Guida a Torino, olimpica, magica, cioccolatosa ed esoterica

 

Torino: è il capoluogo dell’omonima provincia e della regione Piemonte. Si estende su una superficie di 130,54 Km². La popolazione è di 1.057.000 abitanti.TOR1_1_Torino

E’ stata la prima capitale Italiana dal 1861 al 1865. Storia: i più antichi insediamenti dell’area dell’attuale Torino risalgono al III°sec. A.c. e si riferiscono a villaggi di tribù celto-liguri i Salassi. Secondo alcune fonti avrebbero ostacolato la marcia di Annibale nel suo attacco a Roma, attraverso le Alpi, resistendogli per alcune giornate.

L’origine vera e propria della città può essere fatta risalire alla fondazione del Castrum di Augusta Julia Taurinorum da parte di Giulio Cesare nel 28 a.c.

Nel 312 d.c. fu teatro della battaglia di Torino tra le truppe di Costantino e Massenzio per la successione alla carica di Imperatore Romano.

Dopo la caduta dell’Impero Romano passò sotto il controllo degli Ostrogoti, dei Longobardi e dei Franchi di Carlo Magno (773 d.c.).

Nel 940 fu fondata la marca di Torino, controllata dalla dinastia Arduina che, attraverso il matrimonio di Adelaide da Susa (loro ultima discendente) e il figlio, Oddone, del conte Umberto Biancamano (il fondatore di casa Savoia) portò la città sotto l’influenza Savoiarda.

Nel XVI°sec, dopo l’occupazione Francese, la città divenne la capitale del ducato di Savoia (precedentemente era Chambery).

Nel 1713 i duchi di Savoia ottennero il titolo di re, prima di Sicilia, poi di Sardegna e Torino assunse al ruolo di capitale del regno. Il congresso di Vienna e la Restaurazione diedero al Piemonte Genova e tutta la Liguria gettando anche se involontariamente, le basi al processo che porterà 50 anni dopo all’unità d’Italia.

Dal 1861 al 1865 Torino fu la prima capitale del nuovo stato unitario, per poi passare questo titolo, prima a Firenze, poi dal 1870 a Roma.

Dopo il secondo dopoguerra Torino fu il simbolo della crescita economica dell’Italia e fu anche considerata “la terza città meridionale italiana per popolazione” per la popolazione immigrata dal sud Italia.

 

 

Il Palazzo Reale di Torino

 

Prima e più importante delle residenze sabaude del Piemonte, teatro della politica piemontese per almeno tre secoli il Palazzo Reale di Torino è collocato in piazza Castello nel cuore della città.

Nel 1563, con il trasferimento della capitale del ducato da Chambéry a Torino, Emanuele Filiberto dà avvio ad un processo di trasformazioni urbanistiche incentrate sulla fortificazione della città e sulla realizzazione della propria residenza. Questa è stabilita inizialmente nel Palazzo del Vescovo, presso il Duomo di San Giovanni, ma ben presto si programma la costruzione di una nuova fabbrica (rivolta verso il Palazzo vecchio, l’attuale Palazzo Madama), che viene ideata nella sua forte connotazione urbanistica da Ascanio Vittozzi, chiamato a corte dal nuovo duca Carlo Emanuele 1 nel 1584. Precise sono le suggestioni romane nel disegno architettonico vittozziano, realizzato tanto velocemente che nel 1586 si stipula il contratto per la facciata (risolta con bugnato a diamante) e si lavora contemporaneamente sui bastioni, dei quali si è conservato, quasi immutato nella sua sostanza architettonica, il Garittone.

Qui operano Jan Miel e Charles Dauphin, due pittori forestieri particolarmente apprezzati a corte per la loro adesione al linguaggio classicheggiante della pittura barocca europea (si vedano ad esempio le tele delle sale degli Staffieri e del Trono). Accanto a loro, anche i fratelli Dufour sono partecipi della celebrazione dinastica con la serie degli emblemi dipinti nella Sala della Colazione e in quella dell’Alcova. Nel grande Salone degli Svizzeri, invece, la narrazione delle storie genealogiche dei Savoia è affidata, nella parte alta delle pareti, agli affreschi di Giovanni Francesco e Antonio Fea. Verso la fine del Seicento il Palazzo viene raffigurato nel Theatrum Statuum Regiae Celsitudinis Sabaudiae Ducis sul limite del settore nord est della città, omogeneamente costruita seguendo gli allineamenti del castrum romano. Tra la compagine delle fabbriche palatine non è ancora rappresentata la cappella della Sindone, innalzata da Guarino Guarini negli anni 1667‑1668 in collegamento con la manica ovest del Palazzo. La stretta connessione del Palazzo con la cappella destinata a contenere l’importante reliquia riflette un preciso intento simbolico da parte della corte che negli anni del ducato di Vittorio Amedeo Il ricerca una sempre più precisa collocazione nella politica e nella cultura contemporanea.

Risponde a queste esigenze anche la scelta di chiamare a Torino Daniel Seiter, il pittore che nel 1688 riceve, tra gli altri incarichi, quello di celebrare il sovrano nell’affresco sulla volta della Galleria che, dal nome del pittore, si chiama Mel Daniel”. L’artista porta da Roma una cultura aggiornata e lavora a Palazzo per un lungo periodo nel quale collabora con le maestranze dei “minusieri” (falegnami) e degli stuccatori che rinnovano profondamente l’apparato decorativo: ne sono un esempio le volte dell’appartamento al piano terreno, detto poi di Madama Felicita, nel quale interverranno presto anche pittori genovesi le cui scelte coloristiche aprono una nuova prospettiva alla pittura del Settecento torinese.

Con Vittorio Amedeo Il si sviluppa il programma di sistemazione del Giardino affacciato sul Bastion Verde: il disegno è redatto dal Duparc mentre le opere di ornamento sono ideate da Carlo Emanuele Lanfranchi, che realizza il gruppo, poi rimosso, della ninfa Galatea. Sul finire del Seicento l’impianto del Giardino verso levante è nuovamente rivisto e ampliato da Andrè Le Notre con la realizzazione di sei bacini d’acqua e viali disposti a raggiera: il gruppo statuario dei Tritoni collocato ad ornamento dell’unico bacino superstite è opera della metà del Settecento di Simone Martinez.

Dopo l’acquisizione del titolo regio nel 1713, sono registrati notevoli ampliamenti nella struttura del Palazzo che deve ospitare rinnovate funzioni amministrative: viene realizzata la zona di comando costituita dalle Segreterie, dagli Uffici, dal Teatro Regio, dagli Archivi di Stato. A questi incarichi è addetto l’architetto messinese Filippo Juvarra, il cui arrivo a Torino coincide con questa svolta importante. Egli dota la città e il territorio di capolavori assoluti: nel Palazzo la sua attività è legata alla realizzazione della Scala delle Forbici (dal soggetto della decorazione a stucco), ideata a rampe sdoppiate, e del Gabinetto Cinese, dove si esprime il nuovo gusto per l’esotismo. Il ruolo dell’architetto è quello di un sapiente coordinatore dell’ornamentazione: grazie ai suoi contatti con l’ambiente romano arrivano infatti dipinti importanti, come le sovrapporte dell’Imperiali (nella Sala delle Cameriste) o come le due tele di Van Loo per la Cappella Regia.

Pittore ufficiale di Carlo Emanuele III, il sovrano salito al trono nel 1730, è Claudio Francesco Beaumont che interviene in molti ambienti del palazzo, tra cui il Gabinetto Cinese, la Galleria della Battaglie (ispirata dalle vittorie militari del sovrano) e quella dell’Armeria; su queste volte, i soggetti mitologici e allegorici sono trattati dall’artista con una pittura soavemente luministica, ricca di arditi sfondati architettonici.

 

Alla partenza di Juvarra per Madrid la carica di primo architetto regio passa a Benedetto Alfieri, che definisce gli apparati decorativi degli ambienti del secondo piano e rinnova profondamente anche alcune delle sale di rappresentanza. Al suo progetto si deve ad esempio la nuova sistemazione della Galleria del Daniel, che assume la funzione di sala da ballo, con le specchiere di fronte alle finestre. Al periodo in cui Alfieri è responsabile del Palazzo appartengono pure le nuove camere degli Archivi, sul lato verso il giardino; esse trovano un prestigioso completamento con gli affreschi di Francesco De Mura cui si aggiungono, in una fase più avanzata, quelli di Gregorio Guglielmi.

Mentre la dominazione napoleonica non lascia praticamente tracce nella compagine del Palazzo (ma molti arredi saranno trasferiti a Parigi), in epoca carlo albertina si intraprende una cospicua serie di interventi che culminano con la realizzazione della Sala da Ballo e la riscrittura di alcuni degli ambienti del piano nobile. Coordinatori di queste profonde modificazioni sono Emest Melano e il bolognese Pelagio Palagi, che utilizza spunti tratti

 

dall’antichità classica e dal mondo egizio o particolari decorativi che hanno origine da una reinterpretazione del gotico. Oltre al Salone degli Svizzeri, oggetto della ridefinizione palagiana sono ad esempio la Camera da Studio del Re, il Gabinetto delle Medaglie e la Sala del Consiglio, dove greche e cariatidi dorate dominano le boiseries e le specchiere in un insieme che sottolinea le rinnovate necessità di ornamento della residenza, riplasmando anche gli appartamenti alfieriani del secondo piano.

 

 

 

Tra il 1835 e il 1838 la nuova cancellata in ferro fuso del Palagi sostituisce il Padiglione bruciato nel 1811: solo nel 1846 saranno collocate le statue equestri dei Dioscuri; nella Galleria del Beaumont viene allestita l’Armeria Reale.

A ridosso dell’Unità d’Italia, nel 1862, Domenico Ferri dirige per Vittorio Emanuele II la formazione del nuovo Scalone d’onore che costituisce il momento celebrativo della dinastia attraverso la statuaria sabauda. Con il trasferimento della capitale da Torino a Firenze e poi a Roma, il Palazzo perde progressivamente le sue funzioni di residenza per aprirsi al pubblico sia come Museo, sia come Palazzo da uffici: in quest’ottica nel 1911 viene realizzata da Emilio Stramucci la “manica nuova” sull’attuale via XX Settembre, affacciata sull’area archeologica costituita dal Teatro romano, riportato in luce in quell’occasione, e dalle Torri Palatine.

Il Duomo:

Cattedrale di San Giovanni Battista (Duomo)

 

La cattedrale, dedicata a San Giovanni Battista, patrono di Torino, è l’unico esempio di architettura rinascimentale della città. Venne innalzata tra il 1491 ed il 1498 per volontà del cardinale Domenico della Rovere, su progetto dell’architetto toscano Meo del Caprina, su tre chiese preesistenti. Quella maggiore, in posizione nord, sarebbe stata fondata dal vescovo Massimo I e dedicata a San Salvatore, la seconda, intitolata a San Giovanni Battista, conteneva il fonte battesimale, la terza era consacrata a “Santa Maria de Dompno”. I tre edifici basilicali erano poi completati dalle case dei canonici e da un vasto cimitero. A partire dal 1490 le basiliche vennero demolite per fare posto ad un nuovo duomo.

 

Nel 1498 si conclusero i lavori del duomo e nel 1513 veniva eretto da papa Leone X a sede metropolitana.

L’edificio subì nel tempo vari rimaneggiamenti: nel 1656 la volta della navata centrale venne rifatta; nel 1834 si decorò di affreschi l’interno, poi eliminati tra il 1927 ed il 1929 durante i restauri intrapresi dal cardinale Gamba. L’intervento più significativo fu l’inserimento della cappella della Santa Sindone su progetto di Guarino Guarini, in posizione sopraelevata, al posto dell’originale abside, e collegata al retrostante Palazzo Reale.

Il duomo, con pianta a tre navate con ampio transetto, è dotato, all’incrocio dei bracci, di una cupola ottagonale di dimensioni ridotte; ai lati delle navate secondarie si aprono sei cappelle lungo la nave destra e sette lungo quella sinistra. Degna di nota è la seconda cappella destra, dedicata ai santi Crispino e Crispiniano, dipinta da Defendente Ferrari, mentre la prima cappella destra contiene il battistero.

La facciata della cattedrale, in marmo bianco, con timpano e tre portali decorati da rilievi, di eleganti forme rinascimentali, forse deriva dalla coeva chiesa di Santa Maria del Popolo a Roma.

All’esterno, sul fianco sinistro, staccato dalla costruzione, sorge il campanile, in mattoni, donato dal vescovo De Compeys poco prima della ricostruzione del duomo. La cella campanaria, progettata da Filippo Juvarra, e iniziata secondo i sui disegni, non fu mai completata.

 

 

 

La Sacra Sindone:

è un telo di lino lungo 437 cm e largo 111 cm dove sono impresse,

come in un negativo fotografico, le impronte del corpo di un uomo

alto 1,77m, torturato e ucciso tramite crocifissione.sindone_0004

Storia:

Tutti gli studiosi sono concordi nel ritenere documentata con

certezza la storia della Sindone a partire dalla metà del XIV°sec.

data della sua apparizione. Sulla sua storia precedente e sulla sua

antichità non vi è accordo.

La datazione radiometrica con la tecnica del carbonio 14 eseguita nel 1988, e ritenuta inadeguata dall’ideatore stesso dell’esame il chimico statunitense Willard Frank Libby, ha datato il lenzuolo in un lasso di tempo compreso tra il 1260 e il 1390. Secondo autorevoli studiosi è possibile che tale datazione sia dovuta al prelievo perimetrale dei campioni analizzati (confermato dal team che ha eseguito l’esame) dove è stato eseguita un’opera di rammendo in seguito all’incendio del 1532. Gli studiosi che ritengono la Sindone l’autentico lenzuolo funebre che avvolse Gesù lo identificano con il Mandylion o “Immagine di Edessa”, un’immagine di Gesù molto venerata dai cristiani d’oriente, scomparsa nel 1204 (questo spiegherebbe il perché della comparsa in Francia solo a metà del XIV°sec). La presenza del Mandylion a Edessa (oggi Urfa in Turchia) è documentata a partire dal VI°sec. d.c. Le fonti descrivono un lino recante l’immagine di Gesù. Nel 944, dopo che Edessa era stata occupata dai Mussulmani, i bizantini trasferirono il sacro lino a Costantinopoli dove rimase fino al 1204, quando la città venne saccheggiata dai crociati (IV° crociata) e del sacro lenzuolo si persero le tracce.

Nel 1350 circa la Sindone “comparve” a Lirey in Francia nelle mani del cavaliere Goffredo di Charny e di sua moglie Giovanna di Vergy (discendente da un capo templare Ottone de la Roche) e non è noto di come ne fossero venuti in possesso. La prima ostensione pubblica della Sindone avvenne nel 1357 (anno successivo alla morte di Goffredo di Charny). Nel 1453 Margherita di Charny, discendente di Goffredo, la vendette ai duchi di Savoia. Questi la conservarono a Chambery, dove nel 1532 sopravvisse ad un incendio che la danneggiò notevolmente. Nel 1578 fu portata a Torino, dove nel frattempo i Savoia avevano trasferito la loro capitale, e da allora vi è rimasta ininterrottamente fino ad oggi.

Nel 1983 Umberto II° di Savoia, ultimo re d’Italia morendo, la lascio in eredità al Papa.

Il lenzuolo:

è di lino color giallo ocra di forma rettangolare e dello spessore di circa 0,35mm e peso 2,450kg. E’ cucito su di un supporto pure di lino delle stesse dimensioni. Il lenzuolo è tessuto a mano con trama a spina di pesce con rapporto tra trama e ordito di 3:1. Sono visibili i danni causati dall’incendio del 1532, simmetrici ai lati dell’immagine in quanto la Sindone era ripiegata.

Le due immagini ritraggono un corpo umano nudo a grandezza naturale, una di fronte e l’altra di schiena di colore scuro. L’uomo della Sindone fu adagiato sulla metà inferiore del telo e ricoperto con l’altra. Il corpo appare come quello di un maschio adulto, con barba e capelli lunghi, presenta numerose ferite: le più evidenti sono ai polsi e agli avanpiedi compatibili con l’ipotesi che vi siano stati piantati grossi chiodi e una larga ferita da taglio al costato.

La chiesa cattolica non si esprime sull’autenticità, lasciando alla scienza il compito di esaminare e valutare le prove a favore o contro, ma ne autorizza il culto come reliquia della Passione di Gesù. Diversi pontefici come Pio XI° e Giovanni Paolo II° hanno espresso il loro personale convincimento a favore dell’autenticità.

Esame dell’immagine:

L’immagine corporea visibile della Sindone è dettagliata, essa è un “negativo” nel senso che appare più naturale nel negativo fotografico che nel positivo, inoltre interessa solo le fibre più superficiali del tessuto e appare chiaramente solo sulla parte superficiale del telo, già sul secondo strato di fibre non vi è immagine. Quelle che appaiono come macchie di sangue corrispondono alla posizione delle numerose ferite.

Esistono numerose teorie sul meccanismo naturale o soprannaturale per la formazione dell’immagine

  • Reazione chimica: i vapori della decomposizione avrebbero interagito con il tessuto.
  • Irradiazione: si ipotizza un lampo di luce o fascio di particelle che avrebbe impresso l’immagine (resurrezione?).
  • Effetto corona (particolare tipo di scarica elettrica): esperimenti effettuati hanno dimostrato che con questa tecnica si producono immagini superficiali come quella della Sindone, tuttavia non è chiaro come possa essersi generato il campo elettrico necessario.
  • Pittura: gli esami hanno escluso la presenza di pigmenti né l’immagine presenta direzionalità come qualsiasi immagine pittorica.
  • Strinatura (bruciatura superficiale): con questa tecnica si sono ottenute immagini simili alla Sindone ma con caratteristiche fisiche e microscopiche completamente diverse.
  • Fotografia. Non sembra credibile che l’autore potesse possedere una tecnologia di esecuzione e stampa di tale livello.

Le tracce ematiche rinvenute sulla Sindone sono state analizzate ed è risultato essere sangue umano di gruppo AB e secondo alcuni studiosi (Zugibe 1989) il corpo fu in parte lavato prima della deposizione sul lino.

Nella cattedrale di Oviedo in Spagna è conservato un sudario che si ritiene essere stato posto sul capo di Gesù dopo la deposizione dalla croce, esami sul sangue rinvenuto hanno rilevato sangue gruppo AB e un’analisi comparativa del D.N.A. avrebbe evidenziato profili genetici simili (Prof.Bollone 1999 Torino).

La Sindone resta un enigma irrisolto, la scienza che attualmente se ne sta occupando ha associato l’immagine impressa nel telo al risultato di “un’ esplosione protonica generatasi a livello sub-nucleare del corpo raffigurato” (Ramsey, Oxford University 2008) la testimonianza dell’energia associata alla resurrezione????

 

Borgo e Rocca Medioevale52039221

 Il Borgo e la Rocca Medioevale di Torino costituiscono l’insieme di un museo – sia pure sui generis – sulla particolare architettura di un determinato periodo storico, appunto quello del medioevo.

Caratteristiche

Il borgo è, di fatto, più simile ad un sito archeologico-monumentale e nacque all’interno del Parco del Valentino come padiglione dell’Esposizione internazionale che si svolse a Torino dall’aprile al novembre del 1884.

Destinato alla demolizione al termine dell’Esposizione Internazionale, divenne museo civico nel 1942.

Si tratta di una riproduzione abbastanza fedele di un tipico borgo tardo medievale in cui sono ricostruite vie, case, chiese, piazze, fontane e decorazioni dell’epoca circondato da mura e fortificazioni e sovrastato da una rocca. Vi si accede attraverso una torre-porta.

Nel borgo sono inoltre presenti sin dal 1884 botteghe artigianali.

La Rocca

La Rocca è costituita da quattro piani: il piano interrato che ospita le prigioni; il piano terra invece l’ingresso, l’atrio, il cortile, il camerone dei soldati destinato ad ospitare i mercenari, le cucine e la sala da pranzo; il primo piano ospita la camera del guardiano che controllava l’accesso al ponte levatoio, l’antisala e la sala baronale, la camera da letto ispirata alla camera del Re di Francia del castello di Issogne, l’oratorio, la stanza della Damigella, e la cappella.

 Il Borgo Medievale

Il Borgo fu realizzato fra il 1882 e 1884 da un gruppo di artisti e intellettuali coordinati dall’architetto portoghese Alfredo d’Andrade.

 

Chiesa della Grande Madre di Dio:326991146_e90e817912_o

Voluta nel 1814 per celebrare il ritorno di Vittorio Emanuele I a Torino, fu eretta nel 1818 da Ferdinando Bonsignore e completata poi nel 1831.
È preceduta da un’ampia scala e da un pronao esastilo con trabeazione e timpano.
Tra il 1933 e il 1940 subì alcuni cambiamenti in occasione della sistemazione dell’Ossario dei Caduti della Grande Guerra.
Ai piedi della gradinata il monumento a Vittorio Emanuele I di Giuseppe Gaggini è affiancato dalle Statue della Religione e della Fede di Carlo Chelli.
Ai lati della scalinata che conduce all’ingresso, le due statue raffiguranti la Fede e la Religione sono state realizzate dal carrarese Carlo Chelli.
L’interno è a pianta circolare e la cupola si rifà al Pantheon e alla chiesa parigina della Madeleine.
Nella chiesa sono custodite le statue di San Maurizio, della Beata Margherita di Savoia, del Beato Amedeo di Savoia, di San Giovanni Battista e opere come la Vergine col Bambino di Andrea Galassi e il Crocifisso e il Sacro Cuore di Gesù di Edoardo Rubino.
Il mito vuole che nei sotterranei di questa chiesa si trovi il Sacro Graal.
Posto molto amato dagli esoteristi ma anche dai turisti che ne apprezzano la sobrietà e la vicinanza al fiume.

 

La Mole Antonelliana:TOR1_1_Torino

La Mole Antonelliana, simbolo architettonico di Torino, fu iniziata dall’architetto novarese Alessandro Antonelli nel 1863. Concepita originariamente come sinagoga, venne acquisita nel 1878 dal Comune di Torino, mentre era ancora in costruzione, per farne un monumento all’unità nazionale.
L’opera fu conclusa nel 1889, non dall’Antonelli (morto novantenne l’anno prima) ma da suo figlio Costanzo. Era, con i suoi 167 metri e mezzo di altezza, l’edificio in muratura più alto d’Europa.
Antonelli lavorò alla Mole fino alla sua morte: era famoso l’ascensore azionato da una puleggia che issava il quasi novantenne architetto in vetta della sua cupola per permettergli di verificare personalmente lo stato dei lavori. Antonelli chiamava il suo progetto “un sogno verticale”.
…a François Confino
“Non si può pensare a un Museo del Cinema solo come un museo di oggetti e macchine, perché l’essenza del cinema è il film”.
Sono parole dello scenografo François Confino, che ha progettato l’allestimento del Museo Nazionale del Cinema nel 2000 e il riallestimento nel 2006.
“Un tuffo in immersione totale nel mondo dell’immagine in movimento e della fiction. In un luogo di eccezionale levatura architettonica abbiamo creato un tempio del cinema, un omaggio complice e ammiccante alla Mole Antonelliana.”
L’ascensore panoramico – La vista su Torino
Nel 1961, in occasione delle celebrazioni del Centenario dell’Unità d’Italia, viene messo in funzione un ascensore panoramico. Rinnovato nel 1999, esso permette di salire fino al “tempietto” e allo straordinario punto di vista a 360 gradi del suo balcone sulla città e sull’anfiteatro delle Alpi. La corsa, nella cabina di cristallo trasparente, avviene in 59 secondi in un’unica campata a cielo aperto senza piani intermedi dalla quota di partenza, posta a 10 metri di altezza, fino agli 85 dell’arrivo.
Luci d’artista – Il volo dei numeriMole_Antonelliana_2
Dal 2000, in occasione della sistemazione dell’illuminazione esterna e della nascita del progetto “Luci d’Artista”, sul fianco della cupola è stata montata una scultura luminosa di Mario Merz, Il volo dei numeri. Rappresenta l’inizio della serie di Fibonacci, ed è una sfolgorante installazione concettuale in grado di rappresentare l’esplosivo e apparentemente caotico processo di crescita tipico di molti fenomeni naturali.

 

Museo Nazionale del Cinema di Torino:brand-it-up-travel-torino-museo-cinema-mole_44

Eppure non è un museo. Quantomeno, non lo è nel senso tradizionale del termine. Chi ha già avuto occasione di visitarlo, comprenderà quello che vogliamo dire. Chi invece si appresta a farlo, rimarrà sorpreso nello scoprire un luogo speciale e unico nel suo genere.
Il Museo è tra i più importanti al mondo per la ricchezza del patrimonio e per la molteplicità delle sue attività scientifiche e divulgative. Ma ciò che lo rende davvero unico è la peculiarità del suo allestimento espositivo. Il museo è ospitato all’interno della Mole Antonelliana, un monumento bizzarro e affascinante, simbolo della Città di Torino. E a partire dagli ambienti della Mole, lo scenografo svizzero François Confino ha lavorato d’ingegno e fantasia, moltiplicando i percorsi di visita per dare vita a una presentazione spettacolare, che investe il visitatore di continui e inattesi stimoli visivi e uditivi, proprio come capita quando si assiste alla proiezione di un film capace di coinvolgere ed emozionare.
Il Museo è più di un museo e chi vi entra non è solo un visitatore, ma anche un esploratore, un autore, un attore, uno spettatore… a cui il Museo regalerà l’emozione di un’esperienza che ci auguriamo non facilmente dimenticabile.

 

Museo Egizio di Torino:foto1-gerardo-del-prete-hires-1024x680

 

Il Museo Egizio di Torino è, come quello del Cairo, dedicato esclusivamente all’arte e alla cultura dell’Egitto antico. Molti studiosi di fama internazionale, a partire dal decifratore dei geroglifici egizi, Jean-François Champollion, che giunse a Torino nel 1824, si dedicano da allora allo studio delle sue collezioni, confermando così quanto scrisse Champollion: «La strada per Menfi e Tebe passa da Torino».

Il Museo Egizio (propriamente Museo delle Antichità Egizie) è costituito da un insieme di collezioni che si sono sovrapposte nel tempo, alle quali si devono aggiungere i ritrovamenti effettuati a seguito degli scavi condotti in Egitto dalla Missione Archeologica Italiana tra il 1900 e il 1935. In quell’epoca vigeva il criterio secondo cui i reperti archeologici erano ripartiti fra l’Egitto e le missioni archeologiche. Il criterio attuale prevede che i reperti rimangano all’Egitto.

 

Il primo oggetto giunto a Torino è la Mensa Isiaca, una tavola d’altare in stile egizittizzante, realizzata probabilmente a Roma nel I secolo d.C. per un tempio di Iside e acquistata da Carlo Emanuele I di Savoia nel 1630. Nel 1724 Vittorio Amedeo II di Savoia fonda il Museo della Regia Università di Torino, presso il palazzo dell’Università in Via Po, cui dona una piccola collezione di antichità provenienti dal Piemonte. Nel 1757, Carlo Emanuele III di Savoia, per arricchire il Museo dell’Università, incarica Vitaliano Donati, professore di botanica, di compiere un viaggio in Oriente e di acquistare in Egitto oggetti antichi, mummie e manoscritti che potessero illustrare il significato della tavola stessa. Gli oggetti raccolti dal Donati, tra cui tre grandi statue, giungono a Torino nel 1759 e sono esposti nel Museo della Regia Università, dove dal 1755 è collocata anche la Mensa Isiaca.

 

Il Regio Museo delle Antichità Egizie è formalmente fondato nel 1824, con l’acquisizione da parte di Carlo Felice di Savoia di un’ampia collezione di opere riunita in Egitto da Bernardino Drovetti. Questi, di origini piemontesi, aveva seguito Napoleone Bonaparte durante alcune delle sue campagne militari e per i suoi meriti l’Imperatore lo aveva nominato Console di Francia in Egitto. Drovetti, grazie alla sua amicizia con il viceré d’Egitto, Mohamed Alì, riuscì a trasportare in Europa gli oggetti raccolti. La collezione venduta dal Drovetti al sovrano Carlo Felice è costituita da 5.268 oggetti (100 statue, 170 papiri, stele, sarcofagi, mummie, bronzi, amuleti e oggetti della vita quotidiana). Giunta a Torino, è depositata presso il palazzo dell’Accademia delle Scienze (dove si trova tuttora) progettato nel XVII secolo dall’architetto Guarino Guarini come scuola gesuita.

 Mentre la Collezione Drovetti è disimballata, Champollion arriva a Torino e nell’arco di qualche mese di febbrile attività ne produce un catalogo, nonostante i disaccordi circa la conservazione dei reperti con il primo direttore, Giulio Cordero di San Quintino. Nel 1832, le collezioni raccolte presso il Museo dell’Università sono trasferite nel palazzo dell’Accademia delle Scienze. Alla guida del Museo si succedono Francesco Barucchi e Pier Camillo Orcurti. Dal 1871 al 1893 il direttore è Ariodante Fabretti che, coadiuvato da Francesco Rossi e Ridolfo Vittorio Lanzone, elabora il catalogo delle opere allora conservate. Nel 1894 la guida del Museo passa a Ernesto Schiaparelli che organizza scavi in numerosi siti egiziani, tra cui Eliopoli, Giza, la Valle delle Regine a Tebe, Qau el-Kebir, Asiut, Hammamija, Ermopoli, Deir el-Medina e Gebelein, dove le missioni sono proseguite dal suo successore, Giulio Farina.

 L’ultima acquisizione importante del Museo è il tempietto di Ellesija, donato all’Italia dalla Repubblica Araba d’Egitto nel 1970, per il significativo supporto tecnico e scientifico fornito durante la campagna di salvataggio dei monumenti nubiani, minacciati dalla costruzione della grande diga di Assuan.

 Nelle sale del Museo delle Antichità Egizie sono oggi esposti circa 6.500 oggetti. Più di 26.000 reperti sono depositati nei magazzini, in alcuni casi per necessità conservative, in altri perché rivestono un interesse unicamente scientifico (vasellame, statue frammentarie, ceste, stele, papiri) e sono oggetto di studi i cui esiti sono regolarmente pubblicati.

 La Torino Magica:

Magia. Torino ne è pregna. Lo dice il mito, che vuole che il capoluogo subalpino faccia parte dei due triangoli, quello della magia bianca (con Lione e Praga) e quello della magia nera (con Londra e San Francisco).IslBG

Ma lo dice anche la storia, che racconta che augusta Taurinorum fu fondata dai romani all’incrocio tra due fiumi – il Po e la Dora – rispettando le regole magiche che volevano una città dotata di porte ai punti cardinali. Lo dice anche l’atmosfera che si respira in tante vie del centro storico, quella atmosfera e quelle vie che hanno ispirato i noir di Fruttero e Lucentini e le profezie di Gustavo Rol (già medium di fiducia di Fellini). Non è importante credere a tutte queste malie, anzi, certo è meglio diffidarne, ma lasciarsi affascinare questo sì, va fatto, per godersi una suggestione in più.
Guardare Torino con gli occhi della magia, fa vedere una città diversa, nascosta, sotterranea. Si scorge quello che spesso sta – letteralmente – sotto le cose, nei cunicoli che corrono nelle profondità della città. Piazza Statuto, ad esempio.

Nella vita di tutti i giorni non è che un grande spazio piacevole a due passi da porta Susa. Invece – indossati gli occhiali della suggestione – si scopre che la piazza è il “cuore nero” della città e che in questa zona, ai tempi dei romani, c’era la “vallis occisorum” (da cui il nome del limitrofo quartiere Valdocco) ovvero la necropoli che verosimilmente ancora riposa sotto via Cibrario, corso Principe Eugenio, corso Francia e sotto le altre strade della zona. Proprio in piazza Statuto era infatti il patibolo, fino a quando i francesi lo trasferirono in quello che ancora oggi viene detto dai piemontesi “’l rondò dla forca” (non c’è bisogno di traduzione) all’incrocio tra corso Regina Margherita e via Cigna. E a ben guardare, nel cuore del piccolo giardino che occupa la piazza c’è un tombino. E quel tombino porta a un misterioso mondo sotterraneo: per i più prosaici conduce al nodo centrale delle fogne della città, per i più suggestionabili lì si trova la Porta dell’Inferno (almeno così vuole il mito).
A poche centinaia di metri dalla piazza, superato corso Svizzera, si trova via Michele Lessona dove un tempo stava la “Domus Morozzo” – di cui non v’è più traccia –, ovvero la residenza torinese del più grande e più celebre esoterista di tutti i tempi: Nostradamus. Ma torniamo in piazza Statuto e al patibolo: poco distante, in via Barbaroux, si trova la chiesa dove veniva data l’ultima benedizione ai condannati. E’ la chiesa della Misericordia – dal 1720 proprietà della confraternita della Misericordia – che tutt’oggi espone in alcune teche di vetro il registro con i nomi dei condannati, i cappucci neri, il “bicchierino” per un ultimo sorso e il crocefisso (e, sotto una lastra di marmo, un ossario).29893040
Sempre in zona, un altro paio di curiosità: nella chiesa di Santa Maria di Piazza vi è un quadro della Madonna che alcuni vogliono dipinto dallo stesso San Luca; in una località segreta, da queste parti, le leggende vogliono che sia conservato il velo della Madonna. Dopo aver fatto un salto nella vicina via Sant’Agostino, si può fare qualche metro nella piccola via Bonelli dove un tempo abitava il boia di Torino. Di lì, in pochi minuti, si arriva in piazza Solferino, una delle principali della città. E qui l’attenzione viene attirata dalla Fontana Angelica, rappresentazione allegorica che per gli esoteristi rappresenta la Porta verso l’Infinito.
Ancora pochi metri, e si arriva alla piacevolissima piazzetta corpus Domini che ospita l’omonima chiesa realizzata nel Seicento nell’esatto punto in cui – nel 1453 – avvenne il “Miracolo di Torino”: un ladro tentava di vendere refurtiva sacra proveniente dalla chiesa di Exilles in Val di Susa; d’improvviso dal sacco s’innalzò, splendente, un’ostia e solo le preghiere dei fedeli e le parole del vescovo Ludovico di Romagnano la fecero ridiscendere.
Da piazzetta Corpus Domini bastano pochi istanti per raggiungere il centro della città: piazza Castello. E il cuore della città è anche il cuore della magia, quello “bianco” in particolare: gli esoteristi affermano che l’epicentro dell’energia positiva del capoluogo si trova dove sorge palazzo Reale, tra la piazzetta Reale e i giardini, in particolare in corrispondenza della fontana dei Tritoni. Come se non bastasse, poco più in là, nel Duomo, riposa la Sindone, simbolo del messaggio positivo del cristianesimo. Ma il male è sempre alle porte: alcuni considerano il cancello del Palazzo, incorniciato dalle statue equestri di Castore e Polluce, il limen, il confine tra la città santa e quella diabolicaImage91.
Il centro riserva altre sorprese: il museo Egizio ha da sempre un che di magico (tanto che negli ultimi tempi i giornali hanno bollato alcuni innocui malori di studenti in visita come “maledizione”) e sotto Palazzo Madama sono celate le cosiddette Grotte Alchemiche che avrebbero ospitato gli “scienziati” di casa Savoia a caccia della Pietra Filosofale. Da qui, prendendo via Po si può dirigere verso il fiume, oltre il quale – superata piazza Vittorio – riposa uno dei simboli dell’esoterismo subalpino: la chiesa della Gran Madre di Dio. Alcune tradizioni vogliono che sotto la basilica sia nascosto il Sacro Graal, altre che la collocazione del calice fosse invece indicata dall’indice di una delle statue che accolgono i visitatori,ora,purtroppo,distrutto.
Ma tutte queste informazioni – che compongono solo un veloce ritratto della città magica – non possono trasmettere la malia dell’aria che si respira in alcune vie del centro storico. L’unico modo per capirla e viverla davvero, è esserci.

 

Il cioccolato:

Bottiglia di bicerin, tipico prodotto torinese

Gianduiottogianduiotto

Torino è un importante centro europeo per la produzione di cioccolato. Fu a Torino, infatti, che alla fine del XVIII secolo fu inventato il sistema per rendere il cioccolato solido, dato che fino ad allora veniva consumato esclusivamente come bevanda calda. In tal modo iniziò una vera e propria produzione industriale che da Torino si diffuse in tutta Europa, a tal punto che gli stessi Svizzeri vennero nella capitale del Regno Sabaudo per imparare il mestiere.

Tipico cioccolatino simbolo di Torino è il Gianduiotto, inventato dalla Caffarel (allora situata in via Balbis, nel quartiere San Donato di Torino) nel 1852.

Le più importanti cioccolaterie della città sono Peyrano, Streglio, Baratti e Milano, Guido Gobino, Pfatish, Venchi e Stratta.

Un altro tipico prodotto torinese a base di cioccolato è il bicerin, una bevanda a base di cioccolato, caffè e panna, inventata secondo la tradizione al caffè Al bicerin, uno dei più antichi caffè della città. Oggi è prodotto, sempre a Torino, un liquore chiamato Bicerin (vedi foto), a base di crema di gianduia.

A Torino a marzo si tiene per le vie e piazze della città CioccolaTò: una fiera del cioccolato in cui prendono parte sia i produttori locali sia le multinazionali del settore.

Baratti & Milano:BurattiTorino

Per concedersi un caffè o aperitivo da veri signori, nella confetteria inaugurata nel 1873. Allora il locale era “Fornitore della Real Casa”, oggi è fornitore di ottimi cocktail e tramezzini indimenticabili. Il posto giusto anche per un pranzo, incredibilmente a prezzo modico (il piatto unico, delizioso, il dolce e un calice di vino non superano i 15 euro). Il locale – unico – è in una location straordinaria, tra piazza Castello e la galleria Subalpina, a due passi dall’altro storico caffè Mulassano. Il locale è stato ristrutturato recentemente senza tradire la tradizione. Fernando Baratti ed Edoardo Milano inaugurarono la loro Caffetteria a Torino nel 1858.
Il locale fu luogo di incontro di principi e teste coronate ed ottenne l’onore dello stemma
di Casa Savoia. Ingrandito e restaurato, il Caffè Baratti e oggi uno dei Caffè Pasticceria più belli e famosi d’Europa: un valore storico riconosciuto anche dal Ministero dei Beni Culturali.
Un patrimonio della città, ma soprattutto dei torinesi e delle migliaia di turisti che vengono ad ammirare l’incanto degli stucchi, dei decori, dei marmi, degli intarsi in legno, della facciata e delle vetrate. Un primo incontro indimenticabile: poi, passato il momento di stupore, gli occhi scendono ai cristalli della pasticceria, ai tavoli del ristorante, al banco degli aperitivi.
E scoprono una seconda meraviglia, quella delle produzioni dei laboratori dolciari, delle confezioni del cremino classico e dei gianduiotti. L’abbinamento con le nocciole delle Langhe, fino ad allora utilizzate solo crude, porto alla nascita del cioccolato più buono del mondo, il Gianduja. E del gianduiotto inventato nel 1865 e che, al Caffè Baratti, ha raggiunto
la sua massima espressione. Oggi il locale e la vetrina dell’omonima azienda dolciaria con sede a Bra, in provincia di Cuneo. Un’attività che inizia il mattino con il rito del caffè e della colazione in tutte le sue varianti, prosegue con il pranzo, continua nel pomeriggio
con la cerimonia della cioccolata classica e del tea. Termina con gli aperitivi ed i cocktail internazionali. Senza dimenticare i gusti più esclusivi della gelateria, come la Coppa Gozzano, la Coppa Reale e la Coppa Subalpina. Baratti Milano vi delizia in tutti i sensi.

 I must del laboratorio di pasticceria sono la famosa torta Baratti, oppure la nuova “Barattina”,
di cioccolato bianco, fondente e cioccolato alle nocciole Gianduja, ma tra le nuove proposte non mancano i dolci di un tempo come la Torta di Nocciole, la Torta Paradiso e la meringata ai frutti di bosco. Da non perdere i prodotti del laboratorio di gelateria artigianale: dal gelato al cremino Baratti, al cioccolato fondente gran cru Ecuador, dalla doppia panna ai gusti di frutta fresca. Il prestigioso ristorante di qualità è aperto solo a pranzo. E c’e l’imbarazzo della scelta per le idee regalo o i dolci souvenir di Torino.

Mulassano:

il Caffè Mulassano. Liquoreria fondata da Amilcare Mulassano nella seconda metà dell’ottocento in Via Nizza, trasferitasi nel 1907 nell’elegante sede liberty di Piazza Castello, da allora ha conquistato l’ambiente culturale piemontese.

Soffitto intarsiato di legno e oro, pavimenti in marmo, spesse tende color cardinalizio, pareti di specchi che rimandano le immagini all’infinito, pochi tavoli. Non fatevi intimidire dal sontuoso arredamento del Caffè e dal suo pedigree.

Qui si incontravano il Re e Garibaldi bevendo vermouth, il liquore alle erbe e al vino moscato inventato dal biellese Antonio Benedetto Càrpano.

Al Mulassano Guido Gozzano scriveva in rima di donne e “dolcezze” e Erminio Macario, seduto nel dehors sotto i portici, divorava i tramezzini, specialità del Caffè dal 1925, quando i torinesi scoprirono quant’è buono il pane con salmone, pâté di tartufo e insalata d’aragosta, e ossessione dello chef che li propone in più di quaranta combinazioni. Frequentato dai vip, Savoia, Agnelli, registi, attori e cantanti del Teatro Regio, ma anche da impiegati per un pranzo leggero. Set di molti film, come “Piccolo mondo antico”. Segnalato da Gambero Rosso, Lonely Planet e da un migliaio di altre guide.

Ideale per una ricca prima colazione, brioche mignon e sacher più cappuccino, o per un aperitivo con degustazione di tramezzini (lo chef ve ne sarà grato) e cocktail Mulassano, 24 gradi di infuso di erbe e bitter.

E non potete esimervi dal provare il bicerin Mulassano, gustoso intruglio di caffè, cioccolata calda e crema di latte, servito senza aggiunta, ci tengono a dirlo, di panna montata, a differenza del tradizionale bicerin proposto dai bar torinesi.

 

Alcuni consigli per assaporare al meglio Torino (raggiungibili a piedi da via Lagrange):

Ristoranti:

Bruschetteria Pautasso – Piazza Emanuele Filiberto 4 (011.4366706) –pautasso E’ il ristorante che i torinesi consigliano a coloro che vengono a fare una gita di un giorno a Torino. A due passi dallo storico mercato di Porta Palazzo, in una piazzetta tra le più graziose del quadrilatero romano (la zona di Torino con le rovine romane e le Porte Palatine), c’è questo storico locale che propone cucina tipica piemontese, ma alleggerita. E’ difficile uscirne scontenti. Variegato il giro degli antipasti, ma soprattutto è da provare la bagna cauda (preparata a beneficio di coloro che non apprezzano i sapori troppo forti, cioè senza aglio) con le verdure. Anche i primi piatti arrivano direttamente dalla tradizione (agnolotti, monferrini, tajarin), mentre i secondi piatti sono meno significativi. La spesa è sui 25/30 euro.

Le Tre Galline – via Bellezia 37 (011.4366553) – Il Ristorante Tre Galline, locale storico situato vicino al mercato di Porta Palazzo, è un ambiente curato, accogliente e rustico, dalle sale con soffitti in travi di legno. La cucina è tipica locale, con piatti che sono un vero omaggio alla tradizione piemontese. La spesa è sui 40/50 euro.

Otium e Sibiriaki –via Bellezia 8 (011.4360738) – In un ambiente caldo e rusticootium-e-sibiriaki-20110607-222654, con pareti rosse e alti soffitti a cassettoni, vengono servite pietanze della tradizione russa e siberiana con qualche suggestione italiana. Il piatto forte è il Sibir, piatto unico di carne, verdure, gamberi alla piastra con accompagnamento di riso bianco o nero e spezie varie. Altre proposte del menu: Borsh, Plini e Pelmeni. Da bere vini in arrivo da ogni angolo del mondo (circa 100 etichette), birre russe e europee e una selezione di 15 tipi di vodka (tutte non aromatizzate). La spesa per il Sibir è 27 euro.

Arcadia – piazza Castello 29 (011.5613898) -Nel salotto della Galleria Subalpina, trovate questo locale che presenta cucina regionale e di pesce; è punto di riferimento per gli amanti del sushi e della cucina giapponese. Buona la frittatina di baccalà, meglio un tempura o un dessert con marmellata di ‘azuki’. Il locale è di Piero Chiambretti. La spesa è sui 30 euro.

Sindbad Kebab – via Milano 10 (011.5216518) – Ristorante Egiziano, Sia da asporto che da consumare sul posto, il kebab del Sindbad è uno dei più apprezzati di Torino. Oltre 14 anni di onorata attività l’hanno reso celebre fra la gente della notte, e non solo. All’esterno è una classica gastronomia araba con le foto che presentano le pietanze. All’interno è composta di una prima sala piastrellata di azzurro e altre due dipinte di arancione e blu acceso. Specialità egiziane e marocchine e anche dolci. Prezzo meno di 20 euro.

 

Pizzerie:

  • Pizzeria Luna Rossa – via Pietro Micca 9 (011.5119810) – pizzeria napoletana
  • Pizzeria Regina Margherita – via del Carmine 2 (011 4310287‎) – pizzeria napoletana

 

Vinerie:

  • Tre Galli – via San Agostino,25 (011.5216027) – L’Enoteca Tre Galli, situata nel Quadrilatero Romano, è un’elegante trattoria e vineria dall’arredamento minimalista e dalla bella atmosfera. La cucina è classica, mediterranea tendente al creativo, con piatti tradizionali semplici e gustosi. L’Enoteca Tre Galli, situata in provincia di Torino, dispone inoltre di un’eccellente cantina vini con selezione ampia e curata di oltre 1800 etichette. La spesa 20-30 euro vini esclusi.
  • Il Bagatto – Via Sant’Agostino, 30 (011 4368887‎) – Vineria ristorante con cucina tipica piemontese e degustazione di vini tipici. Ideale anche per chi cerca un posto dove mangiare il weekend anche dopo mezzanotte, il venerdì e il sabato è aperto fino alle 3 del mattino. La spesa 25-30 €.
  • Brasserie Societé Lutece – piazza Vittorio Emanuele II, 21 (011. 887 644) – Nella bellissima piazza Carlina, un delizioso angolo di Francia. Si mangiano solo prodotti d’oltralpe – dai formaggi alle insalate, dai piatti ai vini. Prezzo sui 20 euro.
  • Ristorante Pastis – piazza Emanuele Filiberto 9/b(0115211085) – situato nel vivacissimo Quadrilatero Romano, è un ambiente raccolto e piacevole, dall’atmosfera anni Cinquanta e dall’arredamento semplice ispirato ad una nota marca di caffè, dotato di uno splendido dehors estivo spalancato su piazza Emanuele Filiberto. La cucina è siciliana, dai sapori mediterranei, specializzata in piatti a base di pesce. Il Ristorante Pastis, situato in provincia di Torino, dispone inoltre di una buona cantina vini con selezione curata delle etichette. Complessivamente offre la disponibilità di 100 coperti. Spesa tra 20 e 30 euro.

 

 Aperitivo:

L’aperitivo e’ una tipica usanza torinese che sostituisce spesso la cena, in pratica dalle 18:00 in poi in molti bar viene allestito un buffet più o meno grande e più o meno fornito e, prendendo solo una bevanda (7-10 euro a seconda del posto) si può mangiare tutto quello che si vuole.

 

  • Lobelix Cafè – piazza Savoia, 4 (011.43672069) – Situato vicino all’obelisco (da qui il nome), il locale ha un arredamento ispirato al cinema, è caratterizzato da uno stile camaleontico ed è disposto su due livelli, più dehor estivo. Ogni sera propone musica dal vivo fino alle 21.00 o dj. Ricco aperitivo a buffet, con torte salate, verdure, salumi, formaggi, vini, pestati, frozen e long drinks.
  • Caffè Roberto – via Po’, 5 () – Bella la collocazione: in via Po, a due passi dal Teatro Regio. Un bar di grande passaggio, che non ha rinunciato alla qualità data la quantità di persone che lo frequentano. L’aperitivo è deciso, ricco di assaggini freddi e caldi.

 Fast-food e Pub:

  • Mc Donald’s – Piazza Castello 51 –
  • Focacceria Riviera Ligure – Piazza Castello 153 –
  • Re Calamaro – Via Carlo Alberto 7/a – Friggitoria Take-Away fanno pesce fritto al cartoccio e tempura varia.
  • The Huntsman Pub – Corso Vittorio Emanuele 43 – English Pub.
  • Shamrock Inn– Corso Vittorio Emanuele 34 – IrishPub, 3 piani stile Old Dublin.
  • The Royal Princess Pub – Via Po 45 – Carino e in centro.
  • Road Pub– Via Carlo Alberto 3

 Caffè Gelateria Pasticceria:

  • Guido Gobino – Via Lagrange 1 -Rivendita Cioccolata di Gobino, un po’ cara ma vale la penaart_345_1_Misto
  • Giordano – Piazza Carlo Felice 69 – i migliori gianduiotti
  • Fiorio Caffe’ Gelateria – Via Po 8 – il gelato con la Gianduia più buona della città.
  • Al Bicerin – Piazza della Consolata 5 – e’ nel Quadrilatero Romano, il Bicerin e’ una tipica specialità torinese, il posto è piccolo e c’è sempre coda.

 

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Viaggio con Monica e le persone che amiamo per cercare di essere migliore ma non sempre riesco….

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