nei tre lati volti a sud dell’attico, verosimilmente eseguiti per primi perché rivolti alla città.

Un’altra caratteristica del Battistero che non ha riscontri nell’architettura romanico-gotica è la relazione architettonica tra le facciate, che – sia all’interno che all’esterno – non sono raccordate da nodi strutturali (gli attuali pilastri bicolori esterni sono un rifacimento: in origine erano in arenaria e separavano le facciate contigue incrostate di marmi), ma sono invece intese come unità bidimensionali indipendenti e solo accostate – all’interno addirittura separate da un vuoto angolare – in modo da esaltare l’architettura del Battistero come puro solido geometrico.

Porta del Paradiso (est), di Lorenzo Ghibert 

 

 

Schema delle formelle della Porta del Paradiso

La porta è suddivisa in 10 ampi riquadri rettangolari, disposti su cinque file, ciascuno dei quali, con le incorniciature ornate da tondi con teste di profeti, occupa l’intera larghezza di un battente. I riquadri presentano scene dell’Antico Testamento, che si susseguono su entrambi i battenti da sinistra a destra e dall’alto in basso.

La porta fu danneggiata dall’alluvione del 1966 e i rilievi sono attualmente sostituiti da copie, mentre gli originali, restaurati, si trovano nel Museo dell’Opera del Duomo.

 

  1. Adamo ed Eva
  2. Caino e Abele
  3. Noè
  4. Abramo
  5. Isacco, Esaù e Giacobbe
  6. Giuseppe
  7. Mosè
  8. Giosuè
  9. Davide
  10. Salomone e la regina di Saba

 


Le Cappelle medicee

 

Le Cappelle medicee sono ai nostri giorni un museo statale di Firenze e luogo di sepoltura della famiglia Medici, ricavato da alcune aree della Basilica di San Lorenzo a Firenze, al quale si accede dal retro della chiesa, in piazza Madonna degli Aldobrandini.

Le due parti principali che si visitano sono prolungamenti dell’abside della basilica: la Sagrestia Nuova, edificata da Michelangelo dal 1519 in un decennio circa, e la grande Cappella dei Principi, del secolo successivo, completamente ricoperta da marmi e pietre semi-preziose dove sono sepolti i granduchi di Toscana e i loro familiari; inoltre fanno parte del percorso alcune sale della cripta (ideata dal Buontalenti) sotto la Cappella dei Principi, dove è situata la biglietteria, il bookshop e talvolta sono realizzate esibizioni temporanee.

Nel 2011 sono state visitate da 386.732 persone.

 

Lo sfarzoso ambiente ottagonale è largo 28 metri ed è sormontato dalla cupola di San Lorenzo, che raggiunge un’altezza di 59 metri, la seconda per maestosità in città dopo quella del Brunelleschi.

Fu ideata da Cosimo I, ma la sua realizzazione si deve al suo successore Ferdinando I, che incaricò l’architetto Matteo Nigetti, 1604 su disegno di Don Giovanni de’ Medici, fratello dello stesso granduca. Lo stesso Buontalenti intervenne modificando in parte il progetto.

Lo sfarzo abbagliante è dato dai ricchissimi intarsi in commesso fiorentino, per la realizzazione dei quali fu creato l’Opificio delle Pietre Dure. Questa arte, tutt’ora praticata soprattutto nella decorazione di mobili e vasi, trovò qui il suo apice, anche se il tono funebre dell’opera fece scegliere i colori più smorzati e cupi con porfidi e graniti. Nella zoccolatura invece si usarono pietre dure più colorate, nonché la madreperla, i lapislazzuli e il corallo per riprodurre gli stemmi delle sedici città toscane fedeli alla famiglia dei Medici.

Nelle nicchie sarebbero dovute entrare le statue dei granduchi, anche se furono poi realizzate soltanto quelle per Ferdinando I e Cosimo II, opere entrambe di Pietro Tacca eseguite tra il 1626 ed il 1642.

Gli altri sepolcri granducali appartengono a Cosimo I (15191574), Cosimo II (successore di Ferdinando I, 15901621) e Cosimo III (succeduto a Ferdinando II, 16431723). Al centro dell’atrio, nelle intenzioni dei committenti, doveva trovarsi il Santo Sepolcro, sebbene i vari tentativi di comprarlo o rubarlo a Gerusalemme fallirono.

I sarcofagi sono in realtà vuoti e le vere spoglie dei granduchi e dei loro familiari (una cinquantina fra maggiori e minori) fino a Anna Maria Luisa de’ Medici (ultima erede della dinastia, 16671743), sono conservate in semplici ambienti nascosti dietro le mura, nella cripta del Buontalenti.

Da dietro l’altare si accede ad un piccolo vano dove sono esposti altri preziosi reliquiari, alcuni dei quali donati alla città da Leone X.

 

La Sagrestia Nuova

Edificata da Michelangelo a più riprese tra il 1521 ed il 1534, vi si accede da un corridoio dalla Cappella dei Principi, mentre la porta che permette di entrare nella basilica oggi è chiusa.

Commissionata da Papa Leone X e dal cardinale Giulio de’ Medici (futuro Clemente VII), Michelangelo la realizzò partendo dalla stessa pianta della Sacrestia Vecchia del Brunelleschi e divise lo spazio in forme più complesse, con archi trionfali che si aprono su delle specie di absidi. Incassati nelle due pareti laterali realizzò i sepolcri monumentali dedicati a Giuliano Duca di Nemours e suo nipote Lorenzo Duca d’Urbino, per i quali scolpì tre sculture ciascuno: le Allegorie del Tempo, adagiate sopra i sepolcri, e i ritratti soprastanti dei Duchi. Per la tomba di Giuliano de’ Medici, seduto in fiera postura, scelse il Giorno e la Notte; per quella di Lorenzo, in posa malinconica e pensierosa, il Crepuscolo e l’Aurora.

Entrambe le statue guardano verso il centro della cappella dove Michelangelo realizzò e pose una Madonna con Gesù in grembo. Volgendo il loro sguardo alla rappresentazione sacra i duchi esprimono le inclinazioni religiose dell’artista, secondo il quale, quando le glorie terrene passano, solo la spiritualità e la religione riescono a dare sollievo alle inquietudini degli uomini. Completano il corredo le statue dei Santi Cosma e Damiano, di seguaci di Michelangelo.

Sotto l’altare sono sepolti anche Lorenzo il Magnifico e suo fratello Giuliano de’ Medici, per i quali non ci fu mai il tempo per costruire una sepoltura monumentale: nel 1534, infatti, Michelangelo partì definitivamente da Firenze e lasciò l’opera incompiuta.

 

Basilica di San Lorenzo

 

Storia

La Basilica di San Lorenzo nel Codice Rustici (XV secolo)

Fu consacrata nel 393 ed è una delle chiese che si contendono il titolo di più antica della città; per trecento anni ha avuto il ruolo di cattedrale, prima di cedere lo status a Santa Reparata, quando vennero solennemente traslate le spoglie del primo vescovo di Firenze, san Zanobi. Fu ampliata e riconsacrata una prima volta nel 1059, con un capitolo di Canonici nella chiesa che diede impulso alla costruzione di alcuni ambienti come il chiostro a lato della chiesa.

Fu deliberato dai Canonici un nuovo ampliamento all’inizio del XV secolo, ma i lavori procedettero inizialmente molto a rilento. Nel 1418 il priore Matteo Dolfini ottenne dalla Signoria il permesso per abbattere alcune case per ingrandire il transetto della chiesa e il 10 agosto1421 egli celebrò una solenne cerimonia per benedire l’inizio dei lavori. Tra i finanziatori c’era il ricchissimo banchiere Giovanni di Bicci de’ Medici, che abitava nel quartiere, e che fece probabilmente il nome dell’architetto che già stava lavorando alla sua cappella, l’odierna Sagrestia Vecchia, cioè Filippo Brunelleschi. La ricostruzione dell’intera chiesa fu un progetto che dovette maturare in un secondo momento, probabilmente dopo il 1421, quando morì il Dolfini. L’inizio dell’intervento brunelleschiano viene generalmente collocato in quell’anno.

Mentre la sagrestia veniva terminata nel 1428 (e nel 1429 vi si celebrarono le esequie solenni di Giovanni de’ Medici), i lavori alla chiesa erano invece andati poco avanti ed erano pressoché bloccati. Dopo il 1441 si prese l’onere quasi per intero della ricostruzione Cosimo de’ Medici, figlio di Giovanni, ma i progressi continuarono ad essere lenti, segnati da incertezze e interruzioni. In questa seconda fase la direzione dei lavori passò probabilmente a Michelozzo, architetto del vicino palazzo Medici e erede di numerosi cantieri avviati da Brunelleschi, ormai anziano e concentrato su altre opere.

Dal 1457 fu alla direzione del cantiere Antonio Manetti Ciaccheri e nel 1461 venne consacrato l’altare maggiore. Tre anni dopo Cosimo de’ Medici moriva e veniva sepolto in una cripta sotterranea, posta in un pilastro esattamente al di sotto dell’altare centrale.

Da allora San Lorenzo divenne il luogo di sepoltura dei componenti della famiglia Medici, tradizione proseguita, salvo alcune eccezioni, fino ai Granduchi e all’estinzione della casata.

 

La facciata su Piazza San Lorenzo

La facciata della chiesa era rimasta incompiuta: papa Leone X, Medici, dopo un concorso a cui parteciparono grandissimi artisti come Raffaello e Giuliano da Sangallo, dette a Michelangelo il compito di progettarne una nel 1518. L’artista fece un modello ligneo di una facciata classica e proporzionata, ma l’opera non fu ugualmente portata a termine, per problemi tecnici e finanziari insorti già dall’approvvigionamento dei materiali. Sempre Leone X commissionò la Sagrestia Nuova al grande artista, per conservare i sepolcri dei due rampolli di casa Medici, Lorenzo Duca d’Urbino e Giuliano Duca di Nemours, che erano morti entrambi sui trent’anni con grande costernazione del papa che tanto si era adoperato per la loro affermazione. L’opera fu realizzata a più riprese e solo l’offerta di un salvacondotto proposto dai Medici a Michelangelo, reo di aver preso parte alle vicende della Repubblica fiorentina, convinse l’artista a terminare l’opera che altrimenti sarebbe rimasta uno dei tanti “non finiti” michelangioleschi.

Clemente VII, l’altro papa Medici, non mancò pure di arricchire il complesso di San Lorenzo, incaricando Michelangelo di realizzare la Biblioteca Medicea Laurenziana, mentre dentro la chiesa fece costruire il balcone nella controfacciata per l’esposizione delle reliquie.

Il piccolo campanile risale invece al 1740, opera di Ferdinando Ruggieri.

L’ultima della dinastia Anna Maria Ludovica commissionò l’ultima opera importante nella basilica: la decorazione della cupola con la Gloria dei santi fiorentini ad opera del pittore Vincenzo Meucci (1742), una magra compensazione però in confronto alla distruzione degli affreschi di Pontormo nel coro, perpetrata in quegli stessi anni.

Con la soppressione ottocentesca degli enti religiosi, la biblioteca fu separata giuridicamente dal resto del complesso e venne creato il Museo delle Cappelle Medicee. Nel 1907 fu istituita l’Opera Medicea Laurenziana per la gestione e la salvaguardia della basilica.

 

Architettura

La basilica (interno). Si noti, sullo sfondo, il grande Organo Serassi

La chiesa è a croce latina a tre navate, con cappelle lungo il piedicroce e i lati del transetto. All’incrocio dei bracci si trova una cupola. L’impianto, come in altre opere di Brunelleschi, si ispira ad altre opere della tradizione medievale fiorentina, come Santa Croce, Santa Maria Novella o Santa Trinità, ma a partire da questi modelli Brunelleschi prese spunto per qualcosa di più rigoroso, con esiti rivoluzionari. L’innovazione fondamentale sta nell’organizzazione degli spazi lungo l’asse mediano applicando un modulo (sia in pianta che in alzato), corrispondente alla dimensione di una campata quadrata, con la base di 11 braccia fiorentine, lo stesso dello Spedale degli Innocenti (edificato dal 1419). L’uso del modulo regolare, con la conseguente ripetizione ritmica delle membrature architettoniche, definisce una scansione prospettica di grande chiarezza e suggestione. Le due navate laterali sono state definite come lo sviluppo simmetrico del loggiato dello spedale, applicato per la prima volta all’interno di una chiesa: anche qui infatti l’uso della campata quadrata e della volta a vela genera la sensazione di uno spazio scandito come una serie regolare di cubi immaginari sormontati da semisfere. Le pareti laterali sono decorate da paraste che inquadrano gli archi a tutto sesto delle cappelle. Queste ultime però non sono proporzionate al modulo e si pensa che siano una manomissione al progetto originale di Brunelleschi, messa in atto almeno dopo la sua morte (1446). Inoltre la razionalità dell’impianto nel piedicroce non trova un riscontro di analoga lucidità nel transetto, poiché qui probabilmente Brunelleschi dovette adattarsi alle fondazioni già avviate dal Dolfini.

In base a rilievi, studi delle fondazioni, indagini d’archivio e a un disegno di Giuliano da Sangallo dell’inizio del XV secolo si è ricostruito che il progetto originale dovesse prevedere un giro di cappelle a pianta quadrata (invece che rettangolare come sono adesso), con volta a vela e abside sulla parete di fondo, che proseguisse anche in controfacciata e alle testate del transetto e del presbiterio, dove erano previste coppie di cappelle simmetriche su ciascuna estremità.

Nonostante le alterazioni la basilica trasmette ancora un senso di concezione razionale dello spazio, sottolineata dalla membrature architettoniche portanti in pietra serena, che risalta sull’intonaco bianco secondo il più riconoscibile stile brunelleschiano. L’interno è estremamente luminoso, grazie alla serie di finestre ad arco che corre lungo il cleristorio.

Innovativo è il “dado brunelleschiano” composto da colonna, per lo più di ordine corinzio,e di un tratto di trabeazione con fregio a cui si poggia usualmente un arco. Il soffitto della navata centrale è decorato a lacunari, con rosoni dorati su sfondo bianco.

All’architettura interna della chiesa lavorò anche Michelangelo, autore della Tribuna delle reliquie in controfacciata (1531-1532) per Clemente VII.

Sul retro della chiesa (con accesso dal retro su Piazza Madonna degli Aldobrandini) si apre la grandiosa Cappella dei Principi, con la sua grande cupola che a Firenze è la seconda per grandezza dopo quella del Duomo. Luogo di sepoltura dei Granduchi Medicei fu un’impresa grandiosa avviato al tempo di Ferdinando I; i Medici le stavano ancora pagando quando l’ultimo membro, Anna Maria Luisa de’ Medici, morì nel 1743. Nella cripta di Bernardo Buontalenti sono sepolti circa cinquanta membri tra maggiori e minori della famiglia, mentre nella parte superiore, nella grande sala ottagonale sormontata da una cupola, vi sono i cenotafi (tombe vuote) monumentali dei granduchi di Toscana.

 

Il pulpito della Resurrezione di Donatello

  • Donatello: due pulpiti bronzei (nati come semplici pannelli e assemblati in seguito nella forma attuale), sue ultime opere e fra i massimi capolavori dell’arte rinascimentale, furono scolpiti con aiuti di Bertoldo di Giovanni e Bartolomeo Bellano (1460 circa). La tecnica dello stiacciato (bassorilievo con numerosi scorci) con il quale sono state realizzate le scene, tratte dal Nuovo Testamento, raggiunge un’intensa drammaticità compositiva nelle parti autografe di Donatello, in particolare nella Passione e Deposizione, dell’esemplare sinistro. Il pulpito di destra mostra la discesa agli inferi, la resurrezione e l’ascensione di Cristo, in un’unica scena suddivisa da simboliche “porte”, mentre altri episodi isolati sono Le Marie al sepolcro, la Pentecoste e il Martirio di San Lorenzo. Sempre di Donatello è il Sarcofago della famiglia Martelli (1455 circa), che simula una grande cesta di vimini e si trova nella cappella tra il transetto sinistro e la navata. Magistrale è la lavorazione del marmo, che esalta le rotondità e la sinuosità dell’intreccio.
  • Antonio del Pollaiolo: crocifisso ligneo nella cappella del transetto destro.
  • Filippo Lippi: pala d’altare dell’Annunciazione Martelli nella cappella del transetto sinistro, finanziato dalla famiglia Martelli che lì aveva una cappella (1450 circa). Affascinanti sono gli elementi complementari alla scena che catturano l’occhio dello spettatore, come la struttura architettonica, l’ampolla di vetro trasparente, in realtà un simbolo del concepimento divino.
  • Andrea Verrocchio: Tomba di Giovanni e Piero de’ Medici, marmo bronzo e pietra serena, intercapedine tra il transetto sinistro e la Sagrestia Vecchia (14691472)
  • Raffaellino del Garbo: Natività coi Santi Giuliano e Francesco, pala d’altare nel braccio sinistro del transetto.
  • Domenico Ghirlandaio (bottega): Sant’Antonio abate in trono fra i Santi Lorenzo e Giuliano, pala d’altare, transetto sinistro.
  • Pontormo: affreschi nel coro. Ritenuti da molti storici dell’arte come il presunto capolavoro di Pontormo, sono andati completamente distrutti nella demolizione dell’abside per far spazio alla Cappella dei Principi.
  • Rosso Fiorentino: Sposalizio della Vergine in una delle cappelle della navata destra (1523). Capolavoro del manierismo toscano, presenta Maria e Giuseppe come due giovani attori in una gioiosa festa popolata da vari invitati. Tipico del Rosso è l’anticonvenzionalità sia nella composizione che nella stesura del colore particolarmente vivace.
  • Giovan Antonio Sogliani:Crocefissione di Sant’Acazio e dei suoi compagni, pala in stile manierista in una cappella della navata sinistra.
  • Mario Balassi: San Francesco riceve le Stigmate, in una cappella nel transetto sinistro.

La cantoria per l’organo venne già attribuita all’inizio del Novecento a Donatello, per le innegabili affinità con quella di Santa Maria del Fiore, di cui riprende lo schema architettonico e il fregio posto dietro a colonnine libere. In seguito la critica l’ha assegnata a maestranze di bottega, per la minore eleganza e libertà compositiva dei rilievi. Dovrebbe risalire agli anni 1460.

 

La Sagrestia Vecchia

Capolavoro del Quattrocento, fu la prima parte di San Lorenzo ad essere completata dal Brunelleschi, su incarico dei Medici che desideravano realizzarvi il proprio mausoleo (14211428). La cappella, dedicata a San Giovanni Evangelista, è strutturata come uno spazio cubico, coperto da cupola emisferica a ombrello, ed è divisa in 12 spicchi da costoloni. Brunelleschi si trovò nella condizione di dover risolvere il rapporto fra spazi strutturalmente analoghi. Egli accostò due vani a base quadrata, ma di diversa altezza: la sacrestia vera e propria e la piccola scarsella dell’altare. Il gioco coloristico della pietra grigia e dell’intonaco è ulteriormente esaltato dalla presenza degli stucchi dipinti: il fregio con i Cherubini e serafini, i tondi degli Evangelisti nelle pareti e quelli con le Storie di San Giovanni Evangelista nei pennacchi della cupola, opere di Donatello, autore anche dei battenti delle porte bronzee, con i Santi, Martiri, Apostoli e Padri della Chiesa. Il violento cromatismo e lo sperimentalismo esasperato delle opere di Donatello, anch’egli un protetto dei Medici, originarono un forte dissidio tra lo scultore ed il Brunelleschi, che lo accusò di voler distogliere l’attenzione dalle proporzioni architettoniche della cappella. Il dissidio fra due artisti, che erano stati una coppia affiatatissima per anni, portò poi all’esclusione di Donatello dalla decorazione di altre opere brunelleschiane come, ad esempio, la cappella dei Pazzi.

Gli affreschi della volta della cupola nell’abside raffigurano la situazione cosmologica del Sole e delle costellazioni, come appariva su Firenze la notte del 4 luglio del 1442. Si suppone che la volta celeste sia stata dipinta dall’eclettico pittore-decoratore Giuliano d’Arrigo, detto Pesello. Opera autografa del Verrocchio è il monumento funebre a Giovanni(1421-1463) e Piero de’ Medici, figli di Cosimo il Vecchio, commissionati nel 1472 dai figli dello stesso Piero, Lorenzo il Magnifico e Giuliano de’ Medici.

 

 

Il Chiostro dei Canonici

 

Progettato da Brunelleschi, ma realizzato dopo la morte del maestro (1446) tra il 1457 e il 1460 dal suo allievo Antonio Manetti, è il chiostro principale del complesso. Presenta un doppio loggiato, con arcate a tutto sesto nel piano inferiore e architravato nel piano superiore, e vi si accede dal lato sinistro della facciata. Vi erano anticamente collocate le abitazioni dei canonici e i vari ambienti della vita monastica.

Sulla parete destra del portico d’ingresso è presente una Madonna con Bambino in stucco, opera di Desiderio da Settignano, con una cornice in terracotta invetriata (1513), oggi difficilmente ammirabile per il vetro protettivo sporco e l’altezza del posizionamento. Sullo stesso lato si trovano numerose lapidi fra le quali è interessante quella apposta per desiderio di Anna Maria Ludovica de’ Medici al fine di ricordare i lavori di consolidamento del complesso nel 1742. Nell’angolo destro verso il transetto della basilica si accede alla Biblioteca Medicea Laurenziana, progettata da Michelangelo, mentre a fianco del portone si trova la statua marmorea del comensePaolo Giovio, vescovo di Nocera eseguita da Francesco da Sangallo (opera firmata, 1560). Da qui si accede anche alla cripta, ristrutturata dal Buontalenti, che conserva le tombe di Cosimo il Vecchio e Donatello. Più avanti, una porta con timpano conduce alla Cappella del Capitolo dei Canonici, con stalli lignei intagliati nel tardo Quattrocento.

 

Basilica di Santa Croce

 

La basilica di Santa Croce, nell’omonima piazza a Firenze, è una delle più grandi chiese officiate dai francescani e una delle massime realizzazioni del gotico in Italia. È nota come Tempio dell’Itale glorie per le numerose sepolture di sommi artisti, letterati e scienziati che racchiude. La definizione risale al carme Dei Sepolcri di Ugo Foscolo in un passo in cui l’autore definisce Firenze:

 

ma più beata che in un tempio accolte serbi l’itale glorie,

 (Ugo FoscoloDei Sepolcri, vv.123 e seg.)

 

Santa Croce è un simbolo prestigioso di Firenze, il luogo di incontro dei più grandi artisti, teologi, religiosi, letterati, umanisti e politici, che determinarono, nella buona e cattiva sorte, l’identità della città tardo-medievale e rinascimentale. Al suo interno trovarono inoltre ospitalità celebri personaggi della storia della Chiesa come san Bonaventura, Pietro di Giovanni Olivi, sant’Antonio da Padova, san Bernardino da Siena, san Ludovico d’Angiò. Fu anche luogo d’accoglienza per pontefici come Sisto IV, Eugenio IV, Leone X, Clemente XIV.

Nei suoi archivi sono custodite testimonianze che ci tramandano la costruzione quotidiana, nel corso dei secoli, di un grande progetto architettonico, artistico e di fede.

Storia

 

La grandiosa basilica è probabilmente opera di Arnolfo di Cambio, che vi avrebbe lavorato a partire dal 12941295, anche se non abbiamo documenti scritti che lo confermino. La critica però ha confermato ormai l’attribuzione tradizionale, sia per l’elevato livello qualitativo del complesso, sia per le analogie con altre opere del grande architetto. Fu edificata a spese della popolazione della Repubblica fiorentina e sorse su una precedente piccola chiesetta che i francescani avevano costruito in seguito al loro arrivo in città nel 1252, in un luogo ancora fuori dalle mura, a pochi anni dalla morte di san Francesco d’Assisi. I resti dell’antico edificio sono stati localizzati nel 1966, a seguito del cedimento del pavimento della basilica dopo l’alluvione. Alla morte di Arnolfo nel 1302 doveva essere completata la parte del coro e del transetto, con le cappelle. La chiesa venne terminata circa 90 anni dopo, attorno al 1385, ma fu consacrata solo nel 1443 in occasione della presenza in città di papa Eugenio IV.

 

La basilica ha continuato ad essere arricchita e modificata nei sette secoli dalla sua fondazione, acquisendo sempre nuovi connotati simbolici: da chiesa francescana a “municipio” religioso per le grandi famiglie e le corporazioni, da laboratorio e bottega artistica a centro teologico, da “pantheon” delle glorie italiane a luogo di riferimento della storia politica dell’Italia pre e post-unitaria. Alcune trasformazioni infatti furono conseguenza di precise vicissitudini storiche e politiche, come le trasformazioni compiute dal Vasari alla metà del XVI secolo (causate anche dai restauri dopo una disastrosa alluvione) o l’impegno profuso nell’Ottocento per trasformare Santa Croce nel grande mausoleo della storia italiana.

Nel 1966 l’alluvione di Firenze inflisse gravissimi danni al complesso della basilica e del convento, situati nella parte più bassa di Firenze, tanto da diventare tristemente nota come simbolo delle perdite artistiche subite dalla città (soprattutto con la distruzione del Crocifisso di Cimabue), ma anche della sua rinascita dal fango, attraverso la capillare opera di restauro e di conservazione.

 

La facciata

La basilica è rialzata dal suolo di otto gradini.

Originariamente la facciata era incompiuta, come in molte basiliche fiorentine. La parete di pietraforte a vista assomigliava molto a quello che ancora si vede a San Lorenzo, sebbene di forma e proporzioni diverse. Nel Quattrocento, la famiglia Quaratesi si era fatta avanti per finanziare la realizzazione della facciata affidandola a Simone del Pollaiolo detto Il Cronaca. La condizione era però che lo stemma dei Quaratesi apparisse bene in vista al centro del fronte principale, ma scoraggiò i frati francescani dall’accettare la proposta, e la ricca famiglia decise così di dedicarsi all’abbellimento di un’altra chiesa francescana, San Salvatore al Monte.

L’aspetto della vecchia facciata incompiuta ci è testimoniato da stampe, dipinti e foto d’epoca: oltre allo stemma di Cristo sopra il rosone (posto nel 1437 durante una grave pestilenza), in una nicchia al centro del semplice portale centrale, come unica decorazione, si trovava la statua di bronzo dorato di San Ludovico di Tolosa di Donatello, già in una nicchia di Orsanmichele, che oggi si può ammirare nel refettorio del convento.

La facciata odierna fu realizzata tra il 1853 e il 1863 ad opera dell’architetto Niccolò Matas, che si ispirò alle grandi cattedrali gotiche come il duomo di Siena e il duomo di Orvieto, rivisti alla luce della sua epoca. Il risultato finale venne aspramente criticato, ed è tutt’oggi controverso per il suo artificioso stile neogotico; tuttavia alcuni studiosi ne evidenziano la semplicità e il carattere umile a confronto con il successivo progetto di Emilio De Fabris per la facciata di Santa Maria del Fiore.[1] Si trattò tutto sommato di un cantiere che non provocò perdite di antichi manufatti e che coronò grandiosamente la piazza, alimentando il mito di Santa Croce in Italia e all’estero. Il cantiere fu finanziato in larga parte dal facoltoso protestante inglese Sir Francis Joseph Sloane. La stella di Davide inserita nel timpano della facciata, pur non sconosciuta come simbolo cristiano, viene generalmente intesa come un’allusione alla fede religiosa ebraica dell’architetto Matas.

Tra le opere d’arte che appaiono sulla facciata spiccano le tre lunette dei portali, che ricordano la leggenda della Vera Croce, alla quale la chiesa è dedicata: da sinistra sono il Ritrovamento della Croce di Tito Sarrocchi, il Trionfo della Croce di Giovanni Duprè e la Visione di Costantino di Emilio Zocchi.

Il portale centrale ha le porte bronzee che fino al 1903 erano sul Duomo. Davanti al portale si trova la sepoltura di Matas.

 

Navata laterale

L’interno di Santa Croce è apparentemente semplice e altamente monumentale al tempo stesso, con tre navate divise da due file di grandi pilastri a base ottagonale. L’interno, ampio e solenne, ha una forma di croce “egizia” (o commissa) cioè a “T”, tipico di altre grandi chiese conventuali, con un transetto particolarmente esteso (73,74 m) che taglia la chiesa all’altezza dell’abside poligonale. Anticamente il transetto, dalla quinta campata in poi, era destinato ai soli presbiteri, con un tramezzo che separava questa area da quella per i fedeli e che venne rimosso, come in moltissime altre chiese, dopo le disposizioni del Concilio di Trento. Se ne occupò Giorgio Vasari nel 1566, quando predispose su incarico di Cosimo I un ampio progetto di ammodernamento per applicare le direttive della Controriforma. andò così distrutto anche il coro davanti alle pareti e molti affreschi trecenteschi sulle pareti della navata vennero scialbati (come quelli di Andrea Orcagna, dei quali sono stati trovati frammenti oggi esposti nel Museo della basilica), sostituiti da grandi altari laterali di forma classicheggiante.

La grandiosa navata centrale (115,43 x 38,23 m) segna una tappa fondamentale nel percorso artistico e ingegneristico che condurrà alla navata di Santa Maria del Fiore. I muri sottilissimi, sostenuti da archi a sesto acuto su pilastriottagonali, richiamano le basiliche paleocristiane di Roma dove Arnolfo lavorò a lungo, ma la scala è infinitamente più grande e i problemi strutturali costituirono una vera e propria sfida alle capacità tecniche del tempo. La risoluzione di questi problemi costituì un precedente importante per la grande sfida della costruzione del corpo basilicale della cattedrale cittadina.

In particolare il ballatoio che corona le arcate e cinge la navata centrale non è solo un espediente stilistico per accentuare l’andamento orizzontale della costruzione e frenare il goticismo allora poco gradito a Firenze, ma costituisce un legamento strutturale per tenere assieme le esili membrature e i vasti specchi murari.

Il soffitto a capriate, ingannevolmente “francescano”, richiese un complicato congegno strutturale data l’enorme luce libera e il peso che rischiava di soverchiare le sottili murature.

Arnolfo, rispettando in qualche modo lo spirito francescano, disegnò una chiesa con una pianta volutamente spoglia, con ampie aperture destinate all’illuminazione delle pareti sulle quali, come già in altre chiese francescane prima fra tutte quella di Assisi, dovevano essere affrescati grandi cicli figurativi destinati a narrare al popolo analfabeta le Sacre scritture (la cosiddetta Bibbia dei Poveri). Ma la grande chiesa, costruita con i contributi delle principali famiglie fiorentine, non dispone delle consuete tre cappelle al capocroce, ma ne allinea ben undici, più altre cinque dislocate alle estremità del transetto. Queste cappelle erano destinate alle sepolture dei donatori e ricevettero ricchissime decorazioni murali per mano dei maggiori maestri dell’epoca.

Cappelle di destra

 

Morte di San Francesco, Giotto, Cappella Bardi

 

Ascensione di San Giovanni, Giotto, Cappella Peruzzi

La Cappella Peruzzi e la Cappella Bardi,  sono entrambe decorate da Giotto tra il 1320 e il 1325. Nella prima sono raffigurate le Storie di San Giovanni Battista e quelle di San Giovanni Evangelista, mentre in quella Bardi le Storie di san Francesco. Entrambi i cicli di affreschi furono eseguiti in tarda età dal maestro rinnovatore dell’arte occidentale e rappresentano una summa della sua opera pittorica e un testamento artistico, che molto influenzerà le generazione successiva dei pittori fiorentini (per esempio Domenico Ghirlandaio 150 anni dopo si rifece ancora agli schemi della Cappella Bardi per creare le scene francescane della Cappella Sassetti in Santa Trinita). I particolari che rivelano la mano del maestro sono la straordinaria spazialità, resa con grande padronanza della disposizione delle figure nella scena e la resa drammatica della narrazione sottolineata dall’espressività dei personaggi. Per esempio nella scena della Morte di San Francesco i confratelli del Santo si disperano davanti alla salma distesa, con gesti ed espressioni incredibilmente realistici.

 

Santa Croce come pantheon degli artisti

Le navate sono rischiarate da numerose vetrate, spesso risalenti al Tre e Quattrocento.

La basilica custodisce innumerevoli tombe. Solo sul pavimento sono disseminate 276 lastre di marmo con rilievi e stemmi intarsiati e molti monumenti funebri si trovano sulle pareti tra gli altari vasariani (molte di uomini illustri), nonostante uno sfoltimento avvenuto all’inizio degli anni sessanta, che rimosse gran parte delle tombe aristocratiche ottocentesche, oggi sistemate in un corridoio sotto la loggetta del Chiostro Grande.

Sebbene la basilica fosse stata usata come luogo di sepoltura di molti personaggi illustri, al pari di molte altre chiese, è solo nell’Ottocento che diventò un vero e proprio pantheon di personaggi celebri legati all’arte, alla musica e alla letteratura. Nel 1871 infatti veniva qui sepolto con una affollatissima cerimonia pubblica Ugo Foscolo, morto nel 1827 a Turnham Green, secondo il suo stesso desiderio di essere sepolto accanto ad altri grandi personaggi toscani come Michelangelo e Galileo. Dopo questo episodio iniziarono ad arrivare altre salme di celebrità decedute anche molti anni prima, come Gioachino Rossini nel 1887, Leon Battista Alberti, Vittorio Alfieri, eccetera, per i quali i migliori scultori dell’epoca realizzarono i monumenti che ancora si allineano nella navata. Anche per Dante fu approntato un grande sepolcro, ma la città di Ravenna si rifiutò strenuamente di consegnare le spoglie del poeta morto in esilio.

Santa Croce arrivò ad ospitare quindicimila salme, con una grande mole di richieste da tutta Italia dopo che la sua fama di custode delle Urne de’ forti si era diffusa. Ciascuna richiesta era esaminata da un’apposita commissione e approvata dal Granduca in persona, il quale stabiliva anche l’entità dell’elargizione di volta in volta.

La tomba più famosa è forse quella di Michelangelo Buonarroti, tra il primo e il secondo altare della navata destra, progettata dal Vasari dopo che le spoglie del grande artista arrivarono a Firenze da Roma (1564). Sopra al sepolcro tre sculture rappresentano le personificazioni della Pittura (di Battista Lorenzi, autore anche del busto dell’artista), della Scultura (di Valerio Cioli) e dell’Architettura (di Giovanni dell’Opera), rattristate per la scomparsa del grande maestro, ma tutto l’insieme del sepolcro è una commistione di pittura, scultura ed architettura. Gli affreschi che lo decorano sono di Giovan Battista Naldini.

Davanti a Michelangelo, sul pilastro, è collocata la scultura della Madonna del Latte di Antonio Rossellino (1478) collocata sopra la tomba di Francesco Nori, morto per salvare la vita di Lorenzo il Magnifico durante la cosiddetta congiura dei Pazzi.

Proseguendo nella navata destra si incontra prima il cenotafio di Dante, smisurato monumento del 1829; piangono il poeta le figure dell’Italia e della Poesia. Dopo il terzo altare si trova il monumento funebre a Vittorio Alfieri di Antonio Canova (1810), con una personificazione dell’Italia piangente appoggiata a un sarcofago classicheggiante con protomi e ghirlande, e un sobrio ornato con il medaglione col profilo del defunto, corone e lire allegoriche.

A fianco dell’altare seguente, il quarto, il monumento a Niccolò Machiavelli di Innocenzo Spinazzi (1787), una delle migliori opere del neoclassico fiorentino con la celebre iscrizione TANTO NOMINI NULLUM PAR ELOGIUM. Particolarmente elegante è l’urna e la figura della Politica, col delicato panneggio e una testa “alla greca”.

La Cappella Brancacci

La cappella della chiesa del Carmine a Firenze, decorata con un famoso ciclo di affreschi eseguito da Masaccio e Masolino da Panicale.

L’impresa pittorica venne commissionata intorno al 1424 da Felice Brancacci, ricco mercante di stoffe e console del mare, nonché futuro genero di Palla Strozzi. I due artisti vi lavorarono sino al 1427, seppur non continuativamente (Masolino sospese la sua collaborazione tra il 1425 e il 1427; Masaccio forse mancò per alcuni periodi nel 1425, per impegni a Pisa). I lavori inoltre non furono terminati; fu Filippino Lippi, tra il 1481 e il 1485, a integrare le parti mancanti. La decorazione della volta e delle lunette andò perduta durante interventi di rifacimento tra 1746 e 1748, e in seguito a un incendio scoppiato nel 1781.

La Cacciata dal Paradiso di Masaccio fa parte del ciclo di affreschi realizzati dall’artista in collaborazione con Masolino da Panicale per la Cappella Brancacci in Santa Maria del Carmine, a Firenze (1424-1427 ca.). Straordinariamente innovativo per il tempo fu il trattamento pittorico della luce messo in atto da Masaccio, che utilizzò il chiaroscuro per definire con efficacia i volumi corporei.

Il programma iconografico del ciclo, finalizzato all’esaltazione del ruolo della Chiesa nel piano di redenzione approntato da Dio, è incentrato sul racconto della vita e dei miracoli di san Pietro, cui sono significativamente premessi i due affreschi del Peccato originale e della Cacciata dal Paradiso. Le scene sono inserite entro un porticato dipinto, di forme classiche; la narrazione si svolge dall’alto verso il basso, alternando gli episodi della parete destra con quelli della parete sinistra.

Masaccio e Masolino concordarono le soluzioni compositive, per evitare profondi scarti stilistici e agevolare la lettura degli affreschi; nonostante ciò appare manifesta la distanza culturale che separò i due soci. Masaccio, sulla scorta dell’insegnamento di Brunelleschi e Donatello, perviene infatti a un linguaggio vigoroso e radicalmente nuovo, pienamente rinascimentale, che recide ogni legame con la tradizione tardogotica: basti considerare l’evidenza plastica delle figure, la rigorosa applicazione della prospettiva, la calda partecipazione al dramma umano. Nelle scene di Masolino, al contrario, le architetture sono fragile cornice a un mondo ancora fondato su valori cortesi di eleganza e preziosità, come testimonia il noto particolare, nella Resurrezione di Tabita, dei due giovani vestiti all’ultimo grido della moda fiorentina.

 

Orsanmichele

Orsanmichele è una delle più importanti architetture fiorentine del trecento frutto di numerose ristrutturazioni e vicende funzionali.
Nel luogo dove fino al secolo XII si trovava l’oratorio a S. Michele in Orto nel 1290
Arnolfo di Cambio eresse una loggia che era destinata al commercio del grano. Questa bruciò nel 1304 e nel 1337 Francesco Talenti dette il via ad un progetto nuovo per ricostruire una loggia-mercato ancora più grande; la costruzione terminò nell’anno 1404 ed il vecchio edificio venne innalzato di 2 piani.
Alla fine del quindicesimo secolo il mercato venne spostato e l’edificio del Talenti venne trasformato in chiesa che mantenne così quella forma insolita per gli edifici religiosi con pianta rettangolare. L’edificio venne terminato, dopo un lungo periodo di interruzione nei lavori, fra il 1380 e il 1404. Costituisce ancora oggi un esempio unico di adesione ai modi più ornati e decorativi dell’architettura tardo-gotica europea, voluto dalla Signoria come “templum in statura et forma palatii” al posto della vecchia loggia del Mercato del Grano, sul principale asse viario che congiunge Piazza del
Duomo con Piazza della Signoria. L’edificio presenta una singolare struttura a due piani: quello superiore fu adibito a magazzino del grano, quello inferiore, dopo il tamponamento delle arcate del loggiato con grandi trifore ad archi intrecciati, divenne una chiesa dedicata alla Vergine. All’esterno, sui pilastri del piano terra, fra le trifore, si approntarono delle nicchie, destinate, per volontà della Signoria, ad accogliere le statue dei Santi protettori delle varie corporazioni delle Arti, protagoniste della prosperità economica della città, i cui stemmi appaiono variamente disposti nelle nicchie. Il complesso decorativo, che coinvolse i massimi artisti operosi a Firenze, dispiega un panorama ricchissimo della scultura fiorentina, dai primi del Quattrocento agli inizi del Seicento.
Tabernacoli della Chiesa di Orsanmichele
Da sinistra a destra:
Tabernacolo dell’Arte del Cambio, realizzato su disegno di Lorenzo
Ghiberti (primi anni del XV secolo) con statua in bronzo di S. Matteo (1419-22) sempre del Ghiberti; in alto l’Arcangelo Gabriele e l’Annunciata, statuette attribuite a Pietro di Niccolò Lamberti (1419). Tabernacolo dell’Arte della Lana (metà XV sec.), con statua in bronzo di S. Stefano realizzata da Lorenzo Ghiberti nel 1428 che rappresenta la quarta e ultima scultura realizzata con tale materiale nella prima metà del Quattrocento.
Tabernacolo dell’Arte dei Fabbri (o Maniscalchi) con statua in marmo raffigurante S. Eligio realizzata da Nanni di Banco nel 1408 ca. (negli stessi anni, o immediatamente prima, della realizzazione da parte dell’artista della figura seduta di S. Luca per la facciata del Duomo, ora nel Museo dell’Opera del Duomo); ai piedi della scultura si trova un bassorilievo raffigurante un miracolo del Santo, realizzato dallo stesso autore.
A sinistra: Tabernacolo dell’Arte dei Medici e degli Speziali, attribuito a Simone di Francesco Talenti (1399, uno degli architetti che contribuì alla realizzazione dell’edificio). Nella nicchia si trovava il gruppo in marmo con la Madonna della Rosa, variamente attribuito a: Simone Ferrucci, a Giovanni d’Ambrogio, a Niccolò di Piero Lamberti, datato intorno ai primi del Quattrocento (attualmente in restauro), e al di sopra medaglione in ceramica di Luca della Robbia. Tabernacolo dell’Arte della Seta (metà XVI sec.) con statua in bronzo di S. Giovanni Evangelista di Baccio da Montelupo (1515), in sostituzione di un’altra nello stile di Andrea Orcagna, ora al Museo dello
Spedale degli Innocenti; al di sopra medaglione di Andrea della Robbia. Originariamente loggia-mercato del grano. I tabernacoli a decorazione dei quattro lati, già sotto la sovrintendenza delle varie corporazioni medievali, racchiudono celebri statue (perlopiù sostituite da repliche) fra le quali spicca il ‘S. Giorgio’ di Donatello. L’interno conserva il tabernacolo dell’Orcagna (1355), gioiello dell’arte gotica

 

Santa Maria Novella

La Chiesa di Santa Maria Novella era il centro dell’ordine domenicano a Firenze. La chiesa conserva uno stile romanico all’esterno con i marmi bianchi e verdi con disegni geometrici ed uno stile gotico al suo interno.
La sua costruzione fu iniziata nel 1246 e completata nella prima metà del 1300 da Jacopo
Talenti: la bellissima facciata fu ripresa nella metà del XV secolo da Leon Battista Alberti.
All’interno, nella sacrestia, è possibile ammirare la croce dipinta da Giotto per il convento domenicano di Santa Maria Novella. La decorazione interna è stata curata dai maggiori artisti del XIV secolo. La cura e la bellezza dei suoi ornamenti può essere riassunta con il nome di
Michelangelo il quale chiamava la chiesa di Santa Maria Novella ‘La mia sposa’. All’interno è presente il chiostro e sul lato settentrionale il Convento (Convento di Santa Maria Novella).
La Facciata
Ricostruita su una preesistente, la facciata di S. Maria Novella che oggi noi vediamo è stata progettata nel 1456 da Leon Battista Alberti su commissione del mercante Bernardo Ruccellai. Egli era un ricco signore fiorentino e presentò il progetto all’ Alberti per esaltare la propria
famiglia e salvarsi dalla grazia divina, infatti fece incidere il nome del padre sulla facciata.
Rispetto alla facciata del tempio Malatestiano, creata ex novo, l’intervento a S. Maria Novella era più complesso,poiché andavano mantenuti elementi preesistenti: in basso le tombe inquadrate da archi a sesto acuto e i portali laterali; superiormente era già stabilita la quota di apertura del rosone. In basso, Alberti inserì al centro un portale classico, e pose una serie di archetti a tutto sesto a conclusione delle lunghe paraste addossate alla facciata; proseguì superiormente con un secondo ordine di paraste a sostegno di un frontone triangolare. Il problema era quello di legare le due parti, l’inferiore e la superiore, perché la prima risultava essere una commistione gotico-rinascimentale; adottò allora un altissimo attico liscio come cerniera che al contempo univa e separava le due parti e mascherava le eventuali contraddizioni (per es. il fatto che le lesene esterne della parte superiore non hanno corrispondenza in quella inferiore) e completò la composizione con incrostazioni a tarsia ispirate al proromantico fiorentino, come nella facciata della
chiesa di San Miniato, che fusero ancor più le parti tra loro. Due eleganti volute colmavano gli angoli d’ incontro dell’attico e dell’ordine superiore, mascherando gli spioventi del tetto. Ne risultò un’opera piena di armonia. Vi è infatti un gioco nascosto di proporzioni che razionalizzano l’insieme e anche se la decorazione a tarsie contraddice tale intelaiatura armonica, essa non inficia il risultato finale, anzi evita che una eccessiva regolarità possa dar luogo a un risultato monotono.
Il segreto della bellezza e dell’armonia nella facciata di Santa Maria Novella è rivelata dalla sottile rete di rapporti modulari che lega le parti tra loro e queste all’insieme. La facciata s’inscrive perfettamente in un quadrato avente un lato coincidente con la linea di base della chiesa. Dividendo in quattro tale forma di base si ottengono quattro quadrati minori equivalenti alle pareti fondamentali della facciata: due di essi, accostati, inquadrano la zona inferiore; in uno di essi si inscrive perfettamente l’ordine superiore. Aggiungiamo ancora che spartendo in quattro i quadrati minori si ottengono quadrilateri ancora più piccoli (1/16 del quadrato di partenza) che, a loro volta, determinano altre
misure dell’edificio, per esempio quelle delle volute laterali dell’ordine superiore.
Passando poi a esaminare altre parti della costruzione si possono stabilire ulteriori relazioni. Se analizziamo nel piano superiore la misura del rosone rispetto a quella dei tondi a intarsio che ornano il timpano e le volute laterali, vediamo che il diametro del tondo inscritto nel timpano corrisponde alla metà di quella del rosone sommato alla sua cornice. E ancora: la campata del portale è di altezza pari a una volta e mezzo la sua larghezza (segue dunque un rapporto di 2/3).
I lati dei quadrati intarsiati sulla fascia-cerniera che separa gli ordini inferiore e superiore misurano un terzo dell’altezza della fascia stessa e corrispondono al doppio del diametro delle colonne che sostengono l’ordine inferiore. Si potrebbe proseguire in questo tipo d’analisi e si scoprirebbero così altri rapporti e corrispondenze, che permettono di concludere, con le parole dello storico dell’architettura Franco Borsi, secondo cui ‘l’esigenza teorica dell’Alberti di mantenere in tutto l’edificio la medesima proporzione, è qui stata osservata; ed è appunto la stretta applicazione di una serie continua di rapporti che denuncia il carattere non medievale di questa facciata., e ne fa il primo grande esempio di architettura del
Rinascimento‘.
All’ interno si trovano capolavori come “La Trinità” di
Masaccio, i celebri ‘crocifissi’ di Giotto e di Brunelleschi e, nel transetto, i vivaci cicli pittorici rinascimentali del Ghirlandaio e di Filippino Lippi

 

Ponte Vecchio

Costruito vicino ad un attraversamento di epoca romana, il Ponte Vecchio fu fino al 1218 l’unico ponte che attraversava l’ Arno a Firenze. Il ponte, come lo si vede attualmente, fu costruto nel 1345 dopo che una violenta alluvione aveva distrutto il precedente.
Durante la Seconda Guerra Mondiale le truppe tedesche distrussero tutti i ponti di Firenze, eccetto questo. Tuttavia bloccarono l’accesso al ponte distruggendo le due costruzioni medievali ai suoi lati.

Il 4 Novembre 1966 il Ponte Vecchio sopportò miracolosamente l’ enorme ondata di acqua dell’ Arno in piena, che ruppe i propri argini causando l’ alluvione di Firenze.

Sopra Ponte Vecchio si può vedere una parte del bellissimo Corridoio Vasariano. Questo corridoio, costruito nel 1565 da Giorgio Vasari, passa appena sopra i negozi di orafi che attualmente si trovano ai lati del ponte. Commissionato dai Medici, permetteva loro di spostarsi da Palazzo Vecchio a Palazzo Pitti senza dover attraversare le strade di Firenze, in tutta sicurezza. Al tempo della costruzione del Corridoio, sul Ponte Vecchio erano riunite le botteghe dei macellai, che probabilmente con la loro attività disturbavano il passaggio dei Medici, che nel 1593 le fecero spostare, sostituendole con le più “decorose” botteghe orafe.

Nel 1901 fu inaugurato sul Ponte un busto di Benvenuto Cellini, famoso orafo del XVI secolo, in occasione del quarto centenario della sua nascita.

Chi visita Firenze non può perdersi una passeggiata serale su Ponte Vecchio. Di notte infatti, quando le porte in legno delle botteghe si chiudono facendole sembrare quasi dei forzieri, l’ atmosfera sul Ponte diventa ancora più suggestiva e romantica.

 

Galleria degli Uffizi

La Galleria degli Uffizi nacque nel 1581 per volontà del Granduca Francesco I de’ Medici, figlio di Cosimo I, su disegno di Giorgio Vasari, uno dei massimi esponenti dell’arte Cinquecentesca e del quale questo progetto fu il maggiore capolavoro. Gli Uffizi, come fa intuire la parola stessa, erano sorti per accogliere la sede burocratica delle varie magistrature, in un unico luogo, adiacente al Palazzo della Signoria ed esteso fino al fiume Arno. Il corpo architettonico a forma di U, tra i più splendidi esempi di architettura rinascimentale, fu costruito rapidamente nonostante molte difficoltà; dal 1560 infatti, anno di inizio dei lavori, in soli cinque anni venne costruita la parte più ingente del lavoro e già nel 1565, in occasione delle nozze tra Francesco I e Giovanna d’Austria, vide la luce anche il famosissimo Corridoio, detto Vasariano, che congiungeva e che congiunge tuttora la Galleria con Palazzo Pitti (un tempo reggia dei Medici), passando lungo il fiume Arno e sopra il Ponte Vecchio.

In realtà quindi la Galleria era nata con uno scopo ben diverso da quello che risultò poi avere già pochi anni dopo la sua costruzione e la prima testimonianza dell’utilizzo di questi nuovi ambienti come esposizione di opere d’arte si ebbe nel 1581. Dal 1584 sorse, ad opera del Buontalenti (architetto successore di Vasari), la sfarzosa Tribuna Ottagonale con il suo particolarissimo significato cosmologico: al culmine si trova una banderuola esterna collegata ad una lancetta interna che allude all’Aria; la cupola incrostata di madreperle alla Volta celeste e all’Acqua; la tappezzeria rossa al Fuoco, mentre gli altri elementi richiamano Firenze ed i Medici. Al centro della sala è poi conservato uno splendido tavolo ottagonale e nell’allestimento attuale si è cercato di mantenere l’immagine che l’ambiente aveva nel 1589, tanto che vi sono esposti molti quadri che trovarono posto nella Tribuna fin dalla sua nascita. Nelle sale adiacenti a questa un tempo si conservavano strumenti scientifici, trovava posto l’Armeria, ed al termine del primo corridoio vi era il “Gabinetto delle Madame” –oggi Gabinetto delle miniature- dove la Granduchessa conservava le sue gioie e piccoli oggetti d’arte.

Queste appena descritte erano le sale museali più antiche e varie nel contenuto. Dall’altro lato dell’edificio si trovavano invece i laboratori di arti minori, la Fonderia (o farmacia), dove si distillavano medicine, profumi e talvolta veleni, mentre al termine del corridoio, sopra la Loggia dei Lanzi era stato creato un giardino pensile. La straordinaria ricchezza che la Galleria ebbe fin dalle sue origini portava il godimento dell’arte, che nella città di Firenze era sempre stato di dominio pubblico, ad una dimensione privata, o almeno ad una molto ristretta, e ciò fu giustificato dai Medici come una necessità dettata dalla volontà di conservazione delle opere. Con oltre 1,5 milioni di visitatori ogni anno, la Galleria degli Uffizi di Firenze è museo più visitato d’Italia. Infatti sono pochi i giorni dell’anno in cui non si vedono code chilometriche all’ingresso del museo. Gli Uffizi contano una collezione immensa di opere d’arte, di cui solo una parte è esposta permanentemente. La collezione oggi esposta conta oltre 2200 opere e altrettante sono conservate nei magazzini.

Per visitare gli Uffizi approfonditamente ci possono volere giorni. Anche perché dopo 2 o 3 ore all’interno della galleria si viene sopraffatti da tanta bellezza e tanta cultura.

 

  • ·         Sala 1 – archeologica Vestibolo
  • ·         Sala 2 – del Duecento e di Giotto
  • ·         Sala 3 – del Trecento senese
  • ·         Sala 4 – del Trecento Fiorentino
  • ·         Sala 5 6 – del Gotico Internazionale
  • ·         Sala 7 – del Primo Rinascimento
  • ·         Sala 8 – dei Lippi
  • ·         Sala 9 – dei Pollaiolo
  • ·         Sala 10 14 – del Botticelli
  • ·         Sala 15 – di Leonardo
  • ·         Sala 16 – delle carte geografiche
  • ·         Sala 17 – dell’ermafrodito La Tribuna
  • ·         Sala 19 – del Perugino e Signorelli

ALTRE SALE:

  • ·         Sala 20 di Dürer
  • ·         Sala 21 del Bellini e di Giorgione
  • ·         Sala 22 dei Fiamminghi e tedeschi del rinascimento
  • ·         Sala 23 di Mantenga e Correggio
  • ·         Sala 24 Gabinetto delle Miniature
  • ·         Sala 25 di Michelangelo e dei fiorentini
  • ·         Sala 26 di Raffaello e Andrea del Sarto
  • ·         Sala 27 di Pontormo e rosso fiorentino
  • ·         Sala 28 di Tiziano e Sebastiano dal Piombo
  • ·         Sala 29 del Dosso e del Parmigianino
  • ·         Sala 30 gabinetto degli emiliani del cinquecento
  • ·         Sala 31 del Veronese
  • ·         Sala 32 del Bassano e del Tintoretto
  • ·         Sala 33 corridoio del Cinquecento
  • ·         Sala 34 dei Lombardi del Cinquecento
  • ·         Sala 35 del Barocci e della Controriforma Toscana Scalone dei
  • ·         Buontalenti
  • ·         Sala 41 di Rubens Sala 42 della Niobe
  • ·         Sala 43 del Seicento italiano ed europeo
  • ·         Sala 44 di Rembrandt e dei fiamminghi del seicento
  • ·         Sala 45 del settecento italiano ed europeo

 

Dopo essere arrivati al secondo piano del museo, si percorre un corridoio ornato da sculture classiche. Sulla sinistra, in una sala singola, sono esposte alcune sculture e testimonianze architettoniche antiche. Gli affreschi e le grottesche che decorano il soffitto del corridoio risalgono alla fine del regno dei Medici, nel XVI secolo. Questi affreschi sono surreali e anche un po’ inquietanti, ma vale la pena percorrere il corridoio con la testa all’insù, per ammirare opere d’arte raffinate, diverse per stile e creatività dal resto dei capolavori del museo. Imperdibile, al centro della sala n. 2, è la famosa “Maestà di Ognissanti” di Giotto. Il dipinto fu realizzato agli inizi del XIV secolo e rappresenta un punto di svolta nell’arte religiosa, inaugurando il realismo rinascimentale. L’opera ritrae una Madonna con bambino circondata da angeli che si affiancano gli uni agli altri come tanti grappoli d’uva. Il particolare degli angeli è notevole poiché si differenzia molto dalle opere precedenti, dove ogni figura era mostrata nella sua interezza. Nella sala accanto è ospitata l’Annunciazione di Martini, un ottimo esempio di ritrattistica realistica degli inizi del Rinascimento. I volti non sono stilizzati come nell’arte Bizantina, mentre la carnagione chiara e i tratti decisi risento degli influssi di Giotto. La sala seguente mostra opere del primo rinascimento, notevoli anche se quasi tutte simili.

Proseguendo, si incontra un altro imperdibile capolavoro “L’adorazione dei Magi” di Gentile da Fabriano. Il dipinto è posto sulla parete di fronte all’ingresso alla sala 5 ed è un capolavoro del realismo e della composizione, soprattutto grazie alla grande cura dei particolari nel realizzare gli animali presenti nella scena. Nella stessa ala degli Uffizi è possibile ammirare anche il Battesimo di Cristo del Verrocchio, un altro trionfo del realismo che mostra l’influenza della pittura nord-europea sull’arte del primo Rinascimento.

La sala successiva ospita il “Doppio ritratto” del Duca e della Duchessa di Urbino di Piero della Francesca, ritenuto il primo esempio di ritrattistica individuale, che segna il cambiamento dall’arte religiosa all’arte secolare privata. Con l’ascesa della nobiltà mercantile fiorentina, un numero maggiore di opere d’arte erano commissionate da ricchi mecenati che preferivano i propri ritratti alle tradizionali scene bibliche. Questo ci porta alla sala successiva, una delle più famose degli Uffizi.

Le sale dalla 10 alla 14 sono dedicate al Botticelli, uno dei più grandi pittori del Rinascimento italiano. Le sue opere sembrano quasi illustrative nella loro semplicità, ma la maestosità e la bellezza della pittura come nella “Madonna del Magnificat”, “Primavera” o nella “Nascita di Venere” creano capolavori da non perdere, anche se sempre accerchiati da una moltitudine di turisti. Se la folla intorno a queste due opere dovesse essere eccessiva, assicuratevi di raggiungere l’altra estremità della galleria, dove sono raccolte le opere religiose di Botticelli, magari meno conosciute o magiche, ma pure sempre pezzi unici del realismo rinascimentale.

Nella sala successiva è possibile ammirare le opere di un altro genio dell’arte Leonardo Da Vinci. Tutte le opere esposte in questa sala sono spettacolari, ma una in particolare merita di essere osservata con attenzione: l’Adorazione dei Magi, un’opera incompiuta di Leonardo, che segnò una nuova era dell’arte religiosa, caratterizzata dalla drammaticità e dall’indipendenza. L’architettura, in particolare, mostra una dettagliata conoscenza della prospettiva che gli altri artisti esposti nelle prime sale del museo neanche immaginavano.

 

Arrivati a questo punto è facile sentirsi esausti e scoraggiati nel realizzare che non avete raggiunto neppure la metà della galleria. Tra le opere ancora da visitare spiccano pezzi particolarmente interessanti e di rilievo storico e artistico. Le opere di Duhrer nella sala 20 o il “Tondo Doni” di Michelangelo Buonarroti nella sala 25. Come tutte le opere di Michelangelo è un dipinto colorato e mozzafiato, un ottimo inizio se pianificate di visitare la Cappella Sistina a Roma. Dalla sala 26 alla 28 è possibile ammirare fantastiche opere dell’alto Rinascimento (ad esempio, la Madonna del cardellino di Raffaello, la Madonna dal collo lungo del Parmigianino e la Venere di Urbino di Tiziano). Queste opere segnano il passaggio ad un periodo artistico più concettuale sviluppatosi all’indomani del Rinascimento, il Manierismo.

 

Palazzo Pitti

Quest’enorme palazzo è tra i più grandi esempi architettonici di Firenze. In origine il palazzo fu costruito dalla famiglia Pitti nel 1457 su disegno di Filippo Brunelleschi e realizzato dal suo allievo Luca Fancelli. La costruzione originale prevedeva soltanto la parte centrale dell’edificio attuale (le 7 finestre centrali al primo piano). Nel 1549, il palazzo fu venduto ai Medici, divenendo la residenza della famiglia granducale. Successivamente fu ampliato e rimaneggiato; nel 1560 Bartolommeo Ammannati progettò e realizzò l’ampio e sfarzoso cortile ed aggiunse le due ali laterali. Cosimo II de’ Medici fece ampliare e aprire il piazzale antistante. La facciata è rimasta quasi immutata, eccezion fatta per le due ali che abbracciano il piazzale volute dai Lorena. Il palazzo si affaccia sul famoso Giardino di Boboli.

Oggi Palazzo Pitti ospiti alcuni dei più importanti musei di Firenze: al primo piano si trova la Galleria Palatina con un’ampia collezione di quadri del XVI e XVII secolo, e gli Appartamenti Reali con arredi d’epoca risalenti al XIX secolo; al piano terra e al piano rialzato si trova il Museo degli Argenti, che raccoglie la grande collezione di oggetti preziosi appartenuti ai Medici; la Galleria d’Arte Moderna si trova invece all’ultimo piano ed ospita una stupenda collezione di dipinti tra cui pittori toscani del XIX e XX secolo. Nella Palazzina del Cavaliere, distaccata dal palazzo e immersa nel Giardino di Boboli, si trova il Museo delle Porcellane, mentre la Palazzina della Meridiana ospita la Galleria del Costume, che conta abiti e manufatti della moda ripercorrendo la storia degli ultimi 300 anni.

 

 

Giardino di Boboli

Il Giardino di Boboli è un parco storico della città di Firenze. Nato come giardino granducale di palazzo Pitti, è connesso anche al Forte di Belvedere, avamposto militare per la sicurezza del sovrano e la sua famiglia. Il giardino, che accoglie ogni anno oltre 800.000 visitatori, è uno dei più importanti esempi di giardino all’italiana al mondo ed è un vero e proprio museo all’aperto, per l’impostazione architettonico-paesaggistica e per la collezione di sculture, che vanno dalle antichità romane al XX secolo.

 

Planimetria antica (fine XVIII secolo, inizio XIX)

I giardini dietro Palazzo Pitti, residenza dapprima dei Medici, poi dei Lorena e dei Savoia, furono costruiti tra il XV e il XIX secolo e occupano un’area di circa 45.000 m². Alla prima impostazione di stile rinascimentale, visibile nel nucleo più vicino al palazzo, si aggiunsero negli anni nuove porzioni con differenti impostazioni: lungo l’asse parallelo al palazzo nacquero l’asse prospettico del viottolone, dal quale si dipanano vialetti ricoperti di ghiaia che portano a laghetti, fontane, ninfei, tempietti e grotte. Notevole è l’importanza che nel giardino assumono le statue e gli edifici, come la settecentesca Kaffeehaus (raro esempio di gusto rococò in Toscana), che permette di godere del panorama sulla città, o la Limonaia, ancora nell’originario color verde Lorena.

Il giardino ha quattro ingressi fruibili dal pubblico: dal cortile dell’Ammannati di Palazzo Pitti, dal Forte di Belvedere, da via Romana (l’ingresso di Annalena) e dal piazzale di Porta Romana, oltre a un’uscita “extra” su piazza Pitti.

Storia

L’origine del nome “Boboli” nasce forse dai possedimenti della famiglia Borgolo, che si trovavano nel territorio della chiesa di Santa Felicita in Oltrarno, che Luca Pitti acquistò come orti nel 1418, quarant’anni prima di iniziare la costruzione del palazzo che dalla sua famiglia prese in nome.

Con il passaggio della proprietà ai Medici nel 1549, per l’acquisto da parte di Eleonora di Toledo, moglie di Cosimo I de’ Medici, iniziarono l’abbellimento e gli ampliamenti, che coinvolsero anche il giardino. Esso fu iniziato da Niccolò Tribolo, architetto che dieci anni prima aveva già superbamente lavorato ai giardini della Villa medicea di Castello.

Il Tribolo lasciò un progetto al quale si attribuisce quasi certamente l’anfiteatro ricavato dallo sbancamento della collina, con il primo asse prospettico nord-ovest/sud-est, naturale estensione del cortile dell’Ammannati, tra il palazzo e il futuro Forte di Belvedere. La pietraforte usata per costruire palazzo Pitti veniva infatti prelevata proprio da questa conca, che è quindi artificiale. Il Tribolo morì di lì a poco nel 1550, quindi la direzione dei lavori passò a Bartolomeo Ammanati e in seguito a Bernardo Buontalenti. Una visione del giardino alla fine del Cinquecento si trova in una delle lunette delle ville medicee della famosa serie di Giusto Utens (1599 circa), già alla villa di Artimino ed oggi conservate nel Museo di Firenze com’era.

Durante il governo di Cosimo II (16091621) il giardino subì il più importante ingrandimento, quasi triplicando la sua estensione ad opera di Giulio Parigi e del figlio Alfonso, ideatori del secondo asse verso Porta Romana (il cosiddetto Viottolone).

Il giardino venne aperto al pubblico per la prima volta, sebbene con le dovute limitazioni, durante il regno di Pietro Leopoldo di Lorena.

Galleria dell’Accademia

Nel 1784 il Granduca di Toscana Pietro Leopoldo, fece convertire i locali dell’ ospedale di San Matteo e del convento di San Niccolò di Cafaggio nella Galleria, creando cosi’ un luogo nel quale gli studenti dell’ adiacente Accademia delle Belle Arti potessero studiare i grandi capolavori del passato.

Oggi il museo è visitato soprattutto per la presenza del David di Michelangelo , senza dubbio una delle sculture più famose al mondo. La Galleria ospita anche altre 5 importanti sculture di Michelangelo: i quattro Prigioni, originariamente collocati nella Grotta Buontalenti del Giardino di Boboli, ed il San Matteo, oltre ad una collezione di dipinti in stile gotico e rinascimentale provenienti dalle collezioni Medicee.

Il David

 

Il David di Michelangelo, originariamente collocato in Piazza della Signoria, fu spostato all’ Accademia nel 1873, con l’ intento di preservarlo. Al suo posto, nella piazza, fu sistemata una copia, presente tutt’ora. Per quanto l’ immagine del David possa essere familiare, vedere la statua da vicino desta sempre un certo stupore. Commissionata dall’ Opera del Duomo nel 1501, la statua fu pensata per rappresentare le virtù della Repubblica Fiorentina e la libertà dalla dominazione straniera e papale. Di recente, è stata considerata l’ ultimo simbolo delle ambizioni artistiche ed intellettuali del Rinascimento.

Michelangelo impiegò tre anni per trasformare il grosso blocco di marmo nella statua del David, alta ben 5 metri. Con la realizzazione di quest’ opera, assieme alla Pietà esposta in Vaticano, Michelangelo si affermò come principale scultore dei suoi tempi. Il David fu concepito come una scultura da esterno, il che spiega alcune particolari distorsioni evidenti nella statua, come le grandi mani e la testa. Anche gli occhi sono stati scolpiti per essere visti dal basso: osservandoli allo stesso livello infatti ci si rende conto che guardano in direzioni differenti.

 

 

Museo del Bargello

 

Il Museo del Bargello conserva una notevole collezione di sculture e opere d’ arte del Rinascimento. Il museo, situato nel centro storico di Firenze, si trova nell’ imponente Palazzo del Bargello, detto anche Palazzo del Popolo. Il palazzo, la cui costruzione iniziò nel 1255, nel corso dei secoli ha ospitato il Capitano del Popolo di Firenze, il Podestà, il Consiglio di Giustizia e nel 1574 divenne la sede del “bargello” ovvero del Capitano di Giustizia. Per circa tre secoli il palazzo fu adibito a carcere.

Il palazzo tra il XIV ed il XV secolo ha subito numerose modifiche ed ampliamenti che hanno alterato la sua struttura originale, ma non hanno tuttavia modificato il suo aspetto imponente e severo, ancora oggi ben evidente nel bel cortile, nel balcone e nel grande ingresso al primo piano. Una scala coperta, costruita nel XIV secolo, porta alla loggia superiore. I muri del cortile sono coperti con dozzine di scudi dei vari Podestà e Giudici di Ruota. Dal 1859 il palazzo ospita il Museo Nazionale che riunisce molte importanti sculture del Rinascimento ed alcune opere di artisti minori di vari periodi, incluso capolavori di Donatello, Luca della Robbia, Verrocchio, Michelangelo e Cellini. Il museo fu successivamente arricchito con splendide collezioni di bronzi, maioliche, cere, smalti, medaglie, sigilli, avori, arazzi, mobili e tessuti provenienti dalle collezioni del Medici ed alcuni oggetti di collezioni private. Per gli amanti del Rinascimento, il Bargello sta alla scultura come gli Uffizi alla pittura.

Il Museo

Il maestoso ingresso al museo presenta decorazioni araldiche alle pareti con gli scudi dei Podestà (XIII-XIV secolo). Da qui si entra nel cortile all’ aperto che ha una forma irregolare molto particolare. Diversi scudi dei Podestà che si trovano qui e sotto il portico sono le insegne dei quartieri e dei distretti della città. Alcune statue del XVI secolo di Bandinelli, Ammannati, Giambologna e Danti, sono situate a ridosso delle pareti.

Il cortile conduce ad un ingresso con una collezione di sculture del XIV secolo, inclusi dei lavori di Nicola Pisano. La sala più vicina alle scala ospita importanti lavori di Michelangelo, come il Bacco (1470) e l’ Apollo (1530). Vi sono anche opere del Giambologna, Ammannati e Sansovino, che fece una sua versione del Bacco in competizione con Michelangelo. Il busto di bronzo di Cosimo I del Cellini è ospitato in questa stessa sala.

La scala all’ aperto conduce alla Loggia, arricchita con varie opere di artisti del XVI secolo incluso i graziosi animali in bronzo realizzati per il giardino della Villa Medicea di Castello. La prima sala sulla destra, una volta Salone del Consiglio Generale, è adesso detta la Sala di Donatello e contiene molte opere dell’ artista, tra cui il San Giorgio (1416) realizzata per la nicchia di Orsanmichele, il giovane San Giovanni, il David in marmo (1408) ed il David in bronzo (1430), il primo elegante nudo del Rinascimento.

Nella stessa sala, facilmente osservabile, c’è poi un tesoro da non perdere. Nel 1401 Filippo Brunelleschi e Lorenzo Ghiberti concorsero per ottenere una commissione molto prestigiosa: la decorazione delle porte nord del Battistero in Piazza Duomo. Per l’ occasione entrambi gli artisti disegnarono un pannello in bassorilievo in bronzo sul tema del Sacrificio di Isacco: entrambe le formelle sono esposte proprio in questa sala del Bargello. Il concorso fu vinto da Ghiberti, che si aggiudicò la commissione, ma vedendo le due formelle a confronto ognuno ha l’ occasione di decidere chi fra i due avrebbe vinto.

Il museo ospita anche una collezione di lavori in oro e smalti realizzati tra il Medioevo ed il XVI secolo, così come sigilli e vari oggetti in metallo, rare sculture in avorio dai tempi antichi fino al XV secolo, sculture di terracotta invetriata di Giovanni e Andrea della Robbia, busti del Verrocchio, sculture di Mino da Fiesole e del Pollaiolo e oggetto militari dal Medioevo al XVII secolo. Il museo presenta inoltre begli arazzi nella Sala della Torre e lavori di artisti come Pisanello, Cellini, Michelozzo e altri.

La Firenze di Dante

Divina Commedia alla mano, viaggio nei luoghi di Firenze raccontati da Dante Alighieri.il-fascino-e-la-storia-di-firenze-in-mostra-a-bonn

 

Un itinerario alla scoperta della Firenze di Dante, una città già all’epoca fiorente e densamente popolata. E contesa fra le fazioni dei Guelfi e dei Ghibellini, a cavallo fra il Duecento e il Trecento. Il viaggio inizia da Porta San Gallo, di fronte a Piazza della Libertà. È uno degli antichi ingressi della città, da cui passavano persone e merci provenienti da Bologna. La sua costruzione fu voluta, nel 1285, da Rolandino da Canossa, capitano di parte guelfa. A confermare l’appartenenza “guelfa” di questa porta, anche due leoni che rappresentano questo schieramento. Tutt’intorno a questa porta, le antiche mura, cominciate a costruire a partire dal 1282 e affidate ad architetti di rilievo, come Arnolfo di Cambio, Giotto e Andrea Pisano.

La passeggiata prosegue verso uno dei simboli della città, che ha dato il nome alla stazione principale di Firenze: la Basilica di Santa Maria Novella. La sua costruzione fu iniziata nella prima metà del Duecento e l’esterno si presenta con marmi bianchi e verdi in contrasto cromatico per formare disegni geometrici. All’interno, nella Cappella Strozzi, dipinta da Nando di Cione, un Giudizio Universale, raffigurato secondo gli schemi che tracciò Dante Alighieri nella Divina Commedia. La presenza del poeta si vede nello stesso affresco, nel quale sono stati dipinti gli eletti, fra i quali appunto Dante.

Per scoprire tutti i segreti del Sommo poeta basta visitare il museo a lui dedicato. La Casa di Dante (Via Santa Margherita, 1) si trova nel pieno centro di Firenze e ripercorre la vita e le opere del poeta duecentesco, padre della lingua italiana. È lo stesso Dante a dare un’indicazione nei suoi scritti per collocare la sua residenza se non nello stesso palazzo in cui è ospitato il museo, sicuramente nella stessa zona, accanto alla Chiesa di Santa Margherita de’ Cerchi dove il poeta incontrò per la prima volta la sua Beatrice Portinari. Qui, stando alla tradizione, Dante si sposò con Gemma Donati. E nella stessa chiesa si trova la tomba del padre di Beatrice, Folco Portinari, e non si esclude che possa essere sepolta la stessa amata di Dante.

È nel centro storico che si concentrano le tracce dell’epoca dei guelfi e dei ghibellini. Il Palazzo del Bargello, detto anche Palazzo del Popolo, dove anticamente si amministrava la giustizia è il simbolo di quei tempi e si trova anche una raffigurazione di Dante Alighieri.

L’itinerario si conclude al cospetto di un altro simbolo di Firenze che non dimentica i tempi delle contese fra Guelfi e Ghibellini: Piazza della Signoria. Come racconta il sommo poeta, qui si trovavano le case degli Uberti, famiglia ghibellina, abbattute dopo il trionfo della fazione guelfa. Questo luogo fu scelto per ospitare il cuore pulsante della città, suggellato dalla costruzione del trecentesco Palazzo della Signoria.

 

Istituzioni culturali fiorentine

Firenze ospita inoltre prestigiose istituzioni culturali, che arricchiscono ulteriormente il patrimonio culturale cittadino:

Accademia della Crusca

L’Accademia persegue le seguenti finalità:

  • Sostenere, attraverso i suoi Centri specializzati e in rapporto di collaborazione e integrazione con le Università, l’attività scientifica e la formazione di nuovi ricercatori nel campo della linguistica e della filologia italiana;
  • Acquisire e diffondere, nella società italiana e in particolare nella scuola, la conoscenza storica della nostra lingua e la coscienza critica della sua evoluzione attuale, nel quadro degli scambi interlinguistici del mondo contemporaneo;
  • collaborare con le principali istituzioni affini di Paesi esteri e con le istituzioni governative italiane e dell’Unione Europea per la politica a favore del plurilinguismo del nostro continente.

Accademia dei Georgofili

Istituzione da sempre attiva nel settore degli studi agronomici ed enologici.

Archivio di Stato di Firenze

Si tratta dell’immenso deposito delle carte e di documenti di ogni epoca relativi a Firenze, di importanza fondamentale per gli studi storici, storico-artistici, linguistici, e diplomatici.

Gabinetto Vieusseux

Punto d’incontro tra la culturaitaliana e quella europea.

Opificio delle Pietre Dure

Si tratta di un Istituto Centrale dipendente dal Ministero per i beni e le Attività Culturali, di livello internazionale, attivo nel campo del restauro e della conservazione delle opere d’arte.

Società Dantesca Italiana

Ha lo scopo di promuovere tutte le iniziative atte ad accrescere la conoscenza della figura e dell’opera di Dante Alighieri.

 

 

Cinema

Sono molti gli attori e registi fiorentini a livello nazionale ed internazionale, come Massimo Ceccherini, Paolo Hendel, Alessandro Paci, Giorgio Panariello, Leonardo Pieraccioni, Vittoria Puccini, Elena Sofia Ricci e tanti altri.

Inoltre a Firenze sono presenti diverse scuole di cinema, come la Scuola Nazionale Cinema Indipendente, la Scuola di Cinema Immagina, l’Accademia delle Arti Digitali, il Mohole, e il CUEA.

Elenco di alcuni dei tanti film girati a Firenze:

La Firenze di Hannibal Lecter

Tante le strade che hanno portato Hannibal nel capoluogo toscano

Nel romanzo “Il silenzio degli innocenti” di Thomas Harris la città ha già fatto il suo ingresso nella cella del carcere di Memphis, Tennessee, dove Lecter teneva un disegno «eseguito a memoria» del panorama fiorentino, visto da Forte Belvedere.  Lo stesso scrittore venne nella città, per seguire le udienze del processo a Pietro Pacciani, il contadino accusato di essere il mostro di Firenze. Allora Harris fu ospite del conte Niccolò Capponi e perlustrò i luoghi della città che sarebbero divenuti teatro delle vicende del romanzo e del film. E poi c’è il Chianti,passione comune di Harris, Hopkins e Lecter. La Firenze di Hannibal, dove è ambientata la parte seconda del romanzo e il secondo tempo del film, è una città oscura e sinistra. Siamo in via Dei Bardi, «tra i palazzi costruiti seicento anni fa dai principi mercanti della Firenze rinascimentale», scrive Harris. Accanto c’è Palazzo Capponi, la casa di Hannibal, che ha assunto le spoglie del Dottor Fell, curatore della biblioteca. È una costruzione del ‘500 affrescata con il tema delle Muse dal discepolo del Ghirlandaio, detto Poccetti. Prima Thomas Harris e poi Ridley Scott si sono innamorati del palazzo, e il regista ha voluto trasportare dalla cantina al salone i busti degli avi del conte. Nella Biblioteca tappezzata di damaschi rossi Hannibal suona al clavicembalo le ‘variazioni di Goldberg’ pensando a Clarice Sterling, l’agente Fbi oggetto dei suoi desideri e le scrive una lettera. E qui l’uomo ammira «la collezione unica di manoscritti, un’intera parete di volumi vecchi di ottocento anni». Ma mentre il dottore gode delle bellezze del palazzo, qualcuno intuisce la sua vera identità. É il commissario Rinaldo de’ Pazzi, interpretato da Giancarlo Giannini, colui che assurse agli onori della cronaca per l’arresto del mostro di Firenze, e che piombò nell’oblio dopo l’assoluzione del contadino.«Alcune foto che mostrano le vittime del mostro sono state ambientate nei giardini di Palazzo Vecchio», spiega Gianluca Nardulli, stretto collaboratore dei produttori Dino e Marta De Laurentiis. Ma il vero teatro dell’azione fiorentina è Palazzo Vecchio che -descrive Harris – «domina la buia piazza della Signoria, rischiarato da fasci di luce, di chiara concezione medievale, con le sue finestre ad arco, i merli simili a fuochi fatui e la torre campanaria che svetta al cielo».  In quella che oggi è la sede del comune Hannibal tiene conferenze d’arte, cita Dante e Machiavelli a memoria. Ad affascinare Ridley Scott durante le riprese è stata l’asimmetria dell’edificio, nato come sede dei Priori, con la torre più alta di Firenze, mentre Hopkins si è soffermato spesso ad osservare gli affreschi sulle pareti del cortile d’ingresso, abbellito nel ‘500 per le nozze di Francesco de’ Medici con la principessa Giovanna d’Austria. Proprio a Palazzo Vecchio nel 1478 Francesco de’ Pazzi era stato giustiziato per l’omicidio di Giuliano De Medici. Scrive Harris: «nudo e con un cappio al collo, era stato buttato già a morire, si era contorto e aveva roteato contro il muro di pietra». Ora il suo discendente Rinaldo De Pazzi farà la stessa fine, ucciso da Hannibal, che gli promette nella sala dei Gigli: «Mangerò la tua deliziosa moglie», e lo scaraventa da un terrazzino che s’affaccia sulla Loggia dei Lanzi. La bellissima moglie di Rinaldo, Allegra, è interpretata da Francesca Neri, subirà il fascino sinistro del dottor Lecter nell’atmosfera più suggestiva del set fiorentino: il Chiostro di Santa Croce, costruito nel Trecento di fronte alla Cappella Dei Pazzi e al campanile eretto nel 1865 da Gaetano Baccani. Sotto il suo portico suonano le note di un’opera tratta dall’Inferno di Dante. Hannibal e Allegra si scambiano un lungo sguardo, un languido baciamano, lei bellissima in un abito rosa di chiffon trasparente tempestato di piccoli strass. Ma Lecter continua a pensare a Clarice. È per lei che acquista aromi preziosi nella Farmacia di Santa Maria Novella, che lo scrittore definisce «uno dei luoghi più profumati del mondo». Era in origine il laboratorio officinale dei frati dominicani che giunsero a Firenze nel 1220 circa. La loro opera di carità di assistenza ai malati era unita alla preparazione di medicinali alle erbe. Del tutto diversi gli acquisti del Rinaldo de’ Pazzi a Ponte Vecchio. Il commissario compra un braccialetto che servirà per tendere una trappola a Lecter. Il ponte nato in legno quando Firenze era un campo romano, modificato, distrutto ed eretto più volte nel corso dei secoli, è spesso protagonista della storia di Firenze. Dal 1594 è la sede delle botteghe orafe. E proprio gli orefici sono insorti contro la troupe nel maggio scorso, per impedire che venissero ripresi anche i «falsi» venditori abusivi che stazionano sul Ponte. Ha dovuto sbrogliare il tutto De Laurentiis in persona: «Quell’episodio è diventato il tormentone della troupe durante tutte le riprese», rivela Gianluca Nardulli. Anche la Fontana del Porcellino, in realtà un cinghiale scolpito da Pietro Tacca nel 1612, si tinge di sangue nella storia di Hannibal. È quello dello zingaro Enrico Loverso colpito dal dottor Lecter. Siamo sotto la loggia del Mercato Nuovo, costruito nel 1550 per la vendita di oggetti di lusso e tessuti pregiati, oggi un mercatino di souvenir fiorentini. La lunga scia di sangue lasciata dal dottor Lecter segue la via Dei Serragli, Piazza Tasso, via Villani e infine piazza Bellosguardo: qui si perdono le ultime tracce del cannibale.

Musica

La musica a Firenze vede una sua prima importante manifestazione nella Camerata fiorentina che, nella metà del XVI secolo, metteva in scena favole dell’antica Grecia accompagnate dalla musica, componendo così le prime opere e fornendo uno spunto alla nascita anche delle sinfonie dei secoli successivi. Dalla Camerata nacque a Firenze il melodramma, antesignano dell’opera, con la rappresentazione de La favola di Dafne di Ottavio Rinuccini nel 1594 a Palazzo Corsi-Tornabuoni.

A Firenze è presente il Conservatorio Luigi Cherubini, nello stesso isolato dell’Accademia di Belle Arti, del Museo dell’Accademia e dell’Opificio delle Pietre Dure, che incorpora anche il Museo degli strumenti musicali antichi che custode soprattutto strumenti settecenteschi, come violini, viole e violoncelli, alcuni dei quali realizzati dal più importante liutaio della storia Stradivari, nonché numerose curiosità musicali, come il clavicembalo di Bartolomeo Cristofori, inventore del pianoforte.

Firenze vanta una delle più prestigiose orchestre del mondo, la celeberrima Orchestra del Maggio Musicale.

In epoca moderna sono molti i musicisti fiorentini che si sono affermati ad alti livelli: Irene Grandi, Marco Masini, Piero Pelù, Litfiba, Diaframma, Bandabardò, Pupo, Mario Del Monaco, Mike Francis e molti altri.

Dove fare shopping a Firenze?

Firenze offre un’ampia scelta in fatto di acquisti: dagli stilisti dell’alta moda ai vestiti usati, dai prodotti artigianali ai souvenir più classici.

La moda e il lusso

Per lo shopping di lusso la meta più ambita è Via Tornabuoni. Sin dal 1300 ha ospitato grandiosi palazzi residenziali appartenuti alle grandi famiglie fiorentine come gli Antinori o gli Strozzi. Oggi questa via si contraddistingue per le boutique delle grandi firme della moda e le creazioni dei maestri gioiellieri all’interno di questi prestigiosi palazzi. Qui i negozi non sono certo per tutte le tasche, poiché vi si trovano i grandi nomi dell’alta moda italiana e internazionale come Gucci, Prada, Pucci, Ferragamo (che qui ha anche il suo museo), Cartier e Bulgari, solo per citarne qualcuno. Adiacente si trovano anche Via della Vigna Nuova, dove si possono fare acquisti pregiati da boutique come Etrò e Via del Parione, dove si trovano molti atelier e botteghe particolari dove acquistare pezzi unici sia d’abbigliamento che di arredamento. Anche vicino al Duomo in via Roma ci sono molte boutique di lusso.

Oggetti preziosi del passato

Rimanendo in tema di acquisti di lusso, tra le vie più famose per lo shopping di antiquariato abbiamo Via de’Fossi da una parte e Via Maggio dall’altra. Entrambe queste vie sono un susseguirsi di splendide vetrine di negozi d’antiquariato presso i quali si riescono spesso a trovare rarità. Non è difficile infatti scorgere nelle vetrine opere rinascimentali.

Lo shopping per tutti

Per uno shopping più commerciale, alla portata dei più, le vie migliori sono Via dei Calzaiuoli, dove si trovano negozi tipo Disney Store, Coin e Furla, Via dei Cerretani e Via dei Banchi, andando dal Duomo verso la stazione Santa Maria Novella. Da piazza della Repubblica e per via Calimala si trovano i negozi delle grandi catene italiane e straniere, come H&M e Zara, e grandi magazzini come Rinascente, ma anche piccoli negozi dal fascino particolare come la Manifattura di Signa vicino a Piazza della Signoria. Anche le strade limitrofe sono piene di negozi di tutti i tipi e vi consiglio vivamente di perdervi e godervi le vetrine.

 

Comprare oggetti in pelle

Se cercate prodotti di pelle allora dovete andare in San Lorenzo all’omonimo mercato, oppure nella zona di Santa Croce. Sia a San Lorenzo che a Santa Croce si trovano borse, scarpe, capi d’abbigliamento e originali souvenir fatti rigorosamente in pelle. Una raccomandazione: attenzione ai prezzi e agli originali. Cercate di mercanteggiare per ottenere uno sconto e controllate la qualità della pelle, perché purtroppo non è sempre ottima. Se siete particolarmente interessati alla lavorazione della pelle, vi consiglio di visitare la Scuola del Cuoio in Santa Croce. Al mercato di San Lorenzo invece potrete trovare anche articoli in cashmere come sciarpe e maglioni di buona qualità.

Regali preziosi e brillanti a Ponte Vecchio

Se invece cercate qualcosa di speciale, magari in oro il posto dove andare è Ponte Vecchio. E’ famoso in tutto il mondo per le sue scintillanti botteghe orafe che producono gioielli artigianali di alto livello. Anche i fiorentini che vogliono fare un regalo speciale in oro vengono qui a sceglierlo.

Delizie e dintorni

Anche chi cerca qualche gustosa delizia non rimarrà deluso dal suo shopping a Firenze. Se cercate qualcosa di fresco e tipico consiglio di recarvi ogni mattina al Mercato Centrale di San Lorenzo oppure al Mercato di Sant’Ambrogio. Qui troverete bancarelle che vendono molte prelibatezze, primizie e prodotti tipici. Voglio segnalare anche alcuni negozi particolari come Pegna, vicino al Duomo dove si può trovare praticamente di tutto, Procacci in via de’ Tornabuoni specializzato in panini farciti con ottime salse al tartufo e la Cantinetta da Verrazzano sia per biscotti e pane che per il vino. Inoltre per chi è amante del vino ci sono anche moltissime enoteche in giro per tutta la città dove trovare dai vini più classici a quelli più pregiati che spediscono il vino direttamente a casa vostra.

 

Oltre ai negozi Firenze é ricca di mercati all’aperto. In questi mercati, fatti regolarmente in vari giorni della settimana, troverai prodotti artigianali fatti a mano con le tecniche di un tempo. Molti turisti fanno i propri acquisti in questi mercati perché qui è possibile trovare molti oggetti tipici e particolari (a volte veramente unici nel suo genere) a dei prezzi molto competitivi. Di solito sono molto affollati non solo di fiorentini ma di turisti provenienti da ogni parte del mondo. Tra i più importanti ricordiamo:

  • Il Mercato di San Lorenzo, situato nel centro storico della città, é la destinazione preferita dei turisti
  • il Mercato Nuovo, dove é possibile comprare merce in pelle e souvenir, è situato sotto la Loggia del Porcellino del 16° secolo molto vicino al Ponte Vecchio
  • Il Mercato della Pulce in Piazza dei Ciompi vicino Piazza Santa Croce in direzione del Duomo, caratterizzato da molti oggetti d’antiquariato
  • Il Mercato delle Cascine, lungo l’Arno, all’interno del parco delle Cascine viene fatto il martedì mattina. Possiamo trovare davvero tutto; vestiti, stoffe, scarpe, costumi da bagno, verdura, frutta, formaggi, pane, schiacciate e articoli per la casa.
  • Il Mercato Centrale vicino piazza San Marco. Al piano inferiore troviamo carne, pesce, formaggio e altre rarità culinarie, mentre al piano superiore frutta, verdura e fiori.
  • Il Mercato di artigianato nazionale ed etnico. Viene fatto nella piazza di Santo Spirito ogni seconda domenica del mese.

 

·         Lo Spazio Arti e Mestieri e i suoi artigiani SAM

Realtà di recente nascita sul territorio fiorentino, è lo Spazio Arti e Mestieri- Vecchio Conventino in Via Giano della Bella, nei pressi di Piazza Tasso.

Qui si sta lavorando per costruire una realtà viva e dinamica, un centro di sapienza e cultura dove mestieri artigiani, artisti e pubblico possano incontrarsi, interagire e fare dell’assolato cortile un nuova “piazza” fiorentina Dopo il restauro del complesso architettonico, terminato nella primavera del 2009, gli spazi si sono aperti ad artigiani che ogni giorno lavorano alle loro creazioni forti della loro vicinanza; uno spazio dove tutti possono respirare creatività e la spensieratezza che essa produce.

Via Giano della Bella, 20/1 – 20/2

 

 

Farmaceutica di Santa Maria Novella, storia della profumeria artistica più antica d’Europa

Uno dei piccoli tesori nascosti di Firenze: una farmacia del 1600

correva l’anno 1221, quando i dodici Padri Domenicani che soggiornavano nel convento attiguo alla piccola chiesa di Santa Maria delle Vigne (la costruzione della Basilica di S. Maria Novella inizierà nel 1279), diedero avvio alla Officina Profumo-Farmaceutica. I padri infatti si dedicavano alla coltivazione di erbe officinali per uso interno al convento. Nel 1612, fu possibile l’apertura della Farmacia, tutt’oggi esistente, piccola perla nella immensa offerta culturale cittadina.

L’attività

Con il passare del tempo, i prodotti della Officina Profumo Santa Maria Novella iniziarono ad essere richiesti nelle corti d’Europa e d’Oriente, dove si era sparsa voce circa la loro eccellente qualità. La produzione già al tempo si suddivideva tra preparati medicinali e preparati profumati, adatti alla persona ed all’ambiente. Famosa l’Acqua di Colonia che fu addirittura preparata su specifica ordinazione di Caterina de’Medici. Con il 1612 e la volontà di Fra’ Angiolo Marchissi (“…illustre speziale ed aromataro…”) si assiste all’apertura della farmacia in Via della Scala al n. 16, mentre lo stabilimento per la produzione viene spostato alla periferia nord della città, in Via Reginaldo Giuliani. Il successo è immediato, tanto che in una guida del XVII secolo sulla città, si riporta: “…che molte Città d’Italia, e fuor d’Italia ancora, da questa simili medicamenti e di molte preziose quint’essenze si proveggono…”. Con il tempo poi i prodotti si sono suddivisi in: Profumi, Cosmetica, Erboristeria, Antiche preparazioni, Liquori, Prodotti per Profumare la casa, Cereria profumata. Senza dubbio l’Acqua di Colonia ed il Pot-pourri di fiori secchi sono oggi i prodotti più rinomati, anche se esistono preparazioni altrettanto venerande come le Pastiglie balsamiche, l’Acqua di Melissa e l’Aceto Aromatico, le cui ricette, ancora oggi utilizzate, risalgono al 1600. L’avvento dell’Unità d’Italia e con essa la fine dello Stato Pontificio e di tutti i privilegi che fino ad allora aveva avuto la Chiesa, portano alla confisca del laboratorio da parte dello stato. Così si riporta in un manoscritto dell’epoca: “…A tal oggetto il dì 8 ottobre dello stesso anno [1866], giorno dopo la festa del SS. Rosario, erano indemaniati anco i beni del nostro venerabile convento, ed espulsine i religiosi il 30 novembre, non lasciando ne’ sotterranei del convento dalla parte di mezzogiorno, rimpetto alla spezieria che il curato con due aiuti, ed il sagrestano con due conversi…”, dando inizio così alla gestione laica, che ben ha saputo conservare sia lo spirito che il patrimonio di esperienza acquisita da secoli di gestione domenicana. I prodotti in parte si rinnovano, alcuni vengono aggiunti, ma la tradizione di talune ricette, ancora oggi velate da piccoli segreti, viene mantenuta, così come l’utilizzo di tradizionali contenitori.

Cucina

La cucina fiorentina è caratterizzata da quattro elementi fondamentali: il pane toscano (piatto, senza sale, ben cotto con una crosta croccante e un interno leggero); l’olio extra-vergine d’oliva; la carne (alla griglia, bistecche di manzo alla fiorentina, selvaggina arrostita o brasata col vino come il cinghiale, il coniglio e il cervo); ed infine il vino Chianti.

Ecco un elenco dei principali piatti fiorentini:

 

 

Mangiare a Firenze

Firenze è sicuramente una meta imperdibile: dai musei più famosi al mondo alle architetture che hanno fatto la storia dell’arte, è difficile non trovare qualcosa da ammirare a bocca aperta. Ma tra tante meraviglie storico-artistiche anche la cultura merita una bella parte, tra una visita a l’altra perchè rinunciare alla buona tavola? Diffidate dai self-service o dai bar troppo turistici, e assaggiate veramente la cucina fiorentina doc. Non temete, anche se la città ha la fama di essere una tra le più costose d’Italia, non è difficile trovare qualche angolino economico, basterà uscire dalle strade principali ed inoltrarsi nelle piccole parallele, dove vi si aprirà un mondo culinario low cost. Ecco secondo me il top dei locali fiorentini a basso prezzo:

 

La migliore bistecca alla fiorentina invece la troverete alla Trattoria Marione, a 100 metri da Piazza della Repubblica, e con vino rosso e contorno di rucola e patate ve la potrete cavare con 20 euro. Sfido a trovarne un’altra così buona ed economica! Via della Spada 27R tel 055 214756

 

 

Le migliori tagliatelle tartufate si trovano alla trattoria Il Buzzino a due passi dal Museo del Bargello (Via Dei Leoni 8/R tel. 055 2398013

. Del menù sono da provare anche la tipica ribollita e le tagliatelle al sugo di lepre. E’ un ambiente dove si respira davvero la toscanità (molto rustico in ogni senso), con un proprietario dalla grande simpatia che proverà a farvi assaggiare di tutto e di più. Nella zona è sicuramente uno dei pochi posti dove si mangia bene e con prezzi onesti.

Street Food – Per chi ha fretta e vuole uno spuntino veloce, un’istituzione da provare assolutamente è il lampredotto, un panino riempito di salsa verde e da questo tipo di trippa, al costo di 3.50 euro. Basta girovagare un po’ per trovare in ogni angolo un baracchino del trippaio assalito durante l’ora di pranzo.

Sicuramente quelli da consigliare sono quello dietro Piazza della Signoria, dietro la Loggia del Porcellino e quello in Via Gioberti (nelle vicinanze di Piazza Beccaria). Se volete però gustarvelo in tranquillità vi segnalo la Tripperia Il Magazzino in Piazza della Passera (Via dei Vellutini), una piccola piazzetta davanti Palazzo Pitti. Qui potrete sedervi e con una bibita spenderete 4.50 euro.

 

 

Se invece preferite una focaccina o un panino condito con un’ampia scelta di salumi e formaggi toscani, dovete provare I due Fratellini, piccola antica vineria del 1875 che propone tante alternative a 2.50 euro. Via dei Cimatori 38/r

 

Firenze low-cost: indirizzi per mangiare con meno di 25 euro

 

‘Ino. Via de’ Georgofili, 3. Tel. 055 219208.

Tra gli Uffizi e Ponte Vecchio, la bottega gourmet di Alessandro Frassica, oltre che piccolo rifugio per l’acquisto di specialità rare più o meno locali, funziona come singolare pausa pranzo. Protagonista assoluto è il panino (classica schiacciata fiorentina cotta nel forno a legna), farcito con ghiottonerie spesso irresistibili, dai pecorini e le finocchione fino alla carne piemontese de “La Granda”. Un’alternativa sono i piatti composti a piacere, accompagnati da un buon bicchiere scelto dalla carta dei vini attenta alle etichette locali. Aperto tutti i giorni dalle 11.00 alle 17.00

Prezzo medio € 8.

Lungarno 23. Lungarno Torrigiani, 23. Tel. 055 2345957.

Siamo Oltrarno, zona popolata di locali di tendenza, e Lungarno 23 non fa eccezione. Sfacciatamente modaiolo, dallo stile lineare, va giustamente orgoglioso del suo hamburger — uno dei migliori in città — fatto con pane artigianale, patate fritte e insalata. La carne proviene dall’allevamento di razza Chianina di proprietà, consigliate anche tartare e carpaccio. Aperti tutta la giornata a partire dal primo caffè della mattina al tea-break pomeridiano. Si fa anche l’aperitivo con degustazione di salumi e formaggi. Buona la carta dei vini. Aperti a pranzo e cena. Chiusi la domenica.

Prezzo medio € 15 – 20.

 

 

 

Il pizzaiuolo, Via de’ Macci, 113. Tel. 055 241171.

La vera pizza napoletana a Firenze, in un ambiente rustico e sempre affollato. Menù scritto in napoletano e cucina vertiginosamente partenopea: antipasti con mozzarella di bufala, fritti tentatori e buoni primi piatti. Ma la star resta la pizza squadernata secondo il classico rituale napoletano: margherita, salsiccia e friarielli, calzone ripieno, classica fritta. Ricca proposta di dolci, tra tutti babà e pastiera. Aperto per pranzo e cena. Prezzo medio                                                                                                       € 10 – 15,00.

 

 

 

 

Trattoria Mario. Via Rosina, 2r. Tel 055 218550.

Situato in zona San Lorenzo, è ricavato dalle vecchie stalle del Palazzo Alessandri. Inizialmente adibito alla mescita di vini, diventa trattoria nel 1957. Stile no-frills (niente fronzoli), con soffitto in legno di quercia datato qualche secolo e caratteristiche piastrelle bianche alle pareti. Ci si siede ai tavolini per una cucina schiettamente toscana: ribollita, trippa, pappa al pomodoro, bistecca, spezzatino. Tutto molto buono e ispirato “al tempo che fu”. Aperti solo a pranzo dal lunedì al sabato.

Costo medio € 20,00/25,00.

 

 

Il Santino. Via S. Spirito, 60/r. Tel. 055 211264.

Fratello minore de Il Santo Bevitore, è proprio lì di fianco, a due passi dal Ponte alla Carraia. Ambiente piccolo e raccolto, pochi tavoli, salumi e formaggi ben in vista, ma pure altre specialità locali e non, che è possibile comprare o provare in pausa pranzo o all’ora dell’aperitivo. Tra tradizione e innovazione, evocato al pasto veloce, ha l’impronta di un Tapas bar spagnolo. Si spizzicano zuppe, taglieri, piatti unici (da provare il baccalà mantecato) e dolci curati. Carta dei vini all’altezza e birre artigianali. Aperti dalle 10.00 alle 22.00.

Prezzo medio € 10,00.

 

 

I Latini via dei Palchetti 6/r (Palazzo Rucellai) tel. 055 210916

Intorno alle tavolate de “il Latini” si intrecciano amicizie, si parlano le lingue del mondo, si discute animatamente e si gustano cibi dal sapore antico. “Il Latini” è una tradizione: un modo di conoscere la Toscana e la sua gente.

La cucina è il luogo dove i prodotti della campagna Toscana si trasformano e diventano i piatti tipici della tradizione toscana. La cucina de “il Latini” era la cucina della moglie di Narciso che trasportava i suoi cibi da casa ai tavoli apparecchiati disposti nelle cantine di Palazzo Rucellai. La cucina della Sora Maria era fatta degli aromi dei cibi tipici della cucina toscana, semplice e genuina, ingredienti ancora oggi caratteristici del ristorante.

L’alluvione di Firenze non risparmiò la fiaschetteria, che tuttavia continuò a servire piatti caldi ai fiorentini tra le strade ancora piene di fango.

Prezzo medio € 30,00 (preferibile prenotare e avere pazienza per la fila.)

 

 

4 Leoni Via de’Vellutini, 1r | Piazza della Passera tel. 055/218562

Bello l’ambiente, accogliente, buono il servizio, ottimo il cibo. Trattoria ma meno caotica e sovraffollata di quasi tutte le altre che si incontrano in Firenze. Anche il menù prevede i piatti tipici ma anche sfiziose alternative, ben cucinate ed assortite. Posto in una delle piazze più belle di Firenze, coniuga orgogliosamente un locale stile osteria con dettagli più arditi di arredamento.


 

Qual è il miglior gelato a Firenze?

Gelateria Vivoli Il miglior gelato del mondo! Non dovete assolutamente perdervi la Gelateria Vivoli in Via Isola delle Stinche 6, zona Santa Croce. Hanno gusti particolarissimi. Provate il riso, la pera caramellata, la pinolata, la crema o la cioccolata all’arancio. Il gelato del Vivoli, è un’esplosione di buoni sapori. Il gelato è fatto con ottime materie prime, professionalità e amore, ingredienti essenziali per produrre un ottimo gelato, fatto alla vecchia maniera.

Gelateria Grom

Grom è gelateria di altissima qualità. L’idea è quella di applicare alla produzione del gelato artigianale un principio comune a tutti i migliori ristoranti del mondo: l’acquisto di materie prime di qualità assoluta. Ed è con questo fine che alla fine del 2002 Guido Martinetti e Federico Grom si lanciano alla ricerca, dalle Langhe fino alla Sicilia, del meglio che l’Italia agricola – e non solo – può offrire. I principi sono rigorosi: solo frutta fresca e di stagione, provenienti dai migliori consorzi in Italia, nessun utilizzo di coloranti o additivi non naturali, acqua di montagna di Lurisia come base per i sorbetti e latte fresco intero di alta qualità per le creme, uova biologiche e selezioni dei migliori cacao e caffè dal centro America.

 Via del Campanileangolo via delle Oche

Gelateria Perché nò

Così, da un’esclamazione, prendeva vita nell’autunno del 1938, l’idea del negozio e il nome che avrebbe avuto. Il signor Ravaioli, fondatore e per decenni proprietario di Perchè no!… aveva individuato in una vecchia rivendita di polenta e castagnaccio gestita da uno svizzero in via de’ tavolini, a pochi passi da via de’ i Calzaioli e piazza della Signoria, il luogo più idoneo per dar corso alla sua nuova impresa. Nel 1939 il negozio poteva dirsi completato nelle sue linee essenziali, pronto per essere aperto al pubblico e divenire da allora uno dei più famosi locali fiorentini. Lo scoppio della seconda guerra mondiale sembrò poter ostacolare il grande successo che Perché no!… aveva ottenuto fin dalla sua inaugurazione. Paradossalmente invece fu proprio il periodo bellico a decretarne una fama quasi leggendaria. Se la mancanza di materie prime impediva la produzione del gelato, dall’invenzione e abilità del Signor Ravaioli e dai preziosi consigli di sua moglie Maria sortirono tutta una serie di genuini “spumoni” a base di chiare d’uovo e una panna fatta di mele, che forse non eguagliavano il gusto degli originali prodotti, ma che richiamarono da Perché no!… migliaia di fiorentini. Dopo la guerra Perché no!… continuò a essere un autentico punto di riferimento per il gelato, ma anche e soprattutto per i suoi semifreddi. Nel 1950 il negozio subì una consistente modifica interna. Fra l’altro Perché no!… fu dotato di lastre di onice pura applicate alle pareti. Con la stessa onice Giovanni Fiaschi, l’ultimo e forse il più grande dei maestri del mosaico fiorentino, realizzò un orologio che è un vero capolavoro nel suo genere e che è un po’ il simbolo stesso del negozio. Quel simbolo che sempre ha riconosciuto le tante personalità del mondo della cultura, dello spettacolo e della politica che Perché no!… annovera fra i suoi fedeli clienti. Nel 1966 la terribile alluvione di Firenze impose per qualche tempo una forzata chiusura del negozio. Superato quel terribile momento, Perché no!… riprese la sua generazionale azione di difesa del gelato artigianale, passando attraverso inevitabili ammodernamenti tecnici ma mantenendo costanti una qualità e una genuinità che solo la tradizione può garantire. Nel 1991 due amici fiorentini, ex musicisti, decidono di rilevare il negozio che negli ultimi anni aveva perso un po’ di smalto e grazie al nucleo familiare di uno dei due si crea un gruppo veramente capace ed efficiente. Ed è così che la signora Paola con le figlie Cecilia e Valentina, avendo come impegno costante la professionalità in laboratorio e la cordialità in negozio, riscoprono le vecchie e originali ricette e iniziano a produrre i vari gusti di gelato facendo particolare attenzione alla qualità degli ingredienti utilizzati, arrivando ai sapori decisi e inconfondibili che sono la caratteristica di Perché no!… Diventa poi così importante la ricerca e l’uso di materie prime naturali che, anche per i grandi lavori di ristrutturazione e rinnovamento effettuati nel 2002, sono stati usati soltanto materiali pregiati, come il pavimento di marmo in vari colori naturali, i rivestimenti decorativi in mosaico di polvere di pietre naturali ricomposte fino ad arrivare il vecchio rivestimento in onice puro lasciato, anzi “incorniciato” come segno di continuità fra il vecchio e il nuovo.
Via Dei Tavolini, 19/R 50122 Firenze

 

Caffè storici

Firenze conta diverse attività storiche come i caffè concerto, soprattutto nel centro, punto di ritrovo per artisti, letterati e uomini di cultura, tra i quali i Futuristi e nelle quali si formarono nuove correnti artistiche fiorentine, come quella dei Macchiaioli. In uno di questi, il Caffè Casoni, oggi Caffè Giacosa Cavalli, venne ideato dal conte Camillo Negroni l’omonimo cocktail Negroni.

I principali caffè storici si trovano in piazza della Repubblica (il salotto buono degli intellettuali ed artisti fiorentini), in piazza della Signoria, in via Cavour e via de’ Tornabuoni, anche se sono presenti un po’ in tutto il centro storico del capoluogo. Dal 2011 anche Firenze ha il proprio Hard Rock Cafe.

Ecco un elenco dei più famosi caffè storici della città:

Piazza della Repubblica:

 

Via de’ Tornabuoni:

 

 

 

 

 

 

 

Piazza Santissima Annunziata 14

Tel. +39 055 210185

‘Hotel è situato nel centro storico ed artistico, nella piazza rinascimentale più famosa di Firenze, a 400 metri dal Duomo. L’interno del palazzo neoclassico, completamente rinnovato, ospita 57 camere arredate con gusto semplice, arte povera fiorentina, dotate di Frigo Bar, Aria Condizionata, Televisione Sat, collegamento a Internet.

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Viaggio con Monica e le persone che amiamo per cercare di essere migliore ma non sempre riesco….