L’ America è ovunque, è nell’aria che respiriamo, nell’energia che ci circonda. Non c’è bisogno di attraversare oceani: l’America arriva fino a noi, permeando le nostre vite attraverso la magia della musica, la potenza dei film, la forza dei simboli che portiamo dentro di noi.

È Hollywood, è la Coca-Cola, sono i Levis, le Harley Davidson, la Route 66, il Grand Canyon, la Monument Valley… è il luogo in cui i sogni prendono vita, dove l’impossibile diventa possibile.
L’ America è passione, è un’emozione che ci attraversa e ci ispira, ovunque ci troviamo.

San Francisco
Pochi luoghi al mondo sono eccentrici e sregolati quanto San Francisco, una bellissima città posta su un susseguirsi di saliscendi a ridosso dell’affascinante omonima baia, un autentico gioiello, la città ideale per passare una vacanza sulla costa californiana.
La città di San Francisco si trova sulla costa del Pacifico, nello Stato della California, in corrispondenza dell’omonima baia, San Francisco Bay, che coincide anche con una delle aree metropolitane più popolate degli Stati Uniti (ben 9 contee con circa 8 milioni di abitanti). La città dista 616 km da Los Angeles e 807 km da San Diego, le altre 2 grandi città della costa della California.

Storia
L’area della baia di San Francisco, prima dell’arrivo dei primi europei, era stata abitata per migliaia di anni dalle popolazioni indigene locali. In modo particolare si fanno risalire a quest’area la presenza di almeno quattro distinte tribù: gli Yokut, i Wintun, i Miwok e gli Ohlone. Quest’ultimi erano i più numerosi (si stima che stanziassero in questa zona più di 10.000 persone appartenenti a questa tribù) e, riuniti in villaggi di piccole dimensioni, si estendevano lungo tutta la penisola fino alla zona in cui oggi si trovano Monterey e il Big Sur.
I primi europei a mettere ufficialmente piede, non tanto in California, ma in questa zona in particolare furono gli spagnoli e, per la precisione, i membri della cosiddetta “Spedizione Portorola” che, partita dalla Bassa California, arrivò nella zona della baia nel novembre 1769.
Il fatto che l’area di San Francisco sia stata esplorata per la prima volta via terra e non via mare potrebbe suscitare qualche perplessità ed è d’obbligo una precisazione per spiegare questo fatto quanto mai curioso. Prima della Spedizione Portorola c’erano state molte altre missioni esplorative proprio via mare, ma la zona non fu mai esplorata a fondo e, se qualcuno ha familiarità con il clima di San Francisco, potrà intuirne il motivo. La fitta nebbia che per molti giorni durante l’anno avvolge la baia non permise infatti di rivelare mai con chiarezza cosa si celasse nell’entroterra rendendo l’area difficilmente navigabile. Un esploratore che si imbatté proprio nel problema che abbiamo descritto fu il portoghese Juan Rodríguez Cabrillo che nel 1542, pur essendo il primo europeo ad esplorare le coste della California, non riuscì ad approfondire la conoscenza proprio a causa di questo fenomeno.
Nel 1804 la corona spagnola decise di creare due amministrazioni distinte per governare la zona: una per l’Alta California e una per la provincia della Baja California. Ma questo tipo di governo non ebbe una vita molto lunga dato che nel 1810 iniziò la guerra di indipendenza messicana, e nel 1821 entrambe le province entrarono sotto la giurisdizione messicana. Monterey divenne quindi la capitale dell’Alta California.
Fu in questo periodo che per la prima volta l’area urbana di San Francisco iniziò lentamente a svilupparsi. Nel 1835 infatti, grazie all’opera dell’imprenditore inglese William Richardson, un piccolo nucleo di abitazioni venne costruito vicino alla missione. Questo primo vero e proprio insediamento prese il nome di Yerba Buena e, durante i successivi anni, iniziò a crescere lentamente intorno alla piazza che sarebbe stata chiamata Portsmouth Square.
Ma la pace non sarebbe durata a lungo visto che dopo poco più di 20 anni un altro conflitto armato decise definitivamente le sorti di questa zona. Nel 1846 scoppiò infatti la guerra fra il Messico e gli Stati Uniti.
il 15 giugno del 1846, a seguito dell’annessione del Texas agli Stati Untiti, una trentina di coloni americani che vivevano in questa zona della California organizzarono una rivolta e conquistarono una piccola guarnigione messicana di stanza a Sonoma dichiarando l’indipendenza e la nascita della Repubblica della California.
Nello stesso periodo l’esercito e la marina americana invasero militarmente la zona e, in breve tempo, sbaragliarono le impreparate e sparute truppe dell’esercito messicano. Gli indipendentisti californiani decisero quindi di sostenere le forze armate statunitensi.
L’insediamento di Yerba Buena venne reclamato dal capitano della marina americana John B. Montgomery, e il 7 luglio 1846 la bandiera a stelle strisce sventolò a Portsmouth Square. Un’incisone che ricorda l’evento si può trovare ancora oggi in un angolo dell’edifico conosciuto come Bank of Italy Building al 552 Montgomery Street. A seguito di un’ordinanza del 30 gennaio 1847 la città cambiò definitivamente in San Francisco.
L’esercito messicano non venne surclassato soltanto in California ma praticamente ovunque e il 2 febbraio del 1948, dopo neanche due anni dall’inizio delle ostilità, con il Trattato di Guadalupe Hidalgo furono stilati i termini della resa.
Gli Stati Uniti entravano quindi in possesso del Texas, di quelli che oggi sono la California, Utah, Nevada, New Mexico e la gran parte del territorio che un giorno sarebbe diventato Arizona, Oklahoma. Kansas, Wyoming e Colorado.
Nonostante la felice posizione geografica, sia da un punto di vista militare che commerciale, San Francisco rimase un piccolo e quasi insignificante insediamento fino a quella che sarebbe stata conosciuta come la febbre dell’oro. La corsa all’oro esplose in California nel 1849, portando la città a un’incredibile crescita, basti pensare che fra il 1870 e il 1900, vi abitava circa un quarto della popolazione dello Stato. Una curiosità legata a questo avvenimento è che la squadra di football della città si chiama San Francisco 49ers proprio come riferimento all’anno in cui i cercatori d’oro dettero il via alla vera e propria Gold Rush nella zona.
Durante la seconda metà dell’800 ci fu inoltre la creazione e l’implementazione di una delle attrazioni più note di San Francisco: le cable cars. Le strade della città infatti, a causa della conformazione del terreno, erano molto ripide e, durante i giorni di pioggia, si riempivano di fango rendendole impossibili da percorrere, provocando numerosi e mortali incidenti. Per cercare di ovviare a questo problema prima di tutto si provò gradualmente a livellarle e ricoprirle di assi in modo da rendere più agevole il percorso.
Non si riuscì comunque a risolvere più di tanto il problema, fino a quando nel 1873 venne testato con successo dalla collina di Nob Hill il primo sistema di cable car. Negli anni successivi fino al 1890 vennero istituite ben 23 linee finché non vennero gradualmente sostituite dai primi tram elettrici. Le linee di cable cars rimasero quindi attive soltanto sulle vie più ripide e, nel 1912 se ne contavano soltanto 8.
Nel 1951 vennero completamente soppiantate dall’utilizzo dei moderni autobus, ma nel 1952, grazie all’enorme sostegno dei residenti, furono riaperte le tre linee che esistono ancora oggi.
Il 18 aprile del 1906 ebbe luogo un terremoto di 7.8 gradi della scala Richter che causò 3.000 vittime (il più grande numero di morti per cause naturali della storia della California), distrusse l’80% degli edifici di San Francisco e rese senza una casa in cui abitare quasi la metà della popolazione. Dopo la ricostruzione che fece seguito al devastante terremoto del 1906, San Francisco riprese la sua crescita grazie ad alcuni avvenimenti internazionali di cui si rese protagonista
L’Esposizione Internazionale Panama Pacific del 1915, di cui rimane come preziosa testimonianza l’elegante Palace of Fine Arts
Durante la Seconda Guerra Mondiale fu utilizzata come porto d’imbarco per il conflitto sul versante Pacifico
Nel 1945 fu eletto come luogo di nascita delle Nazioni Unite
Il decennio successivo fu dominato culturalmente, dal movimento hippie e dalle violente proteste contro la guerra del Vietnam. Ma anche a livello musicale San Francisco divenne un luogo di aggregazione e un trampolino di lancio notevole per gruppi entrati nella storia del rock come i Jefferson Airplane, i Grateful Dead e Janis Joplin.
Nel 1971 un gruppo di nativi americani occupò l’isola di Alcatraz reclamando la proprietà del terreno, dal momento che dal 1963 non veniva più utilizzata come prigione. L’intenzione era quella di fondare un centro culturale per sensibilizzare la popolazione contro le politiche adottate dal governo federale nei confronti dei nativi.
Ma gli anni ’70 furono anche anni di estrema violenza che portarono San Francisco alla ribalta delle cronache nazionali, i casi più eclatanti furono due. Nel settembre del 1975 ci fu un attentato contro il Presidente degli Stati Uniti Gerald Ford e, nel novembre del 1978, il sindaco George Moscone e il consigliere comunale Harvey Milk vennero uccisi.
Milk era noto per essere stato il primo politico apertamente omosessuale ad essere eletto ad una carica pubblica; la sua morte, e la pena di soli 5 anni di prigione per l’assassino, provocò un’ondata di sdegno a partire dal quartiere di Castro che dagli anni ’40 era il punto di riferimento della comunità omosessuale.
Clima
Il clima di San Francisco è temperato, caratterizzato da lunghe estati fresche e inverni miti. La posizione sulla baia e la vicinanza del mare favoriscono la presenza di vento e nebbia, anche nei mesi estivi. Famosa in proposito è la frase di Mark Twain: “L’inverno più freddo che ricordi è stato un’estate a San Francisco”.
Con un clima mai eccessivamente caldo nei mesi estivi e abbastanza mite nei periodi invernali, San Francisco è una meta adatta alla visita per tutto l’anno.
San Francisco, la capitale mondiale della stravaganza e dell’insolito, nonché una fra le più affascinanti città USA.
San Francisco è il centro nevralgico della San Francisco Bay Area, una vasta area metropolitana di circa 7 milioni di abitanti, e il fascino che esercita da decenni su milioni di turisti è dovuto non poco alla sua particolare ubicazione geografica, che la vede svettare con le sue numerose colline e al tempo stesso riversarsi direttamente sul mare.
La città non è enorme, ma occorre sapersi organizzare per godersela a pieno e non perdersi le principali attrazioni. I principali luoghi di interesse si concentrano in un’area piuttosto circoscritta
Luoghi di interesse
Una volta il Ferry Building era un importante snodo per i trasporti: negli anni ’20 dalle vicinanze della baia vi si riversavano ogni giorno ben 50000 pendolari, facendo del luogo una sorta di crocevia frenetico. Oggi il Ferry Building si presenta in un modo completamente diverso: un luogo di quiete e tranquillità, dove spicca, nella brezza mattutina, un suggestivo campanile ispirato alla Giralda la torre campanaria della cattedrale di Siviglia che da più di 100 anni fa bella mostra di sé.

Durante gli anni’50, quando l’utilizzo dei traghetti come principale mezzo di trasporto nella baia iniziò a declinare, l’edificio iniziò ad essere sempre meno utilizzato, tanto da veder adibire i suoi spazi anche ad uffici. Il punto di svolta arrivò all’inzio del nuovo millennio quando si dette il via ad un imponente progetto di restauro che l’ha trasformato in uno dei mercati e punti di incontro più rinomati della città. Una volta arrivati in zona potrete quindi decidere se visitare il mercato intorno all’edificio (nei giorni in cui viene effettuato) o entrare all’interno dell’edificio e scoprire i molti negozi di artigianato e ristoranti che qui sono ospitati.
Esiste anche la possibilità di salire al piano superiore dove però non ci sono negozi ma avrete solo la possibilità di osservare dall’alto il brulicare di persone sotto di voi. Ma il punto più affascinante è sicuramente fuori. Appena attraversato l’edificio vi troverete in un molo bellissimo, di fronte al mare di San Francisco, dove la brezza mattutina, i gabbiani e i musicisti di strada concorrono a creare un’atmosfera decisamente poetica.
San Francisco è rinomata per i suoi saliscendi che conducono a eleganti quartieri residenziali in collina, dai quali è possibile godere di eccellenti panorami su tutta la baia e sullo scenario urbano. Se Lombard Street su Russian Hill è uno dei punti panoramici più famosi, la Coit Tower su Telegraph Hill non è da meno: la sua posizione la rende una delle attrazioni da visitare a San Francisco.

La Coit Tower è alta 64 metri e svetta sulla città dal 1934, anno in cui fu inaugurata. Circondata da un parco di quasi 5 acri, Pioneer Park, la torre in stile art-déco offre una vista a 360 gradi sull’intera città, sulla baia, sul Golden Gate e su Alcatraz. Cosa aspettarsi? Un panorama notevole, una torre che racchiude storie di proteste e arte, scalinate nel verde abitate da pappagalli, giardini e scorci su una città come San Francisco che, da quassù, è davvero più bella che mai
Lombrad Street è una via unica e, grazie ai suoi famosi tornanti, è forse una delle strade più fotografate del mondo. Insieme al Golden Gate Bridge e alle celebri Cable Car è una delle attrazioni simbolo della città di San Francisco.

È visitata ogni giorno da centinaia di turisti che scelgono di raggiungerla a piedi oppure di percorrerla con la propria macchina. Qualunque modo scegliate è sicuramente una tappa imprescindibile fra le cose da vedere a San Francisco.
Se volere unire alla visita di Lombard Street un suggestivo viaggio in Cable Car potete farlo. Se userete la linea Powell-Hide, partendo dal capolinea di Market Street, dovrete scendere alla fermata Hyde St & Lombard St, che vi lascerà nella parte più alta di Lombard Street, dalla quale potrete avere una vista suggestiva su parte di San Francisco e della Baia.
Se preferite invece percorrere a piedi il breve tratto in salita, godendovi lo spettacolo del serpentone di macchine che procedono lente nei tornanti, potete utilizzare la linea Powell-Mason e, se provenite dal capolinea di Market Street, scendere alla fermata Columbus Ave & Lombard St, dalla quale potrete raggiungere la vostra destinazione con una breve camminata di 5 minuti (in salita).
Avrete sicuramente sentito dire che la Chinatown di San Francisco è la più grande comunità cinese fuori dall’Asia. Ebbene, durante una visita nella City by the Bay, questi 3,5 chilometri quadrati di oriente diventano una destinazione a sé. Potete trascorrervi mezza giornata per mangiare dim sum, fare shopping di souvenir prima di partire e dimenticarvi per un attimo di essere in America.

È stata fondata nel 1848, anno che diede inizio ad un flusso migratorio da Guangdong e Hong Kong fino al ‘900, ed è l’area più densamente popolata ad ovest di Manhattan. Tra i suoi confini vivono più di 100,000 persone, molte delle quali parlano solo cinese mandarino o cantonese. Tra arte, templi e tè, la Chinatown più antica degli Stati Uniti vi catapulterà in una dimensione totalmente nuova.

Il Golden Gate Bridge con la sua imponenza è sicuramente una delle immagini che da subito associamo all’idea degli Stati Uniti e insieme ad Alcatraz è l’attrazione per eccellenza della città di San Francisco.

La costruzione del ponte iniziò nel 1933 e andò avanti per i successivi quattro anni fornendo anche un po’ di respiro all’occupazione californiana negli anni della Grande Depressione. Il progetto di realizzazione ideato dall’ingegnere Joseph Strauss non ebbe però vita semplice, non soltanto per lo sforzo economico che avrebbe richiesto (alla fine i costi di realizzazione ammonteranno a 35 milioni di dollari) ma anche perché dovette superare l’opposizione politica della Southern Pacific Railroad, visto che la realizzazione del Golden Gate Bridge avrebbe mandato in pensione il servizio di traghetti che collegavano San Francisco con Marine County.
Una volta terminato nel 1937 diventò il ponte sospeso più lungo del mondo, record che detenne fino al 1963 quando il suo “cugino” Verrazzano Narrows Bridge unì le sponde di Brooklyn con quelle di Staten Island. Costruito per resistere non solo al quotidiano passaggio di migliaia di automobili ma anche ad ogni tipo di intemperie come il vento che, quasi quotidianamente, soffia fortissimo sulla baia di San Francisco, alle onde del mare e ai terremoti che da sempre caratterizzano la regione californiana. Pensate a questo proposito che la campata centrale è stata progettata per resistere a più di otto metri di oscillazione.

La costruzione del ponte iniziò nel 1933 e andò avanti per i successivi quattro anni fornendo anche un po’ di respiro all’occupazione californiana negli anni della Grande Depressione. Il progetto di realizzazione ideato dall’ingegnere Joseph Strauss non ebbe però vita semplice, non soltanto per lo sforzo economico che avrebbe richiesto (alla fine i costi di realizzazione ammonteranno a 35 milioni di dollari) ma anche perché dovette superare l’opposizione politica della Southern Pacific Railroad, visto che la realizzazione del Golden Gate Bridge avrebbe mandato in pensione il servizio di traghetti che collegavano San Francisco con Marine County.
Una volta terminato nel 1937 diventò il ponte sospeso più lungo del mondo, record che detenne fino al 1963 quando il suo “cugino” Verrazzano Narrows Bridge unì le sponde di Brooklyn con quelle di Staten Island. Costruito per resistere non solo al quotidiano passaggio di migliaia di automobili ma anche ad ogni tipo di intemperie come il vento che, quasi quotidianamente, soffia fortissimo sulla baia di San Francisco, alle onde del mare e ai terremoti che da sempre caratterizzano la regione californiana. Pensate a questo proposito che la campata centrale è stata progettata per resistere a più di otto metri di oscillazione.

C’è chi raggiunge Fisherman’s Wharf perché vuole vedere il famoso Pier 39, il molo commerciale di San Francisco per eccellenza, con i suoi flaccidi e rumorosi leoni marini spiaggiati sulle chiatte, i ristoranti di pesce, le bizzarre attrazioni e le trappole per i turisti e i negozi di souvenir a tema…

Oppure c’è chi raggiunge questa zona per imbarcarsi sul battello per Alcatraz e ne approfitta per fare due passi sul lungomare, lasciandosi vincere dalla tentazioni più golose: i granchi Dungeness al vapore e la Clam Chowder come portate principali. Poi, per dessert, la famosa cioccolata di Ghirardelli.
C’è chi invece, appassionato di pesca, ama ascoltare il rumore della risacca che accarezza lo scafo dei pescherecci ormeggiati al molo, tra grovigli inestricabili di funi, secchi pieni di reti e corde, boe scolorite e vasche piene di pesce odoroso, appena tirato su dalle acque della baia.
C’è chi, d’altro canto, è cresciuto a pane e Stevenson e vuole vedere con i propri occhi la piccola flotta di navi storiche di Hyde Street Pier, risalenti alla fine dell’Ottocento e attive fino alla prima metà del Novecento. Ci sono infine coloro che sono curiosi di vedere come si vive per lunghi mesi stretti nei corridoi di un autentico sottomarino della Seconda Guerra Mondiale, il famigerato U.S.S Pampanito.
Pier 39: il cuore turistico di Fisherman’s Wharf
Il lungomare di Fisherman’s Wharf continua un po’ sornione lungo Embarcadero e conduce fino al Pier 39: è questo il simbolo commerciale del quartiere, famoso per l’Aquarium of the Bay, per la “casa galleggiante” delle otarie di San Francisco e per il palco dove si esibiscono attori, prestigiatori, musicisti, acrobati e chi più ne ha più ne metta… insomma, il luogo dal fascino un po’ finto ma sicuramente coinvolgente che vorrai vedere con i tuoi occhi prima di lasciare San Francisco.
La prigione di Alcatraz a San Francisco è sicuramente il penitenziario più famoso degli Stati Uniti, se non del mondo. Molti dei più noti criminali americani, fra cui Al Capone, hanno scontato qui la loro pena e vi hanno trovato la morte o per la durezza delle condizioni di vita o per gli svariati tentativi di evasione non andati a buon fine.

Il carcere è posto sull’omonima isola (conosciuta anche come “The Rock” per la sua sua conformazione rocciosa), al largo della baia di San Francisco, e proprio la sua ubicazione l’ha resa una delle prigioni più difficili da cui poter scappare.
Data la sua posizione strategica al centro della baia di San Francisco, l’isola fu utilizzata inizialmente come postazione per un faro, e solo in seguito venne convertita ad edificio carcerario (dapprima militare e dal 1934 come centro di detenzione di massima sicurezza). Già dal principio però iniziarono ad intravedersi le cause del suo successivo declino, l’isola era infatti molto inospitale e si rendeva necessario trasportare quotidianamente da San Francisco non solo cibo e indumenti ma anche acqua potabile.
Con il tempo i costi lievitarono a tal punto che alcuni politici americani sostennero che sarebbe stato molto più economico far alloggiare i detenuti in un albergo di lusso piuttosto che ad Alcatraz. Le condizioni inospitali dell’isola in un certo senso furono simili alle rigide condizioni in cui i detenuti dovettero scontare la loro pena. Per questo il regime carcerario di Alcatraz venne riservato solo a criminali incalliti o particolarmente recidivi, tanto da rendere famoso il detto:
Break the rules and you go to prison, break the prison rules and you go to Alcatraz
A rendere più difficili le condizioni di vita per i prigionieri contribuì notevolmente anche la peculiarità più affascinate dell’isola, ovvero la sua vicinanza a San Francisco e il suo suggestivo panorama. Se visiterete il carcere provate un attimo ad immedesimarvi nei detenuti e in quello che potevano provare guardando la città e sentendone i rumori portati dal vento sapendo che, pur essendo così vicina, era allo stesso tempo irraggiungibile a causa delle fredde e forti correnti della baia.
Tutto questo era oltremodo traumatizzante durante la sera di capodanno quando i suoni delle feste della città penetravano le mura del carcere e per questo motivo allo scoccare della mezzanotte tutti i detenuti si impegnavano a fare quanto più rumore possibile per non essere costretti ad ascoltarli.
Il carcere fu ufficialmente chiuso a causa dei costi di gestione a cui abbiamo accennato nel 1963, ma la storia di Alcatraz non finì qui perché pochi anni dopo, nel 1969, per un breve periodo un gruppo di nativi americani occupò l’isola e il penitenziario ormai abbandonato con l’intenzione di fondarvi un centro culturale per protestare contro le politiche adottate dal governo federale nei loro confronti. Dopo un iniziale entusiasmo però le difficili condizioni di vita sull’isola si fecero sentire e un anno dopo gli ultimi indiani furono sgomberati. Ancora oggi si possono notare i segni di questa occupazione in alcuni murales (You are on an Indian land).
I tentativi di fuga
Durante i quasi 30 anni di attività ci furono 14 tentativi di fuga che coinvolsero 36 prigionieri (due dei quali ci provarono per due volte); 22 di questi furono catturati, 6 rimasero uccisi (o per uno scontro a fuoco con le guardie carcerarie o per annegamento), mentre 5 restano dispersi.
Fra tutti questi tentativi meritano di essere nominati almeno due in particolare. Il primo risale ai giorni fra il 2 e il 4 maggio del 1946 che vengono anche ricordati come i giorni della “Battaglia di Alcatraz“. Fu uno degli episodi più sanguinosi e violenti della storia della prigione, in cui persero la vita due guardie (che erano state precedentemente prese in ostaggio) e tre prigionieri. A questi eventi è parzialmente ispirato il film Forza Bruta del 1947 con Burt Lancaster.
L’altro tentativo di fuga famoso è quello avvenuto l’11 giugno del 1962 i cui eventi (anche se romanzati) furono portati alla ribalta dal film Fuga da Alcatraz con Clint Eastwood. Principali protagonisti furono i detenuti Frank Morris e i fratelli John e Clarence Anglin che riuscirono a scavare un buco nel muro della loro cella e a fuggire con una imbarcazione di fortuna.
La pianificazione dell’evasione andò avanti per molto tempo così come i lavori per realizzarla. Soltanto per scavare il buco nel muro dovettero impiegare più di sei mesi utilizzando un cucchiaio e un trapano improvvisato ricavato dal motore elettrico di un’aspirapolvere. Non potendo ovviamente lavorare al loro progetto tutto il giorno, scelsero di scavare durante l’ora di musica; così facendo infatti i rumori provocati dalle operazioni di scavo furono coperti dal suono degli strumenti utilizzati dagli altri prigionieri. Durante il resto della giornata il buco veniva invece coperto utilizzando del cartone dipinto con lo stesso colore del muro.
Una volta completata l’opera prepararono delle teste di cartapesta, recuperando i capelli dal barbiere della prigione, che vennero posizionate sui letti per non far scoprire alle guardie la loro assenza durante la notte. Riuscirono quindi a raggiungere la spiaggia dell’isola utilizzando un corridoio di servizio non controllato e da quel momento in poi nessuno ebbe più notizie di loro.
Cosa mangiare a San Francisco?
A San Francisco si può mangiar bene e non è poi neanche così difficile. La città è di fatto uno degli avamposti della riscoperta di una cucina fresca e salutare, basata su materie prime e prodotti locali. Non è un caso che San Francisco sia ricca di mercati ortofrutticoli, su tutti il Ferry Plaza Farmers Market, che si svolge proprio davanti al Ferry Building.
Ricordiamoci poi che siamo in un posto di mare, qui infatti potrete trovare del buon pescato e anche le tipiche zuppe servite dentro un panino, come la clam chowder (di vongole) o la crab chowder (di granchio).
Grande spazio ha poi la cucina etnica: da quella messicana, ben rappresentata dal Mission Style Burrito, rielaborazione piuttosto popolare originata nel quartiere di Mission, a quella orientale, con Dim sum e i famosi biscotti della fortuna che, a quanto pare, sono stati inventati proprio qui. Se siete fan del genere non potete mancare di visitare Chinatown.
Dove fare shopping a San Francisco?
Per chi ama fare acquisti o anche più semplicemente tornare a casa con un ricordo particolare, San Francisco è la città giusta. Chi vuole andare in cerca di capi di alta moda o abbigliamento si troverà a proprio agio a Union Square, Union Street e Filmore Street, mentre outlet e centri commerciali abbondano un po’ ovunque in città.

Se invece siete a caccia di souvenir singolari potete ripiegare sul Pier 39, uno dei moli più animati del Fisherman’s Wharf, oppure sui quartieri più caratteristici della città, come Mission, Haight-Ashbury o Chinatown.
San Francisco: una guida letteraria della città
Jack Kerouac e la Beat Generation, Armistead Maupin, Rebecca Solnit, Dave Eggers e Vendela Vida: San Francisco è stata ed è percorsa da grandi scrittori, che hanno saputo raccontare la metropoli in tutte le sue sfaccettature e nei suoi contrasti. Attraverso le loro parole e le loro storie possiamo farci guidare per i quartieri e le impervie salite della città simbolo della Bay Area, che racchiude in sé le meraviglie e le contraddizioni della California, e in cui la scena delle librerie indipendenti appare assai dinamica.
San Francisco sonnecchia affacciata alla baia, imperturbabile al vento che la spazza senza sosta. Una brezza tesa che non basta a diradare la foschia che copre le sue Hills e i pilastri del Golden Gate, invisibili per lo scorno dei turisti.
A guardarla oggi, con i suoi ritmi lenti, le sedie di bar e ristoranti occupate da startupper rampanti alla ricerca del Klondike, non sembra la città delle rivoluzioni, dei beat e della Summer of Love, il sogno democratico infranto nel macrobiotico. Le case vittoriane, due o tre piani, intarsi leziosi e colori pastello, del quartiere di Haight-Ashbury, coacervo di musicisti e hippy, quello in cui Hunter Thompson ha vissuto per un paio d’anni e che racconta in un pezzo esilarante su freak e psichedelia uscito per il New York Times nel maggio 1967, è oggi un dedalo di vie borghesi, in cui il profumo di rivolta sociale viene cercato da giovani pellegrini tra le mura della Bound Together, la libreria anarchica, tra un classico ottocentesco e un opuscolo che spiega come equipaggiarsi per una manifestazione.
A poche centinaia di metri la più moderna Booksmith, con un calendario serratissimo di presentazioni, è una delle librerie più amate di San Francisco: perché, strano a dirsi per i nostri occhi italiani, ma qui le librerie sono tantissime, frequentate, e non hanno bisogno di vendere alcolici e torte di carota per sopravvivere: scaffalature di legno, carta rilegata, neanche un astuccio in esposizione.
North Beach e i luoghi della Beat Generation
Parlando di librerie, la palma della celebrità, neanche a dirlo, va al City Lights Bookstore di Lawrence Ferlinghetti. Anche questa libreria, a differenza di alcune sue più celebri cugine americane ed europee, non ha seguito il richiamo della paccottiglia e si presenta così come doveva essere negli ultimi anni di vita del suo ideatore. La sedia “del poeta”, da cui si può tenere banco durante reading più o meno improvvisati, è ancora nel suo angolo accanto alla finestra, al reparto poesia al primo piano. Al piano terra si vendono le ultime uscite e a quello interrato saggistica e letteratura di genere.
I beat, d’altronde, non sono mai stati snob, e questa veracità si respira in tutto il quartiere di North Beach, rifugio di scrittori e sbandati, a partire dal bar Vesuvio, affacciato sulla stessa via della libreria, la Jack Kerouac Alley, che prende il nome dal grande scrittore (grazie a una petizione lanciata da Ferlinghetti nel 1988), non tanto per i suoi meriti letterari quanto per la sua abitudine di tirar tardi al bancone.

Esiste un “bar di Kerouac”, infatti, ma non una “casa di Kerouac”: lo scrittore amava dormire sui pavimenti di amici e conoscenti, ma per i pellegrini del beat al 29 di Russel Street c’è la casa di Neal e Carolyn Cassady, dove l’autore ha vissuto e che ha visto nascere uno dei più famosi triangoli della letteratura.
Restando a North Beach, un’altra tappa fondamentale è il caffè Trieste, a pochi isolati dal City Light Bookstore, ritrovo di vecchi e nuovi abitanti del quartiere e prima espresso house della west coast. Il caffè Trieste, oltre a essere stato un bar frequentatissimo da Ferlinghetti e dai beat (come tutti quelli del quartiere, d’altronde) è un varco spazio temporale verso un Italia rimasta ferma agli anni Cinquanta, con il suo specchio dietro i banconi, i tavolini tondi e le foto di personaggi famosi appese alle pareti.
Passeggiando più a ovest, verso il Golden Gate, incrociamo invece Fillmore Street. Oggi la via si presenta come un’infilata di bar pretenziosi e negozi di vestiti, ma nel 1955, le porte del Six Gallery, leggendario locale in una vecchia casa vittoriana in legno al 3119, hanno ospitato il reading che ha visto nascere la beat e in cui un giovane poeta di nome Allen Ginsberg ha steso tutti con i versi del suo poema L’urlo (il Saggiatore), quello che comincia con: “Ho visto le menti migliori della mia generazione distrutte dalla pazzia, affamate nude isteriche, trascinarsi per le strade…”.
Da Kerouac a un altro importante esponente della beat generation, il poeta Allen Ginsberg, che grazie alla raccolta di testi Primi blues e ai temi culturali, politici e sociali in essa affrontati, ci da’ la possibilità di introdurre la colonna sonora del nostro viaggio negli Stati Uniti della West Coast: Bob Dylan. Considerato una delle figure più importanti del nostro secolo dal punto di vista artistico e musicale, il cantautore americano è da sempre uno dei simboli della rivoluzione culturale statunitense degli anni ’60. La forza dei testi di Dylan e i temi affrontati, lo accomunano agli esponenti della beat generation, con i quali collaborò in diverse occasioni. La sua musica, che affonda le radici nel folk, nei traditional e nel blues di New Orleans, è diretta, immediata, spontaneamente vicina a chi la ascolta. Ma non è solo Bob Dylan a brillare nel cielo della West Coast music. Questo genere musicale, che nasce all’inizio degli anni ’70 proprio a San Francisco, come musica di protesta in seguito alla Guerra del Vietnam, vede tra i suoi esponenti gruppi come gli Eagles e gli America, e colossi del rock-folk come Neil Young. A proposito di blues e di folk, se siete a San Francisco non perdetevi il San Francisco Blues Festival, mentre se decidete di visitare la baia di Monterey, due ore più a sud, vi aspetta lo Spirit West Coast Festival, che si svolge ogni anno all’interno della Laguna Seca Recreation Area.
San Francisco e le sue pellicole
San Francisco e la costa ovest non sono solo la culla della beat generation e della West Coast music. Bay City è stata la location di serie televisive e film cult dagli anni ’70 a oggi. Ne abbiamo scelti alcuni, in ordine cronologico, tra i più memorabili, in particolare dal punto di vista della fotografia e delle ambientazioni. Una Ford Grand Torino bianca e rossa del ’72, giacche di pelle e capigliature cotonate vi dicono niente? Sono alcuni degli ingredienti della serie televisiva Starsky &Hutch, la mitica coppia di poliziotti che ha reso famose le strade di San Francisco grazie a scorribande e inseguimenti spericolati. Nel 1986 il regista John Carpenter dirige Kurt Russell (il camionista sbruffone Jack Burton) nel cult movie Grosso guaio a Chinatown, creando una miscela esplosiva tra commedia, arti marziali ed effetti speciali. Più recenti, invece, due film conosciuti sia per i contenuti del messaggio che trasmettono, sia per le ambientazioni. Una splendida San Francisco di cui vengono fotografati con maestria scorci insoliti, particolari e panoramiche che ne svelano tutta la bellezza. Il primo è la commedia del 1994, Mrs Doubtfire, con il solito, istrionico Robin Williams. Il secondo, del 2006, è La ricerca della felicità, con Will e Jaden Smith.
Sequoia National Park
Il naturalista ed esploratore John Muir nel 1891 scrisse: “Nel vasto deserto della Sierra molto più a sud della famosa Yosemite Valley, vi è una valle ancora più grandiosa dello stesso tipo.” Stava scrivendo della zona ora conosciuta come Sequoia National Park, uno dei più importanti parchi nazionali di tutta la catena montuosa della Sierra Nevada in California.

Come non è difficile intuire, i protagonisti assoluti di questo parco d’alta quota sono i boschi di sequoie, alberi giganteschi che, come vedremo, nel caso del parco nazionale in questione la fanno da padrona anche nel libro dei Guinness dei Primati. Ma sentirsi piccoli di fronte a questi giganti non è l’unica emozione forte che si può provare: qui si possono raggiungere fantastici punti panoramici, percorrere sentieri che circondano o tagliano vasti prati incorniciati da picchi granitici, fiumi, cascate, incantevoli laghi montani e profonde caverne.
Per tutti questi motivi, il parco (fiore all’occhiello di qualsiasi tour della California) costituisce uno dei tesori più spettacolari del Golden State. Parlando delle attrazioni naturali più importanti, non possiamo dimenticare il General Sherman Tree, l’albero più grande del pianeta, il Monte Whitney, il punto più alto degli Stati Uniti (esclusa l’Alaska) e, nelle vicinanze, uno dei canyon più profondi del paese che dà il nome al parco nazionale attiguo (Kings Canyon National Park).

Prendi dunque la macchina e parti alla volta della regina di tutte le sequoie: il General Sherman Tree. Appena 2.5 miglia dopo il Giant Forest Museum troverai la deviazione per Wolverton Road, una breve strada che conduce poi all’area parcheggio. Da qui comincia il facile sentiero asfaltato che porta a questo gigante di circa 2700 anni, capace di superare in altezza la Statua della Libertà di New York. Per volume, il General Sherman Tree è l’albero più grande del mondo. Raggiunge gli 83.8 metri in altezza e ha un diametro di 11.1 metri alla base. La circonferenza al terreno è di 31.1 metri, mentre il diametro del suo ramo più largo è di 2.1 metri!
Moro Rock: un impressionante, panoramico monolite di granito la cui cima è raggiungibile tramite una scalinata di roccia, sulla quale occorre arrampicarsi per 90 mt. Salendo, a ovest si può godere di splendide viste della San Joaquin Valley; se ti preoccupa il tipo di sentiero, ci tengo a dire che ci sono le protezioni, ma direi di fare attenzione a chi soffre di vertigini e ai bambini. Il panorama che si gode dalla cima del Moro Rock è di indescrivibile bellezza! La salita comincia proprio in corrispondenza del parcheggio, dove si trova anche la fermata dello shuttle, a 2.7 km dal museo.
Tunnel Log: uno degli spot fotografici più celebri del parco. Questa antica sequoia è caduta e i rangers hanno pensato bene di farla diventare un tunnel sotto al quale si può passare con la macchina. Si trova sulla strada a 2.5 km dal museo. Se ti piace l’idea di passare sotto a una sequoia con la tua macchina, allora non devi farti scappare questa occasione: al momento attuale è l’unica nel raggio di miglia che permetta di farlo, in quanto non è più possibile attraversare in auto il ben più famoso Wawona Tree di Mariposa Grove of Giant Sequoias di Yosemite. Se hai noleggiato una macchina alta, non preoccuparti: il tunnel è alto 5.2 metri e largo 2.4
Crescent Meadows: è una verde radura che John Muir ha definito “Gem of the Sierras”. Si possono fare due passi rimanendo rigorosamente lungo le passerelle ricavate dai tronchi delle sequoie, ammirando l’incredibile foresta di giganti che circonda questo tipico prato della sierra, dove spesso e volentieri si possono vedere anche gli orsi (stai a debita distanza, mi raccomando) e altri esemplari della fauna locale. Dall’area del parcheggio (con fermata dello shuttle) partono i vari sentieri, tra cui quello che porta a Tharp’s Log, una casetta ricavata dal tronco di una sequoia (2.5 km).
Il deserto del Mojave
Il deserto del Mojave occupa una vasta aerea della West Coast e si estende fra gli stati della California, del Nevada, dell’Arizona e dello Utah. Al suo interno si trovano molti parchi naturali dai più famosi come la Death Valley a quelli più sconosciuti, per non parlare delle numerose perle nascoste e delle stranezze che solo gli Stati Uniti sanno regalare.
Qualunque sia il vostro itinerario della west coast siamo sicuri che almeno uno di questi parchi lo avete inserito fra le vostre tappe e magari, alla fine di questo articolo, ne avrete aggiunti anche qualcuno in più. Preparate quindi la vostra scorta d’acqua, la crema protettiva e partiamo alla scoperta del Mojave Desert.
Death Valley
Sicuramente il parco più importante che si trova all’interno del Mojave Desert. Uno dei luoghi al tempo stesso più inospitali e affascinanti degli Stati Uniti. Stiamo parlando della Death Valley che saprà regalarvi panorami quasi extraterrestri.

Quando il poeta americano Thomas Stearns Eliot intitolava un suo libro di poesia “La terra desolata” non si riferiva direttamente alla Death Valley, ma a me sembra una definizione molto calzante. Per farvi capire cosa bisogna aspettarsi dal clima e dal paesaggio di questa valle basterebbe ricordare che l’immensa, arida depressione salina di Badwater Basin si trova ben 86 mt sotto al livello del mare. Lo spettacolo che vi si para davanti agli occhi è imperdibile, ma non riuscirete a stare fuori dalla macchina più di qualche minuto.
Temperature Death Valley: un caldo da record
Le temperature sono elevate a dir poco: in estate la temperatura durante le ore più calde del giorno non scende sotto i 45°, e non è raro che raggiunga i 50°. Il record è ancora quello del 13 settembre 1922: ben 57° (136° fahrenheit), ma questo valore è stato avvicinato nel giugno del 2013, quando la temperatura è salita a 53°. Il caldo, fortunatamente, è secco e non umido: questo abbassa un po’ la temperatura percepita.
Le minime di luglio e agosto sono tra i 15 e i 18° e si riscontrano nelle ore notturne: ecco perché consiglio sempre di avventurarsi lungo le strade le parco durante le prime ore del mattino.
Alcuni luoghi di questo parco, come il Dante’s Peak sono stati scelti da George Lucas come location per girare alcune scene di Star Wars in California, mentre altri come la Racetrack Playa per anni sono stati testimoni di eventi scientificamente inspiegabili. Anche se la maggior parte delle scene ambientate sul pianeta Tatooine sono state girate in Tunisia, alcune sequenze sono state ambientate nella Death Valley. I luoghi che gli amanti della saga troveranno particolarmente familiari sono:
I pressi dell’Artist’s Palette: dovrete salire su una piccola collina proprio a ridosso del parcheggio, dalla quale dominerete l’area usata per la ripresa in cui in cui R2-D2 attraversa un canyon in solitaria. Sempre in questa zona se vi dirigerete su un promontorio questa volta a sud del parcheggio vi troverete nel luogo in cui è stata girata la scena con il Sandcrawler sul quale viene condotto R2-D2 .
Il Twenty Mule Team Canyon è stato usato come location nel Ritorno dello Jedi quando C-3PO e R2-D2 cercano di raggiungere il palazzo di Jabba the Hutt.
Mesquite Flat Sand Dunes e le sue colline che si scorgono sullo sfondo fanno da scenografia alla discussione fra R2-D2 e C-3PO sulla direzione da prendere una volta atterrati su Tatooine.
Le gole dello scenografico Golden Canyon sono il luogo in cui i Jawa si nascondono mentre aspettano il momento migliore per catturare R2-D2.

Dalla vetta scenografica del Dante’s View poterete osservare quella che nel film diventerà l’area di Mos Eisley che Obi-Wan, Luke e i droidi osservano dall’alto di un promontorio. Una volta che vi troverete su questo spettacolare altipiano vi suggerisco di ascoltare la colonna sonora.
Le colline di spuma rocciosa di Zabriskie Point
Questo luogo fu preso a spunto dal regista Antonioni per il suo celebre film omonimo. Tenetevi stretta la vostra bottiglietta d’acqua e fate una piccola passeggiata di qualche minuto (fidatevi… l’acqua vi servirà anche per un così breve itinerario) per ammirare le bellissime montagne striate di Zabriskie Point, che si ergono a più di 1500 metri sul fondo della valle.

Las Vegas
Conosciuta come Sin City, Las Vegas è una meta talmente fuori dalle righe da sorprendere chiunque dei suoi visitatori. Qui l’eccesso è la norma e la sobrietà è un autentico sconosciuto. Questa è la patria del gioco d’azzardo, degli spettacoli pirotecnici e di una spasmodica ricerca di felicità portata all’estremo e senza controllo, che finisce sovente per contraddire sé stessa.

La zona conosciuta come Las Vegas Valley fu abitata, in origine (cioè circa 10.000 anni or sono), nativi americani come la tribù dei Paiutes; evidenze del loro passaggio ci vengono raccontate da siti archeologici come, per esempio, il Tule Springs Archaeological Site in cui archeologici e storici hanno ritrovato manufatti antichi, cesti, incisioni rupestri.
Le origini della città, però, risalgono all’inizio del Novecento. Inizialmente, infatti, l’area era di competenza del Messico, dal quale venne estromessa in occasione della guerra tenutasi a fine Ottocento, periodo in cui divenne ufficialmente parte dell’America settentrionale. Le sue origini la presentano come sorta di snodo ferroviario e, dal 1905 al 1908, Las Vegas fu parte della Contea di Lincoln fino a che venne inglobata nella neocostituita Contea di Clark.
Assurse al ruolo ufficiale di città solo nel 1911 quando finalmente ebbe un proprio sindaco e adottò una carta dei diritti pubblici. A seguito della costruzione della Diga Hoover la città divenne sempre più importante e la sua fortuna crebbe esponenzialmente.
Un ruolo fondamentale venne giocato, anche, dall’arrivo di sempre più turisti e, negli anni Trenta del secolo scorso, dalla costruzione spasmodica di hotel e casinò. Questi ultimi, ebbero il via libera grazie alla legalizzazione del gioco d’azzardo. Fu nel ’46 che venne aperto uno degli indirizzi più famosi di Vegas: il Flamingo. Da quel momento in poi la città crebbe a dismisura, sino a diventare ciò che è universalmente noto a tutti: la Sin City, ovvero la Città del Peccato.
Se si considera l’area metropolitana di Las Vegas (che include le unità amministrative di cui vi parlavo prima), il numero di abitanti è pari a oltre 2.265.000 (nella city il numero di abitanti è 642000). Numero che è, per altro, in costante e continua crescita.
Pensate che ogni anno la città ospita più di 40 milioni di turisti. È la Mecca del divertimento, perlopiù notturno, ma anche di giorno non scherza. È ricca di musei (oltre a quelli ufficiali, sappiate che praticamente tutti gli hotel di Vegas hanno delle sale in cui espongono qualcosa: dalle auto ai quadri, da vecchi flipper a costumi di scena) e propone attività a 360°.
I suoi hotel, la maggior parte dei quali si trova lungo la Strip, sono un tripudio di lusso e stranezze. Quasi tutti sono dotati di piscina, Spa, casinò interni, ma ce ne sono alcuni che meritano una menzione a parte.
.Uno è senza dubbio l’Hotel Bellagio, tra i più eleganti (e costosi) di Vegas. Al suo interno troverete di tutto: dai ristoranti gourmand alla piscina, dalla pluripremiata Spa alle boutique di lusso. Ma la vera attrazione dell’hotel è il gioco delle fontane danzanti che, ogni giorno dal pomeriggio a notte inoltrata, allietano il pubblico con esibizioni d’acqua a tempo di musica. Dalle 15 alle 20 ogni 30 minuti, dalle 20 alle 24 ogni 15 minuti.

• C’è poi il Venetian Resort Las Vegas che, come anticipa il nome, è costruito per assomigliare, in tutto e per tutto, alla città di Venezia. L’interno non è solo un tripudio di ori, affreschi e stucchi, pomposità e grandeur, ma contiene anche la fedele riproduzione delle calli veneziane attraversate dai rii. Se volete, potete prenotare un giro in gondola, oppure apprezzare il panorama comodamente seduti in uno dei caffè o dei ristoranti del Resort. Qui si possono apprezzare spettacoli per tutti i gusti, oppure provare a tentare la sorte nel casinò interno.

• Infine, vi segnalo il Luxor Las Vegas come anticipa il nome, l’hotel è dedicato all’Egitto ed è a forma di piramide. Di notte, la punta si illumina lanciando un raggio verso il cielo. L’hotel organizza, come da copione, spettacoli serali e mostre, dispone di slot machine e tavoli verdi per chi vuole giocare, ha una piscina esterna enorme nella quale rinfrescarsi nelle giornate torride.
Un’altra ragione per cui visitare Las Vegas è il cibo. Non vengono serviti “piatti tipici”, fatta eccezione per il classico hamburger, ma un tripudio di leccornie provenienti da tutto il mondo. Che vogliate provare specialità messicane, carne argentina, cibo cinese o delicatezze giapponesi (solo per citare alcune opzioni), a Las Vegas troverete tutto. Ma proprio tutto. Un consiglio? Evitate i ristoranti italiani. Sebbene ce ne siano davvero parecchi tra cui scegliere, nonostante l’impegno che ci mettono, non ne vale la pena, né la spesa.
Las Vegas, poi, è famosa per la sua vivace vita notturna. Qui potrete scegliere tra 23 casinò, decine di club e night-club, bar, spettacoli e concerti che, tutte le notti, animano la metropoli. Per questa ragione, se vi piace vivere la notte, vi consiglio il Boulevard (Las Vegas Strip), perché è qui che si trovano le soluzioni migliori, raggiungibili a piedi. Tra gli spettacoli continuativi che non potete perdere vi ricordo il Cirque du Soleil, gli show di Drag Queen e i concerti tenuti ogni sera negli hotel.

Ultimissimo consiglio: inserite nel piano di viaggio lo STRAT Hotel, Casino & SkyPod. Oltre ad essere uno degli indirizzi ricettivi più famosi, visibile da qualsiasi parte della città, è qui che si trova lo SkyPod, un’attrazione per gli amanti delle vertigini. La vetta dell’edificio si raggiunge tramite un ascensore super-veloce, che porta ad un’altezza di 350 metri (22$). Ed è qui che avrete la possibilità di godere di una vista impareggiabile su tutta Las Vegas. I punti di osservazione si trovano sia all’interno che all’esterno, ma l’adrenalina vera si scatena provando una (o tutte e tre) delle attrazioni!
Una è il Big Shot, torre con sedute in cui si viene portati ancora più in alto e poi lasciati precipitare nel vuoto ad una velocità incredibile; oppure si può scegliere l’Insanity, un braccio meccanico con sedute attaccate alle estremità che si aprono a ventaglio e ruotano sospese nel vuoto a oltre 270 metri di altezza e lungo un’angolazione di 70°.
Infine, la più terrificante delle tre: la X-Scream, le montagne russe più spaventose. Ci vuole davvero moltissimo coraggio per provarle; si sale infatti su un “trenino” che si muove proiettando i temerari verso il vuoto, ad un’altezza di 263 metri e ad 8 metri di distanza dallo SkyPod. Una volta raggiunta la fine della corsa, ci si ritrova a penzolare nel nulla, ma in posizione dominante rispetto alla Strip che scorre piccina al di sotto. Quindi, il meccanismo si ri-aziona e il “trenino” viene riportato alla base.
La US Route 66
La US Route 66, chiamata anche US 66 o Route 66 e nota come Will Rogers Highway, Main Street of America o Mother Road, è stata una delle autostrade originali del sistema stradale americano. La data di nascita risale all’11 novembre 1926, quando il nome venne ufficialmente approvato dal Bureau of Public Roads, mentre i segnali stradali furono eretti l’anno successivo.
Lunghezza
Quanto è lunga la Route 66? Si tratta di un percorso di circa 4000 km; la cifra esatta che solitamente viene riportata è 3940 km, corrispondenti a 2448 miglia, tuttavia non è un dato semplice da ricostruire, soprattutto se pensiamo alle deviazioni e cambi di percorso che la Mother Road ha subito lungo la sua storia.

Dove inizia e dove finisce?
La Route 66 si estende fra Chicago e Santa Monica e può essere percorsa da Ovest a Est (partendo da Chicago) o da Est a Ovest (partendo da Santa Monica). A seconda della direzione che deciderete di intraprendere tenete di conto che a Chicago il segnale di inizio della strada (Historic Route 66 Begin Sign) è su Adams Street East (all’altezza dell’incrocio con Michigan Avenue), mentre quello di fine percorso (Historic Route 66 End Sign) è su Jackson Boulevard East, che si trova un isolato più a sud.

Per quanto riguarda l’altro estremo del percorso l’insegna è univoca, quella di fine, e si trova al celebre molo di Santa Monica.

Flagstaff
Flagstaff viene solitamente inserita nei più comuni itinerari West Coast per la sua vicinanza ad attrazioni quali Grand Canyon o Monument Valley (anche se quest’ultima si trova praticamente a 3 ore di viaggio). Tuttavia il fascino old-style western della cittadina, la sua posizione geografica sulla Route 66 ai piedi delle suggestive San Francisco Peaks e le numerose attrazioni disponibili in zona, fanno di questo piccolo centro ben di più di una tappa di passaggio.
Passeggiare per le vie del centro storico di Flagstaff è un’esperienza piacevole. Si tratta di un grazioso quartiere con edifici storici risalenti agli ultimi anni dell’800, che oggi sono stati trasformati in bar, caffetterie e negozi, mantenendo inalterati i numerosi rimandi all’epoca del Far West. Il Downtown oggi è particolarmente vivace, soprattutto per via della Northern Arizona University, che riversa continuamente molti studenti in città che, soprattutto durante i fine settimana, affollano i locali del centro.
Il cuore del Downtown è sicuramente Heritage Square introno alla quale si trovano i negozi e i bar più rappresentativi. Se avete poco tempo a disposizione è quindi questo il punto da cui partire anche per una breve passeggiata
Il Grand Canyon
Il Grand Canyon è un’immensa gola naturale scavata dal fiume Colorado nell’area nord ovest dell’Arizona, a partire da a Lees Ferry nei pressi di Page. Le misure di questa incredibile formazione naturale sono impressionanti: il canyon raggiunge infatti le 10 miglia di diametro (16 km), circa un miglio di profondità (1,6 km, profondità massima 1,8 km) e una lunghezza di ben 277 miglia (445 km). Le rocce erose dall’azione del fiume Colorado rivelano strati di roccia rossa che testimoniano una storia geologica di milioni di anni e che concorre alla creazione di uno spettacolo naturale unico al mondo.

Sebbene si tratti di un’unica formazione naturale, dal punto di vista delle zone visitabili possono essere individuate almeno 3 aree ben distinte del Grand Canyon:
• Il South Rim: il margine meridionale del canyon, dove si trova il Grand Canyon Village, l’area più attrezzata e visitata.

• Il North Rim: il margine settentrionale del canyon, zona meno turistica e più adatta a una visita in solitaria.
• Il West Rim: il margine occidentale, conosciuto per lo Skywalk, la famosa piattaforma trasparente sospesa sul canyon.
Il South Rim e il North Rim rientrano nel Grand Canyon National Park
Il Grand Canyon è sicuramente il Parco Nazionale degli Stati Uniti più famoso e fotografato e con i suoi oltre sei milioni di visitatori ogni anno è secondo soltanto alle Great Smoky Mountains, che si estendono fra North Carolina e Tennessee. Delle tre entrate il South Rim è sicuramente quello che riscuote più successo fra i turisti, vuoi per la sua comodità (è facilmente inseribile nella maggior parte degli itinerari), vuoi per la quantità di strutture ricettive sia dentro che fuori dal parco. In altre parole è il versante più attrezzato a rispondere alle esigenze dei turisti. La Desert View Drive è una strada panoramica di circa 40 chilometri che collega la Desert View Watchtower all’area del Grand Canyon Village. Percorrendola incontrerete sei aree di sosta panoramiche, quattro aree picnic e l’area archeologica del Tusayan Ruin and Museum.
Grand Canyon Village
Quasi una vera e propria città all’interno del Grand Canyon. È la prima esperienza che potrete fare del parco se avete scelto di utilizzare l’ingresso sud. È qui che si trovano il Visitor Center, Market Plaza, la stazione dei treni, gli alberghi, i punti di partenza di tour particolari
Bright Angel Trail
• Lunghezza: variabile (da 4.8 km a 14.8 km solo andata)
• Dislivello: variabile (da 340 mt a 925 mt)
• Difficoltà: da media a ardua
• Durata: da 2-4 ore a 2 giorni
Grazie a questo appassionante sentiero, potrete scendere per circa 15 km nel cuore del canyon, fino a toccare le sponde del Colorado River. L’inizio dell’escursione – ben segnalato – è a ovest di Bright Angel Lodge. Tenete conto che non è possibile raggiungere il fiume in un solo giorno, Proprio perché si tratta di una discesa molto impegnativa, specialmente in estate, quando fa molto caldo, vi consigliamo di organizzare bene la vostra passeggiata, magari tenendo conto che il tratto superiore è in ombra nelle ore pomeridiane. Potrete decidere di tornare indietro dopo 2.4 km, o dopo 4.8 km: troverete in corrispondenza di questi punti delle resthouse in cui rifocillarvi e decidere se continuare fino a Indian Garden e, infine, al fiume.
Page
piccola cittadina dell‘Arizona abitata da poche migliaia di abitanti, è in realtà un punto chiave di ogni tour della West Coast che si rispetti. La sua fortunata posizione geografica vicino al bordo del Glen Canyon (scavato dal Colorado River) la rende custode di una serie numerosa di tesori nei dintorni, troppi e troppo belli per il tempo che solitamente si ha a disposizione per la tappa. La città di Page si trova nella contea di Coconino, nel nord dell’Arizona, nell’area meridionale desertica del Colorado Plateau, non lontano dal confine con lo Utah, a 2 passi dal fiume Colorado, lungo il quale si trovano alcune delle principali attrazioni della zona quali Horseshoe Bend, Glen Canyon e Marble Canyon. L’estensione della città, posta a un’altitudine di 1255 metri, è di 99 km quadrati, con una popolazione di circa 7500 abitanti (dati 2019 United States Census). Grazie ai collegamenti (Page è facilmente raggiungibile dalla US 89 e dalla AZ 98) e la costruzione del ponte sul Glen Canyon, la città è diventata presto una base sfruttata per visitare le bellezze dello stesso Canyon e Lake Powell. Successivamente l’apertura al turismo nel 1997 di Antelope Canyon e la crescente popolarità di Horseshoe Bend hanno fatto crescere notevolmente il numero di turisti della zona, dando un’ulteriore spinta anche alla crescita della città e alla sua capacità ricettiva.
Navajo Nation
Se vi dicessimo che alcune delle foto più simboliche degli Stati Uniti, a partire dell’iconica Monument Valley, non sono state scattate in nessuno dei cinquanta stati USA? In un certo senso, è proprio così, perché in America esistono anche alcuni enti amministrativi particolari, le cosiddette riserve indiane, e una di queste è talmente grande e complessa da essere quasi uno stato a sé stante.

Si tratta della Navajo Nation, un’area di 70 mila chilometri quadrati a cavallo fra Arizona, Utah e New Mexico, più estesa di dieci dei cinquanta stati americani. In questo immenso territorio selvaggio si trovano alcune delle icone naturali d’America ed è quasi un obbligo visitarla, o almeno attraversarne una parte, in un viaggio nel Southwest.
Meraviglie naturali in Arizona
• Monument Valley. È uno dei posti più iconici di tutti gli Stati Uniti, capace di affascinare anche chi ci torna più di una volta. Ha fatto da sfondo a innumerevoli film western, basti pensare al John Ford Point, ma si vede anche in pellicole come Forrest Gump e ha ovviamente ispirato i cartoni animati della Warner Bros su Wile E. Coyote.
• Navajo National Monument. Non lontano dalla Monument Valley c’è un parco naturale che porta con sé importanti testimonianze storiche. Oltre che per i sentieri escursionistici, vale la pena di essere visitato per apprendere qualcosa in più sulla storia dei nativi.
• Canyon de Chelly National Monument. Un altro luogo che unisce la bellezza della natura alle testimonianze storiche. Anche questo da segnare nella lista.
• Antelope Canyon. Chi non riconoscerebbe la foto dello stretto e sinuoso canyon di roccia rossa? Situato vicino alla città di Page, è una tappa imprescindibile di un viaggio in Arizona
Antelope Canyon
Antelope Canyon, vicino a Page, in Arizona; è parte della riserva Navajo, per cui occorre una tassa turistica è lo slot canyon più famoso di tutta la West Coast, nonché il motivo per cui questa è una delle città più conosciute di tutta l’Arizona

con forme interne vertiginose create dal vento e dall’acqua. La luce entra solo dalla parte superiore e in certi momenti del giorno conferisce all’arenaria una splendida tonalità cromatica: le ombreggiature e le sfumature brillanti arancioni-viola delle pareti levigate dagli agenti atmosferici lo rendono uno spettacolo unico, fra i più suggestivi dei parchi usa.

La principale caratteristica di questo slot canyon è la sua divisione in due diverse sezioni non direttamente collegate: Upper e Lower (ma c’è una terza sezione, Antelope Canyon X).
Horseshoe Bend.
Sempre a due passi da Page, troviamo quest’altra inconfondibile cartolina: l’ansa più famosa del fiume Colorado.

• Grand Falls. Conosciute anche come Chocolate Falls, queste suggestive cascate (più alte addirittura delle famose Niagara Falls) devono il loro soprannome al colore dell’acqua fangosa che in alcuni momenti dell’anno si rovescia tumultuosamente nel canyon.
• Little Colorado River Navajo Tribal Park: questo piccolo Grand Canyon in miniatura si trova proprio alle porte del ben più famoso fratello maggiore e vi darà la possibilità di godervi i suoi 2 punti panoramici in completa solitudine.
• Window Rock. A due passi dal confine con il Nuovo Messico, questa roccia forata è una tappa curiosa in un viaggio a cavallo fra i due stati.
• White Mesa Arch (Tonalea). Uno splendido arco alto più di 25 metri e largo 16, dalla particolare forma allungata. Si tratta di una conformazione rocciosa splendida, situata in una zona remota, come anche il Margaret Arch, un altro spettacolare arco naturale nei dintorni.
• Dinosaur Tracks: non lontano dalla cittadina di Tuba City si trova questo sito dove potrete ammirare tracce di teropodi del Giurassico inferiore.
I nativi americani d’oggi
Gli Indiani Nativi nel 1944 fondano il NATIONAL CONGRESS Of AMERICAN INDIANS, attivo presso il Governo di Washington, con lo scopo di impegnarsi in battaglie nelle corti di giustizia e, richiedere anche la restituzione di territori indiani. Blue Lake, ad esempio, restituito al Taos Pueblo, New Mexico; oltre 8.000 ettari nello Stato di Washington, reso agli Yakima.
Tra le tante lotte esiste anche quella relativa ai Casinò ed al gioco d’azzardo, che ha radici antiche nella cultura indigena nordamericana. Il fenomeno nasce negli Anni ’70 con le case da gioco nel Maine ed in Florida. Il Governo Federale le legittima, stimolando così l’economia delle Riserve con l’Indian Gaming Regulatory Act del 1988 a riconoscimento di forme legali di gioco d’azzardo quale attività e non a scopo di lucro.
Oggi si contano circa 200 case da gioco. La “casinoizzazione” delle riserve da un lato produce economia tribale; vale l’esempio nel Connecticut meridionale ove la popolazione dei Mashantucket e Pequod ha trasformato il territorio indiano oramai abbandonato in una comunità prospera e dinamica, mentre per altri versi si discute sulla perdita d’identità delle tribù.
Si suole suddividere l’America Indiana secondo i quattro punti cardinali, e Padre Cielo e Madre Terra. Nel Nordest domina la nazione Chippewa che con i Menominee, i Winnebago, i Potawatomi, gli Oneida ed altre ancora condivide la zona dei Grandi Laghi composta da Minnesota, Wisconsin e Michigan.
Nello Stato di New York identifichiamo gli Iroches, Cayuga ed i Seneca. Nel New England: i Wampanoag, i Naraganset, i Massachuset, i Penobscot. Nel sudest vivono gli eredi della Cultura del Mississippi, gli Shawnee; nel North Carolina i Cherokee nelle Great Smoky Mountains.
In Florida i Seminole ed i Miccosukee nelle Everglades. In Mississippi i Choctaw. In Oklahoma vivono circa trenta tribù: Cherokee, Creek, Choctaw, Pawnee, Miami, Shawnee, Comache, Kiowa ed altre.
In California i Pomo, i Mowok, gli Shoshone, gli Hupa, i Cahuilla ed altri gruppi tribali. Nel Nord Ovest la Grande Nazione Sioux con le sue diverse tribù: Arapaho, Bannock, Shoshsone, Flathead, Nasi Forati, Piedi Neri, Dakota, Nakota e Lakota, Corvi, Gros ventre, Cheyenne, Hidatsa, Mandan, Arikara.
Infine la più grande tribù Nativa, i Diné o Navajo (250.000), é compresa nella Navajoland, in oltre 5 milioni di ettari tra Arizona, New Mexico e Utah, mentre i 19 Pueblos occupano il New Mexico. I Nativi d’Alaska – Inupiat, Yupik, Aleut, Tlingit, Haida, Eyak e Tsimshian – sono trattati separatamente da quelli statunitensi, non vivono in riserve, ad eccezione dei Tsimshians. Molte lingue native sono ancora oggi parlate dalle popolazioni indiane, calcolando che almeno un terzo degli Indiani usa l’idioma nativo
la Monument Valley
Insieme al Little Colorado River Gorge, al Four Corners Monument e al Lake Powell Navajo Tribal Park, la Monument Valley è uno dei parchi più importanti che si trovano all’interno della Navajo Nation; l’area gestita dai nativi più grande degli Stati Uniti.

Essendo sotto l’egida della Navajo Nation non rientra fra i parchi nazionali americani gestiti dal National Park Service I nativi in origine si riferivano a questa zona chiamandola Tsé Biiʼ Ndzisgaii che letteralmente significa “la valle delle rocce”.
Storia
Rinvenimenti archeologici fanno supporre che i primi abitanti che si stabilirono in questa zona furono gli indiani Anasazi, che elessero la Monument Valley a loro casa circa nel 1300 a.C. Alcuni pittogrammi e rovine risalenti a questo periodo sono ancora visibili in alcune aree in modo particolare nella Mistery Valley.
Gli Anasazi abbandonarono poi quest’area che rimase disabitata fino all’arrivo dei Navajo. L’influenza di questa tribù arriva anche ai giorni nostri se pensiamo che più di 250.000 discendenti indiani continuano ad abitare in questa zona conosciuta appunto come Navajo Nation.
Venendo ad anni più recenti, un periodo importante per la storia della Monument Valley è sicuramente quello degli anni 20 del ‘900 quando un pastore e commerciante di nome Harry Goulding, in cerca di nuove opportunità, decise con la sua famiglia di comprare un appezzamento di terreno in questa zona dopo che la riserva indiana dei Paiute era stata trasferita altrove.

Venne quindi costruito un Trading Post (che in futuro sarebbe stato conosciuto come il Goulding’s Lodge) e, grazie al loro fiuto per gli affari, e ai buoni rapporti instaurati con i Navajo, riuscirono a diventare un punto di riferimento della zona.
La Grande Depressione durante gli anni ’30 colpì molto duramente anche questi luoghi, tanto che Harry Goulding fu costretto a trovare una fonte di sostentamento alternativa sia per se che per gli indiani della zona. L’idea a suo modo banale ma rivoluzionaria al tempo stesso fu quella di puntare sulla bellezza naturalistica della Monument Valley, e cercare in qualche modo di promuovere il turismo che era praticamente inesistente.
E quale modo migliore per far conoscere la zona al mondo intero se non coinvolgendo l’industria cinematografica di Hollywood? Harry si mise quindi in viaggio e il fato volle che si incontrasse proprio con John Ford: il regista che più legherà il suo nome a quello della Monument Valley grazie ai suoi numerosi film Western che verranno girati nella zona.
Se la Monument Valley è quindi diventata quello che conosciamo oggi gran parte del merito lo dobbiamo proprio a Harry Goulding e al suo spirito intraprendente. Oggi possiamo rivivere questi eventi visitando il Goulding’s Trading Post Museum.

Geologia della Monument Valley e come è composta
Durante l’era geologica del Permiano l’area dove oggi sorge la Monument Valley era in realtà un fondale marino dove si accumularono nel corso degli anni vari strati di arenaria e altri sedimenti.
L’azione delle forze tettoniche ha fatto poi alzare l’altezza della zona sopra il livello del mare e l’altipiano è stato così successivamente esposto all’erosione degli agenti atmosferici che hanno rimosso via via i materiali più friabili lasciano esposti tutti quei butte che oggi possiamo ammirare. Quest’opera di erosione non si è fermata ma continua lenta ma inesorabile anche al giorno d’oggi.
La zona in cui sorge la Monument Valley fa parte del Colorado Plateau.
La geografia della Monument Valley
L’area comunemente denominata come Monument Valley non è in realtà un blocco monolitico ma include al suo interno diverse zone. Ad esempio nella parte chiamata Lower Monument Valley si trovano due fra le perle nascoste più belle di questi luoghi:
• Hunts Mesa: un altopiano dal quale si può godere di una vista privilegiata su tutta la zona. Per potervi accedere è necessario però utilizzare un tour con guida Navajo ufficiale. Trovate comunque tutti i dettagli nel nostro articolo dedicato.
• Mystery Valley: è in questa zona che si sono conservate le testimonianze degli indiani Anasazi, i primi abitanti della Monument Valley.
La Monument Valley nella cultura popolare
Gli splendidi panorami di questa zona sono entrati nell’immaginario collettivo grazie soprattutto alle opere del regista John Ford; i suoi film Western sono infatti riusciti quasi a far identificare l’immagine stessa del Far West con quella della Monument Valley.
Il primo film di successo che venne ambientato in questa zona fu proprio il suo Stagecoach (in italiano Ombre Rosse) nel 1939 con l’intramontabile John Wayne come protagonista. Da quel momento in poi per ben altre nove volte il regista scelse questa location per girare alcune scene dei suoi Western.
Altri film importanti girati alla Monument Valley sono: Forrest Gump (a cui è stato intitolato il celebre Forrest Gump Point), Easy Rider, C’era una volta il West, Ritorno al Futuro 3, Transformers 4 – L’era dell’estinzione e Assassinio sull’Eiger diretto da Clint Eastwood.
Anche in ambito musicale la Monument Valley ha fatto la sua apparizione in forme e modalità differenti. Ad esempio il video dei Metallica I Disappear, ideato per la colonna sonora del film Mission Impossible 2, è stato girato sulla cima di uno dei celebri butte del parco. Le foto della zona sono state usate in varie forme numerose volte, fra le più importanti segnalo la copertina dell’album best of degli Eagles e DVD dei Led Zeppelin.
A livello di serie TV meritano sicuramente una menzione due episodi di Doctor Who (The Impossible Astronaut e Day of the Moon) e uno di MacGyver (Eagles)
Monument Valley: curiosità
Anche se potreste avere familiarità con le attrazioni del Monument Valley Park, potreste non essere a conoscenza di alcuni degli aspetti più interessanti e forse molto meno conosciuti.
Quindi, prima di pianificare il vostro viaggio al Monument Valley Park, date un’occhiata a questi consigli.
1.) La Monument Valley ha un altro nome
Anche se quest’area è comunemente conosciuta come Monument Valley Park, il nome Navajo è in realtà Tsé Biiʼ Ndzisgaii, che si traduce approssimativamente come “la valle delle rocce“.
Consiglio: il modo più semplice per pronunciarlo è dire, Ze-Bi-N-Dis-Guy.
2.) La Monument Valley fa parte della Nazione Navajo
Il parco della Monument Valley forma solo un piccolo pezzo della semi-autonoma Nazione Navajo, che è il più grande territorio nativo americano degli Stati Uniti.
La Nazione Navajo ha un proprio sistema di governo e giudiziario che opera con un proprio presidente.
Consiglio: non dimenticare che le leggi degli Stati Uniti sono ancora in vigore.
3.) La Monument Valley si estende per due stati
Il parco della Monument Valley si trova all’interno dei confini dello Utah e dell’Arizona e non all’interno di uno stesso stato. Questo significa che ci si può divertire un po’, saltando attraverso i due confini.
Fun fact: a The Four Corners Monument (a circa 1,5 ore di distanza) si incontrano Arizona, New Mexico, Colorado e Utah!
4.) Non devi essere un geologo per goderti la vista
Non dovete essere professori di geologia per godervi questo posto meraviglioso.
Le formazioni di una bellezza sconvolgente, le forme e i colori vivaci vi lasceranno a bocca aperta, anche se probabilmente lo sapevate già.
5.) Puoi muoverti da solo intorno al Monument Valley Park
Una volta entrato nel Monument Valley Navajo Tribal Park, potrai esplorarlo da solo.
Con una mappa in mano, uno spirito da esploratore e buone sospensioni (sulla tua auto), sarai pronto a tutto.
6.) Visitare ogni punto panoramico
Ci sono molti punti che saranno indicati sul percorso pre-assegnato da seguire. Ad ogni fermata, vedrete un cartello e (di solito) un punto panoramico perfetto per una foto.
Ogni punto ha un significato per il popolo Navajo e viene spiegato in dettaglio nel centro visitatori.
Consiglio: non perdetevi nessuna fermata lungo il percorso, ci vorrà qualche ora ma ne vale la pena!
7.) Divertiti al John Ford’s Point
Una cosa è certa, il Monument Valley Park offre un sacco di foto brillanti! Ogni vista è numerata mentre guidi e ci sono molti pit stop mentre attraversi la valle, assicurandoti di poter scattare foto incredibili.
Top tip: Prenditi un po’ di tempo per esplorare queste fermate. Spesso sono pieni di artigiani e donne che creano della bellissima arte nativa americana.
8.) Cavalcare un cavallo
Fare un giro a cavallo qui è un modo unico e piuttosto interessante di vedere il Monument Valley Park.
Se ne avete la possibilità, parcheggiate la vostra auto e vivete il parco in un modo totalmente diverso e fantastico.
Consiglio: se sei un cavaliere inesperto, assicurati di farlo sapere alla tua guida. Loro capiscono i loro cavalli meglio di chiunque altro e spesso possono trovare il cavallo giusto con il giusto temperamento (e pazienza) per il vostro livello di abilità.
Non stupitevi se inizia a fare davvero freddo nel Monument Valley Park. Sì, sei in un ambiente arido, quasi desertico, ma questo significa spesso temperature molto fredde di notte!
10.) Non arrivare tardi
Il viaggio attraverso il parco è lungo quasi 17 miglia! Dovrete guidare lentamente per non perdervi nessun punto di interesse.
Ora, assicuratevi di avere 3-4 ore per guidare per il parco perché può essere piuttosto vasto.
11.) Il traffico e l’affollamento ci sono
Nel pieno dell’estate e delle vacanze principali, i punti di osservazione diventano molto affollati con grandi quantità di visitatori.
Il modo migliore per limitare le code è quello di arrivare la mattina presto o poco prima di pranzo, quando le code si riducono leggermente.
Consiglio: evita di visitarla nei giorni festivi e nei fine settimana, se possibile.
12) Goditi ognuno dei 27 punti panoramici
Non ha senso andare fino alla Monument Valley solo per perdersi qualche punto.
Tieni gli occhi aperti per i punti panoramici che sono chiaramente segnalati – ognuno è diverso e vale la pena di fermarsi.
Consiglio: segui il percorso che ti viene fornito all’ingresso del parco.
13.) Scattare un sacco di foto
È impossibile non avere lo scatto facile nella Monument Valley! Vorrai fotografare tutto.
Consiglio: le condizioni meteo possono cambiare velocemente, quindi assicurati di prendere una copertura impermeabile per la tua fotocamera e per te stesso!
14.) Cattura un tramonto
Il parco tribale Navajo offre alcuni dei posti migliori per catturare un tramonto. Dopo aver lasciato la Monument Valley nel tardo pomeriggio, aspetta un po’ per un bellissimo tramonto sulla strada aperta! È uno spettacolo mozzafiato.
Consiglio: dirigiti verso le pianure aperte per un tramonto nel mid-west.
15.) Monument Valley Navajo Park non è un parco nazionale
Anche se è protetto come lo sarebbe un parco nazionale, il Navajo Park non segue lo stesso sistema di un parco nazionale degli Stati Uniti.
Kanab
Kanab è una piccola cittadina dello Utah famosa per essere soprattutto uno dei miglior punti di appoggio per visitare il Bryce Canyon, lo Zion National Park e il Grand Staircase-Escalante National Monument. Se state pianificando il vostro itinerario lungo i grandi parchi americani non potete non prendere in considerazione questa tappa sia per la comodità sia per le splendide attrazioni naturali della zona.

Kanab non è infatti solo una comoda soluzione per pernottare, ma è anche una vera e propria finestra sull’ovest americano. I suoi splendidi panorami sono stati scelti come location per decine di film western, tanto che nel corso degli anni la città venne soprannominata la Little Hollywood dello Utah.
Il Bryce Canyon National Park,
istituito nel 1928 e così denominato in onore del mormone Ebenezer Bryce, può vantarsi di possedere alcune delle rocce più colorate della Terra, i famosi “hoodoos“, pinnacoli del tutto singolari scolpiti da fenomeni naturali d’erosione. L’acqua ha contribuito a scolpire il paesaggio aspro di questo parco per milioni di anni (ed è ancora al lavoro!).

Il Bryce, nonostante il nome, in realtà non è un vero e proprio canyon, piuttosto somiglia di più a una serie di anfiteatri a forma di cavallo, il più grande dei quali è appunto il Bryce Amphitheater, sito nel cuore dell’area. Il parco è aperto tutto l’anno ed escursioni, visite turistiche e attività fotografiche sono le tre attività principali.
Il Bryce Canyon si trova ad un’elevazione non indifferente (più di 2700 metri nel punto più alto del parco) per questo le temperature estive solo in casi particolarmente eccezionali superano i 30° mentre durante l’inverno non è raro sfiorare i -10° soprattutto durante i mesi di dicembre e gennaio. Alcune nevicate possono ancora verificarsi durante i mesi di marzo e aprile. Sempre restando in tema di basse temperature tenete presente che al calare del sole praticamente da ottobre a maggio le temperature molto probabilmente scenderanno sotto zero.
1) Bryce Point
t Un’attrazione assolutamente da non perdere è l’alba a Bryce Point, l’orario effettivamente non è il massimo, soprattutto se state facendo un on the road e arrivate un po’ stanchi, ma la vista saprà ripagarvi. Si tratta di uno dei punti più alti che si affaccia lungo il bordo dell’anfiteatro e che consente di ammirare moltissimi hoodoos dalle forme più stravaganti. All’alba, non appena la luce del sole cattura i pilastri, questi brillano con delle splendide tonalità di arancio.
2) Inspiration Point
A questo punto, se ce la fate a non tornare subito a dormire, passate all’Inspiration Point. Dal parcheggio del centro visitatori dovrete salite un breve ma ripido sentiero fino al punto d’arrivo. Questa zona d’osservazione offre splendide viste su tutte le rotonde dell’anfiteatro.
3) Sunset Point
Dirigetevi verso il Sunset Point. Seguite il sentiero Navajo Loop e assicuratevi di avere la macchina fotografica con voi, in quanto si aprono bellissimi punti di vista lungo il sentiero che scende in una stretta gola ripida fra delle pareti di roccia chiamate Wall Street. Senza dubbio è un sentiero meraviglioso, circondato da formazioni rocciose così ravvicinate da farvi sentire parte del paesaggio. In fondo troverete anche alcuni alti abeti che crescono tra le ripide rupi.

4) Queen’s Garden Trail
Proseguite lungo il sentiero e seguite poi il Queen’s Garden Trail, che si snoda lungo la parte inferiore dell’anfiteatro e passa attraverso molte affascinanti formazioni rocciose e alberi. Il sentiero termina a Sunset Point, da dove sarà possibile riprendere la marcia in macchina.
5) Natural Bridge
Continuate in direzione sud verso Rainbow Point. Fermatevi presso il Natural Bridge, dove potrete godere della vista ravvicinata di un arco naturale (Natural Bridge) di 85 metri di lunghezza per 125 metri di altezza.
6) Agua Canyon
Il prossimo capolinea è Agua Canyon, con una delle migliori viste nel parco. In primo piano si vedono gli hoodoos, dietro di loro le Pink Cliffs e sul lontano orizzonte la Navajo Mountain.
7) Rainbow Point
L’ultima tappa di questo itinerario del Bryce è Rainbow Point, che offre interessanti visuali sullo Utah del sud.

St. George Utah Temple
St. George ospita una folta comunità di mormoni: come nel caso di Salt Lake City, può essere curioso andare a curiosare dall’esterno per osservare la maestosità del tempio, ma l’interno è accessibile solo a coloro che partecipano ai riti religiosi.
Nello Stato dello Utah si insediarono i Mormoni. Poiché questi ultimi contemplavano la poligamia non erano ben visti dai restanti Stati degli USA. Solo quando vi rinunciarono, ne entrarono a far parte.
I Mormoni giunsero nello Utah in seguito ad uno spostamento in massa dagli Stati dell’est verso l’ovest. Oggi, circa il settanta per cento della popolazione appartiene alla Church of Crist of Latter-Day Saints conosciuta in Italia come la “Chiesa di Cristo dei Santi dell’Ultimo Giorno”. I mormoni sono molto conservatori e la loro educazione è molto rigida. E’ vietato l’uso di alcool e la visione di film senza veli. Il loro libro sacro, molto simile a quello della Bibbia, si trova in diversi punti vendita, in forma assolutamente gratuita. Spesso si trovano testi in tante lingue, compresa la lingua italiana.
Il mormonismo è una religione fondata da Joseph Smith, che disse di aver ricevuto per rivelazione il Libro di Mormon ed è considerato profeta dai suoi seguaci.
Il termine mormonismo (e derivati: il sostantivo e aggettivo mormone) deriva da Mormon, nome del profeta a cui è attribuito il libro di Mormon, testo che Joseph Smith pubblicò nel marzo del 1830, dichiarando di averlo tradotto in inglese da tavole d’oro[8] scritte in un’antica e sconosciuta lingua che egli chiamò “egiziano riformato”, donategli da un angelo di nome Moroni. L’epiteto “mormone” fu utilizzato già dai primi tempi da chi non apparteneva al nuovo movimento religioso “restaurato” da Smith, in alternativa a “santi”, come invece preferiscono chiamarsi i mormoni.
In seguito, l’appellativo fu ufficiosamente accettato dai fedeli del nuovo movimento. Lo stesso Joseph Smith asserì che non c’era nulla di cui vergognarsi nell’appellativo “mormone”. Spiegò l’etimologia del nome di persona Mormon, affermando che a suo avviso derivava da “mor-mon”, nome composto che in egiziano riformato (lingua di cui Smith sosteneva l’esistenza) significherebbe “più buono.
Il tempio di Salt Lake City, Utah, è il più noto edificio religioso della Chiesa di Gesù Cristo dei santi degli ultimi giorni.
Tra i mormoni il termine utilizzato per definirsi, in quanto gruppo religioso, è sempre stato quello di “santi” o di “santi degli ultimi giorni”. Invece, in riferimento al pensiero religioso e dottrinale della Chiesa, sono sempre preferiti i termini “vangelo” e “vangelo restaurato”, anche se è comune l’uso del termine “mormonismo” quando si fa riferimento agli aspetti più meramente culturali e filosofici.
Non è facile individuare le credenze comuni a tutto il movimento mormone, sia perché il pensiero di Smith subì negli anni una notevole evoluzione, sia perché il movimento crede in una rivelazione continua, e il canone scritturale delle chiese mormoni quindi è generalmente aperto. Oltretutto si tende frequentemente a confondere tutto il movimento mormone con la sua componente principale, la Chiesa di Gesù Cristo dei santi degli ultimi giorni. Per una descrizione sommaria di alcuni aspetti della dottrina mormone si possono però utilizzare i cosiddetti Articoli di fede, una sorta di credo che Smith scrisse rispondendo a un giornalista di Chicago che gli chiedeva notizie del suo movimento. Ogni chiesa mormone ne utilizza una propria versione, leggermente modificata. Nella discussione seguente si fa riferimento alla traduzione italiana fornita dalla Chiesa di Gesù Cristo dei santi degli ultimi giorni.
Si crede che la Bibbia non sia stata trasmessa correttamente, mentre il Libro di Mormon, essendo stato tradotto dall’egiziano riformato da Joseph Smith, a cui Dio «conferì il dono e il potere di fare ciò»,sarebbe per sua natura perfetto. Verso la fine della propria vita Smith intraprese anche una nuova “traduzione” della Bibbia, priva del Cantico dei cantici, considerato non ispirato, e con varie aggiunte e interpolazioni. Questa versione però non è accettata universalmente dai suoi seguaci.
Secondo il Libro di Mormon, Gesù visitò i nativi americani dopo la sua resurrezione. Comune a quasi tutte le chiese mormoni è il rifiuto del dogma trinitario. Secondo la concezione di Smith, il Padre e il Figlio sono persone del tutto distinte, dotate di forma umana e in carne e ossa, unite da una volontà comune. Questa volontà comune è lo Spirito Santo, che non ha invece forma umana. Dio padre, cioè il Padre Celeste, è un ex uomo che ha ottenuto la perfezione divina, e ha stabilito la propria residenza nei pressi di un ipotetico pianeta, Kolob. Netto è anche il rifiuto del dogma del peccato originale. La Rivelazione è un processo continuo: Smith quindi ha solo incominciato un processo che si chiuderà con il ristabilimento del regno di Dio sulla Terra. I periodi storici in cui il vangelo è presente sulla terra sono chiamati dispensazioni. I mormoni sono restaurazionisti: ogni singola chiesa si ritiene quindi la sola detentrice del “vero cristianesimo”, andato perduto poco dopo i tempi apostolici a causa di un processo di ellenizzazione e ripristinato da Joseph Smith, il quale ha inaugurato la “dispensazione della pienezza dei tempi”, in cui tutta la verità verrà progressivamente rivelata.
Il battesimo avviene non prima degli otto anni ed esclusivamente per immersione totale: se la punta di un capello, o di un vestito, dovesse restare fuori dall’acqua, il battesimo deve essere ripetuto più volte fintantoché sia accertato che tutte le parti del corpo, inclusi i vestiti, si trovino completamente sotto la superficie dell’acqua.
Per quanto concerne l’ordine, il sacerdozio nelle Chiese mormoni è un’ordinanza che fa parte del cammino di iniziazione obbligatoria di ogni fedele maschio. Vi sono diversi gradi e ruoli nel sacerdozio. Ai gradi più elevati si accede per cooptazione.
Tutte le chiese mormoni sono millenariste. In particolare, la nuova Gerusalemme a venire sarà stabilita sul continente americano. Considerando l’imminenza della seconda venuta in genere i mormoni tendono a radunarsi in zone geografiche ben precise e delimitate, in particolare nella zona attorno a Salt Lake City e attorno a Independence (Missouri).
L’anima s’incarna in un corpo terreno per poi perfezionarsi, attraverso la conoscenza della verità, in un progressivo miglioramento che conduce alla condizione di divinità. Dopo questa prima resurrezione Cristo fonderà in America un regno mormone in cui ognuno giungerà a cento anni di età. A una seconda resurrezione seguirà poi il Giudizio Universale che porterà i mormoni al completamento nella divinità.
A parte questo nucleo di credenze comuni, dottrinariamente il mormonismo si divide sostanzialmente in due rami ben distinti: le chiese del Far West (principalmente la Chiesa di Gesù Cristo dei santi degli ultimi giorni) e le chiese del Midwest.
Le Chiese del Midwest (come la Comunità di Cristo o la Chiesa Bickertonita) generalmente rigettano le dottrine insegnate dallo Smith dopo il 1835 (come il matrimonio plurimo, il battesimo dei defunti, l’ordinanza dell’investitura e il Libro di Abramo). È invece generalmente accettata la “traduzione biblica” di Smith. In passato spesso queste piccole denominazioni accettavano la dottrina della successione lineare: a capo della Chiesa doveva esserci un discendente di Joseph Smith. Le chiese del Far West invece si distinguono per una maggiore innovatività dottrinale, che prende spunto dagli insegnamenti dell’ultimo Smith.
American food
Luogo comune tra chi non ha mai viaggiato negli States è pensare agli americani come ad un popolo in sovrappeso, che si nutre solo di cibo spazzatura e con cattive abitudini alimentari. Sì è vero, gli Stati Uniti sono la patria dei fast food e qui è possibile trovare porzioni giant, cioè enormi sia di cibo che di bevande gassate e dolcissime. E’ altrettanto vero che in tutte le città ci sono ristoranti salutisti, rarissimi in Italia ed è possibile mangiare sano anche nei Deli, le gastronomie. Inoltre nei supermercati, ci sono intere scansie dedicate ai prodotti senza zucchero, bio e vegani con una scelta maggiore che a casa nostra.
La classica famiglia americana fa colazione a casa in modo sostanzioso, pranza solitamente al lavoro e a scuola per poi sedersi al tavolo all’ora di cena. La middle class americana, che ha comunemente un tenore di vita confortevole, nei fine settimana cena fuori.
Mangiare sano è quindi una questione di scelta, come in tutto l’occidente, ma in America è chiaro che c’è una vera e propria dualità che riguarda il consumo alimentare. Da una parte è la patria dei fast food con il tasso di obesità più elevato al mondo. Dall’altra, c’è un tasso di incremento di vegetariani con un aumento di popolazione che presta attenzione a ciò che transita sulla propria tavola.

Nell’ultimo decennio in America, la cura dell’alimentazione infatti, è entrata anche nelle scuole. Nel 2010 Obama ha firmato una Legge voluta dalla moglie Michelle, per distribuire cibo sano nelle mense delle scuole e nei distributori automatici. Da allora la lotta all’obesità è parte del piano nazionale governativo, messo in secondo piano da Trump, ma ancora in vigore nell’attuale mandato Biden.
I love Breakfast
La sostanziale differenza di abitudini alimentari la troviamo negli orari dei pasti. Si dice spesso che la colazione è il pasto più importante della giornata e per gli americani è proprio così. Mi piace pensare che questa affermazione sia vera, perché amo mangiare appena sveglia. Noi italiani facciamo colazione in modo leggero, cercando di tagliare le calorie e di mangiare sano, magari facendo uno spuntino a metà mattina per non esagerare appena svegli. Gli statunitensi fanno l’esatto contrario. Appena svegli, quindi tra le 7 e le 8 di mattina, negli States ci si siede in cucina o in una tavola calda e si consuma un pasto tra i più abbondanti che si faranno in tutta la giornata.

Cucina americana abitudini e curiosità Made in USA
Se vi piacciono le uova, negli States ogni giorno è possibile gustarle in modo diverso.
Le più particolari sono le Eggs Benedict, uno dei principali piatti tipici della colazione americana. Sono delle uova in camicia adagiate su un muffin “all’inglese” e ricoperte di salsa olandese. Nel panino che si va a comporre può esserci del bacon o del prosciutto, possiamo ordinarle con del salmone affumicato oppure vegetariane. Le cucinano in tutti i diner, le famose tavole calde e se vi va di sperimentare cose nuove sono buonissime.
Quello che si mangia praticamente ogni mattina durante i viaggi in America, sono le famose, mitiche, insuperabili Bacon & eggs. Chiamate “the quintessential American breakfast“, le uova strapazzate, Scrumbled eggs, con la pancetta croccante sono servite ovunque, dai ristoranti, alle mense agli hotel. A noi italiani può sembrare una colazione un tantino pesante, ma vi assicuro che se poi macinate chilometri, è il giusto pasto per darvi la carica necessaria.
Cucina americana abitudini e curiosità Made in USA
Le Scrumbled eggs vengono cucinate anche mescolate ad altri ingredienti, come il salmone affumicato, bacon, prosciutto cotto, salsicce o formaggio. Detta alla Barbieri, sono un “mappazzone”. Vanno per la maggiore anche le Fried eggs, cioè le uova all’occhio di bue e le Omelette, ripiene a piacere, spesso con salmone o semplicemente cheddar e verdure fresche.
Accompagna la colazione americana con succo d’arancia e caffè amaro, ma c’è anche la parte dolce dell’ American Breakfast, fatta da tanti dolcetti sfiziosi e buonissimi che a volte, chiudono il pasto. I muffin per lo spuntino di metà mattina preferendoli ai pancake con lo sciroppo d’acero. accompagnati da frutta, gocce di cioccolato e zucchero a velo sono più buoni, ma sono parte di un gusto tipicamente americano. Preferisco di gran lunga i waffels, dolce di origine belga, solo se hanno nell’impasto della cannella che li rende irresistibili.
Cucina americana abitudini e curiosità Made in USA
Quando vi fermate nei paesini americani, se non avete fretta, andate in una tavola calda, vi sembrerà di essere in un film. Il pranzo in America non è importante come in Italia, difficilmente ci si siede a tavola e quasi mai si mangia un piatto di pasta. I market hanno tante cose buone da offrire e spesso c’è il reparto gastronomia, dove è possibile trovare panini già fatti e molto buoni. Basta con i luoghi comuni: non aspettatevi salsine e salsette
Nelle grandi città si preferisce un panino al volo, o per chi ha una pausa pranzo più lunga che solitamente non supera mai l’ora, è facile consumare un piatto unico e poco abbondante. Per chi non guarda la linea ne la salute, ci sono i famosi fast food, catene come Burger King, Pizza Hut o Mc Donald, dove anche l’insalata è considerata junk food, cibo spazzatura. Un piccolo break spesso consumato direttamente in ufficio è la soluzione ideale per molti lavoratori, mentre per i turisti via libera alla sperimentazione culinaria
Cucina americana abitudini e curiosità Made in USA
Un piccolo market nello Utah, pieno di cose buonissime!
Nelle giornate festive, come la domenica, è facile trovare nei ristoranti il brunch nel menù. La parola è il risultato della fusione tra breakfast (colazione) e lunch (pranzo) ed indica un pasto che può essere a buffet o seduti al tavolo. Il brunch viene servito tra le 11 e le 15, composto da pietanze salate e dolci, quelle tipiche della colazione, con l’aggiunta di formaggi e carni fredde, salumi e frutta. Diversi sono i pranzi durante le festività, come il giorno del Ringraziamento, quando ci si ritrova in famiglia e sulla tavola c’è ogni prelibatezza della tradizione americana. Via libera anche ai famosi barbecue, grigliate di carne in giardino, in compagnia di amici, parenti e vicini di casa.
Per chi viaggia la parola d’ordine è sperimentare: se siete in città come New York, provate cucine di altre nazioni come il sushi e il ramen giapponese, magari tortillas messicane e alette di pollo. Da provare i piatti americani che non mangeremo mai se non in viaggio, come i maccheroni cheese, la pizza pepperoni e perché no, la torta di zucca. Per i più coraggiosi, è possibile assaggiare solo negli States, cibi dai sapori improponibili che però, agli americani piacciono tanto. Via libera quindi, alle stranezze culinarie come la carbonara lasagna, uno sformato simile alla vista alla nostra lasagna, ma condito con carbonara sauce fatta di panna, funghi, prezzemolo e tante altre cose.
Cucina americana abitudini e curiosità Made in USA
Almeno una volta nella vita è d’obbligo provare le famose gelatine americane chiamate Jell-o. Gli americani sono capaci di fare qualsiasi cosa con le gelatine, anche un’insalata. La Jell-o salad, snack nazionale dell Utah e famosa dagli anni ’60, è la gelatina, mescolata con frutta, carote grattugiate, cottage cheese o formaggio spalmabile, marshmallow, mini pretzel e frutta secca. Ovviamente ci sono tantissime varianti, dolci e salate.
In inglese ci sono due parole che indicano entrambe la cena: dinner e supper. La prima viene usata per indicare una cena sostanziosa, quella classica che facciamo di solito. Con supper invece, viene descritta la cena frugale, un pasto leggero, per intenderci il nostro te e biscotti della sera. La cena è il momento in cui solitamente, la famiglia si ritrova e qui le tradizioni culinarie si fanno sentire. Ogni famiglia ha infatti le sue usanze, gli Stati Uniti sono un paese incredibilmente vasto e arricchito dalle migliaia di etnie diverse.
Ecco che a tavola vengono serviti maccheroni al formaggio, oppure pollo fritto accompagnato da patatine. Spaghetti all’italiana, carne alla griglia, pesce e contorni di ogni tipo. Nei Diner, quei meravigliosi, iconici locali che rispecchiano tutta l’identità di questo paese: l’America. Sempre dagli arredi vintage e quasi mai dai colori sgargianti, se ne trovano alcuni con un juke box in un angolo che va a monetine.
Altri ancora sono semplicemente vecchi, in cui il beige regna sovrano e dove le cameriere di mezza età ti riempiono la tazza di caffè squadrandoti dall’alto in basso, masticando chewing-gum alla maniera di Laverne in Laverne & Shirley. E’ facile trovare appesi dietro al bancone, cartelli assurdi tipo: “no cell phones” come quello esposto nel diner di Luke nella serie tv Gilmore Girls. Ci sono alcuni posti dove le cameriere hanno i capelli cotonati stile anni ’50, vestite in modo assurdo, molto simili a quelle nella scena “del dito” tra Walter e Drugo nel Il grande Lebowski.
Cucina americana abitudini e curiosità Made in USA
Per noi italiani quella del diner, la tavola calda americana, è un’idea lontana, un’immagine catturata solo attraverso il cinema. Sì perché in ogni tavola calda in cui entrerai, ti siederai, ordinerai qualcosa da mangiare e ti tornerà alla mente un film, un libro, una scena di una serie vista alla tv. E’ matematico, succede sempre e a chiunque, aspettatevelo. I locali simil America che trovi in Italia, sono solo una parodia, perché i veri diner non hanno colori sgargianti, a meno che non siete a Los Angeles. Non hanno cameriere carine e sorridenti, non sono nuovi e nemmeno pulitissimi.
Un lungo bancone, magari un po’ sporco, circondato da sgabelli rotondi in pelle rovinata, bottiglie mezze piene di ketchup e mostarda, clienti persi nei propri pensieri: questo è il Diner. Le insegne al neon, la lunga vetrata che affaccia sulla strada, e poi tavolini di formica, tazze di caffè sbeccate e pancake alti quando un palazzo. Dentro questi posti c’è tutto l’unto di decenni di cene, di chiacchiere, di confidenze, di amori, di rimpianti. C’è una magia che vi si attaccherà addosso, che vi pervaderà riportandovi alla mente l’iconica scena del finto orgasmo di Harry ti presento Sally e ancora, le tantissime puntate scanzonate di Happy Days. Piatti semplici e veloci, sfiziosi e a basso costo come i pancakes a colazione, bacon & eggs, milkshake con latte e ghiaccio, decorati con panna montata e ciliegina rossa. E poi hamburger, patatine, bistecche e anelli di cipolla, il tutto annaffiato da tanto ma tanto caffè, americano ovviamente. In molti diner c’è la specialità della casa, alle volte una torta cheesecake, altre torta di formaggio, banana e cioccolato, zucca. Un turbinio di gastronomia all’americana, che sicuramente non fa bene alla salute, ma che se si va negli Stati Uniti è d’obbligo provare. Altrimenti che ci venite a fare?

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