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Guida di Napoli,Capri e Costiera Amalfitana


Napoli,Capri e Costiera Amalfitana

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Napule è mille culure | Napule è mille paure | Napule è a voce d’ ‘e criature | che saglie chiano chianu | e tu saje ca nun si sulo.

Pino Daniele

 

Napoli

Situata nell’omonimo golfo, Napoli, con i suoi 957.811 abitanti, è la terza città italiana per popolazione. La città, capoluogo della regione Campania, è famosa in tutto il mondo per le sue bellezze artistiche e naturalistiche, per il suo storico passato e per la vivacità dei suoi abitanti. Napoli presenta, infatti, un ricco patrimonio artistico ed architettonico, dichiarato nel 1995, insieme all’intero centro storico (il più vasto d’Europa), patrimonio dell’umanità dall’UNESCO, oltre a meravigliosi scorci, che ne vedono come sfondo il Vesuvio e le isole di Capri, Ischia e Procida.21-NapoliSfondoVesuvioImbrunire

 

Storia di Napoli

 

Questa sua magia ha addirittura origine nel mito: secondo gli antichi storici greci e romani, la nascita del borgo sarebbe da collegarsi alla leggenda della semidea marina Parthenope, che si lasciò morire per non essere riuscita, col canto, ad ammaliare Ulisse.

E’ certo, comunque, che, già prima della fondazione della città, tutto il litorale era stato colonizzato da genti greche provenienti dall’ Eubea e dalla  Calcidica.

Essi fondarono la città di Cuma e da qui partirono alla volta dell’attuale colle di Pizzofalcone, dove fondarono il primo nucleo della città di Napoli, esso prese il nome di Partenope, che nella tradizione fu associato a quello di una sirena che avrebbe avuto la sua dimora nella acque del golfo.

Tale sito fu poi distrutto e così, intorno al 470 a.C., fu ricostruita la nuova città,  che fu detta Neapolis, per distinguerla da quella vecchia; essa sorse ad oriente dell’area di fondazione della prima città.

Neapolis fu costruita secondo quello che, in seguito, è stato definito sistema ippodameo, perché creato dall’architetto greco, vissuto nel V sec. a.C. Ippodamo di Mileto: esso consiste in una rete di tre grandi strade parallele, dette, successivamente, con vocabolo latino decumani, intersecate ad angolo retto da altre vie, più strette, dette cardini. Presenti nell’attuale struttura urbanistica del centro antico di Napoli, i tre decumani sono le vie dell’Anticaglia (decumano superiore), dei Tribunali (decumano centrale) e San Biagio dei Librai (decumano inferiore).

Nel 340 a.C. i romani iniziarono la conquista del territorio campano e nel 328 a.C. scoppiò la guerra tra Napoli e Roma. Ben presto la città fu conquistata dai romani che, però, concessero agli sconfitti alcuni privilegi, come l’uso della lingua greca e la conservazione delle antiche magistrature.

La città divenne, poi, municipio romano e fu in questo periodo che l’aristocrazia romana iniziò a frequentare il golfo, costruendo splendide dimore, sia a Neapolis che in tutta la zona dei Campi Flegrei.

Caduto l’impero romano d’Occidente, l’imperatore d’Oriente Giustiniano, inviò a Napoli il suo generale Belisario per conquistarla; ma egli trovò un’accanita resistenza da parte dei napoletani. Stava quasi per abbandonare l’impresa quando alcune spie gli indicarono una via d’ingresso attraverso un antico acquedotto, solo così fu possibile per gli assedianti penetrare nella città.

Successivamente la città fu conquistata dai Goti e poi di nuovo dai bizantini. Durante il dominio di questi ultimi furono costruiti in città numerosissimi monasteri ed ebbe il definitivo sviluppo la religione cristiana.

Nel 581 e nel 592 fu la volta dei Longobardi, che assediarono Napoli. Successivamente la città si ribellò all’imperatore, dandosi un governo autonomo; ma ben presto Bisanzio ripristinò l’ordine. Infine nel 661 l’imperatore nominò Basilio duca e fu l’inizio di una certa autonomia della città.

Napoli crebbe di importanza; nel 773 il duca Stefano II, riconoscendo l’autorità del papa, a discapito di quella dell’imperatore, fu nominato vescovo. Da quel momento, pur restando formalmente soggetto all’imperatore, il ducato divenne indipendente.

In questi anni va ricordata la sconfitta dei saraceni ad opera della flotta napoletana guidata da Cesario, figlio del duca Sergio, nell’843; così come nell’849, quando, vincendo ad Ostia, si evitò il saccheggio di Roma.

Lo sviluppo dei commerci, dell’arte e della cultura fu una costante nel periodo ducale; però il nuovo attacco dei Longobardi nel 1027, costrinse alla fuga il duca Sergio IV.

Nel 1077 vi fu la comparsa sulla scena dei Normanni: essi avevano già conquistato Salerno, e solo Napoli resistette e riuscì a rimanere indipendente.

Nel 1130 Ruggiero II fu incoronato re a Palermo; nel 1134, a capo di una potente flotta, strinse d’assedio la città, conquistandola. Successivamente il popolo napoletano tentò di costituire una repubblica, con l’aiuto del papa Innocenzo II, ma, quando, nel 1139, i normanni sconfissero il papa, anche Napoli dovette arrendersi a Ruggiero.storia-di-napoli

Il nuovo re fu molto generoso con la città conquistata: favorì i nobili e i cavalieri e diede un grande sviluppo alle arti e alla cultura, così come ai commerci.

Alla sua morte gli successe il figlio Guglielmo I detto il Malo, in quanto avaro, egli regnò dal 1154 al 1176. Durante il suo regno vi furono contrasti col papa, che si alleò con Federico Barbarossa.

Fu poi la volta di Guglielmo II, egli regnò dal 1176 al 1189, morendo, in giovane età, senza eredi maschi. Salì, così, al trono suo nipote Tancredi, che regnò dal 1190 al 1194.

Nel 1191 Enrico IV, figlio di Federico Barbarossa, cercò di impadronirsi del regno, non riuscendovi. Dopo la morte di Tancredi, salì al trono Guglielmo III, che nel 1195 dovette cedere il trono all’imperatore Enrico IV.

Quando, nel 1197, l’imperatore morì, gli successe il figlio Federico II. Quest’ultimo, però, potette entrare in città solo nel 1220. Federico II fu un uomo estremamente colto, che accolse alla sua corte letterati, poeti e artisti e fondò l’Università a Napoli.

Alla sua morte, nel 1250, gli successe il figlio Corrado, ma dopo appena quattro anni questi morì, lasciando come erede il figlioletto Corradino. Però Manfredi, figlio naturale di Federico II e reggente del regno in nome del fratellastro Corradino, si fece incoronare a Palermo re di Sicilia nel 1258. Egli fu grandemente contrastato dal papa Urbano IV, che avviò trattative per affidare a Carlo I d’Angiò la conquista del regno di Sicilia.

Il principe angioino, giunto in Italia, sconfisse Manfredi nel 1266 a Benevento. Egli scelse Napoli come sua capitale e protesse anch’egli letterati ed artisti.

Un anno dopo la sconfitta di Benevento, dalla Germania scese in Italia Corradino, per riappropriarsi del regno. Egli, però, venne sconfitto da Carlo d’Angiò a Tagliacozzo nel 1268  e fu fatto decapitare.

A Carlo I successe il figlio Carlo II, che regnò dal 1285 al 1309; fu, poi, la volta di Roberto detto il saggio, che regnò fino al 1343. Anche questo sovrano fu amante delle arti e delle lettere e raccolse una ricchissima biblioteca. Egli ebbe un solo figlio maschio, Carlo, il quale morì lasciando due figliolette.

Fu così che, alla morte di re Roberto, a questi successe sul trono, nel 1343, la nipote Giovanna. Essa fu coinvolta in una congiura di palazzo che nel 1345 costò la vita a suo marito Andrea, fratello del re d’Ungheria Luigi I il Grande. La congiura fu capeggiata da Luigi di Taranto, che, poco dopo, sposerà la vedova Giovanna, cercando, poi, di far fronte al re Luigi I d’Ungheria, che aveva, intanto, occupato il regno per vendicare la morte del fratello.

Conclusa la guerra, la regina Giovanna rimase di nuovo vedova e sposò in terze nozze Giacomo III d’Aragona-Maiorca. Alla morte di questi sposò Ottone di Brunswick. Non avendo discendenti diretti, Giovanna designò erede Carlo di Durazzo, figlio di un cugino, per poi ripensarci e designare successivamente Luigi d’Angiò. Carlo di Durazzo nel 1381 si impadronì del regno, facendo eliminare la zia. Nel 1386, dopo essersi recato in Ungheria per farsi incoronare re, Carlo di Durazzo fu avvelenato.

A questo punto la vedova di Carlo, Margherita di Durazzo, dovette fronteggiare una situazione difficilissima: con Luigi d’Angiò che accampava diritti sul regno, essa cedette, nel 1393, il trono al figlio Ladislao, il quale, dopo alterne vicende, riuscì addirittura ad occupare Roma. Ciò, però, suscitò la preoccupazione di Firenze, che chiamò in aiuto Luigi II d’Angiò, che sconfisse Ladislao nel 1411. La lotta sarebbe continuata, ma nel 1414 Ladislao moriva.

Gli succedeva, così, la sorella Giovanna II che, anch’essa senza eredi, prima adottò Alfonso V d’Aragona e, successivamente, nominò suo successore Renato d’Angiò. Alla morte della regina quest’ultimo fu proclamato successore.

Alfonso d’Aragona, però, non aveva rinunciato alle pretese sul regno e assediò Napoli, penetrandovi, infine, nel 1442. Fu l’avvento della nuova dinastia aragonese. Egli fece il suo ingresso trionfale in città nel 1443, e si dimostrò da subito amante delle arti, dei letterati e mecenate. Egli favorì lo sviluppo di una accademia umanistica che, in suo onore, fu detta Alfonsina e, successivamente, Pontaniana.

Alla morte di Alfonso, nel 1458, gli successe il figlio illegittimo, poi legittimato da papa Callisto III, Ferdinando I o anche Ferrante. Egli fu inflessibile nei confronti del potere della nobiltà, che cercò in tutti i modi di combattere. Soffocò nel sangue, nel 1485, la cosiddetta Congiura dei Baroni, mandando a morte tutti i congiurati.

Nel 1494 a Ferrante successe Alfonso II, ma alla discesa in Italia delle truppe di CarloVIII di Francia, egli abbandonò il regno, rinunciando al trono in favore del figlio Ferdinando II detto Ferrandino. Questi tentò di opporsi all’invasione francese, ma dovette fuggire. Riuscì a rientrare in città pochi mesi più tardi, ma, a meno di un anno da questo evento, morì senza eredi. Il regno passò a suo zio Federico, ma questi non poté nulla contro francesi e spagnoli che si contendevano le sorti del regno. Così, mentre Federico si consegnava nelle mani dei francesi, gli spagnoli, guidati dal generale Consalvo di Cordoba, entravano a Napoli: era l’inizio di due secoli di dominazione spagnola sulla città.

Il regno fu governato da viceré. Tra i tanti ricordiamo don Pedro Alvarez de Toledo, che promosse lo sviluppo urbanistico della città, con la creazione della grande strada che, ancora oggi, porta il suo nome. Così come il conte di Lemos don Ferrante Ruiz de Castro y Andrada, che fece edificare il Palazzo Reale.

Nel 1700, alla morte di Carlo II di Spagna, vi fu una lotta per la successione al trono tra Filippo V e l’imperatore Leopoldo d’Austria, alla fine fu instaurato a Napoli un viceregno austriaco, che durò dal 1707 al 1734.

Alla fine Carlo di Borbone, figlio di Filippo V di Spagna e di Elisabetta Farnese decise di conquistare l’Italia meridionale e nel 1734 sconfisse gli austriaci, instaurando, nuovamente, un regno indipendente. Egli diede un notevole impulso alla vita del regno e della sua capitale. Fece realizzare la Reggia di Capodimonte e quella di Caserta, il Teatro San Carlo e l’Albergo dei Poveri, nonché la famosa Fabbrica di Porcellane di Capodimonte.

Alla morte, nel 1759, del fratellastro Ferdinando VI, re di Spagna, che non lasciò eredi, gli succedette sul trono.

Sul trono di Napoli salì il piccolo Ferdinando IV, che governò, data la giovane età, per mezzo di un consiglio di reggenza. Quando, nel 1798, attaccò i francesi, che avevano occupato Roma, questi occuparono Napoli, costringendolo a rifugiarsi in Sicilia.

Fu così proclamata la Repubblica Partenopea. Ben presto, però, venne a mancare l’appoggio della Francia, impegnata nella campagna d’Egitto con Napoleone. Gli inglesi sbarcarono a Napoli e fu una spietata repressione: furono giustiziati l’ammiraglio Caracciolo, Eleonora Pimentel Fonseca e tanti altri fautori della Repubblica.

Rientrato a Napoli, Ferdinando IV dovette, dopo poco, fuggire nuovamente in Sicilia. Napoleone, infatti, poneva sul trono del regno di Napoli, in un primo tempo, il fratello Giuseppe Bonaparte e, nel 1808, il cognato Gioacchino Murat. Solo dopo il Congresso di Vienna Ferdinando IV, che dal 1816 diventava Ferdinando I dello stato che assumeva la nuova denominazione di Regno delle Due Sicilie, poteva rientrare a Napoli.

Francesco I, figlio di Ferdinando I, divenne re nel 1820, a lui successe, nel 1830, il figlio Ferdinando II, che, dopo aver promosso un certo rinnovamento del regno, subì una svolta reazionaria. Gli anni del suo regno videro moti e repressione e prepararono la fine dello stato borbonico. Infatti, alla sua morte, nel 1859, gli successe il figlio Francesco II, che, nel 1860, davanti all’avanzata dei garibaldini, pur di evitare sofferenze alla sua tanto amata capitale, rinunciò alla resistenza e abbandonò Napoli.

Il 7 settembre 1860 Garibaldi entrava a Napoli, i plebisciti del 21 e 22 ottobre 1860 stabilivano l’unione di Napoli e della Sicilia all’Italia.

Tramite un plebiscito popolare, la città venne annessa al Regno del Piemonte, trasformato nel 1870 nel Regno d’Italia. Anche durante la seconda guerra mondiale la città ha avuto un ruolo importante con le Quattro giornate di Napoli, durante le quali il popolo si rivoltò contro i tedeschi.

 

 

METROPOLITANA

A Napoli esistono 2 linee di metropolitana: la linea 1, detto anche “Metrò dell’Arte”, attiva tutti i giorni dalle 6.00 alle 23.00; e la linea 6, attiva tutti i giorni dalle 6.30 alle 21.30. La storica linea 2, omologata come “passante ferroviario”, collega la stazione centrale con diverse zone della città fino al porto. La linea è in funzione tutti i giorni dalle 6.15 alle 23.00. Chi visita Napoli ha diverse scelte nell’acquisto dei biglietti. Per raggiungere i monumenti e le zone turistiche più importanti basta il biglietto Unico Napoli, €1,20, con validità 90 minuti dall’obliterazione, che permette di muoversi liberamente tra metro e autobus di tutta la città. Per muoversi un’intera giornata, è meglio acquistare il biglietto Unico Giornaliero, € 3,60, valido per l’intera giornata d’acquisto.MetroNapoliMetroMap

BUS

Napoli vanta un servizio autobus capillare e ben organizzato, che collega tutti i quartieri cittadini con il centro. Ma a causa del traffico non sempre è la scelta migliore. Il servizio è attivo dalle 5.20 del mattino fino a mezzanotte circa, con variazioni per le diverse linee. Il servizio notturno inizia, invece, intorno a mezzanotte e finisce alle 4 del mattino.

TAXI

Il taxi, a causa del traffico, non è il mezzo consigliato per visitare Napoli. Per prenotarne uno occorre comunque contattare telefonicamente il servizio di prenotazione taxi, attivo 24 ore al giorno, di una delle 6 compagnie cittadine. In alternativa è possibile prendere un taxi raggiungendo uno degli 87 parcheggi taxi presenti in città.

Consortaxi +39 081/5525252

Free Radio Taxi +39 081/5515151

Partenope +39 081/5560202

Cooperativa Tassisti +39 081/5510964

Radiotaxinapoli +39 081/5564444

FUNICOLARI

Napoli è dotata di 4 linee di funicolare che collegano facilmente, evitando il traffico, la zona collinare con il centro. Le 4 funicolari sono le funicolari di Chiaia, Montesanto, Centrale e Mergellina.

A PIEDI

Conoscere Napoli a piedi è la scelta ideale: il centro storico è molto grande ma tutte le zone turistiche più importanti si raggiungono facilmente senza l’utilizzo di mezzi di trasporto.

INFORMAZIONI UTILI

Siti Internet Ufficiali Della Città

Per informazioni generali visitate il sito: http://www.comune.napoli.it

oppure il sito: http://www.napoli-turismo.it

Ufficio Informazioni Turistiche Azienda di promozione turistica (APT) Via San Carlo, 9 Tel. +39 081/402394

Piazza del Gesù Tel. +39 081/5512701 info@inaples.it

City Pass

Campania Artecard è un biglietto integrato che permette di accedere ai principali musei e siti archeologici della regione, di viaggiare sui trasporti pubblici e di usufruire di sconti e vantaggi. Sono disponibili sette itinerari: Centro antico, Napoli e Campi Flegrei, Castelli di Napoli, Napoli e Caserta, Regge e siti borbonici, Archeologia del Golfo , Cilento. Per costi e informazioni sui diversi itinerari consultare il sito: http://www.artecard.it.

Clima

Napoli gode del tipico clima mediterraneo, con estati calde e soleggiate, e temperature medie che variano tra i 25 e i 31 gradi centigradi, attenzione quindi a non esporvi direttamente ai raggi solari, soprattutto nelle ore centrali della giornata. Gli autunni possono risultare talvolta umidi, con diversi giorni di pioggia. Gli inverni, invece, sono decisamente meno piovosi e la temperatura media oscilla tra i 4 e i 12 gradi centigradi.

 

Le Chiese

1 Basilica di San Francesco di Paola

Piazza Plebiscito, 11 – Napoli63028709

È la più importante chiesa neoclassica italiana e, per la forma circolare, ricorda il Pantheon di Roma. E’ al centro del colonnato di stile neoclassico voluto da Gioacchino Murat. Iniziata nel 1816 e completata nel 1836, fu edificata per volere di Ferdinando IV di Borbone come ringraziamento a San Francesco di Paola per la riconquista del Regno. Si possono ammirare tele di Luca Giordano, Pietro Benvenuti e l’altare maggiore decorato con pietre preziose.

 

 

2 Certosa di San Martino

Largo San Martino, 13 – NapoliSan-Martino-600x450

La Certosa costituisce uno dei più riusciti esempi di architettura barocca. Nel 1325 Carlo, primogenito di Roberto d’Angiò, fece erigere il monastero. Alla fine del XVI secolo la Certosa fu ristrutturata e ampliata. Da ammirare: i chiostri, la chiesa delle donne e la chiesa principale con le loro decorazioni e i loro affreschi.

 

3 Chiesa del Gesu’ Nuovo

Piazza Gesù Nuovo, 2-4 – Napoli

I Gesuiti, tra il 1584 e il 1601, demolirono Palazzo dei Sanseverino e costruirono la chiesa, che passò ai francescani nel 1767. Subì nel corso degli anni diversi crolli, demolizioni e ristrutturazioni. L’interno è in stile barocco con pareti rivestite da marmipolicromi, e una pianta a croce greca, a tre navate. Presenti affreschi di Francesco Solimena, Paolo De Matteis e Belisario Corenzio.


4 Basilica di Santa Chiara

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Eretta tra il 1310 e il 1340 per volere di Roberto d’Angiò, è la più grande basilica gotica della città. Venne interamente distrutta da un bombardamento nella II guerra mondiale, e quindi restaurata nel 1953. Dall’aspetto austero, conserva le tombe della famiglia d’Angiò. Nel convento delle Clarisse, adiacente, si ammirano affreschi di Giotto relativi alla Crocifissione. Splendido e degno di visita è il chiostro di Domenico Antonio Vaccaro.IMG_9759Chiostro Clarisse - Basilica Santa Chiara - Napoli - by ho visto nina volare

 

5 Basilica di San Domenico Maggiore

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E’ una importante chiesa cittadina, molto interessante dal punto di vista artistico e storico. Tra il 1283 e il 1324 venne innalzata inizialmente in stile gotico. Fu voluta da Carlo II d’Angiò: divenne poi casa madre dei domenicani nel regno di Napoli e anche chiesa della nobiltà aragonese. L’edificio appartiene a un complesso conventuale situato nel centro antico della città. L’ingresso principale è attraverso un portale con molti elementi gotici dal vicolo San Domenico.

 

6 Chiesa di Sant’Angelo a Nilo

VPiazzetta del Nilo, 23 – Napoli

La chiesa di Sant’Angelo a Nilo si trova nel centro storico di Napoli, all’angolo sud-est di piazza San Domenico, con una facciata rivolta su via Mezzocannone. È anche conosciuta come Cappella Brancaccio, poiché conserva al suo interno una delle opere di scultura più importanti presenti in città, il Sepolcro del cardinale Rainaldo Brancacci di Donatello, realizzato in collaborazione con Michelozzo. L’interno della chiesa presenta un arredo marmoreo sei-settecentesco.

7 Cappella Sansevero

Via Francesco De Sanctis, 1-13 – Napoli

La Cappella Sansevero è tra i più importanti edifici di culto della città. L’edificio è un concentrato di opere scultoree e pittoriche, a partire dall’affresco che ne orna il soffitto, noto come “il paradiso dei Sansevero”. I migliori artisti del periodo si alternarono nella realizzazione di opere irripetibili. Ecco alcune delle opere presenti all’interno: Monumento a Cecco de’ Sangro, Altare di Santa Rosalia, La Pietà, Monumento a Raimondo de’ Sangro e il Cristo Velato.

8 Basilica di San Paolo Maggiore

Piazza San Gaetano, 76 – NapoliNapoliSanPaoloMaggioreFacciata

Fu eretta nell’VIII sec. per celebrare la vittoria dei napoletani sui Saraceni. Tra il XVI e il XVII sec. subì vari restauri e ampliamenti. Ai lati della facciata si trovano le statue dei Santi Pietro e Paolo. La pianta è a croce latina divisa in tre navate con un interno in stile barocco. Si possono osservare affreschi di Massimo Stanzione del 1644, e di Francesco Solimena, e le cappelle Firrao di Sant’Agata e quella della Madonna della Purità

 

 

9 Basilica di San Lorenzo Maggiore

Piazza San Gaetano, 316 – Napoli

Carlo d’Angiò nel 1270 sovvenzionò la ricostruzione della chiesa e del convento; il risultato fu uno straordinario esempio dello stile gotico francese. In seguito ai terremoti, subì modifiche in stile barocco, ora cancellate, eccetto la facciata di Ferdinando Sanfelice. Da ammirare: l’abside poligonale con volte a crociera, il Sepolcro di Caterina d’Austria e il Cappellone di S. Antonio, opera barocca di Cosimo Fanzago.

10 Duomo di San Gennaro

Via Duomo, 146 – Napoliduomosg

La costruzione risale al XIII secolo e fu voluta dal re Carlo II d’Angiò. Presenta stili diversi. Nella navata destra si trova la Cappella di San Gennaro costruita come ringraziamento di un voto fatto dai Napoletani durante la pestilenza del 1527 e sotto la statua di San Gennaro c’è un busto d’argento che racchiude il cranio del Santo e le ampolle col sangue coagulato che ogni anno il 19 settembre si liquefa’. E’ uno dei momenti più intensi vissuti dai napoletani.

Il Miracolo di San Gennaro

Secondo la leggenda, il sangue di San Gennaro si sarebbe liquefatto per la prima volta nel IV sec. d.C. durante il trasferimento a Napoli delle spoglie del santo da parte del vescovo Severo (secondo altri il vescovo Cosimo). Storicamente, la prima notizia documentata dell’ampolla contenente la presunta reliquia del sangue di San Gennaro risale soltanto al 1389. Il Chronicon Siculum racconta che durante le manifestazioni per la festa dell’Assunta vi fu l’esposizione pubblica delle ampolle contenenti il cosiddetto “sangue di San Gennaro” e il 17 agosto, durante la processione, il liquido conservato nell’ampolla si era liquefatto “come se fosse sgorgato quel giorno stesso dal corpo del santo”.slide_251546_1541481_free

Attualmente le due ampolle sono conservate nel Duomo di Napoli: una è riempita per tre quarti, mentre l’altra è semivuota poiché parte del suo contenuto fu sottratto da re Carlo III di Borbone che lo portò con sé in Spagna. Il fenomeno della liquefazione è invocato tre volte l’anno (il sabato precedente la prima domenica di maggio e negli otto giorni successivi; il 19 settembre e per tutta l’ottava delle celebrazioni in onore del patrono, e il 16 dicembre), durante una solenne cerimonia religiosa guidata dall’arcivescovo. Per sottolineare come la religione possa fondersi con la superstizione popolare, la liquefazione durante la cerimonia è ritenuta foriera di buoni auspici per la città; al contrario, la mancata liquefazione è vista come cattivo presagio per la città.

Il miracolo di San Gennaro non può essere spiegato con la fede perché, se così fosse, allora non si capisce perché non credere a fenomeni analoghi di altre religioni.

La stessa Chiesa è scettica, ma fa di tutto per non mostrare il proprio scetticismo perdurando in un atteggiamento ambiguo: lascia credere ai carenti di spirito critico che si tratti di miracolo, ma non lo fa quando parla con gli scienziati!

Con il concilio Vaticano II la Chiesa (che ha sempre rifiutato di acconsentire al prelievo del liquido sostenendo che un’analisi invasiva potrebbe danneggiare sia le ampolle sia il liquido) decise di togliere dal calendario alcuni santi, San Gennaro compreso; poiché vi furono forti resistenze popolari, decise di mantenere il culto della reliquia del santo, precisando che lo scioglimento del sangue di San Gennaro non era un miracolo, ma piuttosto un fatto mirabolante ritenuto prodigioso dalla popolazione.

In realtà di mirabolante non c’è nulla. La spiegazione fisica più semplice è quella della tissotropia:

i materiali tissotropici diventano più fluidi se sottoposti a una sollecitazione meccanica, come piccole scosse o vibrazioni, tornando allo stato precedente se lasciati indisturbati.

Un esempio di questa proprietà è la salsa ketchup che si può mostrare in uno stato quasi solido finché, scossa, non diventa improvvisamente molto più liquida.

Tre scienziati italiani, Garlaschelli, Ramaccini e Della Sala hanno riprodotto una sospensione avente un comportamento tissotropico molto simile al fluido contenuto nella teca di San Gennaro. Il loro lavoro è stato pubblicato su Nature (A Thixotropic mixture like the blood of Saint Januarius, “Nature”, vol.353, 10 oct 1991).

Ognuno può stupire gli amici con il trucco dei tre ricercatori (che peraltro hanno usato sostanze reperibili all’epoca, fine XIV sec.). Con cloruro ferrico (sotto forma di molisite, un minerale tipico delle zone vulcaniche e quindi presente anche sul Vesuvio), carbonato di calcio (i gusci d’uovo sono fatti per circa il 94% di carbonato di calcio), cloruro di sodio (il comune sale da cucina) e acqua, è possibile ottenere una soluzione colloidale di colore rosso che ha proprietà tissotropiche.

La banale domanda del perché il sangue alcune volte non si sia liquefatto è rigettata dalle proprietà stesse dei materiali tissotropici: basta agitare la soluzione delicatamente e non c’è liquefazione (del resto, il sangue di San Gennaro si è liquefatto anche al di fuori dei periodi previsti, probabilmente a causa di manipolazioni non delicate).

Un’obiezione più sensata si basa sulla diffusione della notizia secondo la quale il gel dei tre ricercatori non avrebbe più proprietà tissotropiche dopo 2 anni. La scarsa consistenza logica dei sostenitori del miracolo ha fatto gridare che questa sarebbe la prova più lampante che di miracolo trattasi (il solito errore: non so spiegarmi un fenomeno, allora è sicuramente un miracolo divino). Come ha rilevato Garlaschelli, alcuni campioni del suo gel durano dieci anni, altri molto meno:

Ma del resto, mi sono anche preoccupato poco, addirittura, di sigillare in modo perfetto i miei boccettini. Immagino che i gel tissotropici siano intrinsecamente instabili, e che piccole variazioni nelle condizioni di preparazione possano influire sul risultato finale. Penso alle concentrazioni dei reagenti, al tempo impiegato per mescolarli, alla dialisi, ecc. Forse, preparando cento campioni in condizioni lievemente diverse per ognuno, e poi essendo moooolto pazienti, si capirebbe quali campioni siano più duraturi.

Il punto è che la spiegazione scientifica del miracolo di San Gennaro esiste e si chiama tissotropia. Come giustamente ha osservato Garlaschelli, è del tutto inutile perdere anni di studi per trovare un gel che resista 100, 1.000 anni anziché 10. Per convincersene basta ricordare i celebri violini di Stradivari o Guarneri: nessuno ragionevolmente sostiene che sono opera di Dio solo perché non si conosce perfettamente il processo di lavorazione e le sostanze utilizzate per proteggere il legno (alcune indicazioni furono date da Nagyvary nel 2009).

11 Basilica della SS. Annunziata Maggiore

Via Annunziata, 21 – NapoliSantissima_Annunziata_Maggiore,_Napoli

La Basilica della Santissima Annunziata Maggiore fa parte di un vasto complesso monumentale costituito in origine, oltre che dalla chiesa, da un ospedale, un convento, un ospizio per i trovatelli ed un “conservatorio” per le esposte. L’edificio religioso venne costruito la prima volta nel XIII secolo, poi ampliato nel 1513 e modificato ancora nel 1540. La struttura fu quasi del tutto distrutta da un incendio del 1757 prima e durante la seconda guerra mondiale poi.

 

 

12 Basilica di San Pietro ad Aram

Via Santa Candida, 13 – Napoli

La Basilica di San Pietro ad Aram è famosa perché, secondo la tradizione, custodirebbe l’Ara Petri, ovvero l’altare su cui pregò san Pietro durante la sua venuta a Napoli. Per la sua particolare antichità papa Clemente VII, le concesse il privilegio di poter celebrare il giubileo un anno dopo quello di Roma. L’attuale ristrutturazione è del XVII secolo. L’interno è a navata unica, a croce latina.

 

 

I Palazzi

1 Reggia di Capodimonte

Via Capodimonte, 22 – NapoliReggia_di_Capodimonte_1

Fu voluta dal re Carlo III di Borbone, con lo scopo di impreziosire la sua vasta riserva di caccia. Il progetto cominciò nel 1738. Alla morte del sovrano, Ferdinando IV incaricò l’architetto Fuga di ampliare la reggia. In seguito le opere d’arte furono spostate nell’edificio dell’attuale Museo Nazionale e la reggia divenne residenza di Gioacchino Murat. Sotto i Savoia, rivestì il duplice ruolo di residenza e museo, per poi assolvere dal 1950 solo quest’ultima funzione.

 

2 Palazzo dello Spagnolo

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Palazzo dello Spagnolo fu costruito nel XVIII secolo per volere del marchese Nicola Moscati. Splendida è la scala a doppia rampa ad “ali di falco” presente all’interno realizzata da Ferdinando Sanfelice, architetto, pittore e nobile italiano di epoca barocca, attivo a Napoli. Egli pensò il progetto come una sorta di luogo di incontro. Meravigliose sono anche le decorazioni in stucco. Prende il nome da Tommaso Atienza, che acquistò l’edificio: era soprannominato lo Spagnolo.

 

 

3 Accademia di Belle Arti di Napoli

Via Vincenzo Bellini, 28 – Napoli

E’ un ateneo pubblico per lo studio delle arti visive che ospita circa millecinquecento studenti (napoletani, campani, ma anche molti stranieri). Ha l’ambizioso obiettivo di formare i nuovi quadri della produzione dell’immagine in breve. L’edificio venne fondato nel 1752 da Carlo III di Spagna, che fu re di Napoli e Sicilia dal 1735 al 1759. L’accademia è anche sede di una biblioteca, di una gipsoteca e di una pinacoteca.

 

 

4 Complesso del Convitto Nazionale

Piazza Dante Alighieri, 58 – Napoli

La storia dell’edificio, uno dei complessi storico-religiosi della città, ebbe inizio nel 1768. In origine fu un istituto gesuitico, poi divenne Collegio dei Nobili e infine si trasformò in Convitto Nazionale Vittorio Emanuele II di Napoli quandò giunse in città Giuseppe Garibaldi, il quale abolì l’ordine dei gesuiti

5 Complesso di San Gregorio Armeno

Via San Gregorio Armeno, 14-28 – Napoli

Il complesso, fu edificato sui resti dell’antico tempio di Cecere per volere delle suore, scappate dall’Oriente con le reliquie di San Gregorio, è fra le piu’ spettacolari opere barocche napoletane. Ha un unica navata e una cupola molto luminosa. Otto botteghe sono visibili tra il campanile e la facciata. Il chiostro progettato nel 1580 è molto bello, Della Monica infatti lo edificò in funzione strettamente paesaggistica. Da notare poi al centro la fontana marmorea.

6 Università degli Studi di Napoli Federico II

Corso Umberto I, 40bis – Napoli

L’Università degli Studi di Napoli Federico II è il principale ateneo parteneopeo e uno dei più importanti d’Italia, è inoltre la più antica università a essere stata fondata con un provvedimento statale ed è la più antica università laica del mondo. La sede centrale è il Palazzo dell’Università degli Studi “Federico II” in corso Umberto I: imponente edificio neobarocco edificato tra il 1897 ed il 1908. E’ sede della facoltà di giurisprudenza.

 

7 Municipio: Palazzo San Giacomo

Piazza Municipio, 22 – Napoli

Palazzo San Giacomo, sede dell’amministrazione comunale, è il Municipio di Napoli. E’ situato e domina la maestosa Piazza del Municipio: una delle più grandi d’Europa. Lo stile dell’edificio è quello neoclassico, così come le decorazioni. Il palazzo venne innalzato, nel XIX secolo, per volere di re Ferdinando I di Borbone. La stanza del sindaco si trova sopra il portale al primo piano.

8 Palazzo Reale

Piazza Plebiscito, 27 – Napolipalazzo-reale-napoli

Reggia solenne e grandiosa è stata il fulcro del potere di Napoli e il centro degli avvenimenti storici di tutto il Mezzogiorno per quasi quattro secoli. Fu costruita nel 1600 da Fontana per ospitare il re Filippo III di Spagna, atteso a Napoli con la sua consorte per una visita ufficiale che non avvenne mai. Il palazzo divenne poi la residenza dei viceré spagnoli, di quelli austriaci e dei re di casa Borbone. Dopo l’Unità d’Italia fu eletta residenza napoletana dei Savoia.

9 Palazzo Salerno

Piazza Plebiscito, 32 – Napoli

Palazzo Salerno è un edificio di interesse storico-monumentale costruito alla fine del XVIII secolo: è opera di Francesco Sicuro (architetto e incisore messinese). Il tutto ebbe inizio nel 1775: il complesso divenne prima residenza del ministro John Acton e successivamente sede dei Ministri di Stato di Sua Maestà Borbonica (sino al 1825). Al giorno d’oggi invece l’edificio ospita il generale delle forze armate nell’Italia meridionale.

 

 

10 Villa Pignatelli

Largo Principessa Rosina Pignatelli, 201 – Napoli

Villa Pignatelli ospita il Museo Principe Diego Aragona Pignatelli Cortes. Voluta nel 1826 dal baronetto Sir Ferdinand Richard Acton la villa venne realizzata da Pietro Valente cui successe nel 1830 Guglielmo Bechi. Qualche anno dopo la morte di Sir Acton, nel 1841, la villa venne acquistata dalla famiglia di banchieri tedeschi Rothschild, che la abitarono fino al 1860. Nel 1867 la villa fu ceduta ai Pignatelli Cortes d’Aragona che ne furono proprietari fino al 1952.

 

11 Villa Lucia

Via del Parco Grifeo, 63 – Napoli

Villa Lucia è situata accanto al Parco di Villa Floridiana, a cui è appartenuta fino al XIX secolo e da cui adesso è separata da un muro di cinta. Agli inizi del XX secolo la villa, acquistata dall’industriale e collezionista d’arte Garofalo, iniziò ad essere frequentata da numerosi artisti ed architetti. Oggi l’edificio è a tutti gli effetti un condominio di lusso, sebbene fino agli anni cinquanta sia stata utilizzata per mostre d’arte ed eventi mondani.

12 Villa Floridiana

Via Aniello Falcone, 170-180 – Napoli

Villa Floridiana è una costruzione di interesse storico ed artistico importante per la città di Napoli. Il nome deriva da Lucia Migliaccio, duchessa di Floridia, moglie di Ferdinando IV di Borbone che nel 1815 comprò la tenute per lei. Il Museo Nazionale della Ceramica Duca di Martina è, dal 1927, ospitato all’interno della struttura: è un museo dedicato alle arti decorative. Splendidi sono gli interni dell’abitazione, così come molto curato è il parco che circonda la villa

 


I Musei

1 Museo di Capodimonte

Via Capodimonte, 22 – Napoli

La Reggia di Capodimonte venne edificata per volere del re Carlo di Borbone nel 1738. Nella reggia, all’interno dell’omonimo parco troviamo il Museo Nazionale di Capodimonte che ospita la più importante e ricca pinacoteca dell’Italia meridionale oltre a dipinti, sale espositive e importanti porcellane. La Reggia è circondata da giardini ben curati e ricchi di piante. Il bosco si estende per circa 124 ettari.

Aperto tutti i giorni, tranne il mercoledì, dalle 8.30 alle 19.30. Ingresso € 9, ridotto € 5.

 

2 Osservatorio Astronomico di Capodimonte

Salita Moiariello, 16 – Napoli

Fu fondato nel 1812 da re Gioacchino Murat. Accanto all’Osservatorio vi è il Museo Astronomico di Capodimonte, suddiviso in tre nuclei principali: il Museo degli Strumenti Astronomici che presenta una collezione di strumenti dell’800 e del ‘900, il Padiglione di Bamberg dedicato alla misurazione del tempo ed il il Padiglione di Repsold, con il il telescopio rifrattore equatoriale.

3 Museo Archeologico Nazionale

Piazza Museo Nazionale, 18 – Napoli

La costruzione iniziò nel 1586 come caserma di cavalleria. Nel 1612 diventò la nuova sede dell’Università. Trasformato in “Real Museo”, ospitò le collezioni archeologiche provenienti da Ercolano, Pompei e Stabia. In seguito fu ridenominato “Real Museo Borbonico”, per poi essere titolato “Nazionale” da Garibaldi, inglobando le collezioni archeologiche, artistiche e bibliografiche dai re Carlo III, Ferdinando IV, Francesco I e Ferdinando II di Borbone.

Aperto tutti i giorni, tranne il martedì, dalle 9.00 alle 19.30. Ingresso € 6,50.

 

4 Galleria dell’Accademia delle Belle Arti

Via Vincenzo Bellini – Napoli

L’Accademia, che ha sede nell’ex convento di S.Giovanni delle Monache, venne fondata nel 1752 da Carlo di Borbone. L’edificio è uno dei più rappresentativi della corrente neorinascimentale che influenzò l’architettura napoletana nell’800. La collezione è divisa in 5 nuclei fondamentali: dipinti antichi, dipinti dell’’800, dipinti del ‘900, sculture, disegni e la celebre Sala Palizzi. L’esposizione narra la storia dell’Accademia e l’evoluzione culturale e artistica di Napoli. Aperto da martedì a sabato dalle 10.00 alle 14.00. Ingresso gratuito.

5 Museo d’Arte Contemporanea Donnaregina

Via Luigi Settembrini, 80 – Napoli

Il Museo è ospitato nello storico palazzo Donnaregina. L’esposizione permanente vanta opere di alcuni dei più noti artisti contemporanei del panorama internazionale, Horn, Kapoor, LeWitt, Kounellis, e tra gli italiani, Clemente, Paladino, Serra. Si può ammirare anche la collezione storica costituita grazie al prestito a tempo indeterminato di opere da parte di grandi collezionisti italiani e stranieri. Il Museo ospita inoltre mostre temporanee ed eventi durante tutto l’anno.

Aperto da lunedì a domenica dalle 10.30 alle 19.30; la domenica fino alle 23.00.

 

6 Museo del Tesoro di San Gennaro

Via Duomo, 149 – Napoli

L’ingresso del Museo (aperto dal 2003) è situato accanto al Duomo. Secondo uno studio fatto da esperti questo tesoro sarebbe addirittura più ricco di quello della corona d’Inghilterra della regina Elisabetta II e degli zar di Russia. La collezione espone gioielli, statue, busti, tessuti pregiati e dipinti di grande valore. Unica nel suo genere è la pregevole collezione degli argenti. Il percorso museale prevede anche la visita alle tre sacrestie della Cappella del Tesoro

.Aperto tutti i giorni dalle 9.00 alle 17.30, tranne il mercoledì a gennaio e febbraio. Ingresso € 7.

 

7 Museo Civico Gaetano Filangieri

Via Duomo, 288 – Napoli

Il Museo Gaetano Filangieri è ospitato all’interno delle sale di Palazzo Como. Il nome deriva da Gaetano Filangieri che oltre ad essere stato un giurista e filosofo, fu anche principe e mecenate delle arti. La struttura è una sorta di studio privato che raccoglie i vari tipi di produzione artistica locale, oltre che nuovi progetti ed esperimenti artistici. La collezione offre un’ampia visione del panorama artistico napoletano, oltre ad una biblioteca e ad una pinacoteca.

8 Archivio di Stato di Napoli

Piazzetta Grande Archivio – Napoli

L’Archivio di Stato di Napoli, con i suoi oltre 50.000 m lineari di scaffalature, è di fondamentale importanza per la storia dell’Italia Meridionale dal X secolo ad oggi. L’Archivio di Stato nacque nel periodo napoleonico, il 22 dicembre 1808, per concentrare in un sol luogo gli antichi archivi del regno. Con ingresso da via Grande Archivio, ha sede nel monastero dei Ss. Severino e Sossio, in cui vi sono quattro chiostri del XVI e XVII secolo.

Aperto da lunedì a venerdì dalle 8.00 alle 19.00; sabato dalle 8.30 alle 13.30.

 

9 Centro Musei delle Scienze Naturali

Via Mezzocannone, 8 – Napoli

Istituito nel 1992, è costituito da un museo di Mineralogia, Zoologia, Antropologia, Paletnologia, collocati in edifici borbonici. Attualmente il centro offre esposizioni, un percorso sull’evoluzione del pensiero scientifico, nuovi sistemi interattivi, mostre, dibattiti e convegni.

Aperto da lunedì a venerdì dalle 9.00 alle 13.30, il lunedì e il giovedì anche dalle 15.00 alle 17.00. Ingresso € 2,50.

 

10 Museo Civico di Castel Nuovo

Piazza Municipio, 68 – Napoli

Il Museo civico di Castel Nuovo, come suggerisce il nome, è ospitato all’interno delle sale dell’omonimo castello a partire dal 1990. Tra le opere presenti, diverse sono quelle provenienti dalla Reale Casa della Santissima Annunziata. Orgoglio del museo sono: la Cappella Palatina (conserva pitture giottesche) e la Porta Bronzea (in origine ubicata all’ingresso del castello). Al primo e al secondo piano poi troviamo anche diverse opere e dipinti.

11 Museo Nazionale di San Martino

Largo San Martino, 5 – Napoli

Fu aperto al pubblico nel 1866 all’indomani dell’Unità d’Italia. Per volontà dell’archeologo Giuseppe Fiorelli gli ambienti della Certosa furono destinati a raccogliere in un museo testimonianze della vita di Napoli e dei Regni. Tra le altre si può ammirare la Collezione di porcellane Orilia , la sezione navale con vari modelli di imbarcazioni reali, la Pinacoteca con opere di Giordano, Spadaro e Caracciolo.

Aperto tutti i giorni, tranne il mercoledì dalle 8.30 alle 19.30.


 

12 Museo della Ceramica Duca di Martina

Via Domenico Cimarosa, 77 – Napoli

Il Museo Nazionale della Ceramica Duca di Martina ospitato all’interno di Villa Floridiana dal 1927, è un museo sede di una delle più grandi collezioni italiane di arti decorative. All’interno possiamo trovare oltre seimila opere di manifattura occidentale ed orientale. Tali opere sono databili dal XII al XIX secolo, il nucleo più ricco a livello numerico è costituito dalle ceramiche. Negli ultimi anni è stata poi anche allestita una sezione d’arte orientale.

Aperto tutti i giorni, tranne il martedì, dalle 8.30 alle 14.00. Ingresso gratuito.


I Monumenti

1 Fontana del Gigante

Via Partenope, 48 – Napolifontana-del-gigante

E’ una splendida fontana risalente agli inizi del Seicento, progettata dal Bernini e dal Naccherino. I due nomi derivano dalle posizioni originarie: vicino al Palazzo Reale (dove c’era la statua del Gigante) prima, e al molo, nei pressi della costruzione detta dell’Immacolatella, poi. Questa struttura trovò la collocazione definitiva e attuale solo nel 1905. Sugli archi troviamo tre stemmi: quello del viceré, quello del re e quello della città.

2 Stazione Zoologica

Via Francesco Caracciolo – Napoli

E’ composta dall’Acquario più antico d’Europa, nel quale sono presenti 200 specie di animali e vegetali provenienti dal golfo di Napoli, l’Erbario con oltre 2000 esemplari, la Collezione Geologica costituita dai 3500 esemplari, la Biblioteca che custodisce circa 50000 volumi e l’Archivio Storico. Da osservare sono anche gli affreschi che decorano le sale ed i busti in gesso di E. van Baer e C.Darwin.


3 Fontana Gruppo Europa

Viale Antonio Dhorn – Napolieuropa

La Fontana del ratto d’Europa è una delle fontane storiche della città. Venne costruita nella seconda metà del XVIII secolo e posta alla Marinella, solo nel 1807 invece venne spostata nell’attuale posizione: la villa comunale. E’ opera di Angelo Viva: scultore italiano nato, vissuto e morto in città. Nel centro della struttura troviamo una figura femminile intenta a trattenere il proprio manto, ai lati ci sono invece due sirene.

4 Fontana del Sebeto

Via Francesco Caracciolo, 1f – Napoli

La Fontana del Sebeto venne edificata su progetto di Cosimo Fanzago (scultore, architetto e nobile italiano che operò soprattutto a Napoli) per volontà di Manuel de Acevedo y Zúñiga, che fu Viceré del Regno di Napoli. Prima era situata nell’attuale via Cesario Console. Nella scultura troviamo un vecchio che simboleggià il fiume Sebeto: l’antico corso d’acqua che scorreva nel cuore della città. Il nome deriva appunto da questo.


Le Vie e le Piazze

1 Spaccanapoli

Vico Paparelle al Pendino, 13 – Napoli

Spaccanapoli è una delle strade più celebri di Napoli, dove arte, tradizione, storia e cultura napoletana si uniscono. Il nome deriva dal fatto che divide nettamente la città tra il nord e il sud con precisione quasi geometrica. Percorrere Spaccanapoli è come attraversare la storia di Napoli, incontrando lungo il suo tragitto le testimonianze del passato della città ed i suoi tesori artistici.

2 Via San Gregorio Armeno

Via San Gregorio Armeno – Napoli

È famosa in tutto il mondo per le svariate botteghe dedicate all’arte del presepe, aperte tutto l’anno. Sembra che la tradizione presepiale abbia un’origine remota: nella strada, in epoca classica, esisteva un tempio dedicato a Cerere, alla quale i cittadini offrivano piccole statuine di terracotta, fabbricate nelle botteghe vicine. Oggi si trovano anche oggetti kitsch: la statuetta del politico o del VIP del momento è divenuta abituale sulle bancarelle della via.san-gregorio-armeno1

3 Piazza San Domenico Maggiore

Piazza San Domenico Maggiore – Napoli

È uno dei luoghi più significativi della città, rappresenta il limite orientale delle mura di Neapolis. La piazza risale al periodo aragonese; fu voluta da Alfonso I d’Aragona. A lui si deve la grande scalinata a fianco dell’abside della chiesa. L’obelisco centrale a forma piramidale è ornato da marmi, medaglioni e bassorilievi e reca alla sua sommità una statua di San Domenico Maggiore; fu eretto dai napoletani come ringraziamento per essere scampati ad un’epidemia di peste.

4 Piazza del Gesu’ Nuovo

Piazza Del Gesu’ Nuovo – Napoli

È una delle piazze più suggestive e caratteristiche del centro storico. Prende il nome dalla cinquecentesca Chiesa del Gesù Nuovo, uno dei migliori esempi di barocco napoletano. Particolari della sua facciata furono riprodotti sul lato posteriore delle banconote da diecimila lire degli anni ‘70. Elemento di spicco della piazza è l’Obelisco dell’Immacolata, maestosa guglia di marmo bianco, alto 40 metri e costruito nel 1747 con i proventi di una raccolta popolare.

5 Piazza Dante

Piazza Dante – Napoli

In origine ospitava i mercati ed altri scambi commerciali, oggi invece è meta turistica per la presenza del Foro Carolino, voluto da Carlo III di Borbone, un emiciclo al centro del quale doveva essere innalzata la statua equestre del sovrano. In verità il monumento non fu mai eseguito, ma lungo il perimetro furono poste 26 statue raffiguranti le virtù del sovrano. Al centro della piazza si erge il monumento a Dante Alighieri, opera di Tito Angelini, del 1871.

6 Via Toledo

Via Toledo – Napoli

E’ una della principali strade di Napoli con edifici storici, palazzi nobiliari, chiese, teatri, caffè e svariati negozi e boutique di marchi prestigiosi. Il nome è in onore dell’artefice della sua costruzione, il vicerè Pedro de Toledo (1536), la cui idea era stata quella di collegare la zona fuori le mura del largo di Mercato con il nuovo quartiere di Chiaja. Dopo l’Unità d’Italia, dal 1870 al 1980, mutò nome in Via Roma in onore della nuova capitale del Regno.

7 Corso Umberto I

Corso Umberto I – Napoli

Corso Umberto I è una via elegante della città, la lunghezza è di 1,3 km ed è anche conosciuta con il nome di Rettifilo. Il nome deriva dal fatto che sia sorta in epoca umbertina, in poco tempo, alla fine dell’800. La via collega Piazza Garibaldi con Piazza Giovanni Bovio (Piazza Borsa), e percorrendola troviamo anche la Piazza Nicola Amore, intitolata al sindaco che fu l’artefice del Risanamento.

8 Piazza Mercato

Piazza Mercato – Napoli

Piazza del Mercato è una delle piazze storiche della città. Nei pressi troviamo la Basilica del Carmine Maggiore. Deve il proprio nome agli Angioini che ne fecero un grande centro commerciale cittadino, ribattezzandolo Mercato di Sant’Egidio e, quindi, Piazza Mercato appunto. Qui troviamo le chiese di Santa Croce e Purgatorio al Mercato e quella di Sant’Eligio Maggiore, oltre a due fontane-obelischi che decorano la piazza.

9 Piazza Municipio

Piazza Municipio – Napoli

Piazza del Municipio, di forma semi-rettangolare, è una delle piazze più grandi d’Europa. Domina la piazza il Castel Nuovo, è presente anche il Teatro Mercadante. Nelle vicinanze troviamo il porto di Napoli mentre sempre sulla piazza vi è il Palazzo San Giacomo, o più semplicemente il Municipio, sede degli uffici comunali. Troviamo poi la Chiesa di San Giacomo degli Spagnoli. Sullo sfondo spicca maestoso il Vesuvio.

10 Galleria Umberto I

Via San Carlo, 13 – Napoliumberto 1

Costruita tra il 1887 e il 1890, la Galleria Umberto I è una galleria commerciale edificata durante la ristrutturazione edilizia e bonifica territoriale avvenuta a Napoli a partire dal 1884, in seguito all’epidemia di colera. La larghezza è di ben 15 metri, vi sono quattro ingressi: il più importante è quello situato di fronte al Teatro San Carlo. Ogni anno la Galleria viene utilizzata, tra le altre cose, per accogliere l’albero di Natale cittadino.

11 Piazza Plebiscito

Piazza Plebiscito – NapoliBilder für Wikipedia

È la più grande e rappresentativa piazza di Napoli. Il nome celebra il Plebiscito con cui nel 1860 il Regno delle due Sicilie si univa al Piemonte dei Savoia. E’ delineata da 4 costruzioni: la chiesa di San Francesco di Paola, il Palazzo Reale, il Palazzo Salerno ed il Palazzo della Foresteria. Al centro della piazza s’innalzano due statue equestri del Canova, raffiguranti Ferdinando I e Carlo III di Borbone.

 

 

12 Via Caracciolo

Via Francesco Caracciolo – Napoli

È una parte del lungomare di Napoli, una delle più belle litoranee del mondo, il cui nome celebra l’ammiraglio Francesco Caracciolo, eroe della Repubblica Partenopea, giustiziato nel 1799 e gettato nelle acque del Golfo di Napoli. All’inizio del lungomare si può ammirare la seicentesca fontana del Sebeto, proseguendo si arriva al porticciolo di Mergellina, con i pescatori che vendono il pesce dalle barche. Più avanti si trovano i giardini e gli alberi della Villa Comunale.


Attrazioni e Teatri

1 Guglia dell’Immacolata

Piazza Ges – Napoli

L’Obelisco dell’Immacolata è il più famoso degli obelischi della città. All’inizio era un monumento equestre a Filippo V. La splendida guglia barocca dedicata all’Immacolata venne innalzata nel 1747 per volere dei Gesuiti grazie ad una colletta pubblica.

2 Palafrenieri

Via Vittorio Emanuele III, 51 – Napoli

I Palafrenieri sono due statue equestri bronzee esposte ai lati della porta del giardino del Palazzo Reale. Vennero eseguite dallo scultore russo Pjotr Klodt Von Jurgensburg e donate nel 1846 a Ferdinando II di Borbone re di Napoli, dallo zar di Russia Nicola I. Le statue prendono anche il nome di Cavalli russi e la porta, a sua volta, è anche conosciuta come Porta dello zar.

3 Salone Margherita

Via San Carlo, 11 – Napoli

Il Salone Margherita è un luogo ricco di fascino e di storia situato nel ventre di Napoli sotto la Galleria Umberto I. Venne creato verso la fine dell’ottocento per volere dei fratelli Marino. La struttura seguiva l’esempio dei cafèchantant francesi e divenne ben presto il simbolo della Belle époque italiana. L’idea fu talmente vincente che ricalcò del tutto il modello francese: persino nella lingua utilizzata. Il teatro fu chiuso nel 1982 ma riaperto successivamente.

4 Teatro San Carlo

Via San Carlo, 98d – Napoli

È il più antico teatro d’opera europeo ancora attivo, nonché il più capiente teatro italiano; è inoltre riconosciuto dall’UNESCO come patrimonio dell’umanità. Fondato nel 1737 per volontà di Carlo I di Borbone che affidò il progetto a Giovanni Antonio Medrano, l’edificio comunicava con il Palazzo Reale, in modo che il Re potesse recarsi agli spettacoli senza dover scendere in strada. Gioacchino Rossini e Donizzetti furono direttori musicali al Teatro San Carlo.
Castelli

1 Castel dell’Ovo

Via Luculliana – NapoliVisitare-Castel-dell’Ovo-Napoli

Sull’isolotto di Megaride sbarcarono i cumani nel VII secolo per fondare la città. Durante la dominazione spagnola passò da dimora reale a prigione. Si narra che dal castello dipendano le sorti della città: Virgilio vi nascose un uovo, se questo si fosse rotto il castello sarebbe crollato; cosa che avvenne nel 300, a causa di un terremoto. Imperdibile la vista su tutto il golfo di Napoli offerta dalla terrazza dei cannoni.

2 Castelnuovo – Maschio Angioino

Piazza Municipio, 68 – Napoli

maschio-angioino

È uno dei simboli della città. La sua costruzione, nel 1266, si deve a Carlo I d’Angiò. Con Roberto il Saggio, il castello divenne centro di cultura: ospitò personalità come Petrarca e Boccaccio e pittori come Giotto vennero chiamati ad affrescarne le pareti. Vi dimorarono illustri sovrani. Nel 1799 fu sede della proclamazione della Repubblica Partenopea. Ospita attualmente il Museo Civico di Castel Nuovo. Da visitare: la Cappella Palatina e la Sala dei Baroni.

 


3 Castel Sant’Elmo

Largo San Martino, 13 – Napoli

È un castello medioevale di tufo, caratterizzato da una pianta a stella con sei punte. Di epoca angioina, ha subito nel tempo numerose trasformazioni. Durante la rivoluzione di Masaniello fu rifugio del duca d’Arcos, nel 1799 fu preso dal popolo per poi essere occupato dai repubblicani. Dalla Piazza d’Armi in cima al castello si ha un panorama indimenticabile. È possibile accedere alle antiche carceri di molti personaggi noti.

4 Castel Capuano

Via Concezio Muzii, 1-45 – Napoli

Costruito in epoca normanna è il più antico castello di Napoli. Concepito come fortezza, divenne la residenza reale di Federico II di Svevia e, nel XVI sec., sede dell’amministrazione giudiziaria. Si possono ammirare il Salone della Corte d’Appello e la Cappella della Sommaria con i loro pregevoli affreschi, dipinti e decorazioni a stucco, e la sala dei Busti che ospita i busti in marmo degli avvocati più famosi del foro.

 

 

Un po’ di tutto

1 Parco Di Capodimonte

Via Capodimonte, 22 – Napoli

Il Parco di Capodimonte è la maggiore area verde della città. Si estende su un’area di 134 ettari. Si presenta con boschi intervallati da ampie praterie, valloni solcati da piccoli torrenti e aree ricche di cave, caratteristica tipica delle colline napoletane. Il parco fu voluto da Carlo III di Borbone nel 1734. Fu concepito inizialmente come riserva da caccia ma con il Re Ferdinando II fu trasformato in giardino all’inglese, assumendo l’aspetto che conserva attualmente.

2 Catacombe di San Gennaro

Tondo di Capodimonte 13 – Napoli

Il nucleo originario si sviluppò attorno alla tomba di una ricca famiglia romana del II secolo., nel III secolo accolse le spoglie di Sant’Agrippino, vescovo di Napoli, e di San Gennaro, divenendo luogo di venerazione. Nel 831 il principe longobardo Sicone I, assediando la città di Napoli, si impossessò dei resti di San Gennaro e li portò a Benevento. Importanti affreschi e mosaici decorano gli ambienti e le tombe più importanti di santi e vescovi.

3 Catacombe di San Gaudioso

Piazza della Sanità, 1-17 – Napoli

Risalenti al IV sec. furono dedicate a Gaudioso, ivi sepolto, dopo che la sua barca, proveniente dall’Africa settentrionale dove era vescovo, miracolosamente approdò a Napoli. Nei cubicoli vi sono affreschi del IV-V e VI sec. e un mosaico della fine del V sec. Sono visibili anche alcuni teschi a causa dell’usanza di adagiare i defunti su sedili in pietra forati con lo scopo di lasciarli disseccare, murando poi tutto il corpo e lasciando affiorare soltanto la testa.

4 Crypta Neapolitana

Salita della Grotta, 12 – Napoli

O Grotta di Posillipo è una galleria lunga 711 m. scavata nel tufo della collina di Posillipo, tra Mergellina (salita della Grotta) e Fuorigrotta (via della Grotta Vecchia). La tradizione vuole che la galleria sia stata realizzata da Virgilio in una sola notte, col ricorso alla sua potente arte magica. La leggenda narra che Roberto d’Angiò sottopose la questione al Petrarca, e questi rispose, scherzando: “Non mi è mai capitato di leggere che Virgilio fosse un tagliapietre.”

Ville

1 Villa Doria d’Angri

Via Francesco Petrarca, 80 – Napoli

Villa Doria d’Angri deve il proprio nome a Marcantonio Doria d’Angri, principe ed esponente di spicco della famiglia di origini genovesi. E’ la più importante villa neoclassica della zona, è situata nel quartiere di Posillipo. Questa imponente struttura storico-artistica venne edificata nel 1833, ed è molto caratteristica in quanto sembra che fuoriesca dalla roccia. La villa oggi è sede dell’Università degli Studi di Napoli “Parthenope” (facoltà di economia).

2 Palazzo Donn’Anna

Piazza Donn’Anna – Napoli

“Palazzo Donn’Anna non è una rovina: è soltanto incompiuto! Non è forse questo il suo fascino?”. Frase tratta da “Fuoco su di me” film del 2006 girato in città. L’edificio risale al XVII secolo, prende il nome da Donna Anna Carafa, consorte del viceré Ramiro Núñez de Guzmán, duca di Medina de las Torres, la quale diede commissione di costruire l’edificio, edificio che restò incompiuto a causa della morte di Donn’Anna. E’ uno dei più celebri palazzi di Napoli.

3 Villa Volpicelli

Via Ferdinando Russo, 4-14 – Napoli

Il nome deriva da Raffaele Volpicelli che acquistò la villa nel 1884. La struttura è una delle più belle di Posillipo, quartiere in cui è situata. Particolarmente interessante è l’ampio giardino, nascosto da un muro di cinta: esso si distende in prossimità del mare e sfiora le proprietà della vicina Villa Rosebery.

4 Villa Rosebery

Via Ferdinando Russo – Napoli

Villa Rosebery è uno dei più importanti punti di riferimento del neoclassicismo della città. E’ situata nel quartiere Posillipo. Fu residenza reale, oggi è importante perchè oltre alla particolare bellezza che la contraddistingue è la residenza del Presidente della Repubblica Italiana quando si reca a Napoli. Per questo motivo, se non in qualche periodo dell’anno, non è visitabile

Mergellina e Posillipo

1 Mergellina

Piazza Sannazzaro, 200 – Napolimergellina

E’ una zona della città di Napoli, romantica e leggendaria, cantata dai poeti, situata in riva al mare. Il nome deriva dalla posizione sul Golfo e dal termine “mergoglino” (uccello acquatico). Il piccolo porto di Mergellina oggi è diventato un punto turistico mentre prima era luogo di pescatori. Da qui partono ogni giorno gli aliscafi per le isole del golfo. La zona possiede un’importante stazione ferroviaria e una funicolare che collega Mergellina conPosillipo.

2 Crypta Neapolitana

Salita della Grotta, 12 – NapoliLa-Crypta-Neapolitana-2-1024x680

O Grotta di Posillipo è una galleria lunga 711 m. scavata nel tufo della collina di Posillipo, tra Mergellina (salita della Grotta) e Fuorigrotta (via della Grotta Vecchia). La tradizione vuole che la galleria sia stata realizzata da Virgilio in una sola notte, col ricorso alla sua potente arte magica. La leggenda narra che Roberto d’Angiò sottopose la questione al Petrarca, e questi rispose, scherzando: “Non mi è mai capitato di leggere che Virgilio fosse un tagliapietre.”

3 Posillipo

Via Posillipo, 166 – Napoliposillipo

Posillipo è un sobborgo residenziale collinare della città, quartiere cittadino solo dal 1925, prima era una frazione. E’ una delle zone più belle e prestigiose della città. Il nome deriva dal greco Pausilypon che significa “tregua dal pericolo” o “che fa cessare il dolore”: questo perchè il panorama che si può godere e che si godeva anche duemila e cinquecento anni fa da questa zona è davvero splendido. Questa è una tappa obbligata per i turisti.

4 Mausoleo Schilizzi

Via Posillipo, 157 – Napoli

Il Mausoleo Schilizzi (conosciuto anche come Mausoleo di Posillipo o Ara votiva per i caduti della patria) è un monumento funebre dedicato ai caduti della prima guerra mondiale. Sorse nel quartiere Posillipo tra il 1881 ed il 1889 e rappresenta uno dei più interessanti esempi di architettura neo-egizia italiana. Attualmente ospita anche i caduti della seconda guerra mondiale, compresi quelli delle Quattro giornate di Napoli. Progettato e costruito dall’architetto A. Guerra.

 

Fuorigrotta

1 Mostra d’Oltremare

Piazzale Vincenzo Tecchio – Napoli

La Mostra d’Oltremare è una delle principali sedi fieristiche italiane e, assieme alla Fiera del Levante, la maggiore del mezzogiorno. Si estende su una superficie di 720.000 m² comprendente edifici di notevole interesse storico-architettonico, oltre a padiglioni espositivi più moderni, fontane, un acquario tropicale, giardini con una grande varietà di specie arboree e un parco archeologico.

2 Stadio San Paolo

Piazzale Vincenzo Tecchio, 70 – Napoli

Lo Stadio San Paolo di Napoli sorge nel quartiere di Fuorigrotta ed è il principale impianto polisportivo della città. È conosciuto soprattutto dal punto di vista calcistico, essendo sede delle partite interne della SSC Napoli. Lo stadio è in realtà una struttura polisportiva, dotata di palestre polifunzionali e di arti orientali, e inoltre di un campo da basket. Battezzato come Stadio del Sole, la struttura venne inaugurata il 6 dicembre 1959.

3 Fontana dell’Esedra

Via Terracina, 188 – Napoli

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La fontana fu progettata nel 1938 da due architetti, Carlo Cocchia e Luigi Piccinato, e inaugurata nel 1940. Fu voluta dal regime fascista, in quanto doveva celebrare il colonialismo italiano. L’inaugurazione fu spettacolare: venne eseguita la sinfonia “Fontane d’Oltremare” e i getti d’acqua erano sincronizzati con la musica. Il 23 maggio 2006, dopo circa trent’anni di abbandono la fontana è stata restaurata e nuovamente inaugurata.

4 Zoo di Napoli

Via John Fitzgerald Kennedy, 143 – Napoli

Lo zoo nasce nel 1940, ma a causa della Seconda guerra mondiale viene aperto permanentemente al pubblico solo nel 1949. Uno dei primi zoo italiani ad aprire i battenti, verrà considerato per tutta la seconda metà del ‘900 un luogo ideale per ricerche scientifiche, assumendo fama in tutta Europa, dato che ospitava decine di specie animali a rischio di estinzione nel loro habitat naturale. È in atto un piano per rivalutare lo Zoo di Napoli, adeguando gli spazi per gli animali.

SHOPPING

Napoli è sicuramente una meta ideale per chi ama fare shopping. La città offre, infatti, una varietà di possibilità, con prezzi che variano da una zona all’altra. A seconda della disponibilità delle tasche, si può scegliere tra negozi di grandi firme, negozi con prezzi più economici oppure i caratteristici mercatini popolari. Gli amanti dello shopping di lusso non potranno fare a meno di fare una passeggiata per le eleganti strade di via dei Mille, via Calabritto, via Filangieri e via Carlo Poerio, ricche di famose boutique delle marche più prestigiose della moda italiana e non. Per chi invece vuole fare acquisti a buon prezzo e trovare fantastiche occasioni, il posto giusto è il centro storico di Napoli, in particolare la caratteristica via Toledo e Corso Umberto. Qui troverete molti negozi con prezzi accessibili. Il Vomero è un’altra zona molto rinomata per lo shopping napoletano, passeggiando per Via Scarlatti e Via Luca Giordano, potrete trovare grandi marchi, ma è addentrandovi per i vicoletti che potreste fare i veri affari. Non dimenticate di fare una sosta nella storica bottega di cravatte di Marinella, nei pressi di Piazza Vittoria, famosa in tutta il mondo per la qualità e la bellezza dei capi venduti.

Lo shopping costoso della zona di Chiaia

Se deciderete di passeggiare lungo le eleganti strade di via dei Mille, via Calabritto e via Carlo Poerio potrete ammirare le splendide vetrine delle marche più famose come quelle di Gucci, Louis Vuitton, Ferragamo e Cartier. Accanto ai negozi di alta moda potrete apprezzare le antiche e affascinanti botteghe sartoriali di stampo assolutamente partenopeo. Ma ancor più elitaria è quella lingua di strada, piccola e spesso molto trafficata, che segue via dei Mille ovvero via Filangieri, con le sue scintillanti e seducenti vetrine di Pomellato, Hermès e Bulgari. Sempre nella zona di Chiaia, a Piazza dei Martiri, potrete fare un giro nel maxistore Feltrinelli per anche solo sfogliare qualche libro, in un’atmosfera serena e rilassante, in attesa di trovare quello giusto da comprare. Dopo la passeggiata nel mondo dei libri, per trovare il giusto equilibrio tra cultura e shopping sfrenato, dirigetevi verso il negozio di Tramontano a via Chiaia, dove vi innamorerete delle pregiatissime e anche costosissime borse fatte a mano secondo un’antica tradizione napoletana. Verso piazza Vittoria andate a visitare, quasi fosse un museo, la raffinata bottega delle mitiche cravatte di Marinella conosciute in tutte il mondo. I vostri occhi non potranno credere all’incredibile quantità di cravatte adagiate sul massiccio bancone di legno e la scelta non sarà facile anche perché il negozio è piuttosto angusto e i clienti sono veramente tanti.

Il Centro Storico è per tutte le tasche

Se volete immergervi in un’atmosfera più semplice e caratteristica, ma soprattutto se desiderate fare acquisti a buon prezzo e spesso anche dei veri e propri affari, non dovete far altro che dirigervi verso il centro storico della città. Non potete non provare l’emozione di passeggiare lungo Via Roma, che vi sorprenderà con i suoi folcloristici vicoletti che conducono alle particolari e spesso caotiche atmosfere dei quartieri spagnoli, e lungo il Corso Umberto, che è sempre illuminato, anche se non è Natale, dalle insegne dei suoi numerosissimi negozi. In questa zona c’è una grande concentrazione di catene commerciali come Benetton, Sisley, Stefanel, Phard, Camomilla, Calzedonia e per le più giovani Bershka, Zara e Pull and Bear. Ma ce n’è per tutti i gusti anche nell’ambito delle calzature: scarpe di ogni tipo e a qualsiasi prezzo per grandi e piccini. Per gli amanti delle carte particolari segnaliamo “I Cartigiani” nella zona delle Università, in cui potrete farvi fare un diario su misura scegliendo tra le numerosissime varietà di carta o anche acquistare album e cornici fatte a mano con un lavoro attento e meticoloso.

Le passeggiate al Vomero

Le colline del Vomero sono spesso proibitive per chi vuole fare un po’ di shopping non impegnativo, ma al di là delle strade principali come Via Scarlatti e Via Luca Giordano, i vicoletti un po’ più nascosti potrebbero nascondere dei veri e propri affari per le vostre tasche. Vi consigliamo comunque di dedicare un pomeriggio alle strade di questo quartiere perché anche solo ammirare le vetrine passeggiando tra le due schiere di alberi nella pedonale Via Scarlatti, o godersi la tranquilla atmosfera di Via Luca Giordano, recentemente vietata alle macchine, può risollevarvi il morale e farvi trascorrere qualche ora all’insegna del relax. Del resto se è vero che la shopping terapia aiuta a sentirsi meno tristi, è ugualmente giusto affermare che anche solo dare uno sguardo alle vetrine in un luogo accogliente fa sentire ugualmente bene.

Mercatini: una realtà parallela

Non dovete assolutamente perdere l’appuntamento con almeno uno dei mercatini che vi offre la città di Napoli. Nonostante siano tutti affollati, disordinati e caotici, sono molto amati non solo dalle persone in cerca di occasioni, ma anche da coloro che desiderano immergersi in un’atmosfera particolare per cogliere quel lato di Napoli che probabilmente altrove è inafferrabile. In tutti i mercatini le voci si mescolano, si confondo, “J teng a robba bon!” ( io ho della buona merce), “Signurì oggi prezzi pazzi, m’vogl ruvinà!” ( Signorina oggi prezzi molto convenienti, mi voglio rovinare!) e la gente che è lì a scavare tra le “pezze” di qualche bancarella o a trattare sul prezzo, non può far altro che sorridere e continuare a spendere con il buonumore. Il mercatino di Poggioreale, situato a un chilometro dal carcere di Poggioreale, aperto dal venerdì alla domenica, vi stupirà per la sua varietà di scarpe di qualsiasi tipo. Il mercatino di Antignano nella zona del Vomero allestisce le sue bancarelle di abiti, scarpe e accessori per la casa tutte le mattine dalle 7:00 alle 13:30; di egual tipo è il mercatino di Posillipo che apre i battenti solo il giovedì dalle 7:00 alle 13:00. Nella brulicante e variopinta Pignasecca si trova il mercato della Pignasecca che offre prodotti di vario genere, dai vestiti agli alimenti, fino agli accessori per la casa. Gli amanti dell’Antiquariato invece non possono lasciarsi sfuggire il Mercatino dell’Antiquariato nella Villa Comunale, ogni terzo sabato e domenica de mese, che desta molto interesse per il valore degli oggetti d’epoca esposti.

Se vi interessano i mercati, Napoli è il posto giusto:

Porta Nolana

Tutti i giorni dalle 8 alle 14. Piazza Porta Nolana.

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Il mercato di Porta Nolana è il più famoso mercato di pesce a Napoli. Qui, in una situazione colorata e divertente, troverete ogni tipo di prodotto ittico insieme ad alimentari vari. Durante le festività di Natale, non perdetevi le trattative per l’acquisto del capitone, la tradizionale anguilla del cenone della vigilia.Mercato-

Mercatino dell’antiquariato

Ogni terzo e quarto week-end del mese. Villa Comunale.

Un mercatino delle pulci specializzato sull’antiquariato, che anno dopo anno sta conquistando sempre più prestigio e visitatori. Qui troverete una grande varietà degli oggetti esposti, dalla cartolina d’epoca fino all’armadio fine ‘800.

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Tutti i giovedì dalle 7 alle 13. viale della Rimembranza.

In questo mercato, frequentato dalla gente “bene” di Napoli, troverete vestiti firmati, scarpe, tessuti ed accessori. Attenzione ai prezzi, non sono sempre economici.

 

Presepe Napoletano

 

Napoli vanta una lunga ed importante storia nell’arte del presepe. Questa tradizione, che ha mantenuto inalterati fino ad oggi i caratteri tipici, ha assunto un ruolo di primo piano in città, tanto che ogni anno attira numerosi turisti. Via San Gregorio Armeno, conosciuta come la “Via dei presepi”, è nota in tutto il mondo per le innumerevoli botteghe che realizzano e vendono presepi. PresepeIn questa strada, dove sembra che il Natale non finisca mai, tutto l’anno i maestri artigiani sono all’opera per realizzare i tipici presepi in sughero. Ma è soprattutto nei giorni di Natale, che la via viene presa d’assalto dai napoletani e, soprattutto, dai turisti. Qui si può trovare davvero tutto il necessario per il presepe: dalle casette in sughero di varie dimensioni, ai mulini a vento e alle cascate azionate dall’energia elettrica, dai pastori in terracotta dipinti a mano a quelli con abiti cuciti su misura. Non possono ovviamente mancare le classiche statuine dei Re Magi e della Sacra Famiglia, in tutte le dimensioni, materiali e prezzi, oltre a quelle più moderne dei fruttivendoli, pescivendoli e pizzaioli. Accanto a queste vere e proprie opere d’arte, frutto del lavoro di famiglie artigiane che si tramandano quest’arte da generazione a generazione, si trovano oggetti stravaganti, ironici e a volte anche irriverenti: la statuetta del politico o del VIP del momento è oramai divenuta uno dei classici sulle bancarelle di via San Gregorio Armeno. Tanto che alcuni artigiani si sono specializzati nella realizzazione di queste atipici pastori. Come non dimenticare Maradona con il suo pallone negli anni d’oro del Napoli o Di Pietro quando era ancora giudice con la schiera di politici condannati durante Tangentopoli. In questo clima colorato e divertente si rivive una Napoli viva e realistica che ancora esiste. Ricordate che se volete acquistare una statuetta in genere si parte dai 35-45 euro per modelli semplici, fino ad arrivare alle migliaia di euro per quelli che riproducono i pastori classici del Settecento.

 

Credenze popolari

 

Napoli è famosa per essere la città delle leggende, dei misteri, ma soprattutto delle superstizioni e dei numeri. La superstizione, che ha origini antichissime, tanto che lo stesso Cicerone la citava nelle sue opere, è la credenza, irrazionale, che particolari atteggiamenti e comportamenti possano avere delle ripercussioni, prevalentemente di carattere negativo, su eventi futuri. Questa poi si trasforma in malocchio quando si basa sull’attribuzione di un potere malefico alle persone. Ma come proteggersi dal malocchio? Oltre agli scongiuri, i napoletani credono nel potere degli amuleti, tra i quali il ferro di cavallo, il gobbetto, il numero 13, ma soprattutto il corno e le corna. Il corno, in particolare, è l’amuleto più diffuso e venduto a Napoli. Ritenuto auspicio di fertilità già nel neolitico, il corno per assolvere il suo scopo deve rispettare dei particolari caratteri: deve essere regalato, deve avere una forma a punta e sinusoidale, deve essere fatto a mano, deve essere duro, e deve essere di color rosso. In città la superstizione è legata anche al gioco del Lotto ed alla lettura della Smorfia. Questo gioco, originariamente conosciuto come “gioco del seminario”, si diffuse nel 1576, quando il patrizio genovese Benedetto Gentile decise di associare ai 120 candidati alla carica di membro del collegio della Repubblica 120 numeri imbussolati in un’urna chiamata “seminario”. A quel punto non mancavo le scommesse sui 5 nomi estratti, che avrebbero fatto parte del Collegio. Oggi i napoletani per avere i numeri giusti si affidano alla smorfia ( da Morfeo), libro che associa ad ogni evento o sogno un numero. Il personaggio più nominato e temuto dai napoletani è “ò munaciell”, lo spiritello dispettoso e stravagante, ma a volte benevole, di un bambino. La leggenda ebbe origine nel 1445, sotto il regno Aragonese, quando una giovane nobile si innamorò di un garzone. Questo amore impossibile finì in tragedia: il giovane amante fu assassinato e l’innamorata rinchiusa in un convento. Da questa relazione nacque comunque un figlio, tenuto per anni nascosto dalle suore a causa della sua deformità. “Munaciell”, chiamato così per gli abiti monacali che indossava, fu sempre temuto per i suoi poteri magici e soprannaturali. Di pari fama, ma antagonista principale del “munaciell”, è “bella mbrian”, lo spirito benigno della casa. Avere questa presenza nelle case significa infatti benessere, salute, prosperità. Rappresentata come una bella donna molto ben vestita, la “bella mbrian” viene invocata soprattutto nelle situazioni difficili. Ma ricordate di lasciarle sempre una sedia libera dove riposarsi, e di non parlare mai di eventuali traslochi, altrimenti potrebbe arrabbiarsi.

 

Sicurezza a Napoli: consigli fondamentali

Gli episodi di cronaca nera che abbondano nei telegiornali nazionali raramente riguardano i turisti e interessano parti della città molto lontane dai luoghi da visitare. Sono invece più frequenti, (anche se molto meno di quello che si pensa )scippi, truffe e imbrogli vari, che si possono evitare seguendo questi semplici consigli. I ladri napoletani “fiutano” le prede più semplici. Sanno riconoscere al volo un turista sprovveduto da uno che invece può creare problemi. Il primo consiglio, quindi, è questo: usate il buonsenso. Se avete un Rolex o un orologio di valore, non esponetelo come un trofeo. Lasciatelo a casa o nella cassaforte dell’hotel. Non andate in giro con la macchina fotografica penzolante al collo, in attesa che passi qualcuno sul motorino e ve la porti via. Per le donne: la borsetta va tenuta chiusa, stretta e sempre sotto controllo: non tanto per gli scippi, che sono diventati molto rari, ma quanto per i borseggiatori che operano nei luoghi affollati e negli autobus frequentati dai turisti. Non portare portafogli e soldi nella tasca posteriore dei pantaloni, ma davanti o nella tasca interna della giacca o del giubbino. I napoletani sono sempre molto gentili, ma se qualcuno si offre di farvi una foto o accompagnarvi da qualche parte, respingetelo con un NO fermo e allontanatevi. Può capitare che alle fermate dell’autobus qualcuno vi racconti una storia strappalacrime di medicine, malattie e soldi che vi verranno restituiti presto: salutatelo e basta. I ladruncoli che rubano negli autobus e nelle metro affollate sono degli insospettabili signori ben vestiti, quindi tenete d’occhio loro.

Uno spazio a parte meritano alcuni tecniche storiche che usano i truffatori napoletani per guadagnarsi la giornata: sono il gioco delle campane o delle tre carte e il cosiddetto “Pacco”. Nelle zone di arrivo dei turisti, soprattutto di fronte al porto e nei pressi della Stazione Centrale, ci sono gruppetti di persone che fanno finta di giocare alle tre carte su tavolini improvvisati. Attenzione, sono tutti “compari”, quasi sempre di una stessa famiglia. Uno di loro farà finta di aver vinto molti soldi per incuriosirvi e farvi avvicinare al tavolo, dove con molto insistenza vi chiederanno di puntare dei soldi che puntualmente perdente. Il Pacco: nel bene e, soprattutto nel male, è il segno della creatività napoletana. Nella zona del porto, a Piazza Garibaldi ma anche semplicemente mentre state passeggiando per strada, qualcuno vi chiederà di comprare per una cifra ridicola l’ultimo modello di telecamera, portatile, telefonino o qualsiasi altro oggetto elettronico di valore. Quello che ha in mano il truffatore è vero: quello che vi ritroverete nel pacco è un mattone, al massimo una brutta copia fatta in legno e dipinta con maestria.

CAPRI

Una delle mete turistiche più rinomate ed ambite dal turismo mondiale. L’isola di Capri è la perla del golfo di Napoli. La vegetazione lussureggiante, i colori straordinari del mare, le grotte meravigliose, l’hanno resa celebre nel mondo. Capri ha incantato nei secoli scrittori, poeti, musicisti, pittori. Tanti i registi che l’hanno scelta come sfondo per i loro film e i personaggi famosi che hanno affollato i tavolini della celebre piazzetta. Uno dei primi estimatori dell’isola fu l’imperatore romano Tiberio, che qui trascorse gli ultimi anni della sua vita. Ma la definitiva vocazione dell’isola fu scoperta alla metà dell’800, quando visitatori da tutto il mondo la scelsero come residenza, formando quella colonia cosmopolita che ha creato il mito di Capri e della Grotta Azzurra…

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Situata a 17 miglia marine a sud di Napoli, questa meravigliosa isola si estende su un’area di circa 10 km quadrati, dei quali 4 appartenenti al comune di Capri e 6 al comune di Anacapri. Per il magnifico clima, il mare cristallino e le bellezze naturali, Capri ha sempre attirato rinomati intellettuali, artisti e scrittori, tutti rapiti dalla sua magica bellezza. Tra questi Charles Dickens, che la descrive con queste poche, ma significative, parole: “In nessun luogo al mondo, vi sono tante occasioni di deliziosa quiete, come in questa piccola isola”. Questo mix di storia, natura, mondanità, cultura, eventi hanno dato vita al Mito di Capri, rendendo la città una delle mete preferite dal turismo internazionale. Per gli amanti del mare e delle immersioni l’isola offre vere e proprie perle. La costa frastagliata è, infatti, caratterizzata da numerose grotte, utilizzate in epoca romana come ninfei delle sontuose ville, e cale che si alternano a ripide scogliere. La grotta più famosa è senza dubbio la Grotta Azzurra, in cui i magici effetti luminosi furono descritti da moltissimi scrittori e poeti. Caratteristici di Capri sono anche i celebri Faraglioni, tre piccoli isolotti rocciosi a poca distanza dalla riva, che creano uno spettacolare effetto scenografico e paesaggistico. IMG_9896L’isola di Capri si trova nella parte meridionale del Golfo di Napoli ed è occupata da due altopiani, separati nel mezzo da una fertile pianura. L’isola si popolò a partire dal VIII a.c., quando greci e fenici scelsero questa terra come dimora. Ma il primo, vero estimatore di Capri fu l’Imperatore Tiberio, successore di Augusto sul trono di Roma.

Intorno al 30 d.c., Tiberio fece costruire nell’isola 12 sontuose ville, tra le quali la celebre Villa Jovis, dando a ciascuna di esse il nome di una divinità.Dalla caduta dell’Impero Romano (476 d.c.) fino a tutto l’Alto Medioevo (1000), Capri rimase sotto il controllo di Napoli, senza tuttavia venir influenzata dai cambiamenti politici che si verificavano nella città dominatrice, causati dall’alternarsi di varie dinastie, tra Angioini e Aragonesi. Nel frattempo Capri doveva risolvere ben altri problemi che continuarono per diversi secoli: presa di mira dalle continue scorrerie dei pirati e dimenticata da Napoli, la popolazione dovette spostarsi dalla costa rifugiandosi nelle alture che sorgevano all’interno dell’isola. Questo provocò una sorta di tracollo dell’economia isolana, basata soprattutto sulla pesca, ma anche la nascita dei due insediamenti urbani di Capri e Anacapri (1200).

Tra il 1200 e il 1500 l’isola fu assoggettata ai normanni e poi agli svevi, passando in mani spagnole e per ultimo, fino al crollo di Napoleone, in quelle dei francesi. È proprio a partire dal 1800 che si assiste al risveglio culturale dell’isola, e questo grazie ad un animato e crescente interesse da parte di artisti ed intellettuali europei. Attratti dallo splendido clima, dalla posizione e dalle meraviglie naturalistiche, inglesi, americani e tedeschi divennero i protagonisti di un’invasione pacifica dell’isola, la quale di conseguenza cominciò ad attrezzarsi per accogliere i turisti .Ai primi del 1900 l’isola accolse alcuni rifugiati politici, tra i quali lo scrittore russo Maxim Gorki e Lenin, seguiti negli anni Cinquanta dal celebre poeta cileno Pablo Neruda, che per alcuni anni visse in esilio nell’isola.

Capri: Arco Naturale Questo ardito Arco è la parte superstite di una grande grotta che si addentrava nella montagna. I flutti del mare ne ampliarono l’apertura e asportarono i detriti. Dopo il sollevamento dell’Isola in età paleolitica, la grotta fu sottratta all’azione erosiva delle onde ed il vento e la pioggia ne trasformarono la superficie.

 

Villa Jovis Delle dodici ville imperiali di Capri menzionate da Tacito negli Annali, Villa Jovis è la più grande. Tiberio diresse da qui le sorti dell’Impero dal 27 al 37 d.C.villa-jovis-and-santa-maria-del-soccorso

 

 

 

 

 

 

Giardini di Augusto I Giardini di Augusto, a pochi passi dalla Piazzetta, sorgono in prossimità di Via Krupp, ideata dall’industriale dell’acciaio tedesco A.F. Krupp, che a tale scopo acquistò il “Fondo Certosa”, dove in parte sorgono i giardini.augusto capri

 

Punta Cannone Sulla posizione strategica di questo pianoro, i francesi piazzarono nel 1808, un cannone per la difesa del settore sud dell’Isola. Nel ‘900 e durante il soggiorno della folta colonia di artisti tedeschi che vi sostavano per dipingere.

 

Giro dell’ Isola – Grotte Il giro in barca intorno all’Isola inizia da Marina Grande. Dirigendosi verso occidente, si costeggiano la spiaggia di Marina Grande e i Bagni di Tiberio. Il tratto di costa successivo è costituito dall’alta falesia calcarea con fenditure e grotte sormontate da una ricca vegetazione autoctona

 

Anacapri: Villa San Michele Costruita dal medico e scrittore svedese Axel Munthe sui ruderi di una villa romana, Villa San Michele é meta di un gran flusso di visitatori, mai cessato dal 1929.

 

Anacapri: Casa Rossa Nel museo della Casa Rossa sono custodite le statue di epoca romana raffiguranti divinità marine rinvenute nella Grotta Azzurra. Inoltre espone immagini di vita vissuta e quotidianità a Capri tra l’Ottocento e il Novecento attraverso le tele di famosi maestri quali Barret, De Montalant..

 

Anacapri: Monte Solaro con seggiovia Il protagonista assoluto è il panorama a 360° che offre la vista splendida del Golfo di Napoli con allo sfondo il Vesuvio,il Golfo di Salerno, passando per la piana di Anacapri, la penisola sorrentina,l’isola di Ischia, Capri con i Faraglioni e ammirando il colore stupendo del mare.

 

 

Anacapri: Grotta Azzurra La Grotta Azzurra, caverna naturale sprofondata in mare dall’epoca preistorica, è oggi una delle maggiori attrattive turistiche di Capri, per l’ammaliante effetto creato dai giochi della luce solare filtrata da sotto l’acqua e riflessa sulle pareti rocciose.IMG_9889

 

 

 

 

 

 

 

 

Anacapri: Fortini Un recente progetto di restauro dei fortini ed il recupero dei sentieri, ha valorizzato una parte dell’isola sotto il profilo storico e paesaggistico. Potete visitare i Fortini scendendo a piedi per Via Pagliaro (lungo la strada per la Grotta Azzurra).

 

La Costiera Amalfitana

Da Positano a Vietri sul Mare 36 chilometri di paradiso. Quattordici località ognuna con le sue tradizioni e le sue peculiarità per le quali vale la pena visitarle almeno una volta nella vita. Immerse in uno scenario incantevole condividono un mare cristallino dai colori intensi, una natura selvaggia, le chiese dalle cupole maiolicate e le case aggrappate all’impervia roccia. La costiera, dal 1997 Patrimonio mondiale dell’Unesco, prende il nome da Amalfi per la sua posizione centrale e per il ruolo storico che ha ricoperto. Nel IX secolo ha segnato le sorti del mediterraneo insieme alle altre repubbliche marinare. Il Duomo, con il chiostro del Paradiso e la Basilica del Crocifisso e la pregiata carta d’Amalfi tra le attrazioni del posto. Da Positano con le sue stradine, le botteghe di abbigliamento e le spiagge bandiera blu, passando per il fiordo di Furore, alla grotta dello smeraldo di Conca dei Marini, dalla piazzetta sul mare di Atrani alle scale di Raito, senza parlare di Ravello e delle altre perle della costiera è un susseguirsi di emozioni, un viaggio tutto da scoprire.

 

Sorrento

« Poche città ponno vantare la sua veramente incantevole, romantica, deliziosa, e quanto mai amenissima situazione, quale non può esprimersi con poche parole; anche pel ridente e leggiadrissimo promontorio del suo nome celebre, come per la purissima e saluberrima aria, onde fu appellata naturae miraculo e altamente rinomata. »

(Gaetano Moroni, Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica, vol. LXVII, p. 233)sorrento1-1

 

Sorrento (Surriento in napoletano) è un comune italiano di 16.592 abitanti

Meta turistica per eccellenza, da sempre per le sue bellezze naturali ed artistiche e le sue tradizioni, Sorrento è il maggiore centro per numero di servizi offerti ed anche il più conosciuto e nominato di tutta la Penisola Sorrentina. È Sede Arcivescovile.

La fondazione è tradizionalmente e leggendariamente attribuita ai greci, ma Sorrento ebbe come primi abitanti stanziali i popoli italici, dagli Etruschi e poi, dal 420 a.C., vi fu importante l’influsso degli Osci. In età romana è ricordata per aver partecipato all’insurrezione degli Italici (90 a.C.); vi fu quindi dedotta da Silla una colonia, a cui seguì più tardi uno stanziamento di veterani di Ottaviano. Fu poi municipio della tribù Menenia. Fu sede vescovile almeno dal 420. Durante la crisi del dominio bizantino in Italia, Sorrento acquistò autonomia come ducato, prima sotto la supremazia dei duchi di Napoli, poi con arconti e duchi propri, sempre in lotta con Amalfi, Salerno ed i Saraceni. La storia di Sorrento si confonde con quella delle altre città campane; prese parte alle leghe anti musulmane; combatté i Longobardi di Benevento; conobbe lotte familiari tra i nobili locali. Obbligato nel sec. IX da Guaimario ad accettare come proprio duca il fratello, Guido, il Ducato di Sorrento riprese la propria autonomia dopo la morte di quest’ultimo per poi perderla definitivamente nel 1137, assorbito nel nuovo regno dei Normanni. Sorrento seguì da allora le sorti del regno, non senza ribellioni e conflitti, specie all’inizio dell’età aragonese. Nel 1558 fu presa e saccheggiata dai Turchi; nell’inverno del 1648 la città sostenne valorosamente l’assedio di Giovanni Grillo, generale del duca di Guisa.

l centro storico mostra ancora il tracciato ortogonale delle strade di origine romana, mentre verso monte è circondato dalle mura cinquecentesche. Vi si trovano il Duomo, riedificato nel XV secolo, con facciata neogotica, e la Chiesa di San Francesco d’Assisi, con un notevole chiostrino trecentesco, con portico arabeggiante ad archi che s’intrecciano su pilastri ortogonali. Nel museo Correale di Terranova sono esposte collezioni di reperti greci e romani e di porcellane di Capodimonte, con una sezione di pittura del XVII-XIX secolo; dal parco si gode inoltre una magnifica vista sul golfo. Presso la Punta del Capo, 3 km a ovest, si trovano resti romani ritenuti della villa di Pollio Felice (I secolo d.C.). Un’altra villa marittima è la “Villa di Agrippa Postumo”, sotto l’attuale “Hotel Syrene”. La villa fu fatta costruire dallo sfortunato nipote di Augusto.

La Penisola, area di antica tradizione casearia, offre itinerari alla ricerca di antichi sapori e storici vini, attraverso prodotti e produttori, espressione del territorio. Si passa dal limoncello di Sorrento all’olio alimentare a denominazione di origine protetta Penisola Sorrentina, dalla pasta di Gragnano ai latticini di Agerola, sostando in veri templi del gusto e girovagando per cantine e frantoi. Si parte da Vico Equense, vero paradiso gastronomico, dove piccoli “artigiani del gusto” realizzano dei grandi prodotti, come la salsiccia e il salame fatto di carne suina e scorza di arancia, ed i magnifici prodotti caseari, dai burrini, caciottine ripiene di un delicato purè di burro, ai caprignetti, piccole palline ottenute da una crema di formaggio caprino (cacio-ricotta) che, dopo essere state cosparse di erbe aromatiche, vengono conservate sott’olio. Il più pregiato di tutti è il rinomato Provolone del Monaco DOP, formaggio stagionato a pasta filata nella caratteristica foggia a melone leggermente allungato o a pera, senza testina. I prodotti caseari della zona sono ancora prodotti in modo artigianale e svariate sono le botteghe gastronomiche e i produttori presso cui si possono assaggiare e acquistare i prodotti tipici, ma anche osservare il ciclo di produzione. Da notare sono le trecce alle olive e le altre specialità dei Monti Lattari.IMG_9726

La reggia di Caserta

La reggia di Caserta, o Palazzo Reale di Caserta, è una dimora storica appartenuta alla casa reale dei Borbone di Napoli, proclamata Patrimonio dell’umanità dall’UNESCO.

Situata nel comune di Caserta, è circondata da un vasto parco nel quale si individuano due settori: il giardino all’italiana, in cui sono presenti diverse fontane e la famosa Grande Cascata, e il giardino all’inglese, caratterizzato da fitti boschi.

In termini di volume, la reggia di Caserta è la più grande residenza reale del mondo con oltre 2 milioni di m³ e copre una superficie di 47.000 m².caserta

 

Nel 2013 è stato il decimo sito statale italiano più visitato, con 439.813 visitatori e un introito lordo totale di 1.759.918,97 Euro

Il Palazzo reale di Caserta fu voluto dal re di Napoli Carlo di Borbone, il quale, colpito dalla bellezza del paesaggio casertano e desideroso di dare una degna sede di rappresentanza al governo della capitale Napoli e al suo reame, volle che venisse costruita una reggia tale da poter reggere il confronto con quella di Versailles. Si diede inizialmente per scontato che sarebbe stata costruita a Napoli, ma Carlo di Borbone, cosciente della considerevole vulnerabilità della capitale a eventuali attacchi (specie da mare), pensò di costruirla verso l’entroterra, nell’area casertana: un luogo più sicuro e tuttavia non troppo distante da Napoli.

 

Dopo il rifiuto di Nicola Salvi, afflitto da gravi problemi di salute, il sovrano si rivolse all’architetto Luigi Vanvitelli, a quel tempo impegnato nei lavori di restauro della basilica di Loreto per conto dello Stato Pontificio. Carlo di Borbone ottenne dal Papa di poter incaricare l’artista e nel frattempo acquistò l’area necessaria dal duca Michelangelo Gaetani, pagandola 489.343 ducati, una somma che seppur enorme fu certamente oggetto di un forte sconto: Gaetani, infatti, aveva già subìto la confisca di una parte del patrimonio per i suoi trascorsi antiborbonici.

Il re chiese che il progetto comprendesse, oltre al palazzo, il parco e la sistemazione dell’area urbana circostante, con l’approvvigionamento da un nuovo acquedotto (Acquedotto Carolino) che attraversasse l’annesso complesso di San Leucio. La nuova reggia doveva essere simbolo del nuovo stato borbonico e manifestare potenza e grandiosità, ma anche essere efficiente e razionale.

Il progetto si inseriva nel più ampio piano politico di re Carlo di Borbone, che probabilmente voleva anche spostare alcune strutture amministrative dello Stato nella nuova Reggia, collegandola alla capitale Napoli con un vialone monumentale di oltre 20 km. Questo piano fu però realizzato solo in parte; anche lo stesso palazzo reale non fu completato della cupola e delle torri angolari previste inizialmente.

Vanvitelli giunse a Caserta nel 1751 e iniziò subito la progettazione del palazzo commissionatogli, con l’obbligo di farne uno dei più belli d’Europa. Il 22 novembre di quell’anno l’architetto sottopose al re di Napoli il progetto definitivo per l’approvazione. Due mesi dopo, il 20 gennaio 1752, genetliaco del re, nel corso di una solenne cerimonia alla presenza della famiglia reale con squadroni di cavalleggeri e di dragoni che segnavano il perimetro dell’edificio, fu posta la prima pietra. Tale momento viene ricordato dall’affresco di Gennaro Maldarelli che campeggia nella volta della Sala del Trono.

L’opera faraonica che il re di Napoli gli aveva richiesto spinse Vanvitelli a circondarsi di validi collaboratori: Marcello Fronton lo affiancò nei lavori del palazzo, Francesco Collecini in quelli del parco e dell’acquedotto, mentre Martin Biancour, di Parigi, venne nominato capo-giardiniere. L’anno dopo, quando i lavori della reggia erano già a buon punto, venne iniziata la costruzione del parco. I lavori durarono complessivamente diversi anni e alcuni dettagli rimasero incompiuti. Nel 1759, infatti, Carlo di Borbone di Napoli era salito al trono di Spagna (con il nome di Carlo III) e aveva lasciato Napoli per Madrid.

I sovrani che gli succedettero, Gioacchino Murat, che all’abbellimento della reggia diede un certo contributo, Ferdinando IV (divenuto poi dopo il congresso di Vienna Ferdinando I delle Due Sicilie), Francesco I, Ferdinando II e Francesco II, col quale ebbe termine in Italia la dinastia dei Borbone, non condivisero lo stesso entusiasmo di Carlo di Borbone per la realizzazione della Reggia. Inoltre, mentre ancora nel XVIII secolo non era difficile reperire manodopera economica grazie ai cosiddetti barbareschi catturati dalle navi napoletane nelle operazioni di repressione della pirateria praticata dalle popolazioni rivierasche del Nordafrica, tale fonte di manodopera si azzerò nel secolo successivo con il controllo francese dell’Algeria.

 

Infine, il 1º marzo 1773 morì Vanvitelli al quale successe il figlio Carlo: questi, anch’egli valido architetto, era però meno estroso e caparbio del padre, al punto che trovò notevoli difficoltà a compiere l’opera secondo il progetto paterno.

« Una delle creazioni planimetriche più armoniche, più logiche, più perfette dell’architettura di tutti i tempi. »

(Gino Chierici, La Reggia di Caserta, Roma, Libreria dello Stato, 1930)

 

La reggia, definita l’ultima grande realizzazione del Barocco italiano, fu terminata nel 1845 (sebbene fosse già abitata nel 1780), risultando un grandioso complesso di 1200 stanze e 1742 finestre, per una spesa complessiva di 8.711.000 ducati. Nel lato meridionale, il palazzo è lungo 249 metri, alto 37,83, decorato con dodici colonne. La facciata principale presenta un avancorpo centrale sormontato da un frontone; ai lati del prospetto, dove il corpo di fabbrica longitudinale si interseca con quello trasversale, si innestano altri due avancorpi. La facciata sul giardino è uguale alla precedente, ma presenta finestre inquadrate da lesene scanalate.

Il palazzo ricopre un’area di circa 47.000 m²;[dispone di 1026 fumaroli e 34 scale. Oltre alla costruzione perimetrale rettangolare, il palazzo ha, all’interno del rettangolo, due corpi di fabbricato che s’intersecano a croce e formano quattro vasti cortili interni di oltre 3.800 m² ciascuno.

La Sala del Trono

Oltre la soglia dell’entrata principale alla reggia si apre un vasto vestibolo ottagonale del diametro di 15,22 metri, adorno di venti colonne doriche. A destra e a sinistra si inseriscono i passaggi che portano ai cortili interni, mentre frontalmente un triplice porticato immette al centro topografico della reggia.casert2

In fondo, un terzo vestibolo dà adito al parco. Su un lato del vestibolo ottagonale si apre il magnifico scalone reale a doppia rampa, un autentico capolavoro di architettura tardo barocca, largo 18,50 metri alto 14,50 metri e dotato di 117 gradini, immortalato in numerose pellicole cinematografiche. Ai margini del primo pianerottolo della scalinata si trovano due leoni in marmo di Pietro Solari e Paolo Persico, mentre il soffitto, caratterizzato da una doppia volta ellittica, fu affrescato da Girolamo Starace-Franchis con Le quattro Stagioni e La reggia di Apollo; sulla parete centrale è addossata una statua di Carlo di Borbone, opera di Tommaso Solari, affiancata da La verità e Il merito, realizzate rispettivamente da Andrea Violani e Gaetano Salomone.

La doppia rampa si conclude in un vestibolo posto al centro dell’intera costruzione. Di fronte si trova l’accesso alla grande Cappella Palatina, ispirata a quella della Reggia di Versailles; questo spazio, definito da un’elegante teoria di colonne binate che sostengono una volta a botte, è stato danneggiato durante la seconda guerra mondiale, quando andarono perduti gli organi e tutti gli arredi sacri, e quindi restaurato. Sul retro della cappella, ancora inglobato all’interno del palazzo, è posto il piccolo e raffinato Teatro di Corte, caratterizzato da una pianta a ferro di cavallo; fu inaugurato nel 1769 alla presenza di Ferdinando I delle Due Sicilie.

 

Invece, alla sinistra del vestibolo si accede agli appartamenti veri e propri. La prima sala è quella degli Alabardieri, con dipinti di Domenico Mondo (1785), alla quale segue quella delle guardie del corpo, arredata in stile Impero e impreziosita da dodici bassorilievi di Gaetano Salomone, Paolo Persico e Tommaso Bucciano. La successiva sala, intitolata ad Alessandro il Grande e detta del “baciamano”, è affrescata da Mariano Rossi, che vi rappresentò il matrimonio tra Alessandro e Rossane (1787). Si trova al centro della facciata principale e funge da disimpegno tra l’Appartamento Vecchio e l’Appartamento Nuovo.

Scalone monumentale

L’Appartamento Vecchio, posto sulla sinistra, fu il primo ad essere abitato da Ferdinando IV e dalla consorte Maria Carolina ed è composto da una serie di stanze con pareti rivestite in seta della fabbrica di San Leucio. Le prime quattro stanze, di conversazione, sono dedicate alle quattro stagioni ed affrescate da artisti quali Antonio Dominici e Fedele Fischetti. Segue lo studio di Ferdinando II, con dipinti a tempera di Filippo Hackert che rappresentano vedute di Capri, Persano, Ischia, la Vacchieria di San Leucio, Cava dei Tirreni e il giardino inglese della reggia stessa. Dallo studio si accede, mediante un disimpegno, alla camera da letto di Ferdinando II, i cui mobili però furono distrutti e rifatti in stile Impero dopo la morte del sovrano a causa di una malattia contagiosa. Oltre la camera è la sala dei ricevimenti, che, mediante una serie di anticamere, è collegata direttamente alla Biblioteca Palatina e quindi alla cosiddetta Sala Ellittica, che ospita un fulgido esempio di presepe napoletano.

 

L’Appartamento Nuovo, posto sulla destra della sala di Alessandro il Grande, fu costruito tra il 1806 ed il 1845. Vi si accede tramite la Sala di Marte, progettata da Antonio de Simone in stile neoclassico e affrescata da Antonio Galliano. Proseguendo oltre l’adiacente Sala di Astrea, con rilievi e stucchi dorati di Valerio Villareale e Domenico Masucci, si giunge quindi all’imponente Sala del Trono, che rappresenta l’ambiente più ricco e suggestivo degli appartamenti reali. Questo era il luogo dove il re riceveva ambasciatori e delegazioni ufficiali, in cui si amministrava la giustizia del sovrano e si tenevano i fastosi balli di corte. Una sala lunga 36 metri e larga 13,50, ricchissima di dorature e pitture, che fu terminata nel 1845 su progetto dell’architetto Gaetano Genovese. Intorno alle pareti corre una serie di medaglioni dorati con l’effigie di tutti i sovrani di Napoli, da Ruggero d’Altavilla a Ferdinando II di Borbone (tranne Giuseppe Bonaparte e Gioacchino Murat), poi un’altra serie con gli stemmi di tutte le province del regno, mentre nella volta domina l’affresco di Gennaro Maldarelli (1844) che ricorda la cerimonia della posa della prima pietra. Le successive stanze rappresentano il cuore dell’Appartamento Nuovo e furono ultimate dopo il 1816. Tra queste si ricorda la camera di Gioacchino Murat, in stile Impero, con mobili in mogano e sedie con le iniziali dello stesso Murat.

parco reale di Caserta

parco reale di Caserta si estende per 3 chilometri di lunghezza, con sviluppo Sud-Nord, su 120 ettari di superficie. In corrispondenza del centro della facciata posteriore del palazzo si dipartono due lunghi viali paralleli fra i quali si interpongono una serie di suggestive fontane che, partendo dal limitare settentrionale del Giardino all’italiana, collegano a questo il Giardino all’inglese:

 

la Fontana Margherita;

la Vasca e Fontana dei Delfini;

la Vasca e Fontana di Eolo;

la Vasca e Fontana di Cerere;

Cascatelle e Fontana di Venere e Adone;

La fontana di Diana e Atteone, sovrastata dalla Grande Cascata.

 

Le vasche sono popolate da numerosi pesci, specialmente carpe e carassidi, e vi vegetano piante acquatiche delle specie Myriophyllum spicatum e Potamogeton crispus.

La Reggia al cinema

Il regista cinematografico George Lucas ha girato diverse scene dei film La minaccia fantasma e L’attacco dei cloni, ovvero il primo e il secondo episodio della serie Star Wars, all’interno della Reggia di Caserta (i cui interni sono stati riproposti come la reggia del pianeta Naboo). Inoltre, nella Reggia sono state ambientate alcune parti dei film Donne e briganti, Ferdinando I, re di Napoli, Il Pap’occhio, Sing Sing, Li chiamarono… briganti!, Ferdinando e Carolina, Mission Impossible 3 e Io speriamo che me la cavo; alcune scene della seconda serie televisiva di Elisa di Rivombrosa sono ambientate nella Reggia, anche se in realtà sono state girate all’interno di una località romana.reggia di Caserta, percorsi dii luce

Va segnalata anche la pellicola I tre aquilotti del 1942, per la regia di Mario Mattoli, che vede un giovanissimo Alberto Sordi impersonante la parte di un giovanissimo allievo ufficiale dell’Accademia della Regia Aeronautica, all’epoca dislocata presso la Reggia di Caserta. Tra gli attori ricordiamo anche Leonardo Cortese, Galeazzo Benti e Riccardo Fellini, fratello del più famoso Federico; proprio a Riccardo viene riservata una fugace apparizione in divisa da accademista.

Gli interni del palazzo sono anche presenti nelle fiction RAI Giovanni Paolo II, dove ricreano gli interni dei Palazzi Vaticani, e Luisa Sanfelice.

Dal 17 al 20 giugno 2008 la Reggia è stata utilizzata per alcune riprese della troupe cinematografica del film Angeli e Demoni, ispirato all’omonimo romanzo di Dan Brown, autore anche del best seller Il codice da Vinci.

CUCINA

La cucina napoletana, risalente al periodo greco-romano, è nata dall’unione di una cucina aristocratica, caratterizzata da piatti ricchi ed elaborati (timballi o sartù di riso), e da una popolare, legata agli ingredienti della terra: cereali, legumi, verdure. Ma è la pizza forse il prodotto gastronomico napoletano più celebre nel mondo. Le sue radici sono antichissime, sicuramente risalenti almeno all’epoca romana. La genialità dei napoletani è stata quella di ricoprire la superficie della pizza con i condimenti prima della cottura, in particolar modo con il pomodoro. Se andate a Napoli non potete andar via senza prima aver assaggiato la tipica pizza Margherita, nata grazie al pizzaiolo Raffaele Esposito, che le conferì, in onore della omonima regina, le caratteristiche colorazioni della bandiera italiana. Nel centro storico alcune pizzerie vendono ancora oggi la pizza a libretto o a portafoglio. La cucina napoletana ha antichissime radici storiche che risalgono al periodo greco-romano e si è arricchita nei secoli con l’influsso delle differenti culture che si sono susseguite durante le varie dominazioni della città e del territorio circostante. Importantissimo è stato l’apporto della fantasia e creatività dei napoletani nella varietà di piatti e ricette oggi presenti nella cultura culinaria partenopea. In quanto capitale del regno, la cucina di Napoli ha acquisito anche gran parte delle tradizioni culinarie dell’intera Campania, raggiungendo un giusto equilibrio tra piatti di terra (pasta, verdure, latticini) e piatti di mare (pesce, crostacei, molluschi). A seguito delle varie dominazioni, principalmente quella francese e quella spagnola, si è delineata la separazione tra una cucina aristocratica ed una popolare. La prima, caratterizzata da piatti elaborati e di ispirazione internazionale, sostanziosi e preparati con ingredienti ricchi, come i timballi o il sartù di riso, mentre la seconda legata ad ingredienti della terra: cereali, legumi, verdure, come la popolarissima pasta e fagioli. A seguito delle rielaborazioni avvenute durante i secoli, e della contaminazione con la cultura culinaria più nobile, la cucina napoletana possiede ora una gamma vastissima di pietanze, tra le quali spesso anche quelle preparate con gli ingredienti più semplici risultano estremamente raffinate. Nonostante le contaminazioni avvenute durante i secoli, compreso quello appena trascorso, la cucina napoletana conserva tutt’oggi un repertorio di piatti, ingredienti e preparazioni che ne caratterizzano una identità culturale inconfondibile.

Primi piatti

Il ragù di Eduardo

La necessità di un’accurata preparazione del ragù è evidente dai seguenti versi di Eduardo, che definisce spregevolmente carne c’ ‘a pummarola (carne col pomodoro) la ricetta di una poco accorta sposa:

« ‘O rraù ca me piace a me m’ ‘o ffaceva sulo mammà. A che m’aggio spusato a te,

ne parlammo pè ne parlà. Io nun songo difficultuso; ma luvàmmel’ ‘a miezo st’uso

Sì, va buono: comme vuò tu. Mò ce avéssem’ appiccecà? Tu che dice? Chest’è rraù? E io m’ ‘o mmagno pè m’ ‘o mangià… M’ ‘a faje dicere ‘na parola?… Chesta è carne c’ ‘a pummarola »

(Eduardo, ‘O rraù.)

 

La varietà dei primi piatti nella cucina napoletana è molto vasta, e comprende sia piatti molto semplici, come pasta al pomodoro e basilico o il semplicissimo aglio e Olio (aglio e olio) fino a preparazioni elaborate, tra le quali il ragù che può richiedere, nella versione più tradizionale, cinque o sei ore di preparazione.

I primi piatti si rifanno a più tradizioni complementari che spesso si mescolano e influenzano a vicenda: quella di una cucina poverissima, basata principalmente su ingredienti della terra, una cucina popolare tradizionale, ricca di frutti di mare e pesce, alimenti dal costo contenuto, vista la pescosità del mare di Napoli, e, infine, una cucina legata alla parte più agiata della città, costituita da carne di ogni genere, uova e latticini, in preparazioni talvolta elaborate.

Primi piatti poveri

Gli spaghetti aglio, olio e peperoncino sono una delle più semplici ricette napoletane.

Tra gli alimenti più poveri ci sono le freselle, ciambelle biscottate di pane duro, dalla facile conservazione, che, bagnate, sono la base della caponata, condite con pomodoro fresco, aglio, olio, origano e basilico, e, quando disponibili, anche acciughe, olive ed altri ingredienti Altro piatto tipico sono gli spaghetti aglio e uoglio (aglio e olio) spesso conditi con peperoncino.

 

La cucina più povera abbina spesso la pasta con i legumi. Popolarissime sono: pasta e fagioli (pasta e fasule), conditi con le cotiche, pasta e ceci, pasta e lenticchie, e pasta e piselli. Ormai è rarissimo l’uso delle cicerchie. In maniera analoga ai legumi sono preparate pasta e patate (pasta e patane), pasta e cavolfiore, pasta e zucca. Il metodo di cottura della cucina più popolare consiste nel far cuocere prima i condimenti (ad esempio, soffriggere l’aglio nell’olio, quindi aggiungere i fagioli lessati, oppure soffriggere la cipolla ed il sedano ed aggiungere le patate tagliate a cubetti), quindi allungare con l’acqua, portare ad ebollizione, salare, ed aggiungere la pasta cruda. La pasta, cuocendo insieme ai condimenti, conserverà l’amido, che invece viene perso se la pasta viene cotta a parte e poi scolata. Questo procedimento rende il sugo della pasta più cremoso (“azzeccato”), ed è contrapposto ad una tradizione più “nobile” che preferisce preparare questi piatti in maniera più brodosa, aggiungendo alla fine la pasta cotta a parte. Per un primo piatto povero ma più nutriente, la pasta può essere semplicemente condita con uovo alla stracciatella e formaggio, la cosiddetta pasta caso e ova.

Gli spaghetti, conditi con sugo di pomodoro, olive di Gaeta e capperi prendono il nome di spaghetti alla puttanesca. Fantasiosa è anche la ricetta ideata per le tavole più povere, in assenza di costosi frutti di mare: gli spaghetti conditi con un sugo di pomodorini, o anche in bianco, con aglio, olio e prezzemolo vengono definiti spaghetti alle vongole fujute, dove le vongole sono presenti solo nella fantasia dei commensali.phoca_thumb_l_piatto-reginella 2 Lo scarpariello è un altro sugo semplice con cui si condiscono i maccheroni la sua base è di pomodoro e formaggio.

La frittata di maccheroni si può preparare anche con avanzi di pasta, sia in bianco che conditi col sugo di pomodoro. Si mescola la pasta cotta al dente con uovo battuto e formaggio. Può essere arricchita con svariati ingredienti. Alcune moderne riedizioni la vogliono farcita con ingredienti quali prosciutto cotto, mozzarella o provola fresca. Tradizionalmente cotta in padella, c’è chi usa oggi cuocerla al forno per renderla meno grassa. Se ben preparata risulta compatta, e può essere anche tagliata a fette per essere consumata durante gite fuori porta o in spiaggia.

Della frittata di maccheroni esiste anche una versione più piccola, chiamata appunto frittatina, prodotto tipico da rosticceria, preparata con besciamella, carne macinata, piselli e mozzarella e poi fritta in pastella.

Primi piatti più ricchi

La cucina aristocratica usa la pasta per preparazioni elaborate, come timballi, poco utilizzati ormai nella cucina di ogni giorno. Il sartù di riso è un timballo a base di riso ripieno di fegatini di pollo, salsicce, polpettine di carne, fiordilatte o provola, piselli, funghi, e condito con ragù, o, nella versione “in bianco” con besciamella.

Tra i piatti “ricchi”, ma comunque di uso comune, vi è la pasta condita con diversi sughi, come:

La bolognese, così chiamata perché vagamente ispirata al ragù emiliano, è preparata con un trito di carota, sedano e cipolla, carne macinata e pomodoro; La genovese, che non ha niente a che fare con Genova, è preparata con un sugo di carne a base di abbondante cipolla rosolata ed altri aromi;

Con il ragù sono tradizionalmente conditi gli ziti, lunghi maccheroni cavi, che vengono spezzati a mano prima della cottura. Il ragù viene anche usato, insieme al fiordilatte, per condire gli gnocchi alla sorrentina, che sono poi tradizionalmente ripassati a forno in un pignatiello, tipico pentolino monoporzione di terracotta.

Primi piatti di pesce

Gli spaghetti alle vongole sono il primo piatto di mare più popolare.

Spaghetti, linguine e paccheri sono abbinati benissimo a frutti di mare e pesce. Di qui i piatti tipici da pranzi importanti (matrimoni, in particolare). I più tipici sono:

Gli spaghetti alle vongole o ai frutti di mare (con vongole, cozze, fasolari, taratufi)

I paccheri con la zuppa di pesce, con scorfani, cuocci, tracine ed altre specie ittiche

La pasta con i calamari (popolarmente calamarata) cotti con una spruzzata di vino bianco

Ma esistono moltissime altre varianti, ad esempio gli spaghetti con il sugo in bianco del merluzzo. La cucina povera a base di legumi si può abbinare ai frutti di mare, così da avere, ad esempio, pasta e fagioli con le cozze, o varianti più moderne come zucchine e vongole o cozze, che però finiscono per perdere ogni connotazione tradizionale.

Piatti di riso

Oltre al già citato sartù di riso, nella cucina più povera, viene preparato tipicamente il riso con la verza, che può essere insaporito da scorzette di formaggio parmigiano, che fondono durante la cottura, o con cotiche di maiale o salsiccia. A base di pesce, invece è il risotto alla pescatora che si prepara con molluschi di vario tipo (vongole, lupini, polpi, seppie, calamari), gamberi, e con un brodo ottenuto da gusci e dalle scorze dei gamberi. Sono diffusi anche a Napoli gli arancini, detti in napoletano palle ‘e riso, più tipici della tradizione siciliana.Tipica durante le stagioni calde, l’insalata di riso è condita con salumi, formaggi, verdure oppure tonno, uova e mayonese, talvolta condita anche solo con sotto aceti di campo.

La pizza

« La pizza napoletana va consumata immediatamente, appena sfornata, negli stessi locali di produzione. L’eventuale asporto del prodotto verso abitazioni o locali differenti dalla pizzeria ne determina la perdita del marchio »Eq_it-na_pizza-margherita_sep2005_sml

(Art. 6 della disciplinare per la definizione di standard internazionali per l’ottenimento del marchio “Pizza Napoletana STG”)

La pizza Margherita, realizzata in onore della regina Margherita di Savoia nel 1889 dal pizzaiolo Raffaele Esposito.

La pizza è forse il prodotto della cucina italiana più celebre nel mondo. Le sue radici sono antichissime, sicuramente risalenti almeno all’epoca romana, quando erano diffuse diverse focacce di grano, citate in alcune opere di Virgilio. Il nome, infatti, probabilmente deriva dal latino pinsa, participio passato del verbo pinsere, che significa schiacciare. La pizza vera e propria, ricoperta di salsa di pomodoro, risale a poco più di due secoli or sono, e fu presto popolarissima sia presso i napoletani più poveri e che presso i nobili, compreso i re Borbone. Il successo della pizza conquistò anche i sovrani piemontesi, tanto è vero che proprio alla regina Margherita di Savoia nel 1889 il pizzaiolo Raffaele Esposito dedicò la “pizza Margherita” che rappresentava il nuovo vessillo tricolore con il bianco della mozzarella, il rosso del pomodoro ed il verde del basilico. Tuttavia, quella che oggi è chiamata pizza Margherita in realtà era già preparata prima della dedica alla regina Savoia. Francesco De Bouchard già nel 1866 ci riporta la descrizione dei principali tipi di pizza, ossia quelli che oggi prendono nome di marinara, margherita e calzone:

« Le pizze più ordinarie, dette coll’aglio e l’olio, han per condimento l’olio, e sopra vi si sparge, oltre il sale, l’origano e spicchi d’aglio trinciati minutamente. Altre sono coperte di formaggio grattugiato e condite collo strutto, e allora vi si pone disopra qualche foglia di basilico. Alle prime spesso si aggiunge del pesce minuto; alle seconde delle sottili fette di mozzarella. Talora si fa uso di prosciutto affettato, di pomidoro, di arselle, ec. Talora ripiegando la pasta su se stessa se ne forma quel che chiamasi calzone. »

La cottura della vera pizza necessita il forno a legna che riesce a raggiungere alte temperature tra i 430 e i 485 °C. Per questo motivo, sia la pizza fatta in casa che quella preparata nei locali che utilizzano forni elettrici non riescono a pareggiare l’inconfondibile ed unico sapore della vera pizza napoletana.

Un modo tradizionale di consumare la pizza è di acquistarla e mangiarla per strada. Nel centro storico alcune pizzerie vendono ancora la pizza a libretto o a portafoglio, più piccola della pizza che si mangia a tavola, piegata in quattro insieme ad un foglio di carta per alimenti, ed ancora dal costo molto contenuto. Questa pizza è stata resa celebre da Bill Clinton che, a Napoli per il meeting del G7, del 1994 gustò la pizza in questo modo presso una nota pizzeria in via dei Tribunali.

Con un impasto simile a quello della pizza ma più leggero si producono anche pastacresciute, tipiche delle friggitorie. Nelle pizzerie-friggitorie spesso si vendono anche le pizze fritte, ossia calzoni ripieni ma fritti in olio invece che cotti al forno.

Secondi piatti di mare

Fra le ricette di pesce, primeggiano i polpi alla lucìana, cosiddetti dal popolare borgo di Santa Lucia nel quale nacquero, cotti con peperoncino piccante e l’immancabile pomodoro. Il polpo si prepara anche semplicemente lesso, all’insalata, condito con olio, limone, prezzemolo, ed olive verdi. In una maniera più ricca, viene preparata l’insalata di mare dove oltre al polpo si usano seppie, calamari e gamberi.

Il pesce di media taglia viene spesso cucinato all’acqua pazza, ossia con pomodorino e prezzemolo; quelli di taglia più grande anche semplicemente grigliati, accompagnati, nelle occasioni più importanti, da gamberoni e mazzancolle.

Le cozze sono preparate in vari modi tra cui semplicemente all’impepata, rapidamente lessate e pepate, e condite con qualche goccia di succo di limone, che ogni commensale spremerà sui singoli mitili. Vongole ed altri frutti di mare sono gustati spesso sauté, saltati in padella con aglio ed olio e con prezzemolo tritato a crudo, spesso serviti su crostini, oppure sono preparati al gratin, gratinati a forno con pangrattato.

Anche il pesce più economico, principalmente le alici, viene spesso usato per gustose ricette. Tra queste:

Le alici dorate e fritte, spinate e passate in farina ed uovo prima di essere fritte.

Le alici marinate, sia in succo di limone che aceto.

Le alici arreganate, spinate e cotte rapidamente in tortiera con aglio, olio, origano e condite con succo di limone o aceto.

I cicenielli, piccolissimi pesci, sono preparati lessi o fritti in una leggera pastella, così come è d’uso fare con le alghe di mare. La frittura di paranza è di solito fatta con merluzzetti, triglie, fricassuari (piccole sogliolette), ma possono esserci anche altre varietà di pesce di piccolo taglio, come alici o mazzoni. La frittura va mangiata caldissima (frijenno magnanno, si suole dire in napoletano). I piccoli gamberetti di nassa, i più freschi venduti ancora vivi e saltellanti, sono fritti rapidamente, e senza essere prima infarinati, come invece avviene per la paranza.

Secondi piatti di carne

I secondi di carne non sono troppo vari nella cucina napoletana. Capretto e agnello si gustano cucinati con patate e piselli al forno, specialmente in occasione di Pasqua; il coniglio ha la sua migliore preparazione all’ischitana e il pollo viene rosolato alla cacciatora col pomodoro; le salsicce o le cervellatine sono tradizionalmente soffritte in padella e accompagnate da contorni a base di verdure, specialmente i friarielli, oppure patatine fritte. Le tracchie (spuntature) di maiale sono tipicamente consumate come secondo piatto dopo che sono state cotte al ragù, che è stato usato per condire la pasta. Le tracchie si accompagnano o sono alternative alle braciole, nome napoletano degli involtini, che sono fatte con fettine sottili di vitello avvolte con un ripieno di aglio, prezzemolo, uvetta, pinoli ed altri aromi, e richiuse tradizionalmente con il filo da cucito, e oggi con gli stuzzicadenti. Un modo tipico di cucinare le fettine di carne di vitello è alla pizzaiola, ossia con pomodoro, aglio ed origano. Altri piatti di carne sono stati già citati nella sezione sugli ingredienti.

Piatti di verdure

Sono tradizionali minestre di verdure e legumi, come la minestra di scarola e fagioli, preparata con i fagioli cannellini o spollichini[58], i fagioli alla maruzzara, con pomodoro, aglio, sedano, origano e peperoncino, o la natalizia minestra maritata. Ma talvolta i piatti a base di verdure trasformano ingredienti semplici in piatti molto ricchi ed elaborati.

La parmigiana di melanzane, preparata con fette di melanzane fritte e disposte a strati con salsa di pomodoro, fiordilatte e basilico, e cotte al forno.

Il gattò di patate, pasticcio di patate macinate mescolate con salumi e formaggi, cotto a forno.

I peperoni ripieni, ricetta che nobilita i peperoni accostandoli ad ingredienti semplici, ma gustosi: olive, capperi, pane grattugiato.

Le melanzane a barchetta, tagliate a metà, scavate al centro, e condite con diversi tipi di ripieno.

Fritture

Oltre alla già citata frittura di pesce, molte verdure si cucinano dorate e fritte (carciofi, zucchine, cavolfiore). Nelle fritture più ricche, si aggiunge anche fegato, ricotta e, una volta, si aggiungevano anche le cervella. La mozzarella si può preparare dorata e fritta (con farina e uovo) o in carrozza, come la prima, ma fritta tra due fette di pane ammorbidite nel latte.

 

Tra le fritture napoletane vi sono anche i crocchè di patate ed i sciurilli, acquistabili anche per strada nelle tipiche friggitorie, insieme a scagliozzi, pastacresciute e melanzane fritte.

Le frittate, non solo di maccheroni, fanno parte della tradizione napoletana. La più celebre è la famosa frittata di cipolle che ha per base le cipolle, ben dorate.

Contorni

I contorni non sono piatti secondari nella cucina napoletana, e sono per lo più a base di verdure. Tra questi:

Gli zucchini alla scapece, fritti e conditi con aceto e menta fresca.

Le melanzane a funghetti, in due versioni: fritte a listarelle e condite con pomodorini, oppure soffritte a dadini.

Le melanzane a scarpone, oggi chiamate spesso a barchetta, vengono tagliate di lungo, fritte in poco olio e condite con sugo di pomodoro alla puttanesca.

Le mulignane a ‘ppullastiello, tagliate a fette dopo una prima cottura vengono farcite con mozzarella e poi indorate e fritte.

I peperoni in padella, conditi con olive di Gaeta e capperi.

i peperoni imbottiti, ricoperti di pangrattato e passati in forno.

I peperoni a gratè, derivanti dal francese au graten, sono una versione più leggera di quella in padella, cotti al forno vengono spellati tagliati e conditi con olio, aglio, prezzemolo, olive,capperi e ricoperti di pangrattato.

I peperoncini verdi fritti, non piccanti, che sono poi conditi con salsa di pomodorini.

I friarielli, soffritti con aglio, olio e peperoncino, spesso accompagnano le salsicce (da cui sasicce e friariell’) e cervellatine, per le quali si servono come contorno anche patatine fritte tagliate a cubetti.

Le scarole o il cavolo cappuccia alla monachina, soffritti in padella e conditi con olive nere di Gaeta, capperi, pinoli, uva passa ed acciughe sotto sale.

Rustici

Tra i piatti rustici più diffusi, vi è la pizza di scarole, preparata con scarole soffritte e condite con aglio, pinoli, uvetta, olive di Gaeta e capperi, e ricoperta di una pasta semplice di farina, acqua e lievito. Il casatiello, o tòrtano è il rustico tipico del periodo di Pasqua, consumato anche il giorno di pasquetta durante le gite fuori porta. Oggi i due nomi si usano spesso come sinonimi, ed indicano un rustico ricco di un’imbottitura di formaggi ed insaccati. Nelle versioni originali tòrtano e casatiello erano più semplici, quest’ultimo si distingueva dal primo perché caratterizzato dalla presenza di uova nell’impasto, mentre il primo era ripieno di cicoli:

« Nella sua prima semplicità popolare [il casatiello] non è altro che un pane di forma circolare, come un grosso ciambellone, in cui si conficcano delle uova, anche uno solo, secondo la dimensione del pane, e queste uova, con tutto il guscio, sono fermate al loro posto da due strisce di pasta in croce. La pasta è la solita pasta del pane, ma intriso con lardo e strutto. Cotto al forno, le uova vi divengono sode. »

Anche il babà ha la sua versione rustica. La pasta del babà è infatti neutra, e nella versione da pasticceria acquista il gusto dolce dal bagno di acqua, zucchero e rum. Nella versione rustica, invece, all’impasto vengono aggiunti formaggio e salumi.

In rosticceria sono oggi molto diffusi e apprezzati i panini napoletani, che in realtà non sono panini veri e propri, bensì rustici imbottiti di salumi e formaggio.

Dolci

La tradizione culinaria napoletana annovera una grande varietà di dolci. Tra i dolci principali, sono da ricordare i seguenti:

La sfogliatella, frolla o riccia, ideata nel Settecento nel monastero di Santa Rosa situato a Conca dei Marini, nei pressi di Amalfi, il cui ripieno contiene una crema di ricotta, semolino, cannella, vaniglia e cedro e scorzette di arancia candite. Tra le varianti che si trovano oggi vi è la Santa Rosa, più grande e completata da crema ed amarene, la frolla perché fatta appunto con pasta frolla, e le code d’aragosta, ripiene di una pasta bignè e farcite con vari tipi di crema. Da ricordare inoltre la secolare battaglia tra i sostenitori della riccia e della frolla che da tempi ormai immemori si contendono il titolo di autentica sfogliatella.

Il babà, variante napoletana di un dolce che ha probabilmente origini polacche.baba

Le zeppole di San Giuseppe, fritte o al forno, sono ciambelle ricoperte di crema e di amarene.

La pastiera, del periodo di Pasqua, è un dolce tipicamente realizzato a casa, più che in pasticceria. Tra gli ingredienti vi è il grano, che a Napoli viene venduto già lessato e pronto per l’uso. L’uso di questo ingrediente potrebbe essere legato ai culti della fecondità di epoca greco-romana.

Gli struffoli natalizi, dolce tipico fatto da molte palline piccole e fritte, condite con miele. Questo dolce ha probabili origini greche, come riportato nell’introduzione storica.

La delizia al limone, creazione degli anni settanta, ma entrata di diritto nella tradizione dolciaria campana. A base di limoni della costiera sorrentina e limoncello.54522359a1742f2bf56cbfdf

La torta caprese, a base di mandorle e cioccolato. Con la delizia al limone ed il babà è tra i dolci preferiti per i pranzi e le cene che celebrano matrimoni ed altri eventi importanti.

Famosi sono anche gelati, tra cui le coviglie e gli spumoni di preparazione più tradizionale.

I piatti delle feste

I piatti legati a periodi festivi meritano un capitolo a parte per varietà e ricchezza.

Piatti natalizi

Gli struffoli, sono tipici di Natale, ed hanno probabili origini greche.

La cena della vigilia si fa tipicamente con spaghetti alle vongole, seguiti dal capitone fritto e dal baccalà fritto, accompagnati dall’insalata di rinforzo che è preparata con cavolfiore lesso, sottaceti, peperoni tondi sottaceto dolci o piccanti (le pupaccelle), ulive e acciughe sotto sale.

I dolci natalizi sono:

I roccocò, biscotti duri a forma di ciambella e a base di mandorle.

I mustacciuoli, biscotti di forma romboidale ricoperti di cioccolata. I mostaccioli napoletani sono anche riportati da Bartolomeo Scappi, cuoco personale di Pio V, nel suo pranzo alli XVIII di ottobre.

I raffiuoli, dolci di pan di Spagna ricoperti di una glassa bianca di zucchero

I susamielli, dolci a base di mandorle a forma di “S”.

Le sapienze, variante dei susamielli, che venivano preparate dalle suore clarisse nel convento di Santa Maria della Sapienza a Sorrento.

Gli struffoli, di cui si è già parlato.

La “pasta reale” nella sua versione napoletana, non ancora riconosciuta come facente parte della pasticceria partenopea. Si tratta di dolcetti composti di mandorle tritate finissime, zucchero in peso pari a quello delle mandorle ed albume d’uovo per legare. Nella versione tradizionale il dolcetto viene ricoperto di naspro (zucchero disciolto sul fuoco in poca acqua, del quale poi si cospargono i dolcetti) ma è ormai difficilissimo trovare pasticcerie che lo preparino con tale rivestimento, per via dell’estrema dolcezza del sapore che può risultare stucchevole.

La cena della vigilia si completa con le ciociole, ossia frutta secca (noci, nocciole e mandorle), fichi secchi e le castagne del prete, cotte a forno.

Tipici del pranzo di Natale sono la minestra maritata oppure i tagliolini in brodo di gallina.

Piatti pasquali

La diffusione di pastiera e casatiello risale almeno al Seicento. Lo testimonia la seguente citazione tratta dalla favola la gatta Cenerentola di Giambattista Basile (1566–1632).

« E, venuto lo juorno destenato, oh bene mio: che mazzecatorio e che bazzara che se facette! Da dove vennero tante pastiere e casatielle? Dove li sottestate e le porpette? Dove li maccarune e graviuole? Tanto che nce poteva magnare n’asserceto formato. »

La pastiera è il dolce tipico di Pasqua.

Il piatto principale di Pasqua è il casatiello, anche consumato il giorno di pasquetta durante le gite fuori porta, accompagnato dalla fellata, banchetto di affettati misti (principalmente salame e capocollo), ricotta salata e uova sode, oppure da agnello o capretto al forno con patate e piselli. Il dolce tipico di Pasqua è la pastiera, dolce realizzato tradizionalmente in casa, del quale esistono molte varianti[62], con leggere differenze in ciascuna famiglia. Una descrizione del pranzo pasquale dell’800 non si discosta molto dall’usanza odierna:

« Non descriverò il pranzo Pasquale: aprite la Cucina del duca di Buonvicino, e troverete più di quel ch’io potrei dirvi. Ma i cibi di prammatica sono la minestra di Pasqua, li spezzatello[63] con uova e piselli, l’agnello al forno, l’insalata incappucciata, la soppressata colle uova sode, il tortano, il casatiello, e per corona a suggello del pranzo la pastiera. »

Caffè

La moka ha ormai rimpiazzato la caffettiera napoletana in gran parte delle famiglie napoletane.

« Sul becco io ci metto questo “coppitello” di carta… il fumo denso del primo caffè che scorre, che è poi il più carico non si disperde. Come pure … prima di colare l’acqua, che bisogna farla bollire per tre quattro minuti, per lo meno … nella parte interna della capsula bucherellata, bisogna cospargervi mezzo cucchiaino di polvere appena macinata … in modo che, nel momento della colata, l’acqua in pieno calore già si aromatizza per conto suo »

(Eduardo nel film Questi fantasmi)

Al termine di un pranzo o di una cena non può mancare una tazzulella ‘e cafè, che talvolta viene servito al tavolo del ristorante, ma più spesso si va a prendere al bar. Tra i caffè più celebri di Napoli vi è sicuramente lo storico caffè Gambrinus, in piazza Trieste e Trento.

Gran parte dei Napoletani ritiene che il caffè partenopeo sia unico per aroma e densità. Molte leggende metropolitane cercano di avvalorare quest’affermazione in base a vari motivi, che vanno dall’acqua del Serino, al tipo di miscela, alla calibrazione della macchina, o, più semplicemente, all’abilità dei baristi napoletani. Nessuna di queste ipotesi ha in realtà mai ricevuto una verifica scientifica.

Nelle case la caffettiera napoletana, detta anche cuccumella, pur ancora in vendita, è ormai stata largamente rimpiazzata dalla moka.

Liquori

Il limo, agrume ormai raro, tradizionalmente usato per la preparazione del liquore agli agrumi.

I pranzi e le cene più abbondanti terminano con caffè e liquore. All’ormai diffusissimo limoncello era una volta preferito il liquore ai quattro frutti, ossia limone, arancia, mandarino e limo, un agrume locale simile al bergamotto, ormai molto difficile da reperire in commercio. Il nocillo, diffuso in molte regioni d’Italia, è tra gli amari tradizionalmente più apprezzati.

Gastronomia da asporto napoletana

A Napoli da tempo immemore è diffuso l’uso di acquistare e consumare cibi tipici per strada. Questa funzione era anticamente assolta dai thermopolia di epoca romana, rinvenuti negli scavi archeologici di Pompei ed Ercolano e in numerosi altri siti archeologici della zona. Tipici sono alcuni prodotti da friggitoria che si possono ancora oggi acquistare, soprattutto nelle vie del centro storico di Napoli, tra i quali vanno citate le pastacresciute, gli scagliozzi, i sciurilli, le frittatine di maccheroni alla besciamella ed i panini fritti, oltre alle melanzane e zucchine fritte e ai crocchè di patate imbottiti di mozzarella dei quali esiste una versione più piccola e priva di mozzarella detti panzarotti. La missione del pasto veloce, antesignano dei moderni fast food, è presente nel nome vaco ‘e pressa (vado di fretta), nome di una storica rosticceria sita in piazza Dante.

La pizza a libretto e la pizza fritta si trovano ancora presso le pizzerie di via dei Tribunali, port’Alba e piazza Cavour. Alla Pignasecca sono ancora attive alcune botteghe di carnacuttari che vendono vari tipi di trippa, ‘O pere e ‘o musso o la storica zuppa ‘e carnacotta. Da Mergellina a via Caracciolo sono ancora numerosi i venditori di taralli ‘nzogna e pepe (sugna e pepe), mentre rarissima è ormai la presenza de ‘o broro ‘e purpo (il brodo di polpo), una volta declamato dai venditori ambulanti.

 

Fino a non molti anni fa erano diffuse bancarelle che vendevano ‘o spassatiempo (il “passatempo”), ossia noccioline, semi di zucca e ceci tostati, lupini in salamoia, il cui nome deriva dal tempo necessario per sgusciare questi tipi di semi, frutta secca e legumi.

Fino agli ultimi decenni del Novecento un venditore di panini farciti con la ricotta offriva una colazione al sacco a chi si imbarcava per le isole al porto di Pozzuoli.

D’estate venditori ambulanti offrono ancora oggi refrigerio con una semplice granita, definita ‘a rattata (la grattata), ossia, del semplice ghiaccio grattugiato a partire da un singolo grosso blocco con un apposito strumento simile ad una pialla, che viene condito con dello sciroppo dolce. I gusti più tipici sono latte di mandorla, amarena, menta.

 

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