DA WASHINGTON ALLE ISOLE KEYS

L’ America è ovunque.
Non hai nemmeno bisogno di andarci.
È lei che viene da te.
Indipendentemente da dove viviamo, l’America ti viene pompata in casa attraverso la musica, i film è dentro di noi.
È Hollywood, la Coca-Cola, il jazz, le Harley Davidson, la Route 66, Cape Canaveral, Miami, New Orleans….il luogo dove nascono i sogni …..

Washington

La città di Washington è la capitale degli Stati Uniti d’America e si trova nel District of Columbia. Geograficamente Washington è collocata sulla east coast e si affaccia sull’oceano Atlantico. A nord ovest la città confina con lo stato del Maryland, mentre a sud con le località dello stato della Virginia. Ad ovest la città è bagnata dalle fredde acque del fiume Potomac, che segna i confini tra il distretto e lo stato del Maryland a nord. L’area dell’attuale città di Washington era abitata sin da epoche molto lontane da tribù di nativi americani, in particolare riunite intorno al fiume Potomac. La fondazione della città attuale inizia con lo sbarco dei coloni dall’Europa nel diciassettesimo secolo. Nel 1790 il presidente George Washington firmò l’atto della fondazione della capitale degli Stati Uniti all’interno di un’area inizialmente chiamata Distretto Columbia, che all’origine era l’appellativo con cui venivano chiamati gli Stati Uniti d’America. In questa città avvennero dei fatti molto importanti per l’intera nazione: il presidente Lincoln infatti qui firmò un importante atto che decretava la fine della schiavitù di migliaia di afroamericani. Pochi anni dopo, lo stesso presidente fu assassinato proprio a Washington di fronte al teatro Ford. L’economia e l’assetto moderno arrivarono con la nascita delle prime fabbriche di automobili agli inizi del secolo scorso. Nel 1963, la città di Washington fu protagonista di una delle proteste politiche più grandi della storia, da parte degli afroamericani: era la cosiddetta “Marcia su Washington” quando fu pronunciato il famoso discorso rimasto nella storia di Martin Luther King, “I have a dream”, di fronte al Lincoln Memorial. L’economia della città di Washington è molto prospera ed avanzata rispetto ad altre città statunitensi. Il terziario è il settore più sviluppato e fa da traino all’economia di tutta l’area. A testimonianza del notevole sviluppo di questo settore economico del terzo millennio, si può notare come il distretto della finanza, dell’educazione e della ricerca scientifica siano oggi la punta di diamante di tutte le maggiori grandi compagnie dell’area di Washington, con un fatturato annuale miliardario. Non è difficile immaginare come una grande fetta di lavoro sia trainata dal settore dell’amministrazione politica, vista la presenza della Casa Bianca, la residenza del presidente degli Stati Uniti.

Nella città di Washington si trovano tutti i tipi di cucina, da quella etiope a quella italiana, ma ci sono ancora dei posti dove si possono gustare piatti della tradizione americana. Per esempio uno speciale hot dog tipico della città è l’half smoke che si può gustare in centro città. Un altro ingrediente della cucina tipica di Washington è il granchio con cui vengono prodotte delle torte salate. Ottimi sono anche i sandwich a base di aragosta o di gamberetti, serviti in un panino molto grande con salse e patatine sono davvero tipici della zona. Da provare sono tutti i tipi di dolce che in questa zona vantano una lunghissima tradizione. In ogni angolo della città si possono trovare bakery o caffetterie che servono ciambelle e cupcake di tutti i tipi e enormi gelati serviti in ogni contenitore e forma. La colazione tipica da trovare in questa zona è il pancake servito con sciroppo d’acero e a volte con un uovo fritto sopra. Tipiche americane sono le torte red velvet e i particolari biscotti al cioccolato che si possono trovare artigianali. In generale i tipi di cucina da tutto il mondo sono davvero tanti e si sono adattati con i gusti americani; un consiglio è quello di provarli tutti. Washington D.C. è una meta della east coast da non perdere per la sua centralità e la sua vitalità. Questa è la sede del governo della forza politica più potente del mondo e merita una visita per i suoi monumenti famosi, come la Casa Bianca il Lincoln Memorial ecc. La capitale degli Stati Uniti è anche la città che ha il maggior numero di parchi e spazi verdi.
Washington DC, la capitale degli Stati Uniti, in nessun luogo come questo si respira l’aria del sogno americano, testimoniato da monumenti nazionali e musei sparsi un po’ ovunque. Inoltre si tratta di una città dagli spazi molto ampi, immensi orizzonti, con edifici molto bassi (soprattutto se pensiamo all’immaginario delle grandi città americane) che rendono il cielo sempre ben visibile.
National Mall
I National Mall sono il motivo principale per visitare Washington, tant’è che per molti turisti il soggiorno in città coincide e si esaurisce con la visita dei Mall stessi. Ma di cosa si tratta? É un grande parco a pianta di croce dove si distribuiscono i monumenti, musei, memoriali e luoghi del potere più famosi di tutti gli Stati Uniti.
Potete decidere di dedicargli una lunga passeggiata, ammirando i suoi toccanti memoriali senza entrare all’interno degli edifici, e solo così la visita vi richiederà almeno mezza giornata, se poi decidete di entrare nei suoi musei o istituzioni allora i tempi si allungheranno non poco, perché la concentrazione di cose da vedere è davvero impressionante.
• Lincoln Memorial
• Casa Bianca
• Campidoglio
• Washington Monument
• Jefferson Memorial
una nutrita schiera di bellissimi musei, tutti gratuiti(qui trovate i 6 musei di Washington che consigliamo di visitare assolutamente).
Campidoglio
È il palazzo in cui si riuniscono i due rami del Congresso americano e dove ogni quattro anni si tiene la cerimonia di insediamento del presidente che è uscito vincitore dalle elezioni. È uno dei pochi palazzi governativi visitabili, anche per questo vale la pena non perdere l’occasione.


National Gallery of Art
Amanti dell’arte preparatevi perché questa sosta fa proprio al caso vostro. Rinomata non soltanto per la sua ampia collezione permanente, ma anche per le mostre temporanee di cui potete consultare il calendario visitando il sito ufficiale.
Il museo è composto da due ali: in quella est sono prevalentemente esposte opere d’arte moderna fra cui spiccano i lavori di Picasso e Pollock, mentre in quella ovest a farla da padrone è il periodo che va dal medioevo al XIX secolo, compresa una cospicua serie di opere del Rinascimento Italiano fra cui i lavori di Correggio, Filippo Lippi e Raffaello.
L’ingresso è gratuito. Il museo è aperto tutti i giorni della settimana con i seguenti orari:
• da lunedì a sabato: 10 -17
• domenica: 11-18
National Archives Building
Qui sono conservati ed esposti al pubblico quei documenti che hanno fondato non solo gli Stati Uniti per come sono oggi, ma hanno realizzato dell’idea stessa di democrazia moderna. Stiamo parlando della Dichiarazione di Indipendenza, della Costituzione e del Bill of Rights. Queste preziose testimonianze storiche si possono ammirare nella sala denominata Rotunda for the Charters of Freedom.
L’edifico è aperto dalle 10 alle 17:30 tutti i giorni della settimana. Le chiusure sono per Natale e per il Giorno del Ringraziamento. L’entrata è gratuita ma se volete evitare le lunghe file all’ingresso, che soprattutto in alta stagione sono praticamente onnipresenti, c’è la possibilità di prenotare il proprio ingresso e saltare la coda. Questa comodità però ha un prezzo, potete trovare tutte le informazioni aggiuntive visitando il sito ufficiale.
National Museum of Natural History
Smithsonian
Se avete presente il Museo di Storia Naturale di New York qui troverete il suo alter ego di Washington.

Gli insetti vi fanno paura? Allora state alla larga visto che vi sono racchiusi una immensa quantità di questi esemplari nel loro habitat naturale. Sappiate che è prevista persino una dimostrazione del pasto di una tarantola.
L’ingresso è gratuito.
Il museo è aperto tutti i giorni dell’anno con l’esclusione di Natale. L’orario di apertura va dalle 10 alle 17.30. In giorni particolari sono previste aperture speciali, per controllarle date un’occhiata al sito ufficiale.
National Museum of American History
Come sono riusciti gli Stati Uniti a diventare quello che sono adesso? Se volete una risposta a questa domanda non dovete far altro che entrare al National Museum of American History e iniziare un percorso lungo la centenaria storia americana.
Molto spazio è dedicato anche alla cultura di massa e a come questa nel tempo abbia modellato parte dei valori occidentali in epoca contemporanea. Il museo è rinomato per esporre la bandiera originale degli Stati Uniti con 15 stelle che, durante gli eventi della guerra del 1812, ispirò i versi dell’inno americano.
Sono presenti ben tre shop in cui potrete fare qualche regalo particolare per i vostri amici rimasti a casa, e due Cafè in cui rifocillarvi.
Il museo è aperto tutti i giorni dalle 10 alle 17:30 con l’esclusione di Natale. L’ingresso è gratuito. Per controllare la presenza di eventi particolari che possono modificare l’orario di apertura consultate il sito ufficiale.
National Museum of African American History and Culture
Di costruzione recente questo museo, collocato in una struttura architettonica più moderna rispetto a quelle che lo circondano, testimonia l’importanza che gli afroamericani hanno avuto nella storia degli Stati Uniti, non solo per quanto riguarda il movimento dei diritti civili ma anche nella cultura di massa e nell’industria musicale.
Aperto dalle 10 alle 17:30 tutti i giorni della settimana con unico giorno di chiusura il giorno di Natale. Il museo è gratuito, ma attenzione! Per visitarlo occorre munirsi di un pass temporaneo in cui dovrete indicare il giorno e l’ora della vostra visita. Per maggiori informazioni e prenotazioni potete consultare l’apposita sezione del sito ufficiale.
Washington Monument
L’obelisco dedicato a Washington che svetta su tutta l’area del National Mall. È la costruzione più alta di tutta la città. Impossibile quindi non notare l’obelisco dedicato al padre fondatore degli Stati Uniti da qualunque punto vi troviate. Con i suoi 169 metri di altezza il Washington Monument svetta al centro della croce ideale del National Mall che ha ai suoi estremi la Casa Bianca, il Lincoln Memorial, il Campidoglio e il Jefferson Memorial.

La caratteristica più interessante del Washington Monument è data dalla possibilità di salire internamente fino alla sua punta e ammirare dall’alto, attraverso apposite finestre, le perfette geometrie della capitale americana. Andiamo quindi a scoprire tutti i segreti di uno dei monumenti più importanti degli Stati Uniti.
Dopo una recente ristrutturazione degli ascensori, per poter entrare dentro il Washington Monument, e raggiungere l’osservatorio posto sulla sommità, dal 19 ottobre 2019 si possono utilizzare due sistemi:
• si può prenotare un biglietto dal sito ufficiale, con 90 giorni di anticipo sulla data interessata, pagando la cifra non rimborsabile di 1$ a biglietto.
• si può provare ad ottenere un biglietto gratuito, per i posti che sono rimasti disponibili, per il giorno stesso in cui si vuole effettuare la visita. Questa tipologia di biglietti viene distribuita, sulla base del sistema first-come first-served a partire dalle 8:30 presso il Washington Monument Lodge (situato sulla 15th Street).
Casa Bianca
Vi trovate al 1660 Pennsylvania Avenue, ovvero la dimora dei Presidenti degli Stati Uniti e il centro del potere politico americano.

La visita è preclusa ai cittadini stranieri.

National WWII Memorial
Memoriale dedicato ai soldati e civili americani che prestarono il loro servizio durante la Seconda Guerra Mondiale. Di costruzione relativamente recente, fu aperto al pubblico durante la presidenza di George W. Bush, si trova nella parte centrale del National Mall.
Impressionante, soprattutto la sera con la sua illuminazione, è il Freedom Wall con 4.048 stelle dorate ognuna delle quali rappresenta 100 soldati americani che morirono durante il conflitto.
L’area a forma di semicerchio del memoriale è circondata da 56 pilastri di granito (che rappresentano gli stati e i territori americani i cui cittadini prestarono servizio nell’esercito statunitense) e due archi di trionfo posti all’estremità a rappresentare i due teatri di guerra del Pacifico e dell’Atlantico.
Vietnam Veterans Memorial

Altro memoriale che ricorda il sacrificio dei soldati americani che hanno combattuto durante la Guerra del Vietnam. Molto conosciuto per via del suo imponente muro in cui sono iscritti tutti i nomi dei militari deceduti nel conflitto. La particolarità del Memorial Wall è inoltre quella di essere di granito lucido e di riflettere quindi l’immagine di coloro che vi si trovano davanti. Questo a voler sottolineare che la ferita causata da questo conflitto continua a protrarsi anche nel presente, nonché una vicinanza fra chi osserva il monumento e i soldati caduti. Il colore scuro del granito è un ulteriore motivo di contrasto rispetto a tutti gli altri monumenti del National Mall che spiccano per il loro bianco lucente.

Oltre al Memorial Wall nell’area sono presenti il monumento in bronzo The Three Soldiers, che raffigura tre soldati in rappresentanza dei tre maggiori gruppi etnici che prestarono il loro servizio nell’esercito americano, e il Vietnam Women’s Memorial che rende omaggio alle donne, nella maggior parte dei casi infermiere, coinvolte nel conflitto.
Lincoln Memorial
Mausoleo dedicato a uno dei più noti presidenti americani e luogo dal quale Martin Luther King pronunciò il suo famoso discorso I Have a Dream.
Quando pensiamo all’importanza decisiva di ciò che viene stabilito tra le mura della Casa
Bianca e del Campidoglio,il nostro immaginario vola immediatamente ai film più celebri di

Hollywood: tra le tante pellicole in cui appare questo monumento (Forrest Gump, Independence Day, Il pianeta delle Scimmie, Armageddon, Una notte al Museo, Nixon per citarne alcuni. Quello è il Lincoln Memorial, uno dei monumenti chiave della storia politica americana e non solo.
Il Lincoln Memorial non richiede l’acquisto di un biglietto: il monumento è aperto al pubblico tutti i giorni dell’anno 24 ore su 24
L’imponente edificio neoclassico che ospita la statua di Lincoln è stato costruito in stile dorico a partire dal 1914 ed è stato inaugurato nel 1922. Le 36 colonne che circondano l’edificio sono alte dieci metri e ognuna riporta il nome degli stati che componevano gli Stati Uniti al momento della morte di Lincoln. Gli stati mancanti furono omaggiati con un’iscrizione all’esterno dell’edificio e su una targa alla base della scalinata.
La scalinata
L’immagine è nota a tutti: il 28 agosto 1963, dopo la Marcia su Washington, sulla scalinata del Lincoln Memorial Martin Luther King tenne il celebre discorso “I have a dream” di fronte a una folla immensa. In prospettiva, l’obelisco del Washington Monument si specchiava nelle acque della Reflecting Pool, proprio davanti al monumento del memoriale.
Chi sale sulla scalinata del Lincoln Memorial sa che proprio qui il pastore protestante ha pronunciato le parole che sono diventate un simbolo della lotta per i diritti civili degli afroamericani in America. Sulla scalinata è stata anche posata una particolare mattonella con su scritto proprio “I have a dream”.
Quando si sono saliti tutti i gradini, prima di entrare nell’edificio, non si può rinunciare a fare una foto al panorama del National Mall, particolarmente suggestivo al tramonto.
Gli interni
Quando entrerete nella cosiddetta “central chamber”, la vostra attenzione sarà ovviamente calamitata dall’enorme statua di Abramo Lincoln seduto su un trono. Scolpita da Daniel Chester French, la statua di marmo è alta ben 6 metri ed è poggiata su un piedistallo alto 3 e largo quasi 5 metri. Dietro la testa del presidente si può leggere un’iscrizione che riporta queste parole:
In this temple
As in the hearts of people
For whom he saved the Union
The Memory of Abraham Lincoln
Is enshrined forever.
Le due camere laterali, separate da quella centrale da due file di 4 colonne, riportano sulle pareti il testo di due discorsi del presidente: il Secondo discorso inaugurale e il discorso di Gettysburg, pronunciato per ricordare le vittime della Guerra Civile in occasione dell’inaugurazione del Cimitero di Gettysburg. Sopra a ciascuno dei due discorsi sono presenti dei dipinti murali a opera di Jules Guerin, raffiguranti alcuni momenti chiave della vita del presidente Lincoln in chiave simbolica.
Come già accennato, l’ora del tramonto è la più indicata per la visita del monumento. I motivi sono facilmente intuibili:
• l’affluenza è decisamente minore rispetto alle ore di punta della giornata. Potrete godere di un momento d’intimità con l’austera statua del presidente, all’ombra delle colonne;
• il tempio e il panorama circostante sono particolarmente suggestivi al calar del sole.
Andando sul retro del monumento si può godere di una bella vista sul fiume Potomac e sull’Arlington Memorial Bridge, sul quale si impongono due fiere statue equestri.
Korean War Veterans Memorial

Continuiamo la visita dei memoriali lungo il National Mall, questa volta siamo di fronte all’innovativo tributo ai soldati americani che combatterono nella Guerra di Corea. Freedom is not Free: questa è la frase che campeggia sul Memorial Wall che comprende anche la raffigurazione dei volti dei soldati impegnati in questo conflitto.
Di sicuro impatto è anche la rappresentazione in acciaio di una pattuglia di 19 soldati che attraversa un campo che idealmente rimanda al suolo coreano.
Martin Luther King Memorial
A spiccare in questo memoriale dedicato al paladino dei diritti civili è l’imponente scultura in granito Stone of Hope che ritrae Martin Luther King.

Aperto al pubblico nel 2011, tutto il complesso è costruito prendendo spunto da una frase pronunciata durante il famoso discorso tenuto sulle scalinate del Lincoln Memorial. With this faith, we will be able to hew out of the mountain of despair a stone of hope ovvero “Con questa fede saremo in grado di strappare alla montagna della disperazione una pietra di speranza”.
Il pezzo di granito nel quale è scolpito Martin Luther King si stacca infatti da una montagna che rappresenta la disperazione, dalla quale emerge la speranza raffigurata nel leader del movimento per i diritti civili degli afroamericani.
Jefferson Memorial
Tributo ad uno dei padri fondatori degli Stati Uniti d’America. La figura di Jefferson è stata talmente importante nella storia politica del paese da avergli garantito un posto fra i volti dei quattro presidenti scolpiti sul Monte Rushmore. Progettato dall’architetto John Russell Pope fu inaugurato dal presidente americano Franklin Delano Roosevelt nel 1943 il giorno del 200esimo compleanno di Jefferson. Fonte di ispirazione del progetto fu il Pantheon di Roma, dato che il Padre Fondatore aveva una particolare predilezione per quello stile architettonico.

All’interno dell’edificio si trova la statua in bronzo dell’artista Rudulph Evans che raffigura Jefferson mentre tiene in mano la Dichiarazione di Indipendenza. Lungo il muro del memoriale troverete alcune citazioni famose che sintetizzano il pensiero del Presidente Americano sulla politica e sulla religione.
National Air and Space Museum
Se siete appassionati di aerei e di viaggi nello spazio per voi sarà il posto più bello del mondo.

Fra le opere esposte che ogni anno attirano migliaia di appassionati ci sono centinaia di esemplari di aerei, sia commerciali che militari, e di astronavi fra cui il modulo di comando dell’Apollo 11 e il velivolo dei Fratelli Wright. All’interno dell’edificio sono presenti anche un cinema IMAX, un planetario e un simulatore di volo (a pagamento).



Nonostante sia il secondo museo più visitato al mondo l’ingresso è comunque gratuito. È aperto dalle 10 alle 17:30 tutti i giorni della settimana. Chiuso a Natale.
National Museum of the American Indian
Dall’architettura sicuramente originale, è costruito in un materiale che richiama l’Adobe come a rendere omaggio agli antichi Pueblo del New Mexico. Una volta entrati si aprirà per voi una vera e propria finestra sulla storia e le tradizioni dei popoli dei nativi americani che abitarono quelli che oggi sono gli Stati Uniti d’America.

Il consueto Café si chiama Mitsitam, che nella lingua di alcune tribù indiane significa “andiamo a mangiare!” e non offre il solito menù ma una selezione di piatti tipici dei nativi. Può essere quindi un’ottima occasione per provare qualcosa di nuovo. Anche l’immancabile store vi darà la possibilità di fare (o farsi) regali particolari che richiamano la cultura degli indiani d’america.

Il museo è aperto tutti i giorni della settimana tranne che per Natale dalle ore 10 alle 17:30. L’ingresso è gratuito.
Georgetown
Georgetown, che affascinerà soprattutto il turista alla ricerca dell’attrazione caratteristica: stradine con pittoresche case colorate, vicoli pieni di storia, marciapiedi in mattoncini rossi, sontuose ville ottocentesche e la vitalità tipica di un quartiere universitario fanno di Georgetown uno dei distretti più ricercati e piacevoli sia da visitare sia in cui vivere (se potete permettervelo ovviamente) fra le grandi città americane.

Il quartiere, abitato in passato da personaggi del calibro di Thomas Jefferson, John F. Kennedy, Francis Scott Key ed Elizabeth Taylor, è ricco di di abitazioni risalenti ai secoli XVIII e del XIX e forse la sua peculiarità principale è proprio quella di riuscire a far convivere anime diverse, da quella storica a quella del divertimento e della vita notturna, da quella universitaria a quella più residenziale. Prepariamoci allora per una passeggiata alla scoperta dei tanti volti di Georgetown, uno dei quartieri più affascinanti d’America. Dupont Circle
• se volete conoscere il luogo dove JFK chiese a Jacqueline Kennedy di sposarlo andate a Martin’s Tavern, in Wisconsin Avenue;
• i fan dei film horror non vorranno invece perdersi le scale del film L’esorcista, in 3600 Prospect Street, una traversa di M Street (due isolati più avanti del Francis Scott Key Memorial);

Cimitero di Arlington
Quando si parla del Cimitero di Arlington non ci si riferisce di certo a un cimitero qualunque, bensì a un simbolo, che rappresenta a tutti gli effetti il luogo sacro per eccellenza del patriottismo americano.Il cimitero si presenta come una vasta e suggestiva distesa di lapidi bianche, immortalata in molti film americani, che si estende sulla sponda opposta del Potomac rispetto a Washington DC.

Appena arriverete vi verrà spontaneo fare silenzio, sia per rispetto per chi vi è sepolto, sia perché a suo modo la sterminata distesa di lapidi bianche non vi lascerà indifferenti. Come saprete il luogo comune per cui in America tutto è immenso (o per lo meno più grande) è vero, e questo cimitero militare non fa eccezione, visto che vi sono sepolti oltre 350.000 soldati americani.

Ma ad Arlington non ci sono solo le bianche lapidi dei soldati sepolti, ma anche una serie di monumenti e tombe dedicate alle grandi personalità della storia americana.
La tomba di Kennedy
Sulla tomba di uno dei più amati presidenti americani arde una fiamma perenne, un’opera realizzata dall’architetto John Carl Warnecke, amico di Kennedy. Accanto riposa la moglie, Jaqueline Kennedy Onassis e non molto lontano il fratello Robert (la cui croce tombale fu rubata nel 1981).

La tomba di Kennedy ha avuto un impatto importante sull’immaginario collettivo americano. I funerali del presidente furono infatti trasmessi in televisione e negli anni successivi alla sua morte milioni di visitatori accorsero a rendere omaggio al suo monumento funebre. Nel 1964 la tomba di Kennedy ispirò anche un francobollo che affiancava al volto di JFK l’immagine della fiamma eterna.
Il Marine Corps Memorial

Cimitero di ArlingtonIl Marine Corps Memorial, forse uno dei monumenti più celebri della storia americana, immortala sei soldati che piantano la bandiera americana durante la battaglia di Iwo Jima, uno scontro in cui persero la vita ben 6800 uomini. Il monumento è comunque dedicato a tutti gli americani caduti per difendere il proprio paese e fu ispirata da una celebre fotografia di Joe Rosenthal, usata come modello dall’architetto Felix de Weldon.
Cosa mangiare a Washington
Washington DC è sempre stata una città multi-etnica e ciò ha fatto sì che le tradizioni gastronomiche delle popolazione insediatesi qui abbiano concorso a renderne l’offerta culinaria ricca e variegata. Tra i piatti che non potete non ordinare ci sono l’avocado toast, meglio se farcito anche con lime e peperoncino piccante, il saganaki, piatto greco a base di formaggio
Kefalograviera saltato in padella, il curry rosso di zucca con riso, servito nei ristoranti tailandesi. O ancora i mezzi rigatoni al ragù di carne di maiale, la zuppa Avgolemono, anch’essa di tradizione greca, a base di pollo al limone, uova e riso, e i granchi blu della Baia di Chesapeake con cui si prepara la crab cake e che si trovano anche come street food da giugno a settembre, sulle bancarelle lungo Maine Avenue.
Infine, non posso non menzionare la zuppa di fagioli del Senato Americano: questo piatto viene proposto nel ristorante del Senato, tutti i giorni, dal 1903. La leggenda racconta che due senatori degli Stati Uniti, Fred Dubois dell’Idaho e Knute Nelson del Minnesota, fecero richiesta di questa zuppa specifica (o forse addirittura ne fornirono la ricetta) e, da quel momento, il piatto divenne una tradizione immortale. Per prepararlo occorrono fagioli marini, acqua, zampone affumicato e cipolle. La versione di Dubois, inoltre, prevedeva l’aggiunta anche di purè di patate. Tra i dolci, non mancate di assaggiare il sandwich al gelato, i Doughnut alla Créme Brûlée e i cupcake.
Dove fare shopping a Washington
Le zone migliori per fare del sano (e soddisfacente) shopping a Washington DC sono le seguenti. Georgetown, dove scovare interessanti librerie, negozi di dischi, panetterie-pasticcerie ricche di dolcezze buonissime, boutique di stilisti locali e internazionali, oltre a prestigiose gallerie d’arte. In Downtown, invece, troverete centri commerciali in grado di soddisfare proprio tutti. Per esempio, il CityCenter DC, con centinaia di negozi di stilisti famosi, e non, ristoranti, caffè e piacevoli spazi in cui rilassarsi e sorseggiare una bibita tra un acquisto e l’altro.
Sempre a Downtown si trovano altri negozi importanti come Macy’s, o indirizzi golosi, come Dolcezza, una delle gelaterie più famose della città. Un un giro a Dupont Circle per chi desidera portarsi a casa oggetti, abiti e gioielli di designer locali. Qui si trova, per citarne uno, lo stupefacente negozio di Proper Topper, specializzato in cappelli di tutte le fogge, misure, colori e stili possibili. Immancabile per gli appassionati di vintage è, poi, il Tiny Jewel Box, negozietto che vende gioielli esclusivamente d’epoca.
Atlanta
è una città degli Stati Uniti d’America, capitale dello Stato della Georgia. Al censimento del 2020 la popolazione era di 498.715 abitanti. Secondo stime del 2021 l’area metropolitana conta 6.144.050 persone ed è l’ottava di tutti gli Stati Uniti d’America. Atlanta è divisa amministrativamente in due contee, la contea di Fulton e quella, meno estesa, di DeKalb.

La città è suddivisa in 242 quartieri che si sviluppano attorno ai tre distretti principali di Downtown, Midtown e Buckhead (riconoscibili per i loro grattacieli), che rappresentano i centri commerciale e finanziario di Atlanta essendo sede delle principali banche e aziende. Atlanta rappresenta anche un polo d’eccellenza per l’insegnamento universitario essendo la sede del politecnico Georgia Tech, dell’università Georgia State University nonché della prestigiosa università privata Università Emory. La città è anche conosciuta per essere la sede di numerose università storicamente afroamericane quali l’Università Clark e il Morehouse College, quest’ultimo frequentato anche da Martin Luther King attivista per i diritti umani e leader del Movimento per i diritti civili degli afroamericani, che ad Atlanta era nato.
Il primo insediamento di quella che sarà conosciuta come Atlanta fu fondato nel 1837, all’intersezione di due linee ferroviarie. Quasi totalmente rasa al suolo durante la guerra di secessione americana, la città conobbe uno sviluppo senza precedenti negli anni seguenti diventando in breve tempo un centro economico di importanza nazionale. Questo risultato fu possibile grazie alla sua posizione di principale hub degli Stati Uniti sud-orientali grazie allo sviluppo di una fitta rete di autostrade, ferrovie e lo sviluppo dell’Aeroporto Internazionale Hartsfield-Jackson, il più trafficato dal 1998 al 2012. La città ha ricevuto visibilità internazionale nel 1996 per avere ospitato i XXVI Giochi olimpici dell’era moderna.
La città è meglio conosciuta come sede della multinazionale produttrice di bevande analcoliche
The Coca-Cola Company, ma ospita i quartieri generali di altre grandi aziende inserite nella prestigiosa lista Fortune 100 tra le quali Delta Airlines, United Parcel Service (UPS), Turner Broadcasting System, AT&T Mobility e Home Depot tra le altre. Si stima che Atlanta sia la terza città degli Stati Uniti d’America per numero di aziende con quartier generale all’interno della propria area metropolitana.
World of Coca Cola
Il museo per eccellenza ad Atlanta, divertente e originale, è il World of Coca Cola (121 Baker St. NW).

Forse non tutti sanno che la Coca Cola, la bevanda più conosciuta al mondo, è nata per caso l’8 maggio 1886 grazie ad un errore del farmacista John Stith Pemberton che avrebbe dovuto creare uno sciroppo antidolorifico. Il risultato non fu una medicina, ma la bibita più bevuta sulla faccia della terra, senza che il suo creatore immaginasse quale fenomeno di massa si sarebbe creato intorno a quel prodotto. Nell’edificio si segue il percorso storico della bevanda: ci sono bicchieri, vassoi, quadri, manifesti e tanto altro, si può osservare il processo d’imbottigliamento, scattare una foto con il grande e sorridente orso polare simbolo del brand e perfino assaggiare gratuitamente varie bevande del mondo a marchio Coca Cola. Il negozio di souvenir è sempre affollato di clienti alla ricerca di oggetti interessanti, nuovi o dallo stile vintage.

Il CNN Center: un tour al centro della notizia

Il CNN Center (190 Marietta St. NW),è il complesso di una delle più note reti televisive americane. Alla CNN (Cable News Network) ogni venti minuti parte un tour guidato a piedi di 50 minuti durante il quale viene spiegato come e da dove vengono trasmessi i programmi: oltre a questo si possono ascoltare racconti sulla storia del canale televisivo. Nel suo atrio si trovano negozi, tra cui uno dedicato al canale della CNN e un altro ai souvenir della città.
Martin Luther King Jr
Parlando di Atlanta non ci si può dimenticare di Martin Luther King Jr, probabilmente il suo cittadino più famoso a livello mondiale, ministro della chiesa battista che morì alla giovane età di 39 anni a Memphis in Tennessee. In un’area circoscritta della città nel quartiere di Sweet Auburn potrete visitare il Martin Luther King, Jr. National Historical Park che include alcuni fra i più importanti edifici e monumenti a lui legati fra cui:
• la casa natale (501 Auburn Ave. NE): un’abitazione di due piani in stile Queen Anne con porticato.

• la Ebenezer Baptist Church (101 Jackson St. NE) di cui era pastore.
• la sua tomba (449 Auburn Ave NE) inserita all’interno di una grande vasca di acqua limpida.

Uno dei modi migliori per iniziare la visita di questa zona di Atlanta può essere quello di partire dal Visitor Center (450 Auburn Ave NE) all’interno del quale troverete una mostra interattiva sulla storia di Martin Luther King e del movimento dei diritti civili. Qui potrete inoltre raccogliere tutte le informazioni che vi serviranno per proseguire autonomamente la visita. Potrete raggiungerlo attraversando l’International Civil Rights Walk of Fame.
Una delle figure più carismatiche della lotta contro la segregazione razziale, premio Nobel per la pace (1964), il suo ruolo fu decisivo per l ‘approvazione negli Stati Uniti della legge sui diritti civili (1964). Arrestato più volte per la sua attività, subì varie aggressioni e infine fu ucciso a Memphis il 4 apr. 1968. Profondamente incisivi i suoi sermoni a commento di passi dei Vangeli, raccolti sotto il titolo Strength to love (1963; trad. it. 1967).
Martin Luther King Jr
“Quando si alzò, un grande boato si alzò dalla folla. Quando iniziò a parlare, calò il silenzio”. Così scrisse l’inviato del New York Times, Edwin Wentworth Kenworthy, detto Ned, per raccontare l’inizio del più celebre discorso del reverendo Martin Luther King Jr.: “I have a dream”, “Io ho un sogno”. Un discorso tenuto il 28 agosto 1963 nella cornice del Lincoln Memorial di Washington DC, la capitale degli Stati Uniti, davanti a 200mila partecipanti. King Jr. divenne allora il simbolo della lotta per i diritti civili negli Stati Uniti e un’icona della storia antirazzista del Novecento. Cosa accadde quel giorno? E perché fu così importante?
Il reverendo che aveva un sogno. Nato nel 1929 ad Atlanta, in Georgia, Martin Luther King Jr. era un reverendo battista e un uomo impegnato. Divenne noto a livello nazionale, nel 1955, per essersi distinto in una particolare forma di protesta: il boicottaggio dei bus di Montgomery, in Alabama, a seguito della disobbedienza e dall’arresto di Rosa Parks, la donna afroamericana che si era rifiutata di cedere il suo posto su un autobus a una persona bianca. L’azione collettiva durò più di un anno e, quando la Corte Suprema dichiarò incostituzionale la segregazione razziale sui mezzi pubblici, si concluse con una vittoria per i manifestanti.
Da lì emerse con forza il movimento per i diritti civili in favore della comunità afroamericana, animato da vari gruppi, e King Jr. ne divenne subito una figura di riferimento. Negli Anni ’50 fondò una nuova e dinamica associazione che doveva coordinare il movimento: il Congresso dei leader cristiani degli Stati del Sud (Southern Christian Leadership Conference). King Jr. guidò sit-in pacifici e manifestazioni di massa per porre fine alla discriminazione razziale nei luoghi pubblici (ristoranti, negozi, scuole), si distinse per le doti oratorie e le abilità organizzative, ma dovette subire ritorsioni, offese, minacce, denunce, finendo anche in carcere.
La Marcia su Washington. Non fu semplice scontrarsi con un potere così regressivo e monolitico, spesso fondato sul razzismo e sostenuto da milioni di americani e americane convinti dell’inevitabilità della disuguaglianza razziale e, in particolare, dell’inferiorità degli afromericani di fronte ai bianchi, considerati unici detentori della piena cittadinanza. A tutto ciò King rispose con un messaggio politico di pace e uguaglianza, credendo fermamente che la Storia si stesse muovendo sulle ali della libertà e che l’ora del cambiamento, dopo anni di soprusi e vessazioni, fosse finalmente scoccata.
Il 28 agosto 1963 fu dunque una tappa essenziale di un per corso lungo e articolato per chiedere la fine della segregazione razziale e della subordinazione economica degli afroamericani, e quindi l’inizio di una nuova convivenza tra bianchi e neri. La Marcia su Washington per il lavoro e la libertà (“March on Washington for Jobs and Freedom”), fu organizzata da diverse associazioni sindacali, attirò l’attenzione della stampa e raccolse persone da tutti gli Stati Uniti, che raggiunsero la capitale con ogni mezzo possibile.
Eguaglianza e giustizia sociale. La battaglia ingaggiata contro l’odio, la disuguaglianza sistemica e l’inerzia conservatrice fu quindi affrontata in una dimensione collettiva, attraverso il principio della nonviolenza e con una partecipazione democratica. Fu un giorno di orgoglio e di protesta, in cui presero la parola molte voci autorevoli in grado di rappresentare segmenti diversi della frastagliata società americana e delle sue componenti più discriminate.
Quando fu il suo turno, King Jr. mise tutto se stesso per farsi ascoltare ed essere incisivo. Cominciò seguendo la traccia di un testo preparato precedentemente, almeno nei primi passaggi, ma poi non esitò a uscire dagli schemi con grande maestria. Utilizzò un ricco repertorio retorico con rimandi biblici e riferimenti storici, trasmise la sincerità e l’urgenza di cui erano intrise le sue argomentazioni e riuscì a toccare nel profondo cittadini e cittadine che sentivano di vivere una fase di trapasso e di inevitabile evoluzione, nel segno di una maggiore eguaglianza e di una migliore giustizia sociale. Tutti allora parvero condividere il sogno e vocato da King Jr. (“I have a dream”): vivere in un Paese finalmente libero dalla segregazione razziale.
Arnaldo Testi, già docente di storia degli Stati Uniti presso l’Università di Pisa e autore di saggi come Il secolo degli Stati Uniti e I fastidi della storia. Quale America raccontano i monumenti(entrambi editi da Il Mulino), spiega: «Il discorso di Martin Luther King Jr. fu l’ultimo e il più ispirato ma non il più emblematico del significato di quella lunga giornata. Veniva dopo altri discorsi di denuncia e di rivendicazione, e anche il suo, con il testo che aveva preparato, parlava di eguaglianza e giustizia economica, tema che gli era familiare, e che sarebbe diventato centrale negli ultimi tempi della sua vita. Ma King Jr. abbandonò il testo scritto, e prese il volo con la celebrazione delle durezze e delle speranze del Civil Rights Movement e con la visione di un futuro di integrazione razziale.
I have a dream. La sua eredità. King Jr. dimostrò di padroneggiare al meglio le doti necessarie per esercitare in modo convincente lasua leadership: passione, carisma, lungimiranza. E ottenne un grande successo anche perché, così come tutta la marcia su Washington, le sue parole vennero trasmesse in diretta dalla rete televisiva Cbs e poi, grazie ai nuovi satelliti Telstar, al mondo intero, o almeno a quello transatlantico. Così, nel dibattito pubblico il discorso I have a dream ottenne una visibilità assoluta. Da un lato fu usato per rinsaldare l’unità del movimento per i diritti civili, non sempre compatto e ben organizzato. Dall’altro – in un tempo in cui il radicalismo politico si andava diffondendo tra gli afroamericani – giornalisti, opinionisti e politici progressisti bianchi elogiarono l’approccio conciliante e dialogante di King Jr., facendone un interlocutore privilegiato.
Il 28 agosto 1963 fu uno dei momenti più alti della carriera di attivista del reverendo nato ad Atlanta. La profondità dei temi sollevati e l’eco suscitata in tutto il Paese, anche grazie alla copertura dei mezzi di comunicazione, ebbero un ruolo di spinta e propulsione per la questione dei diritti civili, alimentando la determinazione di milioni di persone. Si giunse così, con la firma del presidente democratico Lyndon B. Johnson (succeduto a John F. Kennedy, assassinato in quello stesso 1963) all’approvazione nel 1964 del Civil Rights Act, che proibiva la discriminazione razziale sul lavoro, nell’istruzione, nella ricerca di un alloggio e in altri ambiti. In quel 1964 King Jr. fu insignito del Nobel per la pace. E nel 1965, finalmente, fu approvato il Voting Rights Act, che garantiva il diritto di voto agli afroamericani.
Martire. La lotta per una piena emancipazione, però, non era ancora vinta. Le tensioni continuarono e la polarizzazione si accentuò. L’America si rivelò profondamente divisa e l’odio razzista colpì lo stesso King Jr., assassinato con un colpo di fucile in un motel di Memphis, nel 1968. Di lui rimase un ricordo indelebile: non solo per le qualità morali, ma anche per i metodi utilizzati nel confronto politico. Continua Testi: «King Jr era un sognatore dalla vista e dall’immaginazione lunga, ma anche un sognatore militante di cose concrete.
Evocava obiettivi storici, cambiare le condizioni civili, politiche ed economiche dell’America nera, quindi cambiare l’America. Ma era anche un dirigente pragmatico che chiudeva accordi, faceva compromessi, apprezzava le conquiste parziali: non che bastino, ma sono qualcosa che prima non c’era.
Era infine un militante che usava mezzi militanti per ottenere le mete vicine e avvicinarsi alla meta lontana: l’azione in prima linea, nonviolenta ma provocatrice di violenza altrui, guardando il potere negli occhi, mettendo in gioco il suo corpo, rischiando la vita». Per questo, ancora oggi, il potente I have a dream scandito dal reverendo King smuove le coscienze a latitudini e in generazioni diversissime.
Per chi vuole approfondire ulteriormente la storia legata alle battaglie per i diritti civili degli afroamericani può recarsi al Center for Civil & Human Rights (100 Ivan Allen Jr. Blvd). Si trova in tutt’altra zona della città rispetto ai luoghi sopra descritti, il museo sorge infatti fra il Wolrd of Coca Cola e il Georgia Aquarium. Il biglietto di ingresso costa circa 20$ e vi permetterà di entrare, più che all’interno di un museo, in una vera e propria macchina del tempo che attraverso testimonianze, documenti e simulazioni interattive vi farà sperimentare cosa volesse dire essere un afroamericano negli Stati del Sud Americani durante gli anni ’60.
La mostra principale si trova al secondo piano del museo ed è intitolata Rolls Down Like Water: The American Civil Rights Movement. Qui il momento sicuramente più coinvolgente è la simulazione di un cosiddetto “Lunch Counter”, ovvero un piccolo ristorante simile a un diner che tutti conosciamo, in cui vi metterete a sedere, indosserete le cuffie e potrete sentire in prima persona come veniva apostrofato un afroamericano del tempo se avesse osato sedersi in un locale per bianchi.
In alcuni momenti la sedia inizierà anche a vibrare simulando l’azione di una persona che vi ha tirato un calcio. Tutto questo per rendervi partecipi del coraggio che avevano coloro che partecipavano a questi sit-in di protesta all’interno di locali che non permettevano alla gente di colore di accedere.
Via col vento
Era il 30 giugno 1936 quando Via col vento uscì negli Stati Uniti: la New York Times Book Review gli dedicò tutta la prima pagina; il New Yorker lo consacrò come «capolavoro d’evasione»; il New York Sun arrivò a paragonare l’autrice Margaret Mitchell a Tolstoj, Dickens e Thomas Hardy. In due settimane il romanzo svettò in cima alle classifiche, divenne il regalo per eccellenza (nell’imbarcarsi per l’Europa, una signora ne ricevette nove copie) e finì per monopolizzare qualsiasi conversazione: chi non lo aveva letto era out, non coglieva le battute, veniva snobbato. Chi non poteva permetterselo lo acquistava a metà con altri. E a un mese dall’uscita, erano già state stampate 200 mila copie; ceduti i diritti cinematografici; e gli editori di tutto il mondo si contendevano i diritti di traduzione.

Oggi che Via col vento ha compiuto 87 anni, il bilancio è di 38 milioni di copie vendute in 42 Paesi (tradotto in 38 lingue). Mentre il film vanta otto Oscar e il record assoluto di spettatori, con un incasso al botteghino di quasi un miliardo 800 milioni di euro. Ad allertare la casa editrice Macmillan a caccia di manoscritti fu una sua amica: ci volle parecchio a convincere Margaret a cedere quelle buste non numerate, colme di fogli corretti a mano. Ma bastò scorrerli per capire che erano oro. Alla firma del contratto, nel ‘35, seguirono dieci mesi di riscrittura, tagli, controllo meticoloso delle fonti storiche. Un inferno di lavoro giorno e notte. A forza di sforbiciare si arrivò a 1.037 pagine. Mentre l’editore incalzava e montava il bestseller: eccitando i giornalisti, scatenando la curiosità degli editori stranieri, alimentando le aspettative del pubblico senza svelare nulla. Ostacolo: l’esausta e ritrosa Margaret si rifiutò di partecipare al battage. Un peccato: era carina, brillante, spiritosa. Tant’è che centinaia di articoli uscirono su di lei (a libro inedito) senza un’intervista. Ma la scrittrice non si montò la testa. Neanche quando iniziò a muoversi l’imponente ingranaggio cinematografico. A partire dalla sceneggiatura, cui misero mano decine di scrittori, compreso Francis Scott Fitzgerald: non era facile sintetizzare efficacemente un migliaio di pagine.
Tra le modifiche, l’eliminazione della parola «negro» e di un episodio sul Ku Klux Klan, che avevano scatenato polemiche sui media afroamericani. Mentre la regia veniva inizialmente affidata a George Cukor, poi passata a Victor Fleming, quindi a Sam Wood, per tornare a Fleming. Il problema era il maniacale perfezionismo di Selznick, che pretese perfino che le sottogonne nascoste delle dame fossero di vero pizzo. Ma a magnetizzare il pubblico fu soprattutto il casting. Più di mille attrici e starlette furono vagliate per la parte di Rossella: Bette Davis, Katharine Hepburn, Joan Crawford, Lana Turner, ma anche ogni «Miss Non so che» d’America… La selezione diventò un’ossessione nazionale. Mentre nei panni di Rhett il pubblico chiedeva all’unanimità Clark Gable, che però non era affatto interessato alla parte: a convincerlo, un cachet astronomico di 160 mila dollari (più 50 mila di buonuscita alla moglie, da cui voleva divorziare per sposare Carole Lombard).
Di fatto, dopo due anni di preparativi, Selznick aveva già speso 400 mila dollari. Fu a riprese appena iniziate, nel gennaio del ‘39, mentre si girava la scena di Atlanta in fiamme con controfigure, che gli fu presentata Vivien Leigh, inglese giunta in America al seguito del suo ultimo amore, Laurence Olivier. Bastò un provino per evidenziare in lei una vitalità ineguagliabile: ambiziosa, determinata, manipolatrice, era la Rossella ideale. Seguirono ore di corsi di dizione perché acquisisse l’accento sudista; le si vietò di convivere con Olivier per non intaccare l’immagine della bellezza vergine. Finì per essere quasi sempre in scena per un compenso di appena 30 mila dollari.
La prima di Via col vento fu ad Atlanta il 15 dicembre 1939 – dichiarato festa nazionale – alla presenza delle star. Un milione di persone, perfino Rockefeller, Astor, Vanderbilt, arrivarono in città per i tre giorni ininterrotti di celebrazioni. Solo lì si ignorava che nel frattempo era scoppiata la Seconda guerra mondiale.
VIA COL VENTO IN SETTE TAPPE
Viaggio per fan irriducibili tra Atlanta e dintorni, dove il romanzo è stato ideato e ambientato. Il film fu invece girato negli studios di Hollywood: della leggendaria villa di Rossella O’Hara a Tara è sempre esistita solamente la facciata, dipinta su tela.
La casa di Margaret Mitchell. Peachtree street, via del Pesco, una delle principali strade di Atlanta: dal 1925 al 1932 qui visse l’autrice di Via col vento con il secondo marito, in un appartamentino di due stanze (tavolo da pranzo in camera da letto). E su una minuscola scrivania, fra trine e cuscini ricamati, scrisse gran parte del romanzo. In questa strada Mitchell fu investita a 48 anni da un tassista ubriaco: cinque giorni dopo morì. Oggi la sua casetta è stata riallestita, il resto dell’edificio è museo: con mille cimeli legati al film e le copertine delle prime edizioni del romanzo in tutto il mondo.
Sulla via di Tara. Si chiama così il museo di Jonesboro (con foto, copioni, abiti di scena, fra cui il famoso bustino in cui Mammy strizza il vitino da vespa di Rossella), perché nei dintorni di questa cittadina a Sud di Atlanta è ambientato il romanzo: qui abitavano le prozie di Mitchell che, raccontandole fatti e tresche della Guerra Civile, ispirarono Via col vento. Qui sopravvivono alcune ville delle antiche piantagioni.

La biblioteca pubblica. La macchina da scrivere usata per la stesura di Via col vento è in mostra al quinto piano della Fulton Library, con un facsimile del dattiloscritto corretto a mano e il Pulitzer vinto nel ‘37. Accanto, gli oltre 500 libri consultati per ricreare fatti e atmosfere della Guerra di Secessione e più di 400 foto di Margaret: perfino con una scimmia e un elefante.
Il museo di Via col vento. Nella città di Marietta, mezz’ora di macchina a Nord di Atlanta, c’è la straordinaria collezione di Chris Sullivan, medico di 62 anni che iniziò a raccogliere cimeli a 14. Un migliaio di pezzi originali, tra cui il contratto cinematografico di Vivien Leigh.
Il museo storico della città. Tutto sulla Guerra di Secessione, con oltre 1.400 reperti originali. E un parco con la ricostruzione di case d’epoca.

Il cimitero di Oakland. È sepolta qui Margaret Mitchell, accanto al marito John Marsh, in un sepolcro di pietra bianca protetto da cipressi. Intorno, quasi settemila tombe di soldati confederati e la zona che, ai tempi della schiavitù e della segregazione, era riservata ai neri.
Louisiana
Il nome Louisiana venne dato da René-Robert Cavelier, Sieur de La Salle, a tutto il territorio della valle del Mississippi, in onore al re di Francia Luigi XIV. Poi la denominazione è stata mantenuta per l’attuale stato.
Il motto dello stato è Union, Justice, Confidence (unione, giustizia, fiducia). Non è chiaro come sia stato deciso, ma certo è che al momento dell’adozione del sigillo statale, queste parole erano considerate i capisaldi dello stato.
La Louisiana è soprannominata Pelican State (stato del pellicano) perché questo uccello si trova sul suo sigillo, dato che rappresenta gli ideali dei suoi cittadini. La famosa leggenda vede il pellicano che, in assenza di cibo, nutre i piccoli con la propria stessa carne, trafiggendosi il petto col becco. Per questo in araldica il pellicano simboleggia pietà e carità verso il prossimo, ma anche il buon genitore o il buon governante nei confronti dei propri sudditi. Ecco perché molte città in Europa lo hanno storicamente nel proprio stemma, così come scelto poi dalla Louisiana.
La Louisiana fa parte, non solo geograficamente ma anche pienamente dal punto vista storicoculturale, degli Stati del Sud. Affaccia sul Golfo del Messico e la sua parte meridionale si sviluppa attorno al delta del fiume Mississippi, che segna anche il confine orientale nella metà più settentrionale dello stato.
Con un’estensione di 135.382 km2 è il 31° stato USA per superficie. Può essere suddivisa in cinque regioni geografiche. La principale è la pianura alluvionale del Mississippi, che si estende nella parte orientale dello stato e in buona parte del sud, attorno al delta del fiume. Nel sud-ovest troviamo invece le paludi, che si estendono nella fascia costiera dal delta al confine texano. La fascia a nord delle paludi è caratterizzata dalle terrazze del pleistocene: un’area più elevata creata dall’innalzamento ed abbassamento del livello del mare durante le ere glaciali, attraversata dai canali creati dal corso dei fiumi. La parte nord-occidentale dello stato è una vasta regione collinare, attraversata dalla valle del Red River, che taglia in due questa parte della Louisiana.
Il territorio della Louisiana è caratterizzato in maniera preponderante dal corso del fiume Mississippi e dal suo ampio delta. La pianura alluvionale generata dal fiume e dai suoi affluenti è molto vasta e variegata: passa da aree fertili alle zone paludose nel delta. Tutto lo stato è in prevalenza pianeggiante e la regione collinare nel nord-ovest non presenta rilievi notevoli, ma colline molto basse, che si presentano più come una serie di ondulazioni del terreno. La zona costiera vede vaste aree paludose fare da cornice al delta del Mississippi, dove un fittissimo arcipelago di isolotti e una serie di isole barriera dividono la costa dalle acque del Golfo del Messico. Le aree lagunari sono protagoniste del paesaggio della Louisiana: si pensi che oltre il 40% delle lagune degli Stati Uniti si trova in Louisiana.
Baton Rouge
Baton Rouge capitale dello stato della Louisiana. Baton Rouge si trova all’interno dello stato della Louisiana, sulle rive del fiume Mississippi, approssimativamente a 100 km della costa del Golfo del Messico. Il suo clima è subtropicale, con inverni ed estati miti ma con un elevato indice di precipitazioni. La temperatura media annuale è di 20 °C, con medie di 11 °C in gennaio e 28 °C in agosto.
È un importante centro di produzione di prodotti petrolchimici, punto di distribuzione di grandi quantità di soia, e canna da zucchero che vengono prodotte nei pressi della città.
Capitale della Louisiana dal 1849, la città è una popolare meta turistica. La popolazione è cresciuta drasticamente dopo l’uragano Katrina, quando molta gente, di New
Orleans, rimasta senza casa, si trasferì qui. A nord del centro città, si trova lo State Capitol di 34 piani, costruito nel 1932. E’ il campidoglio più alto del paese; dal belvedere al 27° piano si gode la vista di tutta la città.
l’Old Governor’s Mansion, realizzato nel 1930 sul modello della Casa Bianca. Oggi, in questa struttura sono in mostra ricordi dei precedenti governatori dello stato. A sud-ovest, il Louisiana Old State Capitol, neogotico, risale al 1849 e ospita mostre sulla storia di questo stato. All’esterno, ha una piazza affacciata sul fiume, dove si può visitare l’USS Kidd, un cacciatorpediniere della Seconda guerra mondiale. Più a sud, i visitatori possono respirare un po’ di vero clima prebellico alla Magnolia Mound Plantation, del 1791, una piantagione dì 6 ettari ancora funzionante, con una villa in stile creolo francese, meritano una visita anche altre grandi dimore situate nelle antiche piantagioni.
I musei più importanti della città sono: il Museo di Scienze ed Arte della Louisiana, situato in un’antica stazione ferroviaria, il Planetario, il Museo dei Pompieri; ed il Museo d’Arte Angloamericana. Degne di nota anche varie gallerie di arte, tra esse la Taylor Clark Gallery.
Storia – La città di Baton Rouge fu fondata dai francesi nel 1719, come avamposto militare nella provincia della Louisiana. Si crede che il suo nome derivi da un cipresso rosso che segnava i territori di caccia di due tribù che abitavano la zona quando l’occuparono i francesi alla fine del secolo XVII. Nella regione si stabilirono a partire dal trattato di Utrecht (1713) numerosi coloni Acadiani, provenienti dalla nuova Scozia, e passò in mani britanniche dopo questo trattato. Nel 1763 la città fu ceduta alla Gran Bretagna dopo la Guerra dei Sette Anni (1756-63), ma nel 1779 gli spagnoli l’occuparono durante la Guerra d’Indipendenza Americana. Nel 1800, Napoleone acquisì di nuovo la città come parte della Louisiana, provincia che fu poi definitivamente ceduta nel 1803 agli Stati Uniti. Dopo varie riorganizzazioni territoriali, Baton Rouge, divenne la capitale della Louisiana, quando nel 1849 lo stato aderì all’Unione. Durante la Guerra Civile, la città divenne un baluardo importante per il suo valore strategico. Le truppe federali presero la città nel 1862, dopo un feroce assedio. Dopo la guerra civile, la città acquisì grande importanza economica, grazie alla sua importanza come centro commerciale, qui veniava canalizata la produzione dei giacimenti di petrolio, gas naturale e sale della Louisiana. La grande crescita della città iniziò a partire dal 1909, quando la Standard Oil Company costruì un impianto petrolchimico a Baton Rouge che attrasse altre imprese del settore durante i decenni successivi.
New Orleans
La città di New Orleans è situata nello stato della Louisian e si affaccia sul delta del fiume Mississippi. La città dista circa 170 chilometri dal Golfo del Messico. La città si trova invece a sud con il grande lago Pontchartrain,

mentre a est si trova la città di Lafayette, altro importante centro della Louisiana, che dista circa 200 chilometri da New Orleans. A est del lago Pontchartrain, si trova un’altra ampia ansa che ospita il lago Borgne, che sfocia nel Golfo del Messico.

Senza dubbio non esiste un’altra città in America come New Orleans, soprattutto se si vogliono combinare, nello stesso viaggio, storia, cultura, ottimo cibo, architettura, musica e divertimento. La città, nonostante le varie vicissitudini cui è stata sottoposta (come, per citarne una, l’Uragano Katrina), è sempre riuscita a risorgere dalle sue ceneri.
Ci sono molti luoghi che la rendono famosa e riconoscibile ovunque: dal Quartiere Francese, con la sua eleganza senza tempo, ai numerosi musei, dai locali notturni (Bourbon Street vi dice qualcosa?) ai jazz club, ai tantissimi eventi e festival che animano la città durante tutto l’anno, come per esempio il Jazz & Heritage Festival
La città di New Orleans nacque ufficialmente nel 1718, come colonia fondata dai francesi in onore del duca di Orleans. Prima della conquista francese la zona era abitata da una tribù di nativi americani. Solo 60 anni dopo la fondazione di Nouvelle Orleans, i francesi cedettero la città agli spagnoli, che mantennero il controllo per 40 anni, fino alla nuova conquista francese che durò soltanto un paio di anni, fin quando New Orleans venne venduta agli Stati Uniti d’America. La città fu tra le prime ad avere un’alta percentuale di afroamericani che godevano del libero status, quindi non schiavi. Inoltre a New Orleans vennero combattute le guerre più decisive contro le flotte britanniche, che bramavano il controllo della città, tra le più prosperose del continente per via dei tanti canali di comunicazione naturali. Le cose cambiarono con l’occupazione delle truppe dei nordisti nel 1861: venne abolita la lingua francese, tornò la schiavitù e l’economia e il benessere conquistati diminuirono molto. Il Novecento non fu un secolo brillante: molte altre città del sud superarono New Orleans in grandezza e in benessere. Nell’agosto 2005 la città fu la più duramente colpita dalla furia dell’uragano Kathrina, che distrusse gli argini dei fiumi facendo inondare l’80% dell’area della città.
L’economia della città di New Orleans ruota attorno alle attività di trasporto marittimo e commerciale offerte dalle acque del porto e del fiume principale. Un settore molto sviluppato è quello della raffinazione di petrolio e derivati e delle attività legate all’estrazione del gas naturale.
Il settore turistico è tra i più sviluppati degli Stati Uniti: il carnevale, mardi gras, il quartiere francese e la dimensione multiculturale creola contribuiscono da sempre a fare di New Orleans la città più europea e multi etnica d’America. La medaglia di bronzo la conquista l’industria manifatturiera che si è sviluppata molto anche grazie al turismo.
New Orleans è ricca di eventi conosciuti a livello mondiale; il principale è senza dubbio il Mardi Gras, cioè il Carnevale. Le celebrazioni coinvolgono tutta la città, che si riempie di carri allegorici, maschere e manifestazioni musicali di jazz, il genere musicale nato proprio in questa città. Un altro evento molto conosciuto riguarda la comunità LGBT, il Southern Decadence, una parata in maschera che si tiene nel quartiere francese durante il weekend della festa nazionale del Labor Day. Un festival di musica imperdibile sopratutto per i musicisti o gli amanti del genere è il New Orleans Jazz & Heritage. Il festival consiste in una carrellata di concerti di generi e musica nata in questa città, e che quindi abbraccia tutti i sottogeneri del jazz: dall’ r’n’b, al blues, all’afro, al rap, al folk e così via. Il festival si tiene l’ultimo weekend di aprile e il primo fine settimana di maggio. Durante questa festa vengono proposti i piatti tipici di New Orleans in tutti i ristoranti della città.
La cucina di New Orleans è tra le migliori che si possono assaggiare negli Stati Uniti. La sua tradizione africana, unita a quella francese e agli ingredienti peculiari del sud, fanno di questa cucina la regina della tradizione creola. Crostacei di tutti i tipi sono tra gli ingredienti principali della tradizione: un panino tradizionale della città è il Po’ Boy, farcito con roast beef, frutti di mare fritti, e polpa di granchio e ostriche. Un altro piatto famoso è il Jambalaya, un must da provare, che consiste in un piatto unico di carne e vegetali cotti accompagnati con il riso e delle salse speciali. Il Jambalaya è cucinato in molte varianti e a New Orleans capiterà di non mangiarne mai uno uguale all’altro. Un dolce proveniente dalla cucina francese è il Beignet, una pasta fritta di forma quadrata condita con zucchero e altri aromi dolci. Le migliori della città vengono servite al Cafè du Monde, e accompagnate tipicamente con del Cafè au Lait.

Tra i personaggi famosi nati a New Orleans sono davvero tanti gli artisti, i musicisti e gli scrittori noti a livello mondiale per la loro genialità. Tra gli scrittori troviamo Anne Rice, autrice di Intervista con il Vampiro da cui è stato tratto il famoso film, Truman Capote, giornalista e scrittore autore di Colazione da Tiffany, Edgar Degas, famoso pittore esponente dell’impressionismo; sempre nel campo della letteratura troviamo il premio Nobel William Faulkner, mentre tra i tantissimi musicisti di rilevanza mondiale spicca Louis Armstrong.
New Orleans conserva ancora oggi la sua dimensione multi culturale, i suoi sapori dai mille volti e i suoi quartieri caratteristici che tanto hanno conservato della vecchia Europa. New Orleans oggi si presenta come una città frizzante ricca di eventi e feste, ma ancora detentrice americana della cultura europea, una città che si è sempre distinta nel campo delle arti e delle libertà civili. Questo è il luogo delle avventure di Tom Sawyer e Huckleberry Finn, dove ancora si possono ammirare i battelli a vapore solcare le acque del Mississippi.
Il Quartiere Francese
I francesi arrivarono sulle coste della Louisiana nel XVII secolo e costruirono i primi edifici di New Orleans in quello che oggi è il Quartiere Francese (French Quarter – Vieux Carré), situato sulle rive del fiume Mississippi e incorniciato da Canal Street, Decatur Street, Esplanade Avenue e Rampart Street.

L’elenco che segue raccoglie le sue principali attrazioni:
• Cattedrale di St. Louis, la più antica cattedrale degli Stati Uniti. È caratterizzata da un particolare stile architettonico neorinascimentale. Se visitate New Orleans a dicembre potete assistere a un concerto di Natale al suo interno.

• Voodoo Historical Museum, una destinazione originale che vi farà scoprire la storia di questa pratica religiosa. Trovate tutte le informazioni necessarie sul sito ufficiale.

• Mercato francese, un mercato coperto dove si può trovare di tutto, dal cibo delizioso all’artigianato. Si trova sulle rive del Mississippi (1008 N. Peters Street).
• Cogliete l’occasione per assaggiare la King Cake, una torta colorata ripiena di noci, cannella e zucchero. Alcuni dicono che la migliore viene preparata da Cannata’s.
• Bourbon Street, una strada storica fiancheggiata da bar e club.
Visita del Garden District e del Cimitero di Lafayette

Questo è uno dei quartieri più famosi e più belli di New Orleans. È residenziale e i suoi maestosi palazzi lo rendono degno di una visita. Nell’arco di due ore potrete conoscere gli eventi che hanno avuto luogo in queste antiche dimore, come la Buckner Mansion, che sicuramente riconoscerete da American Horror Story, e le attuali case di varie celebrità della zona.
Potrete apprezzare gli stili architettonici americani e godere del paesaggio del quartiere. Inoltre merita una visita anche il Cimitero di Lafayette e vi permetterà di conoscere la sua storia, le tombe tradizionali e le procedure funerarie.
La “culla” del jazz: New Orleans
Fin dal 1800 New Orleans, città statunitense della Louisiana, traboccava di suoni: l’opera italiana e francese regnava nei teatri; il pianismo da salotto aveva schiere di cultori e di editori; bande e fanfare animavano le vie, i parchi, le feste sul lago. Si cantavano canzoni francesi, inglesi, tedesche, irlandesi. Gli schiavi portavano canti, danze e riti vudù dall’Africa; né mancavano le danze messicane e pellerossa. In città vigeva un rigido sistema di caste razziali: bianchi, “creoli di colore” (mulatti), neri liberi, schiavi. Ma la segregazione non era rigida: gli schiavi cantavano arie d’opera e i loro padroni portavano amuleti africani. Delle prime fasi di ibridazione si sa poco: il tamburino nero Jordan Noble (1796?-1890) dava la carica all’esercito; il venditore ambulante detto Mr. Cornmeal (morto nel 1842) finì a cantare nei teatri lirici; il banjoista nero John “Picayune” Butler (morto nel 1864) raggiunse fama nazionale fornendo canzoni ai minstrel bianchi; schiavi suonavano nelle feste da ballo dei padroni. Vi erano band di soli neri o creoli, istruiti e ben pagati, e perfino una Negro Philharmonic Society.
Il compositore L.M. Gottschalk fu il geniale cantore della New Orleans schiavista: la sua musica incorpora in un linguaggio romantico tutte queste suggestioni. Via via la musica da ballo divenne più “nera”, subendo influssi sia interni (minstrel show; cake-walk; ragtime), sia dai Caraibi (habanera).
Dopo il 1890 il sistema di caste crollò: i creoli di colore, borghesi e colti, furono ricacciati nel ghetto insieme a neri poveri e neri borghesi. Ne scaturì una fusione finale tra musica urbana scritta (bande, pianisti) e musica contadina orale (blues): era nato il jazz, in origine una sorta di ragtime per banda con abbellimenti improvvisati.
Lo stile New Orleans
Non era chiamato così, né ha un’esatta data di nascita: ma è certo che quello stile di far musica chiamato “jazz” fu una particolarità di New Orleans, soprattutto di Storyville, la zona della città a luci rosse.
Lo stile New Orleans ha caratteri rigorosi, con un repertorio fatto di marce, rag, canzoni e spiritual e si concretizza in una strumentalizzazione del blues, e in misura minore del ragtime, compiuta da orchestre nere formate generalmente da una cornetta (o da una tromba), un trombone, un clarinetto, un pianoforte, talvolta un banjo, un basso tuba e un rozzo strumento a percussione, che acquista però rapidamente la fisionomia dell’attuale batteria. Le singole opere si articolano su un rigoroso contrappunto mandato a memoria dagli escutori, nel quale la tromba svolge un ruolo conduttore, il clarinetto ha funzione di controcanto e il trombone si limita a fungere da staffa. Gli altri strumenti compongono la sezione ritmica, adottando un tempo binario chiaramente scandito e battuto. Le sortite solistiche sono rare e prudenti, ma tendono col tempo a diventare più frequenti. Il jazz di New Orleans si può considerare esaurito attorno al 1920, subito dopo l’esodo dei neri verso le grandi città industriali del nord degli Stati Uniti.
La storia del Jazz
inizia nei primi anni del Novecento, ma le origini di questa musica devono essere cercate un po’ prima, nei canti degli schiavi afroamericani. Come è noto, la tratta degli schiavi fu un fenomeno iniziato già nel Cinquecento: moltissime navi europee salpavano dalle coste dell’Africa cariche di uomini che venivano venduti ai grandi proprietari terrieri del sud degli Stati Uniti. Le loro condizioni erano pessime, costretti a lavorare nei campi di cotone e strappati alla loro terra in un Paese sconosciuto.
È in questo contesto che nascono i work songs (canti di lavoro). Si trattava di canti eseguiti durante il lavoro nei campi per alleviare la fatica; solitamente avevano una forma responsoriale, in cui un solista intonava una melodia che veniva poi ripresa in coro da tutti gli altri.
Accanto a questi canti si collocano anche il gospel e gli spirituals, canti legati alla sfera religiosa. Infatti, gli schiavi convertitisi al cristianesimo usavano cantare questi brani durante le funzioni religiose. La religione cristiana fece breccia nella loro comunità: essi apprezzavano in particolare il messaggio di redenzione e di speranza in una vita migliore. È proprio qui, in queste forme semplici ed essenziali che dobbiamo ricercare le origini del Jazz.
Il blues e il regtime
Strettamente collegato agli ex schiavi è anche il blues, la cui storia si intreccia indissolubilmente con il Jazz. Con la fine della guerra civile americana (1861-1865) e l’abolizione della schiavitù, i neri che prima venivano sfruttati nei campi di lavoro furono costretti a girovagare per i villaggi del Sud in cerca di occupazione. Essi raccontavano questa nuova condizione di vagabondaggio attraverso canti che prendono il nome di blues, spesso accompagnati con la chitarra. Questo genere, strettamente collegato ai work songs, è caratterizzato dalle cosiddette “blue notes”, una sorta di “stonature” che danno a questa musica un carattere più triste. Infatti, in questi canti gli ex schiavi narravano condizioni di disagio e miseria legati all’emarginazione a cui i neri erano sottoposti.
In questo periodo, tra la fine dell’800 e l’inizio del ’900 si sviluppò il ragtime (“tempo strapazzato”), genere destinato principalmente al pianoforte e caratterizzato da un ritmo sincopato e da una varietà di temi musicali differenti. Il ritmo incalzante fece del ragtime una popolarissima musica da ballo diffusa soprattutto nei quartieri a luci rosse. Uno degli interpreti di maggior successo fu Scott Joplin (1868-1917).
New Orleans e le brass band
Nonostante i problemi e le discriminazioni che gli afroamericani dovevano subire, liberi dalla schiavitù poterono almeno spostarsi e incontrarsi tra loro. Con la fine della guerra civile (1865), molti strumenti musicali utilizzati dalle bande militari furono rivenduti a costi molto bassi. È così che gli ex schiavi (che in una prima fase non avevano a disposizione strumenti musicali) iniziano a utilizzarli, riproducendo a orecchio quelle melodie blues che prima venivano solo cantate. La musica che ne veniva fuori era rauca, spezzata, distorta. Nessuno di questi musicisti aveva ricevuto un’educazione musicale, ma furono proprio queste “sporcature”, queste imprecisioni il marchio di fabbrica del Jazz. Infatti, una delle caratteristiche tipiche di questo nuovo genere sarà proprio l’improvvisazione.
La città che è passata alla storia come patria del Jazz è New Orleans, capitale della Louisiana. La sua specificità di grande centro portuale l’ha resa una città multietnica e ricca di stimoli. È qui che nei primi anni del ’900 si formarono le brass band (bande di ottoni) che sfilavano per le vie della città in occasione di varie ricorrenze (come funerali o matrimoni). Spesso gli stessi musicisti che di giorno suonavano in questi gruppi, di notte si ritrovavano nei locali notturni. Gran parte di questi locali era concentrata nel quartiere di Storyville. Da qui il Jazz ottenne pian piano un successo crescente che portò i musicisti a esibirsi in numerosi locali della città.
Il Jazz oltrepassa i confini
Nel 1917, durante la Prima guerra mondiale, molti locali vennero chiusi per ragioni di ordine pubblico. Il quartiere di Storyville venne sgomberato dalle forze dell’ordine per mettere fine ai continui episodi di violenza e malcostume che spesso si verificavano. Quindi i musicisti furono costretti a spostarsi nelle città del Nord, in particolare a New York e Chicago. I piccoli gruppi di soli ottoni si arricchirono di nuovi strumenti a fiato, della batteria, del contrabbasso e del pianoforte.
Attratte dalla nuova musica, le case discografiche iniziarono a registrare i primi brani: il successo del Jazz iniziò a decollare. Proprio in questo contesto nasce uno dei primi e più importanti jazzisti della storia noto a livello mondiale: Louis Armstrong (1901-1971). Trombettista e cantante, Armstrong divenne famoso soprattutto per un particolare modo di cantare detto “scat”, che consisteva nell’intonare sillabe senza significato, usando la voce come se fosse uno strumento musicale.
Louis Armstrong
Nei primi anni della sua vita non sembrava certo che Louis Daniel Armstrong fosse nato sotto una buona stella.
Messo al mondo da una domestica e da un tizio che abbandonò entrambi quando lui era piccolissimo, la prima luce che vide fu quella rossa dei bordelli del quartiere di Storyville a New Orleans, dove crebbe in fretta, nella miseria più nera.
A proposito della sua nascita c’è un retroscena che resta ancora un piccolo giallo: Armstrong dichiarò sempre di essere nato il 4 luglio del 1900, ma, in realtà, studi recenti, sovvenzionati dalla stessa New Orleans, hanno dimostrato che la sua vera data di nascita era il 4 agosto del 1901 e che probabilmente aveva voluto “invecchiarsi” di un anno e un mese, per risolvere delle questioni legate ai suoi esordi giovanili a Chicago e New York, dove non voleva sembrare più giovane di quello che era.
Il giorno di san Silvestro del 1912, o forse era il 1913, varcò le porte del riformatorio perché trovato con un revolver in mano, con cui alcuni dicono stesse festeggiando a modo suo il Capodanno, ma c’è chi dice che avesse preso parte ad uno scontro tra gang rivali. Fatto sta che in riformatorio ci passò un anno e mezzo, ma fece qui l’incontro che gli cambiò la vita. Una guardia gli regalò una vecchia cornetta ammaccata e da lì iniziò ad essere chiamato Dippermouth (bocca a mestolo). Entrò nella banda dell’istituto, la Waim’s Home band dove il suo maestro Peter Davis gli insegnò i rudimenti di questa sorta di “succedaneo” della tromba. La banda dell’istituto era molto amata dalla gente di New Orleans. Girò le strade suonando pezzi in voga all’epoca come “When He Saints Go Marchin’in” che, parecchi anni dopo, diventerà uno dei cavalli di battaglia di Louis.
All’uscita dal riformatorio Louis iniziò a suonare nelle sfilate dei giorni di festa e ai funerali: nella sua biografia lui stesso racconta l’emozione di vedere puttane e biscazzieri affacciarsi per vedere passare i suonatori. Solo nel 1918, incentivato dal lavoro sui “riverboats” (i battelli che navigavano sul Mississippi), Armstrong imparò a leggere le partiture, diventando un musicista completo.
Un’ usanza delle orchestre di New Orleans era di esibirsi per le strade a bordo di camion, incrociarsi e iniziare sfide all’ultima nota.
Un giorno Armstrong incrociò per strada il camion di Kid Ory, allora uno dei trombettisti più famosi, il quale, vedendolo con una tromba tra le mani gli chiese a chi la stesse portando. “A nessuno. è mia”, rispose Louis. Loro non gli credettero, lui cominciò a suonare e fu imbarcato sul camion. La sua fama cominciò a crescere. Nell’agosto del 1922 King Oliver, un altro famoso musicista residente a Chicago, gli inviò un telegramma chiedendogli di unirsi alla sua Creole Jazz Band, nella quale Louis ebbe la possibilità di far spiccare l’estremo virtuosismo che ormai aveva acquistato con il suo strumento; è infatti opinione comune di appassionati e storici affermare che Louis avesse inventiva, fantasia ritmica e melodica, unite ad un impressionante volume sonoro e ad un inconfondibile timbro.
Nel 1923 fece le sue prime registrazioni come membro della King Oliver’s Creole Jazz Band.
Il 1924 fu un anno importante per Armstrong: diventò “Satchmo”(bocca a sacco), lasciò l’orchestra di Oliver e si trasferì a New York per entrare nella Fletcher Henderson Orchestra una delle migliori in circolazione, fatta dai più virtuosi solisti in circolazione.
In questo periodo registra con grandi protagoniste del blues come Sippie Wallace e Bessie Smith.
Nel 1925 decise di tornare a Chicago e intraprendere la carriera da solista. Fondò il gruppo di cui era il leader, Louis Armstrong and His Hot Five, che trasformano il jazz in una delle più alte espressioni musicali. Seguirono poi incisioni considerate fondamentali nella storia del jazz come quella nel 1928 di “West End Blues” .
Tra il 1930 e il 1935 fece tournée in Europa, arrivò a trecento concerti all’anno e di cui tutti successi clamorosi. Fu conteso dalle migliori orchestre americane, suonò nei locali più famosi, collaborò con i grandi della scena internazionale come Jimmie Rodgers con cui registrò nel 1930 “Blue Yodel No.9”.
Partecipò a più di trenta film interpretando per lo più se stesso: il solista famoso.
Nel 1931 registrò “When It’s Sleepytime Down South”, che diventò il suo cavallo di battaglia e nel 1936 uscì “Swing That Music”, che lasciò il pubblico senza fiato.
Nel 1947 gli venne organizzato un concerto spettacolare alla Carnegie Hall: un trionfo.
Fondò il complesso dei “Louis Armstrong and the All Stars”, che debuttò a Hollywood e tenne concerti dall’Australia all’Europa e al Giappone, dove riceveva sempre accoglienze da re.
Partecipò nel 1948 al Jazz Festival di Nizza, il primo festival jazz internazionale.
Tra touneé mondiali, pubblicazioni di autobiografie e comparse in film e trasmissioni televisive, nel 1954 Louis registrò Satchmo: A Musical Autobiography e Louis Armstrong Plays W.C. Handy, seguiti nel 1955 da Satch Plays Fats.
Nel 1959 venne ospitato al Festival dei Due Mondi di Spoleto e fu un trionfo.
In questi anni fu accusato di essere un conformista, un negro alla zio Tom, incurante della causa dei suoi fratelli. Ma quando vide alla televisione gli scontri per l’integrazione razziale e un bianco che sputava in faccia a una studentessa negra, mandò all’inferno il governo americano e rifiutò un tour in Russia organizzato dal Dipartimento di Stato.
Nel 1964 “Hello Dolly” riscuote un successo enorme, salendo in cima alle classifiche.
Nel 1967 registra l’intramontabile “What a Wonderful World”, uno dei pezzi che più rappresentano il cuore e l’anima di Armstrong.
Ricco e famoso, continuò ad esibirsi e nel 1968 approdò come “concorrente” a Sanremo con “Mi va di cantare”, lo stesso anno di Disney Songs the Satchmo Way.
Nel 1970 a Los Angeles partecipò alla grande festa organizzata per il suo 70° compleanno (allora è nato nel 1900?).
Un anno dopo, il 6 luglio del 1971muore nella sua casa di New York. L’epitaffio migliore gli è stato dedicato dal poeta Evtusenko, che raccomandò all’arcangelo Gabriele di “…dare ad Armstrong una tromba, perché rallegri gli angeli e i peccatori all’inferno abbiano alleviate le loro pene”.
Bere a New Orleans
A New Orleans la passione per i cocktail risale al XIX secolo e non si può tornare a casa senza aver assaggiato gli intrugli locali. Qui sono nate molte creazioni famose in tutto il mondo:

• Ramos Gin Fizz, “The one and only one”. Per prepararlo, il barman deve combinare un gran numero di ingredienti: succo di limone e lime, panna, gin, sciroppo, albume d’uovo, acqua di fiori d’arancio e acqua gassata. Potete provarlo al Sazerac Bar (130 Roosevelt Way).
• Pimm’s Cup, una bevanda rinfrescante a base di gin, limonata fresca, 7 up e una fetta di cetriolo. Ordinatene una alla Napoleon House, soprattutto se visitate New Orleans in estate (500 Chartres Street).
• Brandy Milk Punch, la cura per i postumi della sbornia (o almeno così si diceva nel XVIII secolo). Gli ingredienti sono latte o panna, brandy, sciroppo e un pizzico di vaniglia e noce moscata.
• Hurrycane, un cocktail inventato negli anni ’40 da Pat O’Brien. È composto da rum chiaro e scuro, frutto della passione, succo d’arancia e di limone, sciroppo e granatina. Ogni bicchiere è guarnito con una fetta d’arancia e una ciliegia. Come la Pimm’s Cup, ha una bassa gradazione alcolica e si beve solitamente nei mesi più caldi.
Mangiare a New Orleans
Secondo il famoso U.S. News & World Report, New Orleans è la seconda migliore città degli Stati Uniti per quanto riguarda il cibo, dopo San Francisco. Se non conoscete le specialità, di seguito troverete le più famose:
• Gumbo, un piatto a base di verdure, pollo, salsiccia e gamberi servito su un letto di riso e condito con roux scuro, una salsa a base di burro, farina e demi-glace. Potete assaggiare uno dei migliori da Gabrielle, un ristorante nel quartiere di Treme (2441 Orleans Ave). Etouffee, un classico della Louisiana. Un piatto a base di granchio o gamberi cotti a fuoco lento in una salsa roux leggera o bionda, servita sopra il riso.
• Beignets, frittelle di pasta fritta generosamente cosparse di zucchero a velo. La catena Cafe du Monde è il posto giusto per provarli.
• Jambalaya, il comfort food più gustoso di New Orleans. È uno stufato creolo/cajun piccante a base di pollo, salsiccia andouille, gamberi, peperoni saltati e riso.
Ingredienti
• 250 gRiso Superfino Arborio (meglio sarebbe un riso a chicco lungo)
• 400 g Gamberi
• 400g passata di pomodoro (o 2 cucchiai di concentrato)
• 2 salsicce
• 1Peperoni rosso
• 1 Cipolla
• 1 lAcqua (o brodo)
• 1 spicchio aglio
• q.b.Olio extravergine d’oliva • 2 foglieAlloro
• 1 cucchiainoOrigano (secco)
• 1 cucchiainoTimo
• 1 cucchiainoPaprika dolce
• 1 mazzetto Prezzemolo
• 1 cucchiaio Salsa Worcestershire
• 1Cipollotto fresco
• q.b.Sale
• q.b.Pepe nero
Preparazione
Mondate la cipolla e l’aglio tritate tutto finemente. Quindi ponete il trito in un tegame capiente con dell’olio. Fate soffriggere e unite la salsiccia tagliata a rondelle, le spezie e le erbe aromatiche. Lasciate rosolare a fuoco vivace per qualche minuto quindi unite il peperone pulito e tagliato a cubetti e la salsa worchestershire. Lasciate cuocere per qualche minuto e unite i pomodori pelati o in sostituzione due cucchiai di concentrato di pomodoro.
Aggiungete il riso, lasciatelo tostare e sfumate con il brodo o con l’acqua bollente salata.
Mescolate, coprite e lasciate cuocere per almeno 18 minuti a fuoco moderato, aggiungendo altro liquido quando serve, proprio come per un normale risotto. Rigirate il tutto di tanto in tanto.
Quando il riso sarà quasi cotto aggiungete i gamberi (precedentemente puliti dal carapace e dall’intestino) e terminate la cottura.
Mi raccomando non fate asciugare troppo la jambalaya. Terminate il piatto decorandolo con la parte verde del cipollotto tritato e il prezzemolo.
Shopping a New Orleans
Città eclettica per natura, New Orleans propone uno shopping all’altezza della sua fama e delle aspettative. Qui si può acquistare davvero di tutto: dall’arte alle rarità, dagli abiti eccentrici ai dischi introvabili. E poi ancora souvenir, gioielli, oggetti legati al voodoo. Qui vi suggerisco delle location da non perdere.
• Il French Market è un paradiso a cielo aperto in cui trovare bancarelle di abiti e calzature, mercatino delle pulci, oggetti d’arte e gioielli artigianali. Cinque blocchi dedicati agli amanti dello shopping dove trovare, davvero, di tutto. E non finisce qui: si tratta infatti di una location storica, inaugurata per la prima volta nel 1791 dai nativi americani che qui praticavano il baratto. Imperdibile è la Dutch Alley, una piazza pedonale che si trova tra Dumaine e St. Phillip Street in cui rilassarsi, magari mangiando dello street food, e ammirare le statue storiche e l’atmosfera vibrante che la caratterizza.
• Canal Place, invece, è un centro commerciale che si trova al confine con il Quartiere Francese, a downtown, nel Central Business District. Sempre affollato, ospita boutique di alta moda, ma anche ristoranti, vinerie e negozi di designer emergenti. Vi avviso, però, che i prezzi qui lievitano parecchio.
• Se amate l’arte, segnatevi questo indirizzo: Avant Garden District. È una location enorme, che si sviluppa sia all’interno che all’esterno e che si trova all’angolo tra Tchoupitoulas e Sixth Street. Qui potrete trovare circa 90 espositori che propongono oggetti e opere di tutti i tipi, comprese realizzazioni artigianali e bancarelle di street food. L’Avant Garden District è aperto dal giovedì al sabato, dalle 12 alle 19.
• Euclid Records è un must-have per gli appassionati di musica e si trova nel quartiere di Bywater (9th Ward).Vinili di ogni genere, nuovi e usati, CD e persino cassette (ve le ricordate vero?). Nel negozio vengono anche organizzati piccoli concerti, eventi e incontri con musicisti emergenti e non.
• Infine, per i curiosi dell’arte del voodoo, uno store da segnare in agenda è l’Hous of HooDoo, in St. Charles Avenue, che vende tantissimi oggetti strani ed evocativi, ma anche candele propiziatorie, oli magici, amuleti portafortuna, bamboline voodoo, libri da consultare e fornisce persino una consulenza spirituale personalizzata.
Il voodoo a New Orleans
New Orleans è a oggi conosciuta come la città d’America più pregna di magia e mistero, in particolar modo di una pratica antica definita voodoo. Il motivo per cui la città più grande della Louisiana sia la più ricca e aperta a pratiche mistiche e ancestrali è da attribuire a una donna vissuta più di 150 anni fa: Marie Laveau. Figlia di un uomo mulatto e di una schiava liberata di colore, portava in sé il bene e il male di entrambe le sue origini, in particolar modo quelle ereditate dalle donne africane sue fedeli compagne.

1. Origine del voodoo
Voodoo, vudù, vodou: tutti modi per definire ciò che nel pensiero comune viene associato a quella pratica di magia nera in cui si usa un feticcio per far soffrire una persona o farle compiere azioni contro la sua volontà. In realtà la storia e le pratiche del voodoo sono assai diverse e hanno radici più profonde.
Il voodoo nasce come religione, il nome deriva dal termine africano vodu che significa “divinità” ma è solo nel Settecento che inizia a essere associato alla pratica di magia odierna. In Africa, infatti, le divinità venivano considerate “solari, paterne e fortemente benevole e in linea generali pacifiche”. Fu solo con l’inizio della tratta degli schiavi che i neri africani sentirono il bisogno di cambiare il loro culto, dando spazio a una parte più oscura, violenta e vendicativa. Secondo loro, infatti, la sofferenza causata dall’allontanamento forzato dalla loro terra avrebbe attirato degli Spiriti più pericolosi, desiderosi di avere la loro vendetta. Grazie a questo culto, migliaia di schiavi neri cominciarono a radunarsi, fuggendo e nascondendosi in mezzo alle montagne, lontano dalle piantagioni dei loro padroni.
Secondo il voodoo, ogni forma di energia e di materia dà vita all’universo: noi stessi ne siamo parte. Gli spiriti più antichi sono dei Loa, ovvero delle vere e proprie divinità volubili con pregi, difetti e tanti vizi. Una delle donne più famose esistite che è entrata a far parte della cerchia dei Loa è Marie Laveau, la regina di New Orleans.
Secondo gli adepti del voodoo, vivi e morti sono sempre fianco a fianco e possono entrare in contatto grazie a degli spiriti intermediari. Nonostante le credenze popolari, il voodoo ha come cardine il fatto che “si debbano sempre compiere buone azioni e che si sarà puniti per quelle cattive”.
I tre principi fondamentali del voodoo sono: i Veve, il sacrificio e la possessione. I Veve sono simboli usati per richiamare i Loa; il sacrificio è alla base di ogni pratica, prevalentemente di origine animale ma anche di oggetti inanimati di un certo valore (tabacco, farina, carne…). Il sacrificio viene usato per dare l’energia necessaria al Loa prescelto per manifestarsi nel mondo terreno. Infine, la possessione da parte del Loa avviene per mezzo del sacerdote che l’ha invocato nelle celebrazioni comunitarie.
In base alle esigenze e ai desideri, si deve chiedere aiuto a un Loa differente. I principali sono:
Baron Samedi (il signore della morte): è il traghettatore dei morti e viene spesso illustrato con un cappello a cilindro, un vestito nero e le sembianze da zombie. Il suo compito è quello di controllare il flebile divario che separa vivi e morti. Proprio per questo motivo è in grado di resuscitare qualcuno, ma a patto che gli venga offerto del tabacco o del buon rum;

Maman Brigitte (la regina del cimitero): è la moglie di Baron Samedi ed è una dei pochi Loa di carnagione chiara. Secondo la tradizione, la si trova a cantare e a ballare nei cimiteri, proteggendo solo le tombe ben contraddistinte da una croce;
Papa Legba (il custode dei due mondi): è il messaggero dell’oltretomba, colui che si occupa di proteggere i vivi e permettere la comunicazione con gli spiriti dell’aldilà. Di solito viene raffigurato come un vecchietto con un bastone e un cappello;
Met Kalfou (il signore dei crocicchi): raffigura la metà oscura di Papa Legba ed è il vero padrone della magia. Non è da considerare un personaggio negativo, bensì un completamento del Loa precedente.
“Se Legba è luce, Met Kalfou è tenebra, se Legba è pace, Met Kalfou è guerra. Se Legba rappresenta la croce a quattro braccia, che rappresenta i quattro cammini cardinali, Met Kalfou rappresenta una X, a rappresentare i quattro cammini mediali. È l’alternativa. Un’alternativa che però non contrasta con le leggi di Dio (Bon Dieu) ma ne fa parte e le completa”.
Erzulie (la signora dell’amore): è l’emblema della femminilità: “è dunque associata alla bellezza, alla fertilità, all’amore, al matrimonio, alla prosperità economica, ma anche alla gelosia, alla vendetta e alla discordia. A differenza degli altri Loa, a Erzulie non corrisponde nessuna forza elementale, poiché protegge i sogni, le speranze e le aspirazioni di ognuno e anche le abilità artistiche”. Ha tre mariti ma, nonostante tutto, conserva la sua verginità in quanto il suo è un amore che trascende la terra.
Diversamente da quanto si possa pensare, esistono diversi tipi di voodoo che si differenziano per alcuni principi o per alcune pratiche.
2. Tipi di voodoo
Quello più conosciuto è il voodoo haitiano, che ha origine da quello africano. Ha dei tratti molto comuni alla religione cristiana:
“La divinità suprema viene identificata con il Dio cristiano, così come molti spiriti Loa o Lwa, che furono umani dalla vita, virtù e capacità eccezionali […]. Come il cristianesimo crede in un mondo ultraterreno popolato dalle anime, ma anche da presenze demoniache[…]. La comunicazione con tale mondo e il divino avviene attraverso cerimonie con il rituale sacrificio di carne e sangue che nel cristianesimo è simboleggiato dall’Eucaristia”.

Il voodoo di Haiti ha ottenuto il riconoscimento di religione ufficiale solo nel 2003.
Il voodoo africano è quello originale dal quale sono partite le differenziazioni nel corso dei secoli ed è riconosciuto come religione di stato in Benin, ma anche Ghana e Togo hanno al loro interno un numero elevato di adepti. Dato l’alto tasso di cristianesimo in questi stati, è nato il modo di dire ““Cristiani durante il giorno e Voodoo di notte”. Significa semplicemente che anche chi pratica altre religioni torna sempre al Voodoo in un modo o nell’altro”. In Africa il voodoo corrisponde a ciò che è giusto, si usano erbe mediche e rituali per stare bene sulla Terra e soprattutto per chiedere aiuto agli dei caritatevoli. Il concetto legato alla magia nera è dovuto alla trasposizione cristiana americana, a causa del timore e del bisogno di schiacciare ed eliminare ogni forma di libertà di espressione e differenza africana.

Il voodoo della Louisiana è il connubio tra il voodoo di Haiti e il hoodoo, sistema magico diffuso nel sud degli Stati Uniti. Conferisce perciò importanza ai Loa come il voodoo haitiano ma allo stesso tempo predilige le arti magiche. Viene considerata una religione segreta, tanto che nel 1972 “the historian Blake Touchstone noted that Louisiana Voodoo was then largely being practised outside the public eye” (Touchstone, 1972: 371). Negli anni il voodoo originario del 19° secolo si è modificato, per questo motivo esistono diversi gruppi di credenti: uno afroamericano capeggiato da Miriam Chamani e situato nel quartiere francese di New Orleans che segue le tradizioni cubane,;un altro, invece, ha come guida Sallie Ann Glassman, un’americana di origini ebree che invece si rifà al voodoo haitiano.
La figura storica però che ha reso famoso il voodoo in Louisiana e che tuttora viene ricordata come “the queen” è Marie Laveau.
3. Il lascito di Marie Laveau
Marie Laveau nasce probabilmente il 10 settembre 1801 da una schiava liberata e un ricco uomo d’affari mulatto. Fin da ragazza si distingue dalle sue coetanee per via dei suoi capelli neri, la pelle bruna e lo sguardo penetrante. La passione per il voodoo la eredita dalla madre, la quale la iniziò alle pratiche fin da bambina.
A 18 anni sposa un afroamericano libero, originario di Haiti con il quale, si vocifera, praticasse riti voodoo nonostante la loro religione cristiana. Attorno al marito aleggia del mistero: i registri non documentarono mai la sua morte, eppure di punto in bianco scomparve. Questo avvenimento segna molto la giovane Marie, tanto che è da quel momento che inizia a praticare apertamente i suoi riti voodoo.
Nel corso della sua vita Marie apre una parrucchieria, grazie alla quale entra in contatto con le donne più ricche e influenti di New Orleans. Questo le permette di guadagnarsi fama per la sua bravura, ma soprattutto per i “servizi extra” che offriva nel retrobottega. “Bambole voodoo, pozioni e mojo gris-gris, un amuleto africano che proteggerebbe dal demonio e porterebbe fortuna. Tutti questi oggetti erano composti da erbe, spezie, zucchero di canna, pietre e altre reliquie sacre”.
Grazie alla nomea creata, Marie Laveau viene rispettata e temuta, sia dai bianchi che dai neri. Era ritenuta una leader, una confidente e una donna di cuore. Il tipo di voodoo da lei praticato è diverso rispetto a quello dei suoi antenati: combina elementi cristiani con la magia africana e questo le permette di avere accesso a un potere illimitato. Alcuni sostengono che le maledizioni lanciate da Marie fossero talmente potenti da interessare fino alla terza o quarta generazione di discendenti.
Sotto l’aspetto austero e determinato, Marie Laveau nasconde un cuore d’oro. È ben amata da tutti anche perchè è disposta ad aiutare qualsiasi persona abbia bisogno, anche un semplice mendicante o un condannato a morte. Nonostante questa propensione verso il prossimo, molte persone ritengono Marie una donna da eliminare. La leggenda narra che persino il suo secondo marito cercò di porre fine alla sua vita: “Marie sventò l’attentato perché era andata a casa di una donna aristocratica e al suo ritorno trovò la sua bottega completamente devastata e lanciò una terribile maledizione.
Durante la notte decine di persone affermarono di aver visto in strada un “branco di ombre mostruose” penetrare negli alloggi dove erano ospitate le guardie e la mattina seguente i 15 uomini furono trovati massacrati e con il collo spezzato; l’unica giustificazione che riuscirono a fornire le autorità della Louisiana fu che un orso fosse entrato nella stanza chiusa a chiave, al secondo piano e li avesse uccisi. Gli abitanti di New Orleans non ebbero dubbi: era opera della magia nera di Madame Laveau”.
Come regina del voodoo, Marie pratica la sua magia in spazi ben distinti. La sua casa è dove incontra i clienti, mentre nel giardino pratica i riti magici: Congo Square è il luogo all’aperto in cui trova i suoi seguaci, soprattutto schiavi o africani liberati; Lake Pontchartrain infine è il luogo in cui Laveau e i suoi adepti si riunivano per l’iniziazione al voodoo.
I riti che compie vengono frequentati sia da bianchi che da neri i quali portano liquori, cibo e monete come offerte per la preghiera collettiva. Dopo un inizio cristiano, il rito si conclude con canti e balli, in pieno stile africano.
Sebbene un’ampia parte della società bianca sia cliente della regina di New Orleans, il voodoo non verrà mai considerato una religione ufficiale, anzi le opere di comunità di Marie Laveau vengono raccontate dai giornali come delle vere e proprie orge occulte. “Negli anni ‘50 del XIX secolo iniziarono i raid di arresti contro i partecipanti alle cerimonie di Madame Laveau, mentre negli anni ‘60 si giunse ad arrestare moltissime persone nei riti che vennero definiti “satanici e orgiastici””.
Nonostante tutto, Marie Laveau continua a praticare quello che per lei è un modo per aiutare il prossimo, per entrare in contatto con la natura e gli spirti e soprattutto per portare avanti la tradizione africana della sua famiglia.
Secondo un giornalista dell’epoca di Madame Laveau, giugno è da considerarsi il mese in cui gli adepti del voodoo si riuniscono per svolgere i loro riti. Ancora oggi si celebra un evento, aperto sia ai seguaci che a coloro che semplicemente sono rimasti affascinati e colpiti da questa religione. In questa occasione, per una volta all’anno, possono finalmente cercare di rendere fiera Marie. Giugno infatti è anche il mese in cui la loro queen è venuta a mancare, lasciando il mondo terreno per unirsi ai grandi Loa e poter continuare ad aiutare i suoi discendenti, la sua famiglia, il suo popolo.
New Orleans e il cinema
Di film girati in Louisiana tra la seconda metà del 1900 ed i primi 20 anni del 2000 ce ne sono davvero tantissimi.
Parliamo di uno stato incredibilmente ricco di rari ed autentici scenari naturali, tradizionali e storici, che ben si prestano alla realizzazione di pellicole, serie tv e documentari e che, per questo motivo, hanno permesso alla Louisiana di guadagnarsi nel corso del tempo il soprannome di Hollywood del Sud.
Di seguito una piccola selezione delle location delle scene cult delle pellicole e serie tv più famose.
Fiori d’acciaio
L’indimenticabile Fiori d’Acciaio con Julia Roberts, Sally Field, Shirley MacClain, Daryl Hannah e Dolly Parton.
Il film è stato in buona parte girato a Natchitoches, una delle città più antiche della Louisiana, ed il B&B Steel Magnolia House del 1830 – la casa di Shelby nella finzione cinematografica – è il luogo in cui son state riprese diverse scene.
Il consiglio è quello di fermarsi a dormire in una delle sue deliziose camere da letto, scegliendo, se disponibile, proprio quella di Shelby.
Intervista col Vampiro
Film cult con Brad Pitt e Tom Cruise che ha dato il via ad un vero e proprio mood di romanzi e serie tv dedicate a vampiri, licantropi ed in generale al mondo del sovrannaturale.
Intervista col Vampiro è stato in buona parte girato ed ambientato tra New Orleans e la splendida Oak Alley Plantation, a Vacherie.
La piantagione, utilizzata come set per molte altre pellicole relative ai periodi storici della Civl War e dei Civil Rigths, è visitabile .
Easy Rider
Film famosissimo del 1969 con Peter Fonda, Jack Nicholson e Dennis Hopper, Easy Rider – Libertà e paura è stato in parte girato a New Orleans.
Indimenticabile la scena dell’acido assunto al cimitero, ripresa interamente al St Louis Cemetery n.1, il famoso luogo di sepoltura in cui riposa anche la regina del voodoo Marie Leveau.
Il curioso caso di Benjamin Button
Il curioso caso di Benjamin Button, con Brad Pitt e Cate Blanchett, è un bellissimo film del 2008 tratto da un racconto breve di Francis Scott Fitzgerald.
Diverse scene del film son state girate in Louisiana, dalle rive del suggestivo Pontchartrain Lake a New Orleans.
Imperdibile, una volta giunti in città, la visita (esterna) della Nolan House al 2707 di Coliseum Street, una spettacolare villa del Garden District dove si è svolta un’importante parte della storia del film, infatti sono state riprese scene in ogni singola stanza della dimora.
La casa oggi appartiene a privati ma è sempre visibile e fotografatile dall’esterno.
Green Book
Una pellicola bellissima, vincitrice dell’Oscar 2019 come miglior film e con due attori d’eccezione, Viggo Mortensen e Mahershala Ali.
Una storia intensa e toccante ed al tempo stesso spassosa ed ironica, girata quasi tutta a New Orleans.
Qui troverete tutte le informazioni necessarie per poter rivivere in prima persona i percorsi ed i luoghi del film tra New Orleans e i suoi dintorni, spunti e consigli inclusi, oltre a conoscere meglio il complesso periodo storico in cui il film è ambientato.
NCIS New Orleans (2014-2021)
Altra serie TV Cult, in onda dal 2014 al 2021.
NCIS, New Orleans vede come protagonista Scott Bakula nei panni di Dwayne Pride, agente speciale del dipartimento della Marina
Militare degli Stati Uniti che si occupa di ogni caso criminale o investigativo che coinvolga membri del corpo militare stesso.
L’intera serie è ambientata e girata a New Orleans, tra i luoghi più iconici della città, Bourbon Street, Louis Armstrong Park, Café Du Monde, Jackson Square, Plaza Tower, New Orleans Motorsports Park, ecc.
Il fiume Mississippi è uno dei fiumi più importanti e iconici degli Stati Uniti d’America. Con la sua storia ricca e la sua bellezza paesaggistica, il Mississippi rappresenta una vera e propria icona dell’America.
Caratteristiche, lunghezza e dove sfocia
Il fiume Mississippi è noto per le sue imponenti dimensioni e caratteristiche peculiari. Con una lunghezza totale di circa 3.780 chilometri, il Mississippi è uno dei fiumi più lunghi degli Stati Uniti e del mondo. Il fiume ha origine dal lago Itasca nel Minnesota settentrionale e attraversa o tocca diversi Stati, tra cui Wisconsin, Iowa, Illinois, Missouri, Kentucky,
Tennessee, Arkansas, Mississippi e Louisiana. Alla sua foce, il Mississippi si unisce al fiume Atchafalaya e insieme sfociano nel Golfo del Messico, formando un vasto delta caratterizzato da terre umide e paludi.
Per cosa è famoso il Mississippi?
Il fiume Mississippi è famoso per diversi motivi. In primo luogo, è una delle principali vie di trasporto fluviale degli Stati Uniti, consentendo il trasporto di merci lungo tutto il suo corso. Inoltre, il Mississippi ha svolto un ruolo chiave nello sviluppo economico del paese, facilitando il commercio e la colonizzazione delle terre lungo le sue sponde. Dal punto di vista culturale, il fiume Mississippi è anche noto per essere stato una fonte di ispirazione per la letteratura e la musica americana, con autori come Mark Twain che hanno ambientato le loro storie lungo il fiume.

Quali città attraversa il Mississippi?
Il fiume Mississippi attraversa o passa vicino a diverse città importanti lungo il suo corso. Tra queste vi sono Minneapolis e Saint Paul nel Minnesota, Saint Louis nel Missouri,
Memphis nel Tennessee e New Orleans in Louisiana. Queste città, insieme ad altre comunità lungo il fiume, hanno svolto un ruolo significativo nella storia degli Stati Uniti e hanno contribuito alla cultura e all’economia della regione.
In che Stato si trova il Mississippi?
Gran parte del corso del fiume Mississippi si trova nello Stato del Mississippi. Situato nella regione sud-orientale degli Stati Uniti, lo Stato del Mississippi è attraversato dal fiume che scorre da nord a sud. Questo stato è noto per la sua ricca storia, la sua cultura unica e la sua bellezza naturale, che comprende anche la famosa spiaggia delle Due Sorelle lungo la costa del Golfo del Messico.
Qual è il fiume più lungo di tutto il mondo?
Nonostante la sua imponenza, il fiume Mississippi non detiene il titolo del fiume più lungo del mondo. Questo primato spetta al fiume Nilo in Africa, che si estende per oltre 6.650 chilometri, anche se c’è una disputa riguardo alla possibilità che sia il Rio delle Amazzoni il fiume più lungo. Tuttavia, il Mississippi rimane uno dei fiumi più iconici e importanti degli Stati Uniti, con la sua storia ricca e la sua influenza significativa sulla cultura e sull’economia della regione.
Il fiume Mississippi rappresenta uno dei fiumi più importanti degli Stati Uniti d’America, con una lunghezza imponente e un ruolo cruciale nella storia e nell’economia del paese. Le sue caratteristiche, la sua posizione geografica e le città attraversate rendono il Mississippi un corso d’acqua unico e affascinante. Esplorare le sue sponde e conoscere le sue curiosità offre un’opportunità di apprezzare la bellezza e la grandezza della natura
Il nome di Mark Twain e quello del Mississippi sono strettamente legati; lo scrittore infatti è nato poco lontano dal fiume, ma la sua famiglia si è trasferita quando lui era piccolissimo lungo le rive del grande fiume americano.

Molti dei suoi romanzi, inoltre, sono ambientati lungo il Mississippi e il nome stesso che lo scrittore scelse per firmare le sue opere deriva da un grido che i battellieri lanciavano, quando misuravano il fondo del fiume.
La professione del marinaio di battello diviene una grande ambizione per i ragazzini che lo vedono passare dalle rive. Twain scappa di casa, e riesce a salire prima su un battello piccolo verso New Orleans, dove trova quello che gli farà da maestro, poi insieme a lui su una nave più grande e lussuosa.
Nel suo libro Vita sul Mississippi 1885, (opera autobiografica), Twain scrive sulla fauna che si conosce facendo vita di nave. “Sulla terra ferma ci vogliono 40 anni per conoscere tanti tipi umani; a me in nave bastarono i due anni e mezzo di apprendistato…
Quell’addestramento mi ha consentito di conoscere praticamente tutti i tipi umani che si ritrovano nei romanzi, nelle biografie, e nei libri di storia”. E sui padroni molto aggressivi.
E sempre raccontando se stesso, Twain liquida con pochissime righe ciò che accade nei 21 anni successivi: prende il brevetto di pilota, è felicissimo e pensa di vivere e morire sul timone, ma poi arriva la guerra, e finisco gli scambi commerciali. Così deve cercarsi altri modi per vivere. Fa il giornalista, il cercatore d’oro, l’educatore, il corrispondente e lo scrittore. E descrive tutto ciò come una “lenta deriva” finché – 21 anni dopo – torna sul fiume.
Il Mississippi è uno dei maggiori fiumi al mondo: lungo circa 3.800 km, supera i 6.800 km contando anche il corso del Missouri, che è un suo affluente.
È un fiume vitale per gli Stati Uniti d’America, sia per l’economia, sia per la cultura. Da quest’ultimo punto di vista va ricordato che il fiume è entrato nell’immaginario collettivo (non solo americano) per alcuni degli aspetti che ne hanno caratterizzato la storia. Per esempio con i battelli a vapore che ne hanno solcato le acque nel XIX secolo, rappresentando il mezzo di trasporto più comodo e veloce per molti decenni.
Nel 1811, le acque lente e maestose del Mississippi sentirono sbuffare per la prima volta una caldaia a vapore: era quella del “New Orleans”, l’imbarcazione progettata dall’americano Robert Fulton, l’inventore che, dopo gli infruttuosi tentativi effettuati in Francia (per Napoleone aveva costruito anche un sommergibile, il “Nautilus”, suscitando però scarso interesse), era tornato in patria per dare vita alla grande stagione dei battelli fluviali a vapore. Il geniale Fulton aveva già sperimentato una prima navigazione a vapore sul fiume Hudson quattro anni prima, facendo percorrere al suo “Clermont” il tratto tra Albany e New York in sole trentadue ore, anziché nelle tradizionali centosettanta richieste dai battelli a vela.

Ma fu il Mississippi, con i suoi 3.778 chilometri di lunghezza, a imporsi come lo scenario dei progressi delle navi a vapore. Nel 1816, fu varato il “Washington”, che andava da New
Orleans a Louisville in appena ventiquattro giorni (ma già nel 1838 ne bastavano sei). Con il passare del tempo, i viaggiatori pretendevano sempre più lusso e comfort, sicché compagnie come la Anchor Line e la Southern Transportation Line iniziarono a darsi battaglia a colpi di cabine sempre più eleganti, statue di bronzo e candelabri d’argento, mogani e stucchi, ampi saloni con spettacoli e orchestrine per allietare i passeggeri più ricchi, trasformando spesso un viaggio d’affari in una crociera di lusso.
E dove scorreva il denaro non poteva mancare il gioco d’azzardo, tanto che i battelli a vapore diventarono ben presto dei casinò, teatro preferito delle gesta di bari e truffatori, ma anche di raffinati giocatori di professione attratti dal verde colore dei dollari fruscianti. Molti di loro si riunivano in vere e proprie “associazioni”, spesso sotto la protezione di pezzi grossi della politica locale, come il “gambling syndicate” di John North o quello messo in piedi da Elijah Skaggs; altri agivano servendosi di “partners”, come George Devol e i suoi compari Tom Brown e Canada Bill Jones, oppure l’affiatata coppia Pinckney Pinchback e Holly Chappel.
A parecchi di loro andò bene, tanto che Skaggs potè ritirarsi a vita privata dopo aver incassato un gruzzoletto di qualche milione di dollari che investì in una immensa piantagione in Louisiana, mentre Devol, che era specializzato in micidiali e memorabili partite “testa a testa”, dichiarava nella sua autobiografia un guadagno netto di duecentomila dollari l’anno. Altri, invece, finirono nelle prigioni di Vicksburg, New Orleans e Natchez e qualcuno sul fondo del Mississippi con un buco di pallottola in testa o nella schiena. Come dire: il fiume dà e il fiume prende…
Fra gli anni ’40 e ’50 dell’Ottocento, il battello a vapore conosce il momento di massimo splendore. Nel 1849 sono circa mille i vapori che fanno la spola sul Mississippi. Le litografie di Currier & Ives documentano proprio quest’età d’oro, quando i battelli assomigliano ormai ad alberghi galleggianti, con più di una cucina, cabine arredate con eleganza, lussuosi saloni. Netto il contrasto tra i passeggeri che viaggiavano in cabina e quelli che si dovevano accontentare del ponte: emigranti, vagabondi, avventurieri di ogni specie.
La Mayflower (che aveva lo stesso nome della nave da cui sbarcarono i primi pionieri inglesi, che fondarono la Nuova Inghilterra, culla dei futuri Stati Uniti) andava fiera delle sue dimensioni e dei numerosi ponti. Ma la velocità era considerata un pregio maggiore della comodità e la concorrenza si fece spietata.
D’intesa con le compagnie di navigazione in cerca di pubblicità, i capitani ingaggiavano gare di velocità, spesso nelle ore notturne, alla luce dei lampioni di bordo: l’equipaggio del battello più veloce veniva premiato e godeva di grande prestigio. Il giro delle scommesse era sostanzioso quanto quello sui cavalli.
Anche in una famosissima canzone dei Creedence Clearwater Revival, del 1968, compare l’ambiente dei battelli del Mississippi.
Left a good job in the city,
Workin’ for The Man ev’ry night and day,
And I never lost one minute of sleepin’,
Worryin’ ‘bout the way things might have been.
Big wheel keep on turnin’,
Proud Mary keep on burnin’,
Rollin’, rollin’, rollin’ on the river.
Cleaned a lot of plates in Memphis,
Pumped a lot of pain down in New Orleans,
But I never saw the good side of the city, ‘Til I hitched a ride on a river boat queen.
Big wheel keep on turnin’,
Proud Mary keep on burnin’,
Rollin’, rollin’, rollin’ on the river.
If you come down to the river,
Bet you gonna find some people who live.
You don’t have to worry ‘cause you have no money,
People on the river are happy to give.
Big wheel keep on turnin’,
Proud Mary keep on burnin’,
Rollin’, rollin’, rollin’ on the river.
Rollin’, rollin’, rollin’ on the river.
Rollin’, rollin’, rollin’ on the river.

Mobile
Una grigia e triste città portuale affacciata sul Golfo del Messico, nel sud dell’Alabama, nasconde un vivace lato culturale, dimore d’altri tempi e una delle più poderose corazzate della Seconda Guerra Mondiale. Il resto sono spiagge, desolati villaggi costieri ed ottimi ristoranti di mare.

Affacciata sul Golfo del Messico, la vivace cittadina portuale di Mobile (pronunciata Mobìl, alla francese) è una delle mete più sottovalutate dell’Alabama. A primo impatto potrebbe sembrare poco attraente, ma passeggiando per le sue strade si scoprono favolosi edifici storici che narrano un intrigante passato, mentre visitando i suoi musei, ancora poco battuti dal turismo di massa, potrete scoprire delle chicche davvero interessanti.
Spesso i turisti la ignorano, attratti dalle più famose città nelle vicinanze. Per questo Mobile ha conservato un’atmosfera autentica, poco sofisticata, che la rende una buona meta per chi vuole scoprire l’affascinante passato dell’Alabama, le sue tradizioni e la sua vivace cultura gastronomica. In fondo, Mobile è lungo la strada tra Montgomery e New Orleans, e questo già potrebbe essere un ottimo motivo per visitarla.
Mischiatevi con i locali per un tuffo nell’Alabama marinara e verace. Mobile non è affatto patinata e spesso viene snobbata dai turisti, e questo è un vantaggio per i viaggiatori che vogliono godersi la sua atmosfera, a tratti dismessa, a tratti nostalgica. Se guardate oltre la città moderna troverete favolosi quartieri storici con ville e palazzi ottocenteschi perfettamente conservati, in stili che spaziano dal coloniale, al vittoriano, al revival.
Passeggiate lungo le strade del centro e date un’occhiata agli interessanti musei che Mobile offre. Noleggiate un’auto e visitate i bei paesaggi intorno alla Mobile Bay, punteggiati di vecchi forti, oasi naturalistiche, meravigliosi giardini e ville.
Poi terminate la giornata in bellezza, sperimentando la gustosa cucina locale. Mobile è famosa per le ostriche, ma anche per crostacei ed altre prelibatezze di mare di ogni tipo. Uno dei preferiti della gente del posto è The Original Oyster House, che dal 1983 serve ogni sorta di specialità di mare e non solo. Ad esempio potete provare l’alligatore fritto, specialità della cucina degli stati del sud. Se invece siete per sapori più tradizionali, troverete decine di specialità che vanno dai gamberi, al granchio, al tonno. E si, ci sono anche le ostriche. Per gli appassionati del genere, il locale è stato reso celebre anche dalla trasmissione Man vs Food, il piatto della sfida era il Fisherman’s Pride, provatelo!
LE MIGLIORI COSE DA VEDERE A MOBILE (ALABAMA)
Tra le cose da vedere a Mobile, il grande museo dedicato alla famosa nave da guerra USS Alabama è davvero imperdibile! La USS Alabama (ufficialmente BB-60) fu varata nel 1942 e, dopo un breve periodo di servizio nell’Atlantico, ha partecipato a gran parte delle campagne navali nel teatro del Pacifico, partecipando a diverse importanti battaglie, tra cui quella del Mare delle Filippine.
Dopo essere stata dismessa pochi anni dopo la fine della guerra, la USS Alabama è stata conservata come nave museo, accessibile ai visitatori fin dal 1965. Visitandola potrete esplorare le varie aree della nave, inclusi gli alloggi degli ufficiali, la cambusa e i cannoni, oltre ad imparare qualcosa di più sulla sua storia e sull’esperienza dei membri dell’equipaggio che hanno prestato servizio a bordo.
Potrete vedere gli spazi angusti dedicati ai marinai, le sale dedicate ai cartografi, l’ospedale di bordo con tanto di sala operatoria, la celle di rigore, la cabina del fotoreporter, tutti elementi che aiutano a capire quanto incredibile e complessa fosse una nave del genere, oltre ovviamente all’opportunità di visitare le torrette e i compartimenti dedicati all’artiglieria.
Ma non finisce qui, lo USS Alabama Battleship Memorial Park è una vera chicca per gli appassionati di storia militare. Se, come me siete amanti del genere, allora dovreste dedicare almeno una mezza giornata alla visita di questo museo. Accanto alla nave da guerra potrete infatti visitare anche l’USS Drum (SS-228), leggendario sommergibile della classe gato, il primo ad entrare in servizio nei combattimenti della Seconda Guerra Mondiale, di stanza a Pearl Harbor e attivo nelle acque del Pacifico, specialmente intorno ad Iwo Jima.
Potrete visitare anche diversi velivoli, sempre dell’era della Seconda Guerra Mondiale, come un caccia P-51 Mustang Red-Tail, ma anche aerei più moderni, come il grosso bombardiere strategico Boeing B-52 Stratofortress e l’aereo spia Lockheed A-12, risalenti ai tempi della Guerra Fredda. Inoltre il museo vanta una interessante collezione di veicoli, carri armati ed armi risalenti ai conflitti in Vietnam, Corea e Golfo.
FORT CONDE
Il miglior posto per conoscere meglio le radici coloniali di Mobile è Fort Conde, un forte costruito dai francesi sulla Mobile Bay nel 1702. Al tempo Mobile era un porto coloniale, e il forte era il principale baluardo a difesa delle navi, delle merci e del piccolo insediamento che sorgeva intorno ad esso. Rimase attivo fino al 1820, quando fu per lo più smantellato. Gran parte degli edifici vennero abbattuti per lasciare spazio ad abitazioni e negozi e le pietre vennero usate come materiale da costruzione per la città che stava sorgendo al suo posto.
Fort Conde si estendeva grosso modo su tutta l’area intorno a Theatre Street, Royal Street e Government Boulevard. Oggi solo una piccola parte del forte originario è visitabile, ed è un buon posto per scoprire l’affascinante storia dell’Alabama. Nel forte c’è un piccolo museo dedicato all’epoca coloniale, che può essere visitato in autonomia seguendo un percorso guidato.
QUARTIERI STORICI DI MOBILE
Il lato più bello e affascinante di Mobile è quello che si scopre passeggiando per i suoi quartieri storici, un vero spaccato di vecchia Alabama. Ci sono sette quartieri storici sparsi per la città, ognuno con il proprio carattere e il proprio patrimonio architettonico.
A cominciare dal centro città, non perdetevi il favoloso quartiere storico intorno a De Tonti Square, con ville e palazzi che sono un tripudio di stili architettonici che attraversano tutte le ere dagli inizi dell’800 fino ai primi del ‘900. Le case borghesi si mischiano a quelle della classe media, villini a schiera dalle facciate in mattoni d’argilla, costruite nella metà dell’800. Passeggiate per i viali alberati, che ancora sfoggiano le antiche lampade a gas originali, poi dirigetevi verso l’Oakley Garden District, un grosso quartiere (oltre 60 isolati!) che è un concentrato di palazzi, cottage e villini costruiti nel periodo che va dal 1830 al 1930.
Un altro interessante quartiere storico è quello di Old Dauphin Way, situato nella parte occidentale del centro città di Mobile. Architettura dal sapore coloniale e grandi ville dalla raffinata architettura in legno si trovano nella zona tra Dauphin Street e Spring Hill Avenue. Tra Water Street e Jefferson Street potrete esplorare i quartiere storico di Lower Dauphin Street, con bei palazzi ottocenteschi con strutture in mattoni a due e tre piani costruite negli stili vittoriano, federale e italianeggiante.
CATTEDRALE DELL’IMMACOLATA CONCEZIONE
La Cattedrale dell’Immacolata Concezione è la chiesa più bella ed imponente di Mobile, fondata nel 1704 e più volte ampliata. La versione attuale è del 1833, costruita sullo schema classico delle basiliche romane, con un portico caratterizzato da 8 imponenti colonne doriche, un soffitto con volta a botte e due torri campanarie. Date un’occhiata ai suoi interni e alle grosse vetrate istoriate di fine ‘800 e all’organo di metà ‘900, realizzato dalla Wicks Organ Company.
MOBILE MUSEUM OF ART
Quello che è il principale museo d’arte di Mobile si trova nel Langan Park ed ospita oltre diecimila opere d’arte che spaziano dall’età classica a quella contemporanea. La collezione permanente è focalizzata per lo più sull’arte americana, sull’arte africana e sull’artigianato contemporaneo, questo lo rende un museo molto diverso – e per questo ancor più interessante – rispetto a quelli ai quali siamo maggiormente abituati.
Notevole è la collezione dedicata all’arte dei nativi americani, corredata anche da antiche fotografie e litografie colorate a mano. La mostra permanente è solitamente affiancata da diverse mostre temporanee, che completano l’esperienza del museo. Inoltre, chi viaggia con i bambini potrebbe informarsi sulle attività a loro dedicate, dato che il museo presenta anche mostre interattive e laboratori tematici sulla scultura, sul disegno e altre tecniche artistiche.
MUSEO STORICO DI MOBILE
Se Fort Conde è un buon posto per scoprire come si viveva a Mobile nel XVIII secolo, il Museo Storico di Mobile (History Museum of Mobile) segue lo stesso filo conduttore ed entra molto più in profondità, offrendo una interessante e ampia panoramica sulla storia della città. Intanto vale la pena andarci anche solo per vedere l’edificio in cui è ospitato, un grande palazzo bianco che un tempo era il Municipio, costruito nel 1850 in uno stile che ricorda vagamente l’architettura italiana dell’800.
Il museo ospita diverse collezioni e mostre che raccontano l’affascinante passato di Mobile, dai nativi americani che per primi abitarono la zona, al periodo coloniale, la schiavitù e la guerra civile. Una parte del museo è dedicata al ruolo svolto dalla città portuale di Mobile durante la Seconda Guerra Mondiale, ma anche alle lotte per i diritti della popolazione afroamericana, che – ricordiamo – hanno avuto origine proprio nel cuore dell’Alabama.
Non si può ripercorrere la storia degli Stati Uniti d’America senza approfondire il triste capitolo della Guerra Civile Americana (1861-1865), di cui l’Alabama fu una importante pedina. Infatti, uno dei pezzi forti della collezione è il cannone da 5.000 libre che, durante la guerra civile, armava la nave confederata CSS Alabama.
Continuate la visita in alcuni dei distaccamenti del Museo Storico di Mobile, come il Phoenix Fire Museum su Claiborne Street, situato in una vecchia caserma dei pompieri del XIX secolo. Qui un tempo era di stanza la Phoenix Volunteer Fire Company n. 6, ed il museo è dedicato a questa brigata di pompieri, alla sua storia e ai suoi mezzi, con una collezione di vecchie autopompe finemente restaurate, incluso un simpatico carretto-autopompa che veniva trainato da cavalli.
Per scoprire qualcosa di più sulla società borghese di Mobile, andate alla Mary Jane Slayton Inge Gallery, che offre una interessante collezione di porcellane, stoviglie, cristalli e oggetti decorativi che un tempo abbellivano le case delle famiglie più ricche della città.
VILLE E DIMORE STORICHE DI MOBILE
La bellezza di Mobile va cercata con cura, negli angoli più autentici dei suoi quartieri storici, ma anche nelle favolose ville e dimore che un tempo appartenevano ad alcune delle famiglie più ricche dell’Alabama. Ce ne sono diverse intorno alla città, e alcune di queste meritano davvero una visita.
RICHARDS DAR HOUSE
Passeggiando per il De Tonti Square Historic District, incontrerete questa bella dimora in stile architettonico italianeggiante (si chiama proprio così, e negli USA è noto come italianate style, uno stile tipicamente inglese e nordamericano ispirato all’architettura rinascimentale italiana, concepito agli inizi del ‘800 dall’architetto britannico John Nash).
Costruita nel 1860 per il capitano di battelli a vapore Charles G. Richards e sua moglie Caroline, questa bella dimora storica venne donata dai successivi proprietari alla città di Mobile e restaurata nel 1973 dalla sezione locale dell’associazione delle Figlie della Rivoluzione Americana. Visitandola potrete apprezzare i lampadari Cornelius nell’ingresso e in entrambi i salotti, un lampadario di cristallo Baccarat nella sala da pranzo, e gli elementi decorativi in ferro battuto e pregiati marmi di Carrara.
TENUTA DI BELLINGRATH
La tenuta Bellingrath (Bellingrath Gardens and Home) si trova quasi 40 km più a sud di Mobile, in direzione di Alabama Port, per cui il modo migliore per andarci è noleggiare una macchina e guidare fin lì. Circondata da un parco di 16 acri, è famosa per i suoi bei giardini fioriti e abbelliti da laghetti e fontane e per la favolosa dimora storica.
La villa fu progettata nel 1935 dall’architetto locale George B. Rogers per Walter Bellingrath – ricco industriale, proprietario di uno dei primi stabilimenti della Coca-Cola del sudest americano – e sua moglie Bessie, ritenuta la vera artefice dei giardini. Attualmente è una casa museo e potete visitare 15 delle sue stanze, che conservano gli arredi originali dell’epoca.
Ma è interessante scoprire anche la sua storia e i suoi dettagli architettonici, a partire dal riuso di materiali provenienti da altre dimore storiche di Mobile, demolite agli inizi del ‘900, come elementi in ferro battuto recuperati dal vecchio Southern Hotel prima della sua demolizione e i mattoncini utilizzati per la facciata, che un tempo erano della casa natale di Alva Belmont, multimilionaria e attivista per il suffragio femminile.
Se andate tra gennaio e febbraio, potrete assistere alla fioritura delle camelie, il fiore simbolo dell’Alabama. Il parco ospita oltre 400 diverse varietà di camelia. A marzo invece il giardino attira visitatori da tutto lo stato, desiderosi di assistere alla fioritura delle sue oltre 250.000 azalee colorate. Il calendario delle fioriture presenta altri appuntamenti minori per tutto l’anno fino a novembre, quando avviene la bellissima fioritura dei crisantemi.
Non perdetevi anche la caccia alle uova di Pasqua che si tiene in primavera intorno alla tenuta, un evento molto popolare tra la gente del posto, e ricordate di dare un’occhiata all’interessante collezione di porcellane finemente decorate opera del rinomato artista statunitense Edward Marshall Boehm, frutto della collezione privata della facoltosa famiglia locale Delchamps. La Delchamps Gallery of Boehm Porcelain si trova proprio sotto la villa, in quello che un tempo era il garage.
CASA MUSEO DI OAKLEIGH
La Casa Museo di Oakleigh è la più bella tra le tre ville che compongono il Complesso Storico di Oakleigh, a sud-ovest del Central Business District, ed è un eccellente esempio di stile neogreco. Fu costruita nel 1833 da James W. Roper, un muratore della Virginia dalla storia piuttosto curiosa.
Trasferitosi a Mobile in cerca di fortuna, Roper aveva cominciato a far soldi gestendo una fabbrica di mattoni e commerciando merci secche e cotone. Tuttavia, con la grande crisi finanziaria del 1837, aveva perso tutti i suoi soldi e non era riuscito a ripagare i debiti fatti per costruire la villa che, pignorata dalla banca, venne acquistata dal cognato di Roper, Boyd Simison. Quest’ultimo consentì a Roper di continuare a viverci gratuitamente in cambio di tutti i suoi schiavi, tranne uno.
Qualche anno dopo Roper decise di trasferirsi a New Orleans per tentare la fortuna come commerciante di legname. La villa venne acquistata da Alfred Irwin, tesoriere della Mobile & Ohio Railroad. Durante la guerra civile sua moglie, Margaret Kilshaw Irwin, riuscì a difendere la villa dai saccheggi dei soldati dell’Unione sfruttando la propria cittadinanza britannica: proclamò la proprietà territorio neutrale e appese la Union Jack – la bandiera britannica – fuori dal balcone. La villa rimase miracolosamente indenne.
Oggi vale la pena visitarla per dare un’occhiata ai suoi arredi, risalenti al primo periodo vittoriano e regency. Proprio accanto si trova la Cox-Deasey House, un cottage creolo rialzato tipico dell’architettura borghese della Mobile di metà ottocento, costruita da George Cox, un muratore locale che vi abitò con sua moglie e i suoi 11 figli. A pochi passi potrete visitare anche la Cook’s House, costruita nel 1850 come alloggio degli schiavi.
Questa struttura di tre stanze mette in risalto la vita quotidiana di artigiani, operai e domestici. È certamente interessante notare il confronto tra le abitazioni popolari e quelle borghesi. Al suo interno una piccola mostra offre una panoramica sul com’era la vita dei servi, su come funzionava l’interazione con i proprietari e su come la schiavitù urbana fosse un fenomeno piuttosto diffuso ed importante nelle città mercantili come Mobil.
PALAZZO BRAGG-MITCHELL
Alcuni chilometri ad ovest del centro città, lungo Springhill Avenue, potrete dare un’occhiata anche ad un’altra bella dimora storica, la Bragg-Mitchell Mansion. Costruita nel 1855 come villa per ricevimenti, feste e banchetti, è considerata una delle più belle dimore antebellum di Mobile. Vanta una elegante scala a chiocciola, lussuosi salotti e fini decorazioni in una combinazione di revival greco e architettura italianeggiante.
Questo un tempo era il salotto in cui si incontrava l’alta società del fiorente porto di Mobile, e visitando i suoi interni potrete farvi un’idea dello splendore dell’epoca. Ci sono diversi tour guidati al giorno tutti i giorni dal martedì al venerdì. Il biglietto costa 12$.
CASA MUSEO CONDÉ-CHARLOTTE
La Casa Museo Condé-Charlotte (Condé-Charlotte Museum House) si trova nel cuore di Mobile, ad un passo dall’History Museum e fu costruita nel 1822 come edificio pubblico, dedicato ad ospitare il tribunale e la prigione cittadina. Nel 1849 venne acquista dai Kirkbride, una famiglia locale, che ne fecero una abitazione privata. Oggi è possibile visitare i suoi interni, che offrono uno spaccato delle varie epoche della città, dal periodo coloniale francese, al periodo confederato.
Altre stanze sono state restaurate così come apparivano nell’800, e inoltre ospitano una collezione di pregiate stoviglie, servizi da tè in argento Chaudron del XVII secolo, vasi boemi e orologi antichi. Un giardino spagnolo recintato, progettato secondo una pianta del XVIII secolo, completa la casa.
GULFQUEST: IL MUSEO NAZIONALE MARITTIMO DEL GOLFO DEL MESSICO
Chi viaggia con i bambini potrebbe dare un’occhiata a questo interessante museo interattivo dedicato al Golfo del Messico, sul quale Mobile affaccia. Le varie sezioni del museo offrono una panoramica sui suoi habitat naturali, sull’importanza per gli ecosistemi, per il clima terrestre e per la meteorologia, e sulla sua importanza come crocevia delle rotte commerciali marittime.
I bambini potranno mettersi alla prova con alcuni simulatori, che gli permetteranno di provare l’esperienza di mettersi al timone di un battello a vapore o scaricare una nave porta-container con una gru. Il museo espone anche una collezione dedicata ai tesori rinvenuti nei fondali oceanici, all’esplorazione di relitti e alla navigazione in generale.
MOBILE BAY
La Mobile Bay è la baia su cui affaccia la città, direttamente sul Golfo del Messico. Basta uscire un po’ dal centro città di Mobile per trovare belle spiagge e tranquilli villaggi costieri. Tra le isole della Mobile Bay, vale la pena visitare Dauphin Island, all’ingresso sud-ovest della baia, che ospita un santuario degli uccelli, un tranquillo laghetto e un vecchio forte, Fort Gaines.
Per la sua posizione strategica, questo forte è stato a lungo legato alla storia di Mobile, passando di mano in mano dai francesi, agli inglesi, agli spagnoli. Una volta entrato in possesso degli Stati Uniti venne rinforzato nelle forme attuali, e fu luogo di importanti battaglie durante la guerra civile. Venne usato come caserma fino alla fine della Seconda Guerra Mondiale. Con una breve traversata in traghetto si raggiunge Fort Morgan, un altro forte situato sulla sponda opposta della baia.
CELEBRAZIONI DEL MARDI GRAS
Pochi sanno che Mobile è stata la cittadina che, nel 1703, per prima ha introdotto le celebrazioni del Mardi Gras negli Stati Uniti. Nel mese di febbraio la città è avvolta nella festa: addobbi colorati e tradizionali sfilate che attirano gente da tutto lo stato. Gli eventi del Carnevale di Mobile sono tra i più vivaci dell’Alabama, e forse di tutti gli Stati Uniti.
In tutto il centro città si organizzano balli in maschera e feste. Se non capitate nel periodo di Carnevale, potete scoprire qualcosa di più su questa tradizione locale al Mobile Carnival Museum, che narra la storia del Mardi Gras di Mobile e la tradizione artigianale dietro i costumi e i carri che ogni anno vengono fatti sfilare per le strade della città.
La Florida
Il nome Florida, che in spagnolo si pronuncia con l’accento sulla i, significa letteralmente “fiorita”, ma non è per via dei fiori. È invece un’abbreviazione di Pascua florida, un modo in cui veniva chiamata un tempo dagli spagnoli la domenica di Pasqua. Ad attribuirlo a questa terra fu infatti l’esploratore Juan Ponce de León, che approdò qui nel 1513.

Il motto, In God we trust (crediamo in Dio) fu dato dal Congresso degli Stati Uniti nel 1956, in sostituzione del vecchio motto in latino E pluribus unum (Uno da molti). Questa frase usata come motto politico risale al periodo della Guerra civile americana, durante la quale i sostenitori dell’Unione intendevano sottolineare il proprio attaccamento a Dio.
La Florida è soprannominata Sunshine State, lo stato del sole, per via del clima caldo. Ha anche altri soprannomi non ufficiali, tra cui Peninsula State e Alligator State, rispettivamente per via della geografia e della forte presenza di questi rettili acquatici.
Geografia
La Florida è lo stato più sud-orientale degli USA: una grande penisola che separa l’Oceano Atlantico dal Golfo del Messico, generando lo Stretto di Florida che la separa da Cuba. Se si esclude l’arcipelago delle Hawaii, la Florida è lo stato più meridionale degli USA e la latitudine influisce decisamente sul clima.
Estensione e regioni che caratterizzano la Florida
La superficie dello stato è di 170300 km2 e viene normalmente divisa in due macro aree. A nord-ovest la cosiddetta Florida Panhandle, convenzionalmente tutta l’area ad ovest del fiume Apalachicola, e tutto il resto dello stato costituito dalla Florida peninsulare. Le due zone, che seguono anche un fuso orario differente, si distinguono per caratteristiche territoriali, ma quella più abitata e più visitata (ospitando gran parte delle attrazioni turistiche dello stato) è la più vasta area peninsulare.
La penisola si contraddistingue a sua volta per zone diverse, in particolare le due coste subiscono condizioni climatiche differenti e vanno certamente distinte dall’area centrale, che è quella dove abbondano le zone paludose e la popolazione è più rada, fatta esclusione per l’area metropolitana di Orlando. Due casi a parte sono le Everglades – enorme area paludosa nell’estremità sud-occidentale – e le isole Keys, che si inoltrano nel Golfo del Messico in direzione sud-ovest.
Caratteristiche del territorio
Con un territorio quasi totalmente a livello del mare, la Florida si presenta come lo stato meno elevato degli USA. L’area settentrionale, vicino al confine con Alabama e Georgia, presenta dolci colline di poche decine di metri d’altitudine, mentre la penisola è totalmente pianeggiante. A contraddistinguere il territorio della Florida è anche il fitto reticolo di laghi e paludi che si sviluppa da nord a sud, culminando nella famosa area delle Everglades. Questo territorio così particolare dà vita a ben 45 ecosistemi differenti, che spaziano dalle praterie secche alle foreste alluvionali.
Altra caratteristica unica della penisola della Florida riguarda la linea costiera. Fra barriere coralline e paludi di mangrovie, una buona parte della costa dello stato è caratterizzata dalla presenza delle cosiddette isole barriera. Si tratta di isole quasi sempre di forma stretta e allungata, che separano la linea costiera dal mare aperto, creando zone lagunari intermedie che ospitano ecosistemi unici. La componente insulare dello stato è di grande rilievo: si consideri che, con le sue 4510 isole, è il secondo stato americano con più isole dopo l’Alaska.
Monti, laghi e fiumi più importanti
La Florida è uno stato pianeggiante, caratterizzato in molte zone da paludi molto estese, per cui non ha nessun monte sul proprio territorio. Vi si trova solo qualche bassa collina e la cima più alta è la Britton Hill, un colle di soli 105 m situato al confine con l’Alabama.
I laghi invece sono molto numerosi e ben distribuiti su tutto il territorio statale. Il più grande è il Lago Okeechobee, che ha una superficie di ben 1.891 km2. Tuttavia, come la maggior parte dei laghi della Florida, la sua profondità è minima: solo 3,7 m. Altri laghi di notevoli dimensioni sono il Lago George, il Lago Seminole ed il Lago Kissimmee. Bisogna inoltre considerare che oltre ai laghi veri e propri, in Florida abbondano le paludi. Le Everglades sono l’area paludosa più estesa e rilevante, ma in tutto lo stato troviamo diverse zone acquitrinose. Pertanto, oltre alla già vasta presenza di laghi, una buona parte del territorio di apparente terraferma è in verità dominato dall’acqua.
Sebbene l’acqua sia l’elemento dominante della Florida, non vi si trovano fiumi di grande portata. Il più importante è il St. Johns River, che ha origine dalla palude di St. Johns, nel sud-est dello stato, e defluisce nell’Oceano Atlantico di fronte a Jacksonville. Intervallato da laghi di varie dimensioni e con un bacino idrografico molto articolato, è sempre stato importante per il commercio e gli spostamenti. Di rilievo anche l’Apalachicola River, che scorre da nord a sud arrivando dall’Alabama e sfociando nel Golfo del Messico, ad ovest di Tallahassee.
Capitale e città principali
La capitale della Florida è Tallahassee, città di medie dimensioni (circa 200 mila abitanti) situata nel nord dello stato. La più popolosa è invece Jacksonville, che tende al milione di abitanti, seguita da Miami (circa mezzo milione, ma molto più grande se si considera l’area metropolitana), che è però la città di riferimento per ogni turista straniero che si reca in Florida. Seguono poi Tampa ed Orlando: quest’ultima rappresenta il capoluogo americano dei parchi a tema. Città di dimensioni minori, ma comunque di interesse, sono St. Petersburg, Cape Coral, Fort Lauderdale e Fort Myers.
Clima
Mitigato dal mare che circonda tutto lo stato – Golfo del Messico ad ovest ed Oceano Atlantico ad est – il clima della Florida si divide principalmente in due sezioni. A nord del lago Okeechobee è considerato subtropicale umido, mentre a sud del lago è tropicale. Questo tipo di clima fa sì che le temperature non siano mai estreme: in piena estate la media delle temperature massime è di 32-33° ed in inverno la media delle minime si attesta sui 6° nel nord e addirittura rimane sui 16° nell’area di Miami.
Di contro, per visitare la Florida è fondamentale fare attenzione alle precipitazioni. A dispetto del soprannome “Sunshine State”, questo è uno degli stati più piovosi degli USA. Dalla primavera all’autunno i temporali pomeridiani sono comuni in tutto lo stato e soprattutto il sud è molto piovoso in estate. Ecco perché l’alta stagione è l’estate nel nord (dove in inverno le temperature sono basse) e l’inverno nel sud (dove le temperature sono miti e le piogge più scarse). Da non sottovalutare la questione degli uragani, che rappresentano una reale criticità soprattutto da agosto ad ottobre.
Fauna
Conosciuta in tutto il mondo per gli alligatori che popolano le sue paludi, la Florida ha in realtà una fauna molto variegata, sia sulla terraferma sia nelle aree marine e lagunari che ne caratterizzano le coste. Diverse specie di tartarughe e di serpenti affiancano gli alligatori fra i rettili più diffusi, mentre le varietà di uccelli che hanno qui il loro habitat sono innumerevoli.
Tra i mammiferi va citata senza dubbio la tipica pantera della Florida, oltre all’orso nero, al cervo e a numerosi animali di piccola taglia come volpi, armadilli, lontre od opossum. Da sottolineare la nutrita presenza di mammiferi marini: fra tursiopi, globicefali e balene, si distingue il lamantino dell’India occidentale, docile cetaceo protetto che vive nelle aree lagunari vicino alla costa.
Storia
Le prime testimonianze della presenza umana in Florida risalgono a ben 14.000 anni fa, con i cosiddetti paleo-indiani. Si deve però arrivare al XVI secolo per avere una documentazione storica di popoli come gli Apalachee della Florida Panhandle (il nord-ovest dello stato), i Timucua della zona centro-nord e gli Ais e Calusa dell’area peninsulare.
La Florida è stato il primo approdo degli europei in tutto l’attuale territorio statunitense. Fu il conquistatore spagnolo Juan Ponce de León a sbarcare qui nel periodo pasquale del 1513, denominando questa terra La Florida in onore della festività cristiana, chiamata in spagnolo anche Pascua Florida. Di rilievo anche la spedizione del 1539 guidata da Hernando de Soto, il quale descrisse la costa della penisola parlando dello spesso muro di mangrovie, e quella del 1559 di Don Tristán de Luna y Arellano, che fece il primo tentativo di insediamento stabile in Florida, nell’attuale Pensacola, abbandonato però solo due anni dopo. Il più antico insediamento ancora oggi esistente è quello di St. Augustine realizzato da Pedro Menéndez de Avilés nel 1565.
Per lungo tempo spagnoli, francesi ed inglesi si contesero la penisola, con il risultato comune di spodestare i nativi da questa terra. I coloni degli Stati Uniti si insediarono inizialmente nel nord-ovest, scendendo da Alabama e Georgia. Nel 1821, con il Trattato Adams-Onís, la Spagna cedette la Florida (ancora divisa fra orientale e occidentale, agli Stati Uniti. L’anno successivo il Congresso statunitense unì le due parti della Florida e il 2 marzo 1845 questa divenne il ventisettesimo stato americano.
La Florida fu uno degli stati schiavisti e il commercio di schiavi aumentò quando i coloni americani iniziarono a stabilire le piantagioni di cotone nella parte settentrionale dello stato. Si pensi che nel 1860 il 44% dei 140.400 abitanti della Florida era ridotto in schiavitù. La popolazione crebbe molto più lentamente che in altri stati e nel 1900 superava di poco il mezzo milione, quasi la metà dei quali afroamericani che tentavano la migrazione a causa delle violenze razziali.
Negli anni ’20 del Novecento ci fu il boom della terra: con una crescente prosperità economica ed una stimolazione del turismo, iniziarono a sorgere hotel, resort e servizi legati alla villeggiatura. Di pari passo andò anche la crescita della popolazione. Da uno stato definito “vuoto” un secolo prima, già nel 2010 la Florida era divenuta il terzo stato più popoloso degli Stati Uniti.
Economia
Dopo un inizio travagliato, dove la schiavitù era la forza trainante dell’economia dello stato, oggi la Florida è la quarta economia più rilevante degli USA e se fosse uno stato sovrano si posizionerebbe al sedicesimo posto nel mondo. Il settore più rilevante è quello legato ai prodotti alimentari, con la pesca da un lato e l’agricoltura (soprattutto coltivazione di frutta come fragole, pesche ed agrumi) dall’altro.
C’è anche un settore di rilievo nel campo dell’estrazione mineraria, concentrato nella Bone Valley e relativo in particolare ai fosfati. Qui si estrae il 75% dei fosfati utilizzati nell’agricoltura di tutti gli Stati Uniti e il 25% a livello mondiale. Come si può immaginare, il turismo è un altro dei punti di forza dell’economia della Florida, in crescita costante. Quasi un milione e mezzo di persone lavorano in questo settore.
Sport
La Florida è uno stato che eccelle in ambito sportivo. Oltre a numerosissime squadre minori, presenta ben 11 squadrenelle major league. Nello specifico, due per il baseball (Miami Marlins e Tampa Bay Rays), due per il basket (Miami Heat e Orlando Magic), tre per il football (Jacksonville Jaguars, Miami Dolphins e Tampa Bay Buccaneers), due per l’hockey su ghiaccio (Florida Panthers e Tampa Bay Lightining) e due per il calcio (Inter Miami CF, e Orlando City SC).
Pensacola
Pensacola, capoluogo della Contea di Escambia, in Florida, è adagiata in una baia sulla costa occidentale del Golfo del Messico. Conosciuta come la città delle cinque bandiere, perché cinque governi, Spagnolo, Francese, Inglese, degli Stati Confederati e degli Stati Uniti, dominarono la città, porta con sé i segni affascinanti di questa storia travagliata.

Pensacola attrae ogni anno un gran numero di turisti in virtù degli eventi culturali e dei festival che la animano: il Pensacola Seafood Festival e il Pensacola Crawfish Festival solo per citarne alcuni.
Il centro storico è sicuramente tra le cose da visitare a Pensacola, si tratta di un quartiere molto ben curato ed in ottimo stato. Passeggiando tra i suoi vicoli penserete di trovarvi un un luogo diverso dai soliti. Tra i luoghi privilegiati di Pensacola trovate le sue spiagge, con i suoi stabilimenti nuovi e ristrutturati, con le sue acque calde e limpide, e al tramonto sarete sorpresi dalla brezza fresca che viene dal mare.
Pensacola Beach è un meraviglioso centro naturale che aspetta proprio voi. Tra le cose da vedere a Pensacola avrete il forte di Barrancas, il faro della città, o ancora il parco “Perdido Key”. Gli amanti dell’arte non possono perdere il museo nazionale del trasporto aereo, il TT Wentworth, il Jr. Florida State Museum, ed infine il Museo della Guerra Civile.
Inoltre potete visitare il Pensacola Bayfront Stadium.
Tallahassee
Tallahassee capitale della Florida, è situata a 33 km nel sud-ovest della costa dello stato, a 17 m sul livello del mare. Il suo clima è mite, e a differenza delle città situate sulla costa sudorientale della penisola, con differenze stagionali.

Tallahassee si trova a 24 km dal confine con lo stato della Georgia. La temperatura media annuale è di 19 °C, con punte massime di 17 °C in gennaio e 32 °C nel mese di Luglio. L’estate è la stagione meno gradevole a Tallahassee a causa dei frequenti temporali, ed alle temperature elevate. Luglio è il mese più piovoso, seguito da agosto, settembre e giugno, mentre i mesi più secchi sono ottobre e novembre. Tallahassee normalmente non è interessata da forti venti, ma a volte sono associati a fronti freddi durante la fine dell’inverno e all’inizio della primavera. Gli uragani raramente hanno colpito la città.
le organizzazioni, istituzioni ed associazioni culturali di Tallahassee troviamo: il Museo di
Storia della Florida, il sito Archeologico e Storico di San Luis, il Museo Tallahassee di Storia e Scienze Naturali e la Galleria d’Arte dell’Università della Florida. Altri centri di interesse sono l’antico congresso (Old-Capitol State Building), fondato nel 1845, ed il palazzo del Governatore. Ogni anno si celebra nel Parco di Natural Bridge una ricostruzione della battaglia combattuta nel 1865 dalle truppe dell’Unione e della Confederazione per il controllo della capitale della Florida.
Dintorni – Tra il 1820 e il 1830 circa, la zona di Tallahassee era la più importante della Florida per il cotone. Con un tour lungo le strade del Cotton Trail si può visitare le ex piantagioni di cotone. I Goodwood Museum and Gardens sono in una villa degli anni intorno al 1830. Wakulla Springs State Park, 24 km a sud di Tallahassee, ha una delle più grandi sorgenti d’acqua dolce del mondo, in un ampio bacino dove si può nuotare con maschera e boccaglio o fare un giro con una barca dal fondo di vetro. Per vedere alligatori e trampolieri fate un giro in barca sul fiume Wakulla. L’economia di Tallahassee dipende enormemente dal settore pubblico, essendo la capitale dello stato e sede della contea di Leon, e conta su un campus universitario pubblico. Le principali industrie sono, alimentari, tabacco, legno, nonché imprese del settore editoriale.
Storia – La regione che oggi occupa la capitale della Florida fu abitata dagli indiani della tribù Apalachee, che entrarono in contato con l’esploratore spagnolo Hernando de Soto nel 1539, nella sua spedizione verso la valle del Mississippi. In precedenza, lo scopritore della penisola della Florida, Juan Ponce de Leon, aveva navigato lungo tutta la baia che porta il suo nome (Ponce de Leon bay a 40 km da Tallahassee). A partire dal 1630, si stabilirono in queste terre missionari spagnoli (che fondarono la Missione di San Luis), e coloni spagnoli. Il controllo degli Stati Uniti su questa regione, avvenne con l’acquisto della Florida nel 1819, cessione che fu effettiva a partire dal 1821. Nel 1824, Tallahassee acquisì il suo nome, ( una derivazione di un vocabolo creek che significa ‘antica città ‘), quando il Congresso degli Stati Uniti vi stabilì il governo del Territorio della Florida. Nel 1825, la città elesse il suo primo governo municipale, e quando nel 1845, la Florida fu ammessa come stato dell’Unione, divenne la sua capitale.
Durante la Guerra di Secessione degli Stati Uniti (1861-65), era sotto il controllo delle truppe della Confederazione, che riuscirono respingere vari attacchi dell’esercito federale. L’ultima battaglia per l’occupazione della città venne combattuta a Natural Bridge ( Nei pressi della città), nel marzo del 1865, ed ancora oggi viene commemora ogni anno.
La città è cresciuta come centro governativo ed universitario, grazie all’Università Statale della Florida, ed all’Università Agricola e Meccanica della Florida, istituzioni entrambe fondate nella seconda metà del secolo diciannovesimo.
Orlando
È innegabile! La vertiginosa ascesa di Orlando in termini di fama è dovuta principalmente (se non esclusivamente) a Disney World, Universal Studios e agli altri parchi divertimento che l’hanno resa la città più visitata di tutta la Florida nel giro di pochi decenni, con i suoi oltre 50 milioni di visitatori all’anno: più di Miami, più di Key West e di ogni altra città turistica dello stato.
Questo ha fatto la fortuna dell’industria alberghiera: la International Drive e tutte le zone periferiche di Orlando pullulano di hotel, resort e alloggi della cui impressionante varietà puoi farti un’idea nel mio articolo sugli hotel di Orlando.
Una tale crescita non poteva certo preservare lo spirito originale di Orlando pre-Disney, che si presentava come una semplice città di campagna della Florida centrale, tra paludi e fattorie sperdute nel nulla. Si dice che quando fu annunciata la costruzione dei parchi Disney a sud del minuscolo centro cittadino, qualcuno abbia commentato amaramente il fatto definendo Disney World una “piccola cittadina nella palude chiamata Orlando”.
La storia di Orlando è, tutto sommato, piuttosto “recente”. Nell’area in cui sorge attualmente la città venne creata, a fine Ottocento, una riserva abitata dai Seminole – tribù di nativi americani – che si spostarono qui a seguito dell’accordo stipulato con il governo degli Stati Uniti d’America. Poco tempo dopo, i Seminole si trasferirono dalla Florida all’Oklahoma e l’area cominciò a popolarsi di cittadini americani. Il primo americano a stabilirsi nel territorio (nel 1842) fu Aaron Jernigan che si insediò nei pressi del Lago Holden.

Poco tempo dopo, nel 1845, la zona di Mosquito County cambiò il suo nome in Orange County e due anni più tardi venne fondata la città di Orlando, composta all’epoca da quattro strade intersecanti tra loro e una piazza che ospitava il tribunale. Tuttavia, l’insediamento assunse lo status di città soltanto nel 1885. Orlando divenne estremamente popolare e scelta come città di residenza da sempre maggiori cittadini nel periodo post-rivoluzione industriale, in occasione del Florida Land Boom, momento storico che causò un’esponenziale crescita residenziale non solo della città, ma anche dei suoi sobborghi.
Indubbiamente l’avvenimento più significativo per la storia della città fu la decisione di Walt Disney (annunciata nel 1965) di aprirvi il suo parco a tema: la città di Orlando venne scelta per la sua posizione nell’entroterra, che la preservava maggiormente dal pericolo uragani. Nel 1971 fu inaugurato Disney World a cui seguì dopo soli 2 anni SeaWorld Orlando, e a breve, a Orlando si concentrarono più parchi tematici che in qualsiasi altra città al mondo.
Downtown Orlando
È la zona storica della città, oggi cuore pulsante degli affari e del commercio cittadino. Ciò che la rende interessante è che Downtown Orlando è, a sua volta, composta da numerosi micro-quartieri a sé stanti tra cui il North Quarter, il Lake Eola Heights Historic District, Thornton Park e Parramore, per citarne alcuni. È qui che si innalza la maggior parte dei grattacieli della città e che si trovano alcuni dei musei più significativi della città.
Lake Eola Park
Tra un parco divertimenti e l’altro, c’è spazio anche per una passeggiata romantica intorno a Lake Eola, riconoscibile grazie all’elegante fontana che vi zampilla al centro, in armonioso contrasto con i grattacieli della Downtown: si tratta di uno dei luoghi di interesse di Orlando preferiti dai turisti, che amano solcare l’acqua del lago su barchette a forma di cigno, facendo foto al panorama e ai cigni (quelli veri).
Se ti trovi in città il sabato, sul lungolago troverai le bancarelle dell’Orlando Farmers Market, che a partire dagli anni Novanta si trova all’angolo sud-orientale del lago, tra E Central Blvd e N Eola Dr, alle porte del quartiere di Thornton Park.
MetroWest
Si tratta di una comunità situata a sud-ovest rispetto a Downtown Orlando, ed è una delle più recenti della città, essendo stata fondata nel 1980. Prettamente residenziale, questo quartiere è uno dei più belli e curati della città.
College Park
Anche questa zona è prevalentemente residenziale e si trova ai confini di Downtown Orlando. Venne “fondata” negli anni ’80 dell’Ottocento da un coltivatore di agrumi, John Ericsson, che ne favorì l’espansione e l’urbanizzazione. Oggi vi si ammirano numerose chiese e parchi cittadini, oltre a negozi storici e ristoranti.
Lake Nona Region
Questa zona si trova ai confini della città ed è la sede dell’Aeroporto Internazionale di Orlando. Prende il nome dal lago omonimo che si trova nell’area a nord dell’insediamento e ospita università e college, oltre a prestigiosi centri di ricerca medica.
Thorntorn Park
Anche questo quartiere è prevalentemente residenziale, oltre ad essere uno dei più belli di tutta la città. Lungo le sue strade, ma soprattutto passeggiando per Washington Street, si trovano deliziose boutique, ristoranti super-chic e villette eleganti.
Disney World Orlando
Non esiste in tutto il mondo un parco divertimenti così grande e innovativo, ambizioso fin dalle sue origini: Walt Disney, il visionario creatore dell’universo Disney, ideò il progetto relativo alla costruzione di un nuovo, grande parco tematico in Florida, un grandioso monumento dedicato al divertimento che potesse rendere il suo nome eterno e memorabile nei secoli a venire.

Col tempo si capì che il sogno di DisneyWorld Florida era molto più che una suggestione: fu scelta la zona di Orlando e, nonostante la morte di Disney (1966), il progetto cominciò a prendere corpo: questo avvenne 12 anni dopo l’inaugurazione di Disneyland Los Angeles (1955), il primo parco Disney al mondo nonché l’unico che i piedi di Walt calpestarono.
Il nuovo parco di Walt Disney a Orlando aprì nel 1971, e da allora, quello che agli occhi di tutti appariva un sogno irrealizzabile cominciò a divenire realtà: la Walt Disney Company acquistò un gran numero di terreni a Lake Buena Vista, a circa 25 miglia da Orlando, nelle contee di Orange ed Osceola, e il Walt Disney World Resort (questo è il nome ufficiale) cominciò a estendersi sempre di più, mostrando ben presto le fattezze di una vera e propria città dedicata al divertimento.

In quasi 50 anni, il nucleo originale del resort (inizialmente limitato al solo Magic Kingdom, parco pressoché speculare alla Disneyland di Los Angeles) si è ampliato esponenzialmente, ramificandosi in altri 5 parchi divertimento, ognuno dedicato a un tema specifico dello sterminato universo Disney.
Sì, avete letto bene: DisneyWorld Orlando si compone di 6 parchi divertimento autonomi che, insieme a tutte le altre strutture di servizio e non (aree commerciali, hotel, parchi da golf, strutture sportive, riserve naturali, circuiti automobilistici e quant’altro), si estendono sull’impressionante area di 122 km²! Se non riuscite a immaginarvi quanto possa essere grande DisneyWorld, vi basterà sapere che Miami ha un’estensione di 92,4 km², e San Francisco di 121 km²!

Andiamo dunque alla scoperta delle meraviglie dei 6 parchi divertimento di Disney World Orlando: non ci limiteremo solo a raccontarvi le migliori attrazioni, ma vi daremo consigli e informazioni su come arrivare a DisneyWorld Orlando e per quanto tempo rimanerci, come spostarsi tra i vari parchi, dove dormire, come risparmiare sul prezzo del biglietto, e molto altro.
DisneyWorld Orlando: Magic Kingdom
Un po’ di storia
Cominciamo dall’inizio, in tutti i sensi: Magic Kingdom, come abbiamo detto, è stato il primo parco a tema di DisneyWorld Orlando. Fu progettato sulla scia dell’enorme successo di Disneyland Los Angeles (del quale peraltro ripropone quasi integralmente la struttura) e fu aperto nel 1971.
Esattamente come a Los Angeles, Magic Kingdom è suddivisa in 6 diverse aree:
• Main Street, U.S.A: la zona d’ingresso del parco;
• Adventureland: dedicato alle avventure Disney in terre straniere e selvagge;
• Frontierland: dedicato alle avventure nel mondo di indiani e cowboy;
• Fantasyland: dedicato alle favole Disney più classiche (tra le altre, Biancaneve e i Sette Nani, Peter Pan, Alice…);
• Tomorrowland: dedicato alle avventure spaziali più adrenaliniche del mondo Disney;
• Liberty Land: area del parco dove viene riprodotta una città in stile coloniale.
Le attrazioni migliori
Ogni angolo di questo parco va vissuto a pieno, e ci sembra impossibile farvi un compendio di tutte le emozioni che si vivono sulle singole attrazioni. Tuttavia, tra le altre cose, noi vi consigliamo di provare la corsa mozzafiato di Big Thunder Mountain di Frontierland, la meravigliosa e ormai amatissima attrazione dedicata a Pirates of the Caribbean (Adventureland), la giostra interattiva Buzz Lightyear’s Space Ranger Spin (Tomorrowland) e Seven Dwarf Mine Train (Fantasyland), ispirata a Biancaneve e i Sette Nani.
DisneyWorld Orlando: Epcot
Un po’ di storia
Epcot (Experimental Prototype Community of Tomorrow) è un modello di città ideale sviluppato da Walt Disney negli anni Sessanta e concretizzatosi nel 1982, in forma di parco all’interno del resort di DisneyWorld. Epcot si estende per 1,21 km², doppiando le dimensioni di Magic Kingdom.

La vocazione di Epcot è molto particolare: si tratta di un parco divertimenti di carattere futuristico che mette a tema “lo spirito umano”. Il parco è suddiviso in due aree ben riconoscibili:
• Future World, dedicata alla conoscenza e all’esperienza diretta di scienza e tecnologia tramite il divertimento;
• World Showcase, dedicata ad 11 paesi del mondo, dei quali sono ricostruiti alcuni monumenti o paesaggi intorno al lago di Epcot.
Le attrazioni migliori
Per quanto riguarda Future World, forse non tutti se la sentono di provare il brivido e la scarica di adrenalina scatenate da Mission: Space, il simulatore di lancio spaziale. Allora consigliamo The Seas with Nemo & Friends, la slow-ride subacquea dedicata al noto pesciolino. Se invece volete qualche consiglio riguardo a World Showcase (una sorta di Expo del divertimento!), non perdete le aree dedicate a Cina, Marocco e Messico.
Già che ci siete, andate a vedere come se la sono cavata a ricostruire la nostra Italia! Da non perdere assolutamente Illuminations: Reflections of the Earth, lo spettacolo di giochi acquatici e luci che chiude tutte le serate di Epcot Orlando.
DisneyWorld Orlando: Disney’s Hollywood Studios
In origine, Disney’s Hollywood Studios aveva un altro nome un po’ meno d’effetto: DisneyMGM Studios. Fu questo il nome con cui, nel 1989, fu battezzato il parco divertimenti di DisneyWorld interamente dedicato al mondo del cinema. Nel 2008, l’organizzazione ha deciso di modificare il nome, dopo che già dal 1994 si erano susseguiti numerosi lavori finalizzati alla riqualificazione del parco, ritenuto al tempo incapace di rivaleggiare con gli altri 3, anche a motivo delle sue dimensioni ridotte.

Molti di voi, guardando la mappa di DisneyWorld, si saranno chiesti cosa c’entri Hollywood con Disney e sopratutto con la Florida… è presto detto: come accennato, questo parco a tema è dedicato ai capolavori dei film targati Disney. Certo, anche gli altri parchi lo sono, ma qui il vero protagonista è proprio il cinema come espressione artistica. Il parco è diviso in 8 sezioni: Hollywood Boulevard, Echo Lake, Sunset Boulevard, Streets of America, Commissary Lane, Pixar Place, Mickey Avenue e Animation Courtyard.
Le attrazioni migliori
Il parco, che appare come una sorta di gigantesco set cinematografico, ospita alcune ride e attrazioni particolarmente indicate a chi ricerca una bella scarica di adrenalina. Ma non c’è solo questo: non mancano gli spettacoli a tema, e sono tra i più emozionanti di tutta DisneyWorld. Noi vi consigliamo:
• l’inquietante The Twilight Zone Tower of Terror, una sorta di ascensore che vi farà provare la terribile sensazione di cadere nel vuoto:
• Toy Story Midway Mania: qui parlo per passione, in quanto fan della prima ora di Toy Story. Questa attrazione interattiva fa la gioia di grandi e piccini.
• se avete un debole per gli effetti speciali dei film d’azione, non perdetevi Lights, Motors, Action! Extreme Stunt Show, uno spettacolo istruttivo e ben fatto dedicato al mondo degli stuntman.
• di questi tempi imperversa la febbre di Star Wars. Se siete dei fan della saga di Lucas e avete in programma una visita a Disney Hollywood, segnatevi subito lo Star Tours – The Adventures Continue, un’esperienza 3D che farà la gioia di tutti gli appassionati di Star Wars.

Ma oltre al mondo Disney c’è ben altro. Il famoso parco a tema Harry Potter di Orlando all’interno dei mastodontici Universal Orlando, interamente dedicati al cinema, il Sea World, il parco acquatico più grande degli Stati Uniti, in cui si può nuotare con i delfini, oltre che per il Kennedy Space Center (a un’oretta di macchina dalla città).
Kennedy Space Center e Cape Canaveral:
Se avete sempre sognato di diventare astronauti e siete patiti di shuttle e missioni spaziali, i posti che dovete assolutamente visitare negli Stati Uniti sono due: il Johnson Space Center di Houston, in Texas, e il Kennedy Space Center di Cape Canaveral, in Florida. Questo lembo di terra affacciato sull’Oceano Atlantico è conosciuto come Space Coast, perché è da qui che le navicelle spaziali prendono il volo per scoprire i segreti interestellari.

La contea di Brevard
Il centro spaziale della Nasa si trova nella Contea di Brevard, che occupa il settore costiero della Florida centrale, ad est di Orlando. Se vi recate in visita al centro della Nasa, avrete l’occasione anche di vedere qualcosa nei dintorni. Il capoluogo della contea è Titusville, un cittadina sul fiume Indian importante per i suoi siti storici e musei. Lo stesso vale per Melbourne, la città dove nel 1513 sbarcò Juan Ponce de Leon, il primo esploratore della Florida. Di fronte a Melbourne, sulla sottile striscia di terra collegata da un ponte, fate un salto a Coconut Point Park, dove avrete l’occasione di vedere le tartarughe marine nel santuario a loro dedicato.
Cocoa Beach, fra Melbourne e Cape Canaveral, è il luogo ideale per osservare i lanci spaziali, ma dato che questo non avviene certo quotidianamente, ci devono essere altri motivi per andarci. Il principale è il surf: l’ottima posizione per le onde attira ogni anno numerosi surfisti e non è un caso se proprio qui si trova il museo East Coast Surfing Hall of Fame, dedicato proprio a questo sport.
Qui nel periodo pasquale si svolge l’Easter Surfing Festival, un grande evento dove il surf è il protagonista e che attira non solo surfisti, ma anche tante persone che semplicemente amano guardare chi cavalca le onde o si vogliono intrattenere con gli eventi collaterali. Nel centro di Cocoa, infine, fate due passi nell’Historic Cocoa Village, il vivace quartiere storico con strade alberate, ricco di ristoranti e negozietti.
Kennedy Space Center
Il Kennedy Space Center è senza dubbio la principale attrazione della zona, oltre ad essere uno dei più importanti centri spaziali a livello mondiale. Si trova su Merritt Island, una lingua di terra che ospita anche una riserva naturale dove la protagonista è l’aquila calva, simbolo degli Stati Uniti d’America, che condivide il wildlife refuge con alligatori, tartarughe marine, linci rosse, pantere della Florida e diverse specie di uccelli come ibis, cicogne e pellicani.
Prima di arrivare al Visitor Center dello Space Center, potete fare tappa a Titusville, dove vedrete lo US Space Walk of Fame & Museum. Qui avrete la testimonianza, con targhe e monumenti siti in un grande spazio all’aperto, di alcuni dei più importanti programmi spaziali, come Mercury, Apollo, Gemini e Space. All’interno del museo, invece, foto ed oggetti delle missioni spaziali vi aiuteranno a conoscerle meglio.
Kennedy Space CenterIl grande logo della NASA vi darà il benvenuto arrivando al Visitor Center, dove comincia la vera e propria visita. Si comincia dal Rocket Garden: il giardino dove sono esposti i razzi delle missioni Mercury, Gemini e Apollo. Entrando nell’edificio, ci si immerge nel contesto spaziale e si può entrare dentro allo shuttle Atlantis: un gigante dei cieli che per oltre un ventennio ha fatto la storia dell’esplorazione spaziale.

La visita interattiva prosegue con Module, un modulo lunare a grandezza naturale, e con una serie di esperienze che vi faranno sentire dei veri astronauti. Ci sono il mini corso per imparare a pilotare una navicella spaziale e l’esplorazione della stazione spaziale, il simulatore del lancio dello shuttle e quello dell’esplorazione del sistema solare. Con Eyes on theUniverse comprenderete un po’
meglio l’origine dell’universo e con il telescopio spaziale resterete affascinati da cosa si può osservare grazie a delle lenti.

Durante la visita è anche possibile assistere a due spettacoli: il primo è un film in 3D proiettato nel suggestivo ed enorme schermo IMAX, dove vi sentirete completamente immersi nello spazio profondo. Il secondo, chiamato Meet an astronaut, è uno show teatrale dove avrete l’occasione di incontrare dal vivo un’astronauta rivolgendogli ogni domanda che vi verrà in mente. Fra le cose più interessanti del tour, c’è il razzo Saturno V, ospitato in un hangar enorme. Questo è il razzo che ha portato sulla Luna 12 astronauti, fra cui Neil Armstrong: il primo uomo ad aver messo piede sul satellite il 20 luglio 1969. Anche il LEM (Lunar Excursion Module) da cui è sceso Armstrong, è visitabile.

Infine, la US Astronaut Hall of Fame è il luogo in cui gli astronauti vengono ricordati ed onorati, mentre nello Space Mirror e nel Forever Remembered vengono commemorati nello specifico i caduti in missione. E se vi viene fame durante il tour, quale occasione migliore del Lunch with an astronaut? Avrete a disposizione un ricco buffet e condividerete il tavolo con un astronauta che vi racconta le sue esperienze di lavoro nello spazio. In ogni caso le opportunità di mangiare qualcosa sono varie: c’è anche la possibilità di prendere un panino o fare un pasto frugale al bar.

Miami
Nell’immaginario comune, Miami viene considerata la meta simbolo di tutta la Florida. L’errore più comune è in effetti proprio quello di considerare Miami solo come un posto da turisti in ciabatte e telo da mare che passano la giornata sulla spiaggia prima di andare a far serata nei locali modaioli sul lungomare. Ok, è vero: grazie alla presenza di spiagge incantevoli diverse tra loro e disseminate in vari punti della città, Miami ha una ricchissima offerta turistica mirata all’attività balneare e alla vita notturna, di cui è senza dubbio tra le capitali mondiali.

Tuttavia, non bisogna dimenticare che questa grande città del sud della Florida è in grado di rispondere alle esigenze di tutti i viaggiatori. Basti pensare a South Beach, che più che un quartiere è una “cittadina nella città” caratterizzata da sconfinate spiagge di sabbia bianca e acque cristalline: il lungomare di Ocean Drive è però anche un affascinante museo a cielo aperto di edifici storici in stile Art Déco, un tesoro che arricchisce considerevolmente la visita. Oltre a South Beach, poi, c’è molto di più: i quartieri di classe di Coral Gables e Coconut Grove, la labirintica verticalità contemporanea di Brickell e Downtown, il cuore cubano di Little Havana, la vitalità artistica di Wynwood, la bellezza selvaggia di Key Biscayne…
I quartieri citati rappresentano i tanti volti della città e richiedono tempo e adeguata preparazione per essere scoperti e vissuti a pieno
Miami Beach

Cominciamo con il lato modaiolo e turistico della città: Miami Beach. Con Miami Beach si intende la “cittadina nella città” che occupa la striscia di terra stretta e lunga che si distende fra la baia di Biscayne e l’oceano atlantico, di fronte a Miami Downtown e a tutta l’area di North Miami. Miami Beach è divisa a sua volta in South Beach, Central Beach e North Beach; tuttavia, per principale interesse turistico, generalmente con Miami Beach si intende soprattutto South Beach.
South Beach: Ocean Drive e l’Art Déco District

South Beach, il quartiere della città che va dalla 24th St in giù fino alla punta meridionale, ha attirato l’attenzione di tutti a partire dagli anni Venti quando – dopo il devastante uragano del 1926 (Great Miami Hurricane) – da zona agricola in difficoltà, grazie a un lungimirante e geniale progetto urbano, venne trasformata in un distretto raffinato in stile subtropicale puntellato di palme e ricco di alberghi, musei ed eleganti edifici in stile Art Déco: l’omonimo distretto (Art Déco Historic District) dà il meglio di sé sul lungomare di Ocean Drive e nella parallela Collins Avenue, ma girovagando è possibile vedere richiami di questo stile anche nelle strade secondarie.
Española Way
Española Way è un’oasi iberica in questa schiera di edifici in stile liberty, e rappresenta una curiosa deviazione da fare per vedere qualche esempio di stile Mediterranean Revival.

Proprio lungo l’affascinante litorale di Ocean Drive – all’ombra delle palme del Lummus Park e sulla sabbia bianca delle spiagge – si consuma la vita balneare della città, attiva 365 giorni all’anno. Quando scende la sera, tutti si spostano nei locali e nelle discoteche della zona, sempre piene di gente giovane che ha voglia di divertirsi e fare nottata.

Central Beach e North Beach
Central Beach e North Beach sono meno appariscenti di South Beach, ma sono comunque abbastanza frequentate. Pur essendo cambiate nel tempo, le due aree urbane riescono a tutelare la prestigiosa eredità degli anni Cinquanta, quando erano i fiori all’occhiello della città per i lussuosi hotel e i resort fronte mare, paradiso per i benestanti e per i vip in cerca di bella vita. Per quanto oggi non riescano ad attrarre i turisti come un tempo, oltre a un suggestivo lungomare (Miami Beach Boardwalk), conservano alcuni notevoli edifici in stile MiMo, una tendenza architettonica in voga nella seconda metà del secolo scorso.
Le spiagge di Miami Beach sono un vero spettacolo: l’ampio litorale di sabbia bianca, gli iconici casottini colorati dei bagnini, l’acqua limpida e cristallina, il lungomare ombroso di Lummus Park dove sfilano e si fanno fotografare bellissime ragazze e fusti muscolosi… sembra davvero di essere in un film o in un video musicale! Dietro le palme poi, spiccano le luminose e vivaci facciate degli hotel storici, con le auto d’epoca strategicamente parcheggiate davanti per rendere completa l’esperienza del viaggio indietro nel tempo.
Lontano dai grattacieli di Miami ci sono poi le spiagge selvagge e i paradisi tropicali di Key
Biscayne, piccolo isolotto a sud di South Beach, di cui parlerò dopo. Infine, una perla incredibilmente poco conosciuta ai più: è il Matheson Hammock Park, una spiaggia artificiale a forma di atollo nella zona tra Coral Gables e South Miami. Rinvigorita dalle maree, coronata dalle palme e circondata da mangrovie e piante tropicali, questa perla nascosta si presenta come la scelta ideale per le famiglie e per chi vuole un po’ di pace.
Venetian Pool e Coral Gables

Immaginatevi, se ci riuscite, una favolosa piscina pubblica abbellita con edifici eleganti, graziosi ponticelli e elaborate rifiniture in stile veneziano: nell’acqua turchese sgorgata dalla profonda sorgente naturale che nutre la piscina, si tuffano cascate e si aprono accoglienti grotte di roccia corallina ombreggiate dalle palme che si innalzano dalle isolette circostanti. Questo posto non è un sogno. Esiste: è la Venetian Pool, probabilmente l’attrazione più famosa e rappresentativa di Coral Gables, un quartiere che non può che essere definito come una geniale invenzione urbana dell’architetto George Merrick.
Negli anni Venti, Merrick trasformò con importanti investimenti un vasto terreno di pinete ed agrumeti di circa 12 km² in uno dei più esclusivi e prestigiosi quartieri di Miami: girando in auto in questo labirinto di vie dai nomi andalusi e italiani si possono scorgere preziosi palazzi e raffinate residenze in stile Revival Mediterraneo (e non è l’unico) che sonnecchiano tranquille all’ombra dei baniani, maestosi alberi che – con i loro tronchi intrecciati e l’inconfondibile fogliame – si chinano dolcemente sulla strada accompagnando il lento passaggio delle auto.
Villa Vizcaya e Coconut Grove
Forse fra le cose da fare a Miami non vi sareste mai aspettati un’attrazione di questo tipo, invece questa città è davvero in grado di sorprendere. Nel lontano 1914, James Deering, un eccentrico magnate di Chicago, spese ben 15 milioni di dollari per far costruire nell’area costiera di Coconut Grove (a sud di Downtown) una sontuosa villa rinascimentale affacciata sull’oceano in mezzo alla foresta tropicale. L’idea era quella che, grazie alle sembianze antiche e all’impressionante cura dei particolari degli interni e del parco attiguo, la sontuosa Villa Vizcaya desse l’impressione di essere abitata da almeno 400 anni.
Il risultato che ne conseguì fu un eccentrico ma elegantissimo palazzo cha evidenzia influenze barocche, rinascimentali, rococò e neoclassiche. All’interno delle numerose stanze di questa piccola reggia – che si sviluppano su due piani intorno a un cortile in stile italiano arricchito da una lussureggiante vegetazione tropicale – troverete un’ambiziosa collezione di suppellettili, arredamenti e opere d’arte (alcune originali, altre ricostruite), mentre all’esterno è fantastico perdersi tra i vialetti dei bellissimi giardini della villa, abbelliti da un orchidarium, elaborate fontane guizzanti, terrazze panoramiche, sculture decorative e, non ultimo, il grandioso vascello di marmo che è chiamato a difendere la villa dai flutti del mare.
Trovate Villa Vizcaya al numero 3251 S Miami Ave, nella parte nord di Coconut Grove, un quartiere residenziale di dimensioni più ridotte rispetto a Coral Gables. Villa Vizcaya non è l’unica attrazione di Coconut Grove: nella sua parte meridionale, il quartiere si distingue per il carattere esclusivo delle ricche case private nascoste nel verde e delle residenze storiche affacciate sul mare (Barnacle Historic State Park), e per la presenza di rigogliosi giardini tropicali (Kampong Garden) nonché di un piccolo porto.
Wynwood Arts District
Se vi siete fatti un’idea di Miami leggendo i paragrafi precedenti, il piccolo quartiere di Wynwood (se così si può chiamare) è qui proprio per capovolgerla! Situato a nord di Downtown, Wynwood è famoso per i suoi bellissimi murales, espressione di una vitalità artistica che negli ultimi anni si è rivelata così vivace ed efficace da trasformare un quartiere industriale senza pretese in una bellissima mostra a cielo aperto dedicata alla street art.

Qui si respira nell’aria un autentico spirito underground: non ci sono scintillanti grattacieli o spiagge da sogno, bensì edifici bassi e capannoni industriali affrescati da enormi murales, locali e bar per giovani ed artisti, ristoranti ricercati e negozi non convenzionali. Si può concentrare la propria visita nello spazio delimitato dei Wynwood Walls – dove vengono esposti e venduti a caro prezzo lavori di artisti di strada di fama internazionale – oppure aggirarsi (con le dovute cautele, per quanto non sia una zona pericolosa) per le vie circostanti, alla ricerca degli altri graffiti, moltiplicatisi spontaneamente in tutta la zona.
Little Havana
Miami è piena in tutti i suoi quartieri di gente sudamericana, generalmente ben integrata. Si parla lo spagnolo quasi quanto l’inglese, ci sono venezuelani, haitiani, argentini, colombiani e chi più ne ha più ne metta. Tuttavia l’”enclave” più importante di Miami, per ben noti motivi storici di natura socio-politica, è proprio quella cubana. Little Havana ne è il cuore pulsante, e più precisamente il breve tratto di Calle Ocho (SW 8th St) che va dalla 12th Ave alla 19th Ave: una breve passeggiata qui ci proietta letteralmente in un altro mondo, tra ristoranti tipici (occhio ai prezzi dei cocktail: non appena vedono un turista i cubani si adeguano facilmente ai prezzi alti di Miami!) e locali dove si suona musica cubana sin dal primo pomeriggio, piccoli circoli dove anziani dalla faccia scavata giocano a scacchi e domino, negozi di sigari e rivendite di frutta esotica dove si parla rigorosamente spagnolo.
Non tutto però è gioioso e spensierato in questo quartiere: c’è spazio anche per il silenzio e la commozione dinanzi ai monumenti del Cuban Memorial Boulevard Park, dove si ricordano gli eventi e gli eroi dell’indipendenza cubana e il drammatico esito dell’invasione della Baia dei Porci (1961). Lungo la strada principale si trova poi la Calle Ocho Walk of Fame che, sulla falsariga di Hollywood Boulevard, rende omaggio a importanti personalità cubane e latinoamericane.
Downtown e Brickell
Grazie al suo appariscente skyline, Downtown Miami suscita subito la curiosità di chiunque arrivi in città per la prima volta. La curiosità viene appagata quando si sale sul Metromover, una sorta di piccolo trenino sopraelevato gratuito che dà la possibilità di aggirarsi tra i grattacieli che svettano sulla baia di Biscayne: un’esperienza che difficilmente può lasciare indifferenti.
Tuttavia, quando poi si scende dal Metromover e ci si inoltra nella Downtown si rimane un po’ delusi: al di là di qualche museo, dei centri di arte e spettacolo e dei palazzetti indicati nel nostro articolo su Downtown, la zona centrale di Miami risulta in realtà un po’ trascurata e priva di reale interesse per il visitatore. Inoltre, all’estremo opposto, si presenta eccessivamente turistica, specialmente nella zona del Bayside Marketplace, un affollato centro commerciale affacciato sul mare.
La situazione migliora decisamente quando si attraversa il Miami River verso sud: Brickell è un quartiere abbastanza circoscritto dove svettano hotel, condomini lussuosi e grattacieli nei quali lavorano i banchieri e i finanzieri di successo di Miami. Al livello della strada, i comuni mortali possono godere di una gradevole vita diurna e notturna, fatta di pub, negozi di classe, centri commerciali e ristoranti accoglienti.
Key Biscayne e Virginia Key
L’isola di Key Biscayne si affaccia proprio davanti a Brickell, a circa 7 km dalla terraferma: per accedervi occorre percorrere una gradevole strada a pedaggio sul mare, la Rickenbacker Causeway, che offre un bel panorama sullo skyline. Key Biscayne, purtroppo, non si distingue per motivi architettonici, invasa com’è da lussuosi ma anonimi resort dove si svolge prevalentemente un turismo benestante. Però, c’è dell’altro: questo è il posto giusto dove cercare splendide spiagge meno affollate e caotiche di South Beach. Mi riferisco soprattutto alla stupenda e incontaminata spiaggia del Bill Baggs Cape Florida State Recreation Area, all’ombra del faro storico, che compete con Crandon Park Beach, altro paradiso tropicale dell’isola, trapuntato di palme e adatto a lunghe giornate di sole, mare e barbecue. Occhio: Key Biscayne è piena di iguane… gli ofidiofobici sono avvertiti!
Poco prima di arrivare a Key Biscayne, tramite una deviazione dalla Rickenbacker Causeway, si raggiunge una spiaggia nascosta nella vegetazione di un’isola ancora più incontaminata: la Virginia Key Beach Park.
Altre attrazioni
• Pérez Art Museum Miami: con una collezione di circa 2000 opere d’arte contemporanea che spaziano soprattutto fra artisti americani, europei e africani del secolo XIX e XX, questo museo si candida come il più importante della città e non solo per la sua nutrita esposizione di capolavori, ma anche per la costruzione stessa dell’edificio, che è in sé un’opera d’arte.
• The Bass: un altro interessante museo di arte contemporanea, ospitato in un edificio Art Deco degli anni ’30 che ospitava un tempo la biblioteca pubblica cittadina. Il nome deriva dai suoi principali benefattori, John e Johanna Bass, che donarono la loro collezione privata dando così via alla storia del museo.
• HistoryMiami: precedentemente chiamato Historical Museum of Southern Florida, qui potrete apprendere la storia della Florida del Sud, intesa come la regione dell’area metropolitana di Miami, delle Florida Keys e delle Everglades.
• Paradox Museum: volete provare l’ebrezza di camminare sul soffitto, vedere le cose a testa in giù, sollevare enormi pesi, cenare con voi stessi o molte altre esperienze che sfidano le leggi della fisica? Il museo del paradosso nel quartiere di Wynwood è allora proprio quello che vi ci vuole
• Phillip & Patricia Frost Museum of Science: il museo della scienza di Miami ospita varie installazioni e mostre interattive, e dispone anche di un suggestivo acquario di oltre
1.900.000 litri e di un grande planetario con emozionanti proiezioni dell’universo.
• Gold Coast Railroad Museum: se siete in cerca di musei particolari questo museo sui treni può offrirvi un’esperienza interessante, dandovi l’opportunità di ammirare esemplari storici e fare un giro su un convoglio.
• Superblue: un museo non convenzionale, un vero e proprio centro di arte esperienziale in cui il visitatore può “toccare con mano” le opere d’arte contemporanea e connettersi con esse.
• Wings Over Miami: un museo dedicato alla storia dell’aviazione sia civile che militare con numerosi aerei storici in esposizione.
Parchi di Miami
• Miami Seaquarium: si tratta di uno dei primi parchi acquatici creati negli Stati Uniti. Qui potrete ammirare delfini, squali, tartarughe marine, orche e molte altre specie marine, nonché godervi spettacoli, esibizioni e programmi educativi sulla salvaguardia della fauna marina.
• Jungle Island: non si tratta semplicemente di uno zoo ma di un vero e proprio parco a tema a sfondo tropicale, con la possibilità di interagire con gli animali e fare numerose altre esperienze particolari.
• Fairchild Tropical Botanic Garden: questo giardino botanico di 34 ettari mette in mostra un ampio assortimento di rare piante tropicali, con lo scopo di preservare la biodiversità. Per raggiungerlo dovrete muovervi in direzione di Coral Gables, a pochi minuti dal già citato Matheson Hammock Park.
Fare shopping a Miami
Non dimenticate lo shopping! Come già anticipato, a Miami avrete l’imbarazzo della scelta, vista l’ampia disponibilità di negozi di ogni tipo e per ogni tasca! Certamente gli appassionati vorranno fare qualche acquisto in uno degli oltre 100 locali del Bayside Marketplace, in Downtown, ma non è l’unica zona commerciale in cui fare shopping. A South Beach merita una visita il Lincoln Road, un tempo definita la “Fifth Avenue del Sud”, a cui oggi fa concorrenza il Design District (vedi sopra). A Coconut Grove è degno di nota il piccolo CocoWalk, a Coral Gables ci si può aggirare tra le vetrine del Miracle Mile, un breve tratto di strada (SW 22th St) che interrompe la magica Banyan Line di Coral Way.
Miami, sulle tracce dei luoghi dei film e delle serie tv
Palme, clima tropicale e spanglish. A Miami è già arrivata l’estate. La città più importante della Florida racchiude dentro di sé spiagge bianche, vita notturna, edifici d’art decò e presenta durante tutto l’anno importanti eventi culturali. Ma, dopo Los Angeles e New York, è anche la città dei film e delle serie tv. Attraverso le pellicole andiamo alla scoperta di questa incredibile città.
1. Scopri il set cinematografico più bello
La Contea di Miami-Dade è una località spesso utilizzata per le riprese grazie alla diversità dei paesaggi e degli edifici. Infatti, qui c’è una particolare e bellissima luce naturale molto amata dai direttori della fotografia. Il giallo del sole, il blu del mare, il verde degli alberi e le luci di iconici scenari urbani, creano un set cinematografico perfetto.
2. Sulle tracce di Miami Vice
Se ti ricordi di Don Johnson nel ruolo del detective James Crockett nell’iconica serie televisiva Miami Vice, sei nel posto giusto. Per la città puoi andare alla scoperta dei viali che facevano da sfondo al telefilm, indossando una t-shirt sotto la giacca, come il protagonista della serie tv. In effetti, lo stile di Crockett ha avuto un enorme impatto sulla moda maschile e le auto che guidava hanno caratterizzato un’epoca. Il successo della serie ha spinto i produttori a realizzarne un film (Miami Vice) e successivamente è stata girata un’altra serie televisiva, ispirata all’originale: CSI:
Miami, che racconta la storia del detective Horatio Caine e della sua squadra.
3. Al Casinò come 007
Uno dei film dell’iconica spia 007 è stata girata proprio a Miami: Casinò Royale. Questo film è stato girato nell’area più ludica della città, al casinò e all’aeroporto. E se ti piacciono i polizieschi, forse non sai che l’iconico film comico “Scuola di polizia” del 1984, che racconta le avventure di aspiranti poliziotti, è stato girato proprio a Miami Beach.
4. A Miami tra bodyguard e Whitney Houston
Miami è anche il set del film The Bodyguard, uno delle pellicole più iconiche degli anni novanta che ha consacrato il mito di Whitney Houston nel ruolo di Rachel Marron, che si esibisce in I Have Nothing durante l’esclusivo concerto al Fontainebleau Miami Beach.
5. Nel segno dell’Art Deco
I colori di questa città della Florida sono unici. Come anche le sue architetture. La commedia “The Birdcage (conosciuta in Italia come “Piume di struzzo”) ha avuto come scenografia un arcobaleno di edifici dai toni pastello dell’Art Deco District.
6. Delfini da film
Miami ha da sempre un cuore ecologista. Non a caso proprio lungo la sua costa è stata girata la famosa serie televisiva “Flipper”, la storia di un delfino che è stato salvato da un uomo e dalla sua famiglia e che ora vive con loro e li aiuta a proteggere la loro riserva.
Le location del telefilm Dexter
Il condominio con l’appartamento di Dexter si trova al Bay Harbor Club, al 1155 103rd Street, a Bay Harbor Island, Miami Beach. Dopo aver girato alcune scene originali nell’appartamento 10 b al secondo piano, i produttori hanno costruito una replica all’interno dei Sunset Gower Studios di Hollywood che includeva anche il panorama circostante e lì son proseguite le riprese.
Ad oggi per tutelare la privacy dei residenti è però impossibile avvicinarsi troppo.
Al 9300 Northwest 41st Street si trova ancora oggi la stazione di polizia della metropolitana di Miami.
La casa di Dexter e Rita, quella di Rita, quella d’infanzia di Dexter, la casa nella spiaggia di Deb, di Angel Batista, di Maria LaGuerta, di ElPrado, di Trinity e addirittura la capanna nelle Everglades si trovano tutte in California, per la maggior parte a Long Beach.
Location di American Crime Story Versace
Villa Casa Casuarina – Ex Versace Mansion – Miami Ocean Dr – location di film ambientati in America
Villa Casa Casuarina – Ex Versace Mansion – Miami
Anche la serie American Crime Story Versace è stata in parte girata proprio in alcuni luoghi che hanno fatto da testimoni alla vera vita dello stilista.
Ma attenzione: come già detto, una buona parte delle riprese ha coinvolto anche Los Angeles.
Una location inconfondibile a Miami è sicuramente la villa di Versace, che acquistò nel 1992 per viverci fino alla morte, che lo sorprese proprio nei gradini d’ingresso.
La ex “Versace Mansion”, oggi è diventata un boutique hotel, The Villa Casa Casuarina e si trova al 1116 Ocean Dr.
Mangiare bene a Miami è davvero semplice: grazie alla varietà di proposte e ristoranti, è possibile provare le specialità gastronomiche di tutto il mondo. Ma cosa vale davvero la pena provare e quali sono i ristoranti dove gustare la migliore cucina in città? Ecco qualche suggerimento.
Cosa mangiare a Miami: 5 specialità da assaggiare
• Stone Crabs – Un piatto stagionale che viene servito in tutti i ristoranti di pesce della Florida del Sud da ottobre a marzo, le chele di granchio sono una delle specialità più tipica di Miami. Imperdibili quelle servite da Joe’s Stone Crab, le migliori in città.
• Arepas – Una specialità latinoamericana che ha trovato casa a Miami. Si tratta di focaccine di mais farcite con pulled pork, formaggio fuso e avocado. Il ristorante La Latina è ampiamente considerato quello che prepara le migliori arepas di Miami.
• Fish Sandwich – Il panino di cernia è un’altra delle specialità tipiche di Miami e della Florida. I migliori in città sono quelli di Garcia’s Seafood Grille & Fish.
• Cuban Sandwich – Come suggerisce il nome, gli esuli cubani lo hanno portato a Miami, dove è diventato un piatto molto popolare. È un gustoso panino di pane cubano farcito con prosciutto, maiale arrosto, formaggio svizzero, sottaceti, senape e salame. Da provare quello di Enriqueta’s Sandwich Shop.
• Key Lime Pie – Tipico della Florida ed in particolare di Miami, si tratta di un dessert delizioso a base di crema di latte condensato e lime su una base di biscotti. Da provare quella di Icebox Cafe.
Key Lime Pie: la ricetta della torta ufficiale della Florida
L’aroma agrumato del lime ci porta la mente ai cocktail estivi e alle spiagge caraibiche. Ed è proprio dalle spiagge assolate che ha origine questa gustosa torta rinfrescante, in particolare dalle Isole Keys, uno dei luoghi più incantevoli della Florida, che danno anche il nome alla ricetta.

Dal caldo stato degli USA meridionali, fino alla nostra tavola, la Key Lime Pie è un dessert che per la sua freschezza si rivela perfetto per concludere un pasto estivo, magari all’aria aperta. Ma non avendo bisogno di ingredienti particolarmente difficili da trovare, può benissimo essere preparato in qualunque momento dell’anno.
Inoltre, se avete in casa tutti gli ingredienti e vi manca soltanto il lime, potete pur sempre sostituirlo con il classico limone. Certo, il sapore non sarà proprio identico, ma sfornerete comunque una deliziosa torta al limone
La ricetta in breve
Ingredienti e Dosi
Base
• 125 gr Biscotti tipo “Digestive”
• 15 gr Zucchero
• 70 gr Burro
Farcitura
• 3 Tuorli d’uovo
• 400 gr latte condensato
• 4 gr scorza di lime
• 120 ml succo di lime
Guarnizione
• 240 ml panna da montare intera
• 15 gr zucchero
• 2 gr estratto di vaniglia
Preparazione e Procedimento
Base
1. Preriscaldate il forno a 180° ed imburrate una tortiera, nella quale dovrete mettere la base del dolce quando sarà pronta. Nel frattempo, fate fondere il burro.
2. Prendete i biscotti Digestive (o similari) e sbriciolateli all’interno di una ciotola. Aggiungete lo zucchero ed il burro fuso, mescolando bene con un cucchiaio per far impregnare con il burro le briciole di biscotti.
3. Mettete il composto dentro alla tortiera e premete bene sul fondo e ai lati, per far compattare la base e farla aderire ai bordi della tortiera. Poi mettete il tutto a riposare per 10-15 minuti in frigorifero.
farcitura
1. Mettete in una ciotola i tuorli d’uovo ed il latte condensato, sbattendoli con la frusta elettrica ad alta velocità per circa 5 minuti: fino a che non otterrete una spuma.
2. NB: se avete una planetaria, potete usare quella per questa preparazione. Se non avete né una planetaria né la frusta elettrica, potete utilizzare la frusta a mano, ma potrà essere necessario più tempo per raggiungere la giusta consistenza spumosa.
3. Aggiungete sia il succo di lime, sia la scorza e date una mescolata rapida. Poi versate il tutto sopra la base della torta e con un cucchiaio distribuite il composto in maniera uniforme.
4. Infornate per 15 minuti. Potrebbe essere necessario qualche minuto in più o in meno, a seconda del forno: controllate che il composto sia rassodato. Sfornate e mettete a raffreddare. Quando la torta avrà raggiunto la temperatura ambiente, copritela e mettetela in frigorifero: se è possibile tenetela in frigorifero per alcune ore, anche una notte intera, prima di consumarla.
Guarnizione
1. Mettete in una ciotola la panna da montare, lo zucchero e l’estratto di vaniglia. Sbattete con la frusta elettrica (o a vostra discrezione utilizzate la frusta manuale o la planetaria) fino a far montare la panna.
2. Decorate la torta con la panna. Potete utilizzare una sac a poche per creare delle decorazioni, oppure creare uno strato uniforme spalmandola con un cucchiaio. Potete anche mettere alcune sottili fette di lime come decorazione finale sopra alla panna.
3. Un consiglio è quello di preparare la torta con un giorno d’anticipo, lasciarla riposare in frigorifero tutta la notte e poi decorarla con la panna montata prima di servirla a tavola.
4.
Dove mangiare a Miami:
• Nobu Miami – Il luogo ideale per coloro che desiderano gustare un ottima cucina giapponese fusion, con influenze dal Perù e dall’Argentina. Si trova nell’ultra-trendy Shore Club ed è considerato uno dei ristoranti più cool a Miami. In cucina c’è il famoso Chef Matsuhisa.
• Michy’s – Fuori dai circuiti più trendy di Miami, è un posto accogliente che offre un eclettico mix di piatti americani e francesi contemporanei davvero eccellente, senza alcun tentativo di essere pretenzioso, e con un servizio impeccabile.
• Azul – Un ristorante che offre una delle location più belle di Miami, sia per gli interni che per le spettacolari viste sulle baia. A questo si unisce un menu che fonde perfettamente i sapori mediterranei con influenze della cucina asiatica.
• Taquiza – Questo ristorante sul lungomare di North Beach offre tacos tradizionali serviti con tortillas di mais blu fatte a mano, così buone che forniscono metà dei ristoranti della città.
• Pinch Kitchen – Questo accogliente locale serve piatti eccellenti, preparati dagli executive chef John Gallo e Rene Reyes, due nomi importanti nel mondo dei ristoranti di Miami. Il menu offre classici americani in un’atmosfera semplice e a prezzi ragionevoli.
• Café La Trova – Un ristorante che trasporta nella Cuba pre-rivoluzionaria, tra cocktail freschissimi e i classici della cucina cubana preparati dallo chef Michelle Bernstein come le empanadas di mais e pollo, le croquetas alla paella e la vaca frita con anice stellato e cannella. Immancabile il sottofondo musicale di una band cubana.
• Mignonette – Una rivisitazione moderna del classico ristorante di pesce di Miami. Serve ostriche freschissime e tantissimi altri piatti a base di pesce e frutti di mare, ma anche piatti di carne e verdure.
Everglades National Park
Si tratta di una magnifica riserva naturale all’estremità meridionale della Florida, non molto distante dalle Florida Keys e da Miami. È la più vasta regione subtropicale degli Stati Uniti ed è anche patrimonio mondiale dell’UNESCO. Se avete già visitato qualche parco nazionale americano del West (o dell‘East Coast) e credete di esservi già fatti un’idea abbastanza ampia del quadro naturalistico della nazione, sappiate che Everglades rappresenterà per voi un’assoluta novità. Non c’è niente come Everglades negli USA: il parco nazionale in questione fa parte infatti della più grande riserva naturale (o eco-regione) di tipo subtropicale in tutto il territorio degli Stati Uniti.

Niente canyon qua, niente montagne, niente scogliere a picco sul mare, niente deserti, ma un ecosistema caratterizzato da pianeggianti distese di falaschi a perdita d’occhio (in inglese sawgrass, che va a formare il cosiddetto sea o river of grass), canali e acquitrini sulla cui superficie spuntano isolotti (hammock) di mangrovie, boschi di salici, pini della Florida, cipressi nani, palme e palmetti, querce invase dalle felci rampicanti, gumbo limbo e molte altre specie arboree autoctone e alloctone.
In questo habitat proliferano gli alligatori e i coccodrili, gli inquilini del regno animale per cui il parco è celebre. Ma non sono certo gli unici: il delicato ecosistema di Everglades National Park è la casa di molti pesci, rettili (serpenti, tartarughe, iguane), mammiferi (pantere della Florida, lontre di fiume, lamantini, conigli delle paludi, linci rosse ecc.), uccelli (cicogne, ibis, pellicani, aironi, aninghe, falchi pescatori).

In particolare, Everglades è proprio un paradiso per il birdwatching, ma anche i meno esperti possono vedere volatili un po’ ovunque davvero insoliti. Il più fastidioso è però la zanzara, che però può essere evitata nei periodo dell’anno in cui il clima è meno umido.
Florida Keys
Non molti lo sanno, ma nel profondo sud della Florida si trova un’area idilliaca, con spiagge di sabbia bianca, acqua trasparente, barriere coralline, riserve naturali protette e una cucina tipica da leccarsi i baffi. La zona ideale per bagni rinfrescanti e attività acquatiche di ogni tipo.
Tutto questo sono le Florida Keys, un infinito arcipelago di isole che si distendono per 160 km fra l’Oceano Atlantico e il Golfo del Messico, il tutto unificato da una strada panoramica mozzafiato, la Overseas Highway (US-1),
che vi permette di esplorare queste meravigliose isole con una facilità sconcertante. La strada non solo è l’unica via per arrivare a Key West, il punto più a sud degli Stati Uniti continentali, ma è anche una piacevole occasione, soprattutto nel tratto più a sud, per ammirare scorci panoramici sul mare e scattare qualche foto alla vecchia ferrovia dismessa che un tempo arrivava fino a Key West.
Lasciamoci allora alle spalle le spiagge di Miami e il divertimento dei parchi di Orlando, è l’ora di farsi toccare nel profondo dalla natura selvaggia e suadente delle Florida Keys.
Key West in Florida: cosa vedere nell’isola di Hemingway
Proseguendo a Sud si trova la leggendaria Key West, il punto terminale della Overseas Highway, la città più vivace e stimolante di tutte le Keys. Parcheggiate la macchina e passeggiate in centro, soprattutto a Duval Street, dove si respira quell’atmosfera sofisticata e inconfondibile che caratterizza nel profondo la cittadina. Alla sera trovate una buona posizione in Mallory Square, perché è qui che vedrete uno dei migliori tramonti della vostra vita

Famosa in tutto il mondo per i suoi incantevoli tramonti, Key West può vantare un’impressionante quantità di attrazioni in rapporto alle sue ridotte dimensioni e visitarla senza lasciarsi sfuggire qualcosa è un’impresa tutt’altro che scontata, soprattutto se intendete dedicarle solo 1 giorno. Inoltre, la sua vitalità rende il compito ancora più arduo: difficile passeggiare in Duval Street e dintorni senza fermarsi ogni volta a guardare una vetrina, entrare in una bottega o rimanere ammaliati dai numerosi musicisti che si esibiscono nei locali a partire dal primo pomeriggio.

Se c’è un posto che non manca di personalità questo è Key West, la cui vitalità e attitudine “anarchica” si avverte quasi nell’aria. Qui troverete tanta ospitalità, il desiderio di fermarsi a fare 4 chiacchiere e divertirsi insieme, ma anche la voglia di distinguersi. La storia di Key West, la Conch Republic, è abbastanza eloquente in proposito: in origine era un covo di pirati, che imperversarono fino all’annessione della Florida negli Stati Uniti. In seguito, le numerose navi che si schiantavano sulla barriera corallina produssero il business del wrecking, il recupero di cimeli e oggetti di valore dalle navi affondate, pratica che fece arricchire molti abitanti di Key West finché la costruzione dei fari risolse il problema dell’orientamento dei vascelli in mare. Altri business provenienti dal mare, come quello delle tartarughe marine e delle spugne, divennero poi risorse importanti per l’isola, insieme alla produzione di sigari, che si affermò soprattutto grazie all’immigrazione cubana.

I segni di tutti questi passaggi storici sono ancora ben evidenti a Key West e passeggiare lungo le sue vie è un po’ come fare un bel salto nel tempo ripercorrendo le tante fasi, anche drammatiche, che quest’isola ha attraversato. Ma forse niente più della fondazione della Conch Republic spiega lo spirito di questa stravagante cittadina. Nell’aprile del 1982 il governo degli Stati Uniti istituì un blocco al confine con le Keys, i cui abitanti erano sospettati di far entrare illegalmente i rifugiati cubani e di trafficare droga. Il 23 dello stesso mese il sindaco dichiarò la secessione dagli Stati Uniti dichiarando guerra a Washington e costituì la Conch Republic (Repubblica delle Conchiglie).
L’atto simbolico fu quello di spezzare del pane secco cubano in testa a un uomo in uniforme, arrendersi esattamente un minuto dopo e chiedere quindi indennizzi di guerra per un miliardo di dollari. Si trattò ovviamente di una trovata pubblicitaria (che fu replicata anche nel 1995, quando fu organizzato un “assalto navale” a bordo della nave storica Western Union, da cui furono lanciati palloncini ad acqua, conch fritters—strombi fritti, piatto tipico dell’isola—e tozzi di pane cubano), ma che spiega bene lo spirito ribelle degli abitanti di Key West, che da quel giorno hanno guadagnato il diritto di farsi chiamare conch e di celebrare ogni anno il Conch Republic Independence Celebration, che è in sostanza una buona scusa per far festa.

Dove mangiare a Key West
In città c’è moltissima scelta per quanto riguarda i ristoranti, inoltre siamo in un posto di mare e i pesci che vanno per la maggiore sono il dentice (snapper), la cernia (grouper) e la corifena (mahi mahi), uno dei piatti tipici è il conch fritter (strombi fritti, il mollusco che si trova all’interno della conchiglia) ma è un autentico delitto visitare Key West senza mangiare la Key Lime Pie, strepitosa, quella del Blue Heaven (729 Thomas St.) o in alternativa provate anche quella di Kermit’s Key West Key Lime Shoppe (200 Elizabeth St.).

Per quanto riguarda i locali da provare ne ho già segnalati diversi lungo l’itinerario, anche se non in tutti vale la pena di fermarsi. Quelli che vi consiglio di prendere in considerazione per mangiare sono:
• Blue Heaven (729 Thomas St.) nel Bahama Village
• Half Shell Raw Bar (231 Margaret St.) e B.O.’s Fish Wagon (801 Caroline St.) nell’Old Historic Seaport
• Hog’s Breath Saloon (400 Front St.) vicino a Mallory Square
• Café Marquesa (600 Fleming St.) se cercate un ristorante raffinato non lontano dalla St. Paul’s Episcopal Church
Per fare invece una semplice bevuta optate per:
• Capt. Tony’s Saloon (428 Greene St.), in zona Old Town, a 2 isolati da Mallory Square
• The Rhum Bar (1115 Duval St.) non lontano da Southernmostpoint
• Green Parrot Bar (601 Whitehead St.), non lontano dal Bahama Village • Hog’s Breath Saloon (400 Front St.) vicino a Mallory Square
Se volete risparmiare potete ripiegare sui numerosi cuban sandwich shops, che nel contesto dei costosi ristoranti di Key West possono rappresentare dei buon alleati. Io mi sono fermato da Frita’s Cuban Burgers (425 Southard St.), locale piacevole per l’atmosfera e la simpatia della proprietaria e il mio panino non era male. C’è poi molta scelta per quanto riguarda la cucina etnica: da Amigo Tortilla Bar (425Greene St.) la cucina è messicana e l’atmosfera è divertente e cordiale, mentre da El Meson de Pepe (410 Wall St.) la cucina è cubana, come la musica dal vivo. AMIGO TORTILLA BAR
Amigo Tortilla Bar
KERMIT’S KEY LIME SHOPPE
Kermit’s Key Lime Shoppe
Grazie dell’attenzione

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