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Provenza e Costa Azzurra


Sei    Provenza e Costa Azzurra viaggio in un sogno di colori, sapori e profumi….  la mia ispirazione

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Viaggiare è come sognare:
la differenza è che non tutti, al risveglio, ricordano qualcosa, mentre ognuno conserva calda la memoria della meta da cui è tornato.

Edgar Allan Poe

 

La Provenza

La Provenza una regione storica della Francia situata nella parte meridionale del paese, fra Rodano, Delfinato, al confine con l’Italia e Mediterraneo. Attualmente costituisce la regione Provence-Alpes-Côte d’Azur, con capoluogo Marsiglia. Il territorio provenzale può essere suddiviso in tre zone principali. La prima è costituita da zone pianeggianti (Crau, Camargue), la seconda è la fascia litoranea nota come Costa Azzurra, che si estende dalla foce del Rodano al confine con l’Italia, la terza è la zona interna prealpina e alpina.

principali sono il Rodano, il Var, la Durance e l’Argens. Per quanto riguarda l’economia, il turismo ha un’importanza fondamentale lungo la costa, mentre nell’interno si pratica l’agricoltura; presente anche l’industria, specialmente nella zona di Marsiglia che è anche un porto molto attivo.

I primi insediamenti nella regione risalgono al Neolitico; ci furono poi insediamenti greci, seguiti nel II sec. a. C. da quelli romani (il nome Provenza deriva infatti dalla denominazione romana di Provincia Narbonensis). La regione fu poi occupata da visigoti, burgundi e ostrogoti. Nel 536 la regione passò definitivamente sotto il controllo dei franchi. Nell’835 divenne un ducato, poi inglobato nel regno di Borgogna (X sec.); passò in seguito ai conti di Arles e successivamente ai conti di Barcellona. Nella prima metà del XIII secolo fu teatro della repressione degli albigesi, con la crociata promossa da Innocenzo III. Dopo una serie di legami con l’Italia, culminati con il trasferimento della sede papale ad Avignone, alla fine del 1400 la Provenza entrò a far parte definitivamente della Francia, raggiungendo i suoi confini attuali con l’annessione di Nizza (nel 1860). La regione provenzale è ricca di resti dell’epoca romana e di edifici risalenti al primo cristianesimo, oltre a bei palazzi di epoca più recente.

Nell’antica versione provenzale della Genesi si sostiene che, prima di creare Adamo, il Creatore si rese conto che gli erano avanzate parecchie cose: grandi distese di azzurro paradisiaco, tutti i tipi di rocce, terreno coltivabile già pieno dei semi di una flora opulenta e tutta una serie di sapori e profumi non ancora utilizzati, dal più evanescente al più forte. -Beh-, Egli pensò, -perché non creare un magnifico compendio del mio mondo, il mio paradiso speciale?-. Così nacque la Provenza. Questo paradiso comprende in sé le Prealpi dai picchi innevati e le colline pedemontane, che ad est declinano fino al mare mentre ad ovest arrivano quasi al Rodano. Negli altipiani selvaggi della zona centrale della Provenza si trova la fenditura più profonda di tutto il territorio europeo: il Grand Canyon du Verdon (Gole del Verdon). L’entroterra costiero è un susseguirsi di ripide catene di boscose colline dove il caldo profumo dei pini, degli eucalipti e delle erbe selvatiche intorpidisce i sensi. La zona rivierasca è composta da una serie sempre mutevole di baie d’aspetto quasi geometrico, che cedono a volte il passo a caotici agglomerati di rilucenti scogli affiorati e a insenature strette e profonde simili a fiordi norvegesi in miniatura: i calanque. Nella Camargue, il litorale stesso diventa un’astrazione mentre terra e mare si confondono in orizzonti infiniti. Se si esclude il delta del Rodano, ogni angolo di questa regione si inquadra in una cornice di colline, o montagne, o strane rocce che erompono all’improvviso. Tutti questi elementi sarebbero però insignificanti senza quella particolare luce mediterranea, al meglio in primavera ed autunno, morbida e splendente al tempo stesso, teatrale.

Per centinaia di anni, la Provenza rappresentò un bersaglio primario per gli invasori stranieri: i Greci crearono alcuni insediamenti sulla costa e lungo il Rodano, comprese Massalia e Nikea, cioè Marsiglia e Nizza, e i Romani più avanti aprirono una via di comunicazione costiera verso le loro città sul Rodano. La Provenza dovette difendere la propria indipendenza combattendo anche contro la Francia, il Sacro Romano Impero, la Borgogna, la Savoia e i Papi, mentre le faide intestine tra feudi rivali rendevano ancora più insicura la vita di tutti i giorni. Ciononostante, il tempo sembra non aver particolarmente intaccato la Provenza, in cui si trovano i migliori monumenti romani di tutta la Francia, oltre a tracce corpose dei primi colonizzatori a Glanum e i contorni ancora visibili di alcuni insediamenti indigeni liguri. Assai più romantici sono però i numerosi villages perché sopravvissuti e i quartieri delle vecchie città, le vieilles villes, con i loro angusti labirinti di strade medievali, passaggi e scalette tortuose che conducono inevitabilmente ad uno château fort e che non sono molto cambiate nel corso dei secoli. Molte di esse non sono mai state restaurate e in parecchie non c’è neppure un bar o un ristorante, ma a volte solo un negozio di alimentari e forse un distributore di benzina. Altre, tra cui tutte quelle che si trovano lungo la costa o nelle vicinanze, sono state tirate a lucido fino a farle diventare esempi eleganti e costosi dell’idea di pittoresco. La Costa Azzurra dev’essere il tratto costiero più costruito, sovraffollato, celebrato e costoso del mondo intero. Ci sono solo due industrie in quanto tali, il turismo e l’edilizia, più il terziario ad esse collegato, fatto di agenti immobiliari, posteggiatori di yacht e parcheggiatori di Rolls-Royce. Nell’Esterel, nella penisola di Saint Tropez, nelle isole di fronte a Cannes e Hyères e nel Massif des Maures la grande bellezza delle colline e dell’orizzonte, il profumo della vegetazione, le mimose in fiore e la strana sintesi di sostanze inquinanti mediterranee che rendono l’acqua così traslucida, obnubilano i sensi.IMG_5086 Questi erano un tempo i motivi di vanto di tutta la costa quando Cannes e Villefranche, Le Lavandou e St-Tropez erano minuscoli villaggi di pescatori. Gli aristocratici e i reali stranieri che nel Settecento avevano fatto di Nizza la stazione balneare invernale più alla moda in Europa, nell’Ottocento cominciarono ad insediarsi ad est e a ovest. Negli anni Cinquanta da queste parti ci fu l’avvento di un turismo di massa ancorché selettivo, gli anni Sessanta portarono branchi di attricette e di hippy, mentre negli anni Settanta il governo francese cominciò a rendersi conto del fatto che la loro principale risorsa turistica rischiava di diventare un vero orrore.

Nei decenni a cavallo del secolo, gli artisti, affascinati dalla luce e dal modo di vivere relativamente tranquillo, diedero addio ai tetri inverni nordici. Tra i grandi che dipinsero e scolpirono in quest’area troviamo Matisse, Renoir, Signac, Mirò, Chagall, Modigliani e Picasso che arrivavano d’estate e sconvolgevano i locali mettendosi a nuotare in mare. Molte delle loro opere fanno parte delle collezioni permanenti di splendidi musei da St-Tropez a Mentone, che già da soli valgono una visita alla Costa Azzurra. Nel 1879 nasceva, ad Aix, Cézanne, e gran parte delle sue tele si ispirano proprio ai paesaggi che circondavano la sua città natale, anche se poche delle sue opere sono rimaste in Provenza. Ad Arles e St-Rémy e nei dintorni delle due cittadine si può ripercorrere il triste passaggio di Van Gogh, ma anche in questo caso restano ben poche opere originali.

Cibo e vino sono altre due ragioni che possono allettarvi a visitare la Provenza, l’unica regione francese in cui frutta e verdura, pesce e frutti di mare sono sullo stesso piano della carne. Gli alimenti che crescono in Provenza, cioè olive e aglio, asparagi e zucchini, pesche bianche, uva moscata, meloni e fragole, porcini e spugnole, mandorle e castagne, basilico e timo, per nominarne solo alcuni, sono parte integrante dell’ambiente caldo e sensuale. Anche i vini, dai rosé secchi e leggeri delle Côtes de Provence fino ai rossi pastosi e delicati dei villages delle Côtes du Rhône e di Châteauneuf-du-Pape, sposano l’intensità della luce solare e ad essa devono il loro colore brillante.

Dove andare: Non è facile esplorare alcune parti dell’entroterra della Provenza, a meno che non si vada a piedi o con la propria automobile. Proprio per questa ragione, sono aree poco edificate e ancora vergini, dove le tradizioni sono ancora forti e le possibilità di soggiorno decisamente scarse. Il Grand Canyon du Verdon e il Parc de Mercantour nelle zone montagnose del nord-est sono però le due mete più spettacolari di tutta la regione.

Tra le città, Nizza, la Regina della Riviera, ceduta alla Francia solo nel secolo scorso, unisce in sé tutto il meglio e il peggio della Provenza contemporanea ed è forse la cittadina più accattivante di tutte. Marsiglia, sinonimo di vizio e di criminalità, di solito evitata dai turisti, è una maestosa metropoli dove prospera la creatività artistica e dove, contrariamente alla sua cattiva reputazione, la permanenza potrà essere assolutamente rilassata, gratificante e divertente. Le escrescenze patinate della costa, Cannes e Montecarlo, rappresentano un divertimento di tipo un po’ contorto. Aix-en-Provence, la piccola Parigi di Provenza, è deliziosa, raffinata e rispettabile. Avignone porta impressa la storia della Provenza medievale e ospita un eccellente festival di arte contemporanea. Se volete vedere resti romani, i posti da visitare sono Orange, Vaison-la-Romaine, Carpentras, Arles e Nîmes. Tra Grasse e Sisteron si può ripercorrere parte del viaggio di Napoleone nel 1815 dall’Elba a Parigi.

Si possono seguire i sentieri della transumanza che attraversano le montagne, imbattendosi in greggi di pecore accompagnate da capre, asini e pastori. Si può osservare la fauna selvatica, fenicotteri, tori e cavalli bianchi, negli strani bassopiani della Camargue, oppure camosci, mufloni e marmotte nel Parc de Mercantour. Se siete appassionati di arte moderna dovete assolutamente andare a St-Paul-de-Vence,Saint Tropez e Haut-de-Cagnes, oppure a Nizza per Matisse e Chagall, a Biot per Léger, ad Antibes e Vallauris per Picasso e infine a Mentone e Villefranche per Cocteau.

Quando andare In piena estate sulla costa il caldo e l’umidità sono a volte opprimenti e folla, gas di scappamento e costi potrebbero sopraffarvi. Per il nuoto, i mesi migliori vanno da giugno a metà ottobre, mentre maggio è un po’ freschino, ma solo secondo i parametri estivi. Per abbronzarsi, lo si può fare da febbraio fino a ottobre. Febbraio è il mese migliore per la Costa Azzurra: musei, alberghi e ristoranti sono quasi tutti aperti, le mimose sono in fiore e il contrasto con zone più fredde è assolutamente delizioso. Il mese peggiore è novembre, quando non c’è quasi niente di aperto e il clima divento freddo e umido. Lo stesso vale per l’entroterra della Provenza. Ricordate che le Prealpi sono di solito innevate dalla fine di novembre all’inizio di aprile. Le passeggiate autunnali vi ricompenseranno con mirtilli e lamponi, genziane viola e foglie rosse che diventano color oro. La primavera porta con sé una tale profusione di fiori selvatici che quasi non si osa camminare.

L’unico inconveniente del fuori-stagione è il mistral (maestrale), il vento del Nord freddo e violento; può durare settimane intere, distruggendo qualunque immagine ci si sia creati nella fantasia sui miti climi mediterranei.

Saint-Paul de Vence

Questo piccolo e romantico villaggio medievale, interamente pedonale, sorge alle spalle di Cagne-sur-Mer, abbarbicato sulla montagna per sfuggire agli attacchi saraceni. Fra le sue stradine, scalinate, fontane e piazzette, troverete angoli di pura poesia, a patto di evitare gli orari di punta di cui gli autobus riversano orde di turisti a caccia di souvenir. È il luogo dove vivono artigiani e pittori, da sempre meta privilegiata di artisti e intellettuali. Merita una fermata per sentire il rumore delle cicale mentre percorrete la romantica passeggiata lungo le mura, da cui si gode una magnifica vista sulla vallata e fino al mare.

  • Almeno una delle 60 gallerie d’arte e botteghe artigiane che qui hanno dimora.IMG_5003
  • Giovani e anziani che giocano alla petanque sotto gli alberi frondosi nella piazza all’ingresso del villaggio.
  • Fondation Maeght: conserva un’eccezionale raccolta di opere di grandi artisti come Chagall, Giacometti, Mirò, Matisse esposte a rotazione oltre a mostre temporanee sempre di grande livello. Bellissimo il labirinto di Mirò, un sentiero che si snoda nel lussureggiante giardino del museo dove sono collocate le sculture dell’artista spagnolo.

Aime e Margherite Maeght erano dei mercanti d’arte di Cannes e avevano come clienti e amici niente meno che pittori come Chagall, Matisse e Mirò ed è stata proprio la loro collezione privata che nel 1964 ha dato vita a questo museo che riceve ben 250.000 visitatori l’anno. Durante l’estate si può visitare dalle 10 alle 19 e ne vale davvero la pena!!! Ci sono bellissimi quadri di Chagall come La Vie, capolavori di Braque e Legere e sculture di artisti come Giacometti e Mirò…insomma, da non perdere.

Quello che vi aspetta a St. Paul non è da meno: ad accogliervi la terra gialla dell’antico campo da bocce, la Pétanque, nella quale giocarono i più famosi artisti che passarono di qui, concedendosi poi ristoro nell’adiacente Cafe de la Place. Qui si può mangiare un piatto del giorno ad 11 euro in compagnia di quadri di Picasso, Mirò, Matisse: la leggenda narra che da quando i primi artisti bohémien e squattrinati ebbero l’abitudine di pagare con le proprie opere, invece che con il denaro, si diffuse anche tra i successori la medesima usanza, facendo così diventare la modesta locanda una vera e propria galleria d’arte ricca di storia. In tanti anni e tanti viaggi non avevo mai visitato un borgo così particolare. Non c’è negozio infatti, o ristorante che non siano tutti di livello più che raffinato, non i soliti negozi di souvenir per turisti ma innumerevoli gallerie d’arte, enoteche, coloratissimi negozi di stoffe e erbe provenzali e locali molto curati tutti con terrazze vista valle.

Non c’è da meravigliarsi se in questo posto hanno soggiornato artisti del calibro dei già citati Picasso, Chagall, Bonnard e Modigliani (che lo scoprirono) ma anche star del cinema come Catherine Deneuve, Sophia Loren e Greta Garbo….

Ma St Paul de Vence è soprattutto un borgo ricco di storia e cultura con la sua Chiesa gotica del XII secolo dove è contenuto un dipinto “Caterina d’Alessandria” attribuito al Tintoretto e il Museo di Storia di St Paul dove si può conoscere meglio le vicende storiche di questo luogo.

Continuando ad inoltrarci per i vicoli acciottolati arriviamo ad una piccola piazza con una grande fontana ed un negozio di dolci e liquori molto invitanti e colorati e poi, proseguendo leggermente in discesa, arriviamo alla Porta sud del borgo oltre la quale si trova il cimitero dove riposano in pace Marc Chagall e i coniugi Maeght. Quaggiù è possibile godere di una vista spettacolare su tutta al vallata e di un grande momento di pace….

Storia di Saint Paul de Vence

Il villaggio da il benvenuto già fuori delle mura dove dall’alto della sua collina, si presenta con tutta la sua bellezza e particolarità. Interamente circondato da mura fortificate, Saint Paul de Vence presenta un unico accesso perfettamente mantenuto e munito ancora oggi del suo cannone. Il celebre cannone Lacan (chiamato così dal nome del Capitano che difese Saint Paul dall’attacco dei nemici) fu utilizzato in varie battaglie e sembra che sia riuscito a proteggere questo magnifico borgo dai continui attacchi provenienti sia dall’entroterra che dal mare. Non si hanno notizie certe sulle origini di questo centro storico, probabilmente sul luogo si trovava un insediamento ligure divenuto poi romano e conosciuto con il nome di San Paolo solo dopo il XII° secolo. Dell’antico castello, rimane solo l’alta torre (il Donjon) oggi sede del Municipio.

La Fontana (monumento storico) è stata costruita nel 1.850 e serve come punto d’incontro del villaggio, come lo era anni fa per attori, artisti e personaggi famosi di tutto il mondo.

 

 

Le Gole del Verdon

Un impressionante canyon dove scorre un incantevole fiume dalle acque smeraldo.

Il fiume Verdon nasce nei pressi del colle d’Allos, sulle Alpi Marittime, e si getta nel fiume Durance, nei pressi di Vinon-sur-Verdon, dopo aver percorso circa 175 chilometri. Due sono i tratti più caratteristici di questo fiume: il primo, tra Castellane e il ponte del Galetas, in corrispondenza del lago artificiale di Sainte-Croix, il secondo, corrisponde appunto al canyon dove il fiume si incanala, le famose Gorges du Verdon appunto.

A rendere questo fiume speciale è il colore delle acque verdissime, per effetto del fluoro e delle micro-alghe. Mentre nel tratto del fiume che corrisponde al lago di Sainte-Croix, un bacino artificiale, presenta una colorazione turchese dovuta al fondo argilloso.

Dall’Italia per raggiungere la zona e percorrere un itinerario lungo il Verdon, occorre raggiungere Moustiers-Sainte-Marie che può essere considerato il punto di partenza.

Moustiers-Sainte-Marie è un villaggio arroccato tra due maestose rupi, attraversate da un ruscello di montagna. Da qui si può scendere verso il lago di Sainte-Croix, a Sainte-Croix du Verdon, circumnavigando il lago fino a Bauduen. Il tratto più spettacolare del percorso delle Gorges du Verdon è situato tra Castellane e Moustiers-Sainte Marie, quando il Verdon si tuffa nelle acque del lago di Sante-Croix. Castellane è una cittadina vivace di origine medievale. E’ piacevole passeggiare nei vicoli del suo centro storico.

Le gole del fiume Verdon spaccano la montagna per 25 chilometri creando il canyon più impressionante d’Europa, grazie alle sue pareti a strapiombo sul fiume, alte fino a 1500 metri. Un famoso speleologo nel 1905 percorse per primo le gole e definì questo tratto: il più americano di tutti i canyon del vecchio mondo.

Gli itinerari più interessanti si concentrano intorno al canyon, le falesie verticali arrivano a un’altezza di 700 metri a strapiombo sul fiume. Da non perdere sono i punti panoramici: Le pas de la Baou e il belvedere Trescaire. Il percorso da fare in auto segue una strada che si apre a fianco della falesia fino a costeggiare l’intero letto del fiume. La strada è spettacolare, nonostante resti distante dal fiume. In alternativa si può costeggiare la riva destra del fiume sulla strada D 952 e seguire il percorso Route de Cretes (20 km circa), per ammirare i punti più panoramici del Gran Canyon.

Per gli amanti dell’escursionismo il sentiero GR4 è ideale per camminate di grande interesse paesaggistico e naturalistico. Anche noto come le sentier Blanc-Martel è un bellissimo trekking di almeno sette ore, che scende al fondo delle Gorges du Verdon.

Moustiers-Sainte-Marie

Moustiers-Sainte-Marie le cui radici affondano nella stretta relazione esistente tra l’uomo e il suo ambiente. Il paese circondato da colline a terrazzo piantate di ulivi si situa alle porte delle Gole del Verdon.IMG_5049

Alcuni monaci venuti dall’isola di Lérins, verso il 433, trovano rifugio in cavità scavate nel tufo e fondano un monastero. Fieramente ubicata sul bordo del precipizio, la chiesa Notre-Dame de Beauvoir, o d’Entremont possiede un porticato romanico, dominato da un piccolo campanile della stessa epoca; la porta lignea risale al Rinascimento.IMG_5052

All’interno, le due prime campate della navata sono di stile romanico, le altre due di stile gotico come l’abside. Era considerato un tempo un « un sanctuaire à répit » (santuario del rito della doppia morte). Secondo le credenze popolari di alcune province, il « répit » è in un bambino nato morto, un ritorno temporaneo alla vita per consentirgli di avere il tempo di ricevere il battesimo prima di morire definitivamente.

Avendo ricevuto il battesimo, il bambino potrà così andare in Paradiso invece di errare nel Limbo dove sarà privato della visione di Dio. Ma il rito della doppia morte è possibile solo in alcuni santuari, la maggior parte delle volte consacrati alla Vergine (Notre Dame de Pitié) le cui intercessioni sono necessarie per ottenere un miracolo.

Un cammino acciottolato, con gradini di piccola pedata e grande larghezza, delimitato da oratori conduce al santuario. Come per rinforzare l’aspetto sorprendente del posto, una catena con al suo centro una stella è sospesa tra le due cime. La leggenda ne attribuisce l’origine ad un cavaliere di Blacas che, nel XII secolo, prigioniero durante le crociate, aveva fatto voto di appendere una catena vicino alla cappella, se sarebbe riuscito a sopravvivere.

 

Dal grazioso disordine dei tetti colorati alla moda provenzale si distacca un alto campanile romanico, arricchito da tre piani di finestre geminate, d’ispirazione lombarda; la chiesa in stile romanico possiede un coro gotico con abside piatta.

Le risorse locali e soprattutto la triade — acqua, legno, argilla fine — hanno permesso abbastanza rapidamente l’istaurarsi di una tradizione di vasai. Nel 1929 viene inagurato il museo storico della maiolica. Attualmente il Museo della Maiolica annovera cinque sale dove sono esposti i migliori pezzi del XVII secolo e contemporanei. La sala delle « terres vernissées » (terre verniciate) vi presenta del vasellame storico ed un assortimento di pezzi in terracotta come le tegole vernicite, canalizzazioni, ecc.

Al giorno d’oggi molti maestri della maiolica propongono pezzi di qualità dai motivi originali. L’attività della maiolica e della terracotta contribuisce al dinamismo economico regionale allo stesso modo dei prodotti locali come il miele, la lavanda e l’olio di oliva.

Curiosità architettoniche e naturali Moustiers-Sainte-Marie

  • Cammino degli oratori e cappella Notre-Dame de Beauvoir Moustiers-Sainte-Marie;
  • Grotta di Sainte-Madeleine Moustiers-Sainte-Marie;
  • Borgo antico e chiesa parrocchiale Moustiers-Sainte-Marie;
  • Il sentiero del patrimonio (aquedotto, fortificazioni, cappella Sainte-Anne) Moustiers-Sainte-Marie;

Con i suoi atelier e laboratori, Moustiers è uno dei principali centri francesi per la produzione della ceramica. Il prestigioso Musée de La Faïence, creato nel 1929 dalla locale Accademia, è stato allestito in una cripta scavata dai monaci di Lérins e racconta la storia della maiolica provenzale esponendo una ricca collezione di stampi, manufatti e utensili d’epoca. Sinonimo di ceramica, faïence è la traduzione francese del nome Faenza: il procedimento faentino di lavorazione delle maioliche consisteva nell’applicare i colori prima della cottura direttamente su una superficie coperta di vernice bianca opaca. Questa tecnica artistica venne introdotta a Moustiers Sainte Marie da Pierre I Clérissy nel 1679. Successivamente tre editti reali emanati nel 1689, 1699 e 1709 imposero alla nobiltà di donare il vasellame d’oro e d’argento alle casse del regno favorendo così anche la diffusione di queste nuove opere d’arte. Nel Settecento Moustiers vide fiorire fornaci, atelier e grandi talenti come i Clérissy, gli Olérys e i Laugiers che nel 1738 introdussero la policromia basandosi sulle tecniche spagnole del gran fuoco sino ai fratelli Ferrat che si ispirarono ai decori delle manifatture di Stasburgo. Le ceramiche iniziarono ad essere esportate a Parigi, a San Pietroburgo e nel Québec anche se poi nel 1840 la moda della porcellana inglese compromise la produzione locale tanto che nel 1874 l’ultima fornace del paese fu costretta a chiudere i battenti. A partire dal 1927, grazie alla riapertura di un laboratorio, l’arte della ceramica è tornata ad essere una delle principali attività artistiche di Moustiers.

Nei numerosi atelier del centro storico del borgo si possono osservare le tecniche di lavorazione della ceramica oltre che acquistare le riproduzioni delle opere create dagli antichi maestri ceramisti. Proseguendo la passeggiata, dopo aver attraversato un piccolo ponte in pietra su cui si affacciano dimore e costruzioni con splendide facciate fiorite, si raggiunge una piazzetta dove si trova la chiesa parrocchiale, monumento storico dal 1913, che mostra orgogliosa il suo campanile romanico considerato uno fra i più belli di tutta la Provenza. Questa bella torre in tufo quadrata si innalza per 22 metri suddivisi in quattro piani con due aperture. Nel 1336, in occasione degli interventi di ampliamento della chiesa, non venne però rispettato il vecchio asse della navata: non se n’è mai saputa con certezza la motivazione anche se fra le più accreditate ci sarebbe la scelta di posizionare il coro in direzione di Gerusalemme o di ricordare la posizione della testa di Cristo sulla croce. L’attuale altare è un sarcofago in marmo bianco del IV secolo che rappresenta il passaggio del Mar Rosso.

Dopo la visita alla chiesa parrocchiale ci si può arrampicare su un sentiero che parte da Rue de la Bourgade e che conduce alla cappella di Notre Dame de Beauvoir: la deliziosa chiesetta trecentesca, abbarbicata a uno dei due versanti della montagna, si raggiunge tramite un ripido percorso di 262 scalini (un tempo erano 365) che si percorre in circa mezz’ora venendo adeguatamente ricompensati dalla meravigliosa vista offerta quando la si raggiunge. Il panorama, che spazia sino al Lac de Sainte Croix, permette anche di ammirare da vicino la stella del cavaliere. I sette santuari che fiancheggiavano il percorso sulla collina nel 1860 hanno lasciato il posto alle 14 stazioni della Via Crucis successivamente decorate con maioliche di Simone Garnier. Costruita alla fine del XII secolo sui resti di un tempio mariano del V secolo, la cappella è un perfetto connubio di stili romano e gotico. Come altri edifici dell’arco alpino, il santuario di Notre Dame (dal 1921 monumento storico) è conosciuto per le sue “suscitations”: nel XVII secolo, i bambini nati morti riprendevano vita con il battesimo qui ricevuto salendo in cielo. Nella gola sottostante l’edificio religioso è tesa una catena di ferro lunga 227 metri al centro della quale è stata appesa una stella dorata a cinque punte del peso di 400 chili. Nonostante sia stata rinnovata nel 1957, la leggenda vuole che a farla issare per la prima volta fra le due pareti di roccia sia stato nel XII secolo il cavaliere Balcas a ringraziamento della Vergine per essere stato liberato dalla prigionia durante la Settima Crociata di San Luigi. Ancora oggi, la stella svetta sulle teste degli abitanti scintillando al sole del tramonto.Per tornare in paese si può ripercorrere lo stesso sentiero oppure addentrarsi in un altro percorso che riporta nel cuore di Moustiers Sainte Marie passando attraverso i boschi (troverete le indicazioni dal sagrato della chiesa). E se vi capita di visitare il borgo l’8 Settembre non perdetevi la caratteristica celebrazione liturgica in onore della natività che si conclude con una simpatica colazione in piazza per tutti.

Informazioni al sito http://www.moustiers.eu

Valensole

Chi vive l’emozione di fermarsi, in piedi, di fronte a un campo di lavanda provenzale, sa che cosa provava l’uomo di fronte all’infinito, come lo dipingevano gli artisti romantici: fischi di vento, cielo e mare. Mare ondeggiante in ogni direzione si guardi, fatto di acqua nei quadri del romanticismo, fatto di lavanda nelle piane del sud della Francia. E’ un’emozione ben nota agli abitanti di Valensole e del rispettivo altipiano, che anche i turisti potranno conoscere avventurandosi verso la “Route de la Lavande” nella stagione della fioritura.

Valensole è un antico borgo di 2.500 abitanti circa, incastonato tra la piana omonima e la Valle di Notre-Dame, che nel tempo ha saputo custodire gelosamente il fascino dei villaggi tradizionali dell’Alta Provenza. Sull’etimologia esistono diverse teorie: qualcuno sostiene che il nome del borgo sia un diminutivo di Valence, la città della regione del Rodano-Alpi; secondo altri, forse più poetici, deriverebbe dal latino “vallis” e “solis”. “Valle del sole” sarebbe dunque il significato di Valensole, e indipendentemente dalla correttezza dell’interpretazione, bisogna ammettere che la definizione è quanto mai adatta: il sole si rovescia generoso su un territorio di quasi 13 mila ettari, illuminando il borgo a 590 m s.l.m. e producendo sulla lavanda un caleidoscopio di viola diversi di cui non si sospettava l’esistenza. Dalla primavera all’autunno, camminando per le viuzze strette di Valensole, ci si può sporgere dai balconi panoramici verso la piana della lavanda, e cogliere un tripudio di colori sempre vario e incantevole: in marzo i mandorli si agghindano di fiori bianchi, in contrasto delicato e fresco con il viola dominante; in luglio le toppe di lavanda si affiancano a qualche appezzamento dorato di grano, in un patchwork eccentrico che toglie il fiato; in novembre, infine, mentre la lavanda si spegne con una nota nostalgica di grigio argenteo, gli ocra caldi dell’autunno prendono il sopravvento. Il clima ideale per questo spettacolo della natura non poteva che essere di tipo mediterraneo. A Valensole e nell’altipiano, infatti, le estati sono calde e secche, le primavere miti e gli inverni freddi ma non rigidissimi: luglio e agosto sono i mesi più caldi, con una temperatura media massima di 29°C e minima di 19°C, mentre in dicembre e gennaio si va da una minima media di 3°C a una massima di 13°C. Se le temperature favoriscono la crescita della lavanda, la scarsità delle piogge rende la zona ancora più invitante per i turisti: qui non piove quasi mai, anche se il cielo può giocare lo scherzo di far comparire un nuvolone carico d’acqua all’improvviso, e scatenare un temporale inaspettato. In poco tempo, comunque, il sole torna ad inondare il viola delle pianure provenzali. Ma il panorama fiorito e la lavorazione industriale della lavanda non sono le uniche risorse di Valensole, che custodisce alcuni gioielli storico-artistici meritevoli d’attenzione. Chi visita il cuore del borgo, ad esempio, non potrà non notare l’imponenza del Castello de Bars, costruito nel 1627, o l’eleganza delle tipiche abitazioni del XVIII secolo. Del 1734 è la bella fontana della Piazza Thiers, con la base circolare e un pilastro centrale da cui zampillano i getti d’acqua, dichiarata monumento storico. Da vedere anche la chiesa parrocchiale di Saint-Denis, antico priorato dell’abbazia di Cluny fondato da Saint Maieul, che domina il villaggio. La navata, ricostruita tra il 1789 e il 1790, è incastonata tra una facciata occidentale in stile romanico e un coro del XIV secolo. Un tempo esisteva certamente un piccolo chiostro, di cui rimangono poche tracce, mentre si conservano tutt’ora le strutture delle fonti battesimali, anch’esse dichiarate monumento storico. A raccontare la storia e la personalità di Valensole, a parte gli edifici del borgo, c’è una ricca rassegna di eventi e manifestazioni che si svolgono durante l’anno. L’occasione più spettacolare e significativa è certamente la celebre Festa della Lavanda, che si svolge la terza settimana di luglio e ha l’intento di far conoscere ai visitatori gli innumerevoli usi e le tradizioni legate alla pianta caratteristica della Provenza. Mentre le signore del posto passeggiano per le vie della cittadella vestite come le lavandaie di un tempo, i turisti possono visitare le coltivazioni e le distillerie, assistere agli spettacoli a tema o acquistare al mercatino i prodotti a base di lavanda, dalle prelibatezze gastronomiche agli olii essenziali, dagli oggetti in ceramica ai semplici sacchetti profumati. Questa è la festa più famosa, che attrae visitatori da tutta la Francia e dall’estero, ma l’agenda di Valensole è affollata anche negli altri periodi dell’anno. Tra gli eventi da non perdere citiamo la Fete de la Saint-Eloi in giugno, una giornata dedicata ai cavalli e ai mestieri legati a loro, e l’Espace du Livre di agosto, un evento culturale che vede riuniti scrittori locali e internazionali per la presentazione delle loro opere al pubblico. Per raggiungere Valensole dall’Italia ci si può servire di vari mezzi: chi desidera viaggiare in aereo potrà atterrare all’Aeroportt International de Marseille-Provence, collegato a tutte le principali città europee e a circa un’ora e 30 min di auto dalla meta finale. Chi preferisce il treno potrà arrivare a Valensole in 20 minuti dalla stazione SNCF di Manosque; in 1 ora e 20 minuti dalla stazione TGV di Aix en Provence. Infine, chi viaggia in auto, dovrà imboccare l’autostrada A51 e uscire a Manosque, seguendo poi le indicazioni sino a Valensole.

Roussillon

Roussillon, villaggio del dipartimento della Vaucluse, nella Francia meridionale, è un piccolo borgo di circa 1300 abitanti. Siamo nella regione Provence-Alpes-Côte d’Azur, nel cuore del Parco naturale regionale del Luberon, dichiarato parte della rete mondiale di riserve della biosfera dall’UNESCO. Roussillon è famoso per essere il villaggio dell’ocra, visto che nei suoi dintorni si trovano alcune delle più famose cave di minerali terrosi (ematite e limonite) dalle quali si ricavano le terre coloranti naturali. Il villaggio nacque durante il periodo di dominazione gallo-romana e nel X secolo venne costruito un piccolo castello a difesa del borgo, ma è soltanto in epoca relativamente più recente, a partire dal XVIII secolo, che s’iniziarono a sfruttare con maggiore intensità le ingenti risorse di ocra di cui il territorio disponeva. Nacquero così delle vere e proprie fabbriche che davano lavoro a gran parte degli abitanti di Roussillon e contribuirono alla crescita economica del paese. L’attività estrattiva è continuata fino alla metà del XX secolo, sostituita oggi dal turismo come vera fonte di guadagno delle persone che vi abitano. Non è un caso, visto che Roussillon fa parte a pieno titolo dell’associazione dei più bei villaggi di Francia (“les plus beaux villages de France”). Già ad una prima vista, il borgo si presenta come una tavolozza di colori di un pittore con le tante tonalità dell’ocra che caratterizzano gli edifici. I vicoli si insinuano tra le case rossastre, rosate e con le mille sfumature che i raggi del sole modificano con il passare delle ore durante la giornata. Passeggiando per le sue strade, dove si susseguono le botteghe e alcuni scorci indimenticabili, si possono scoprire i tanti luoghi simbolo del villaggio: le Beffroi (il campanile) che fungeva da antica porta del Castrum forificato, le tante piazzette (Place du Pasquier, Place de l’Abbé-Avon adiacente alla Porte Heureuse, poi ancora Place Pignotte, Place de la Forge, Place de la Mairie circondata da deliziose case del XVIII secolo e infine Place de la Poste, dove si trova l’ufficio turistico), la chiesa di St.Michel situata proprio in prossimità del bordo della falesia e la table d’orientation, a tutti gli effetti il punto culminante del villaggio da dove si può godere la spettacolare vista panoramica che spazia dal Luberon ai Monti della Vaucluse. Roussillon è strettamente legata all’ambiente circostante: i turisti amano percorrere a piedi il Sentiero delle Ocre, IMG_5134dove un tripudio di colori abbraccia i visitatori che camminano tra le falesie variopinte – si va dal giallo al violetto, passando per tutte le tonalità – in mezzo alla vegetazione della cosiddetta Chaussée des Géants (Passeggiata dei Giganti)IMG_5114. Esistono due percorsi segnalati: uno più breve (di mezz’ora) e l’altro da circa un’ora che consentono di ammirare il paesaggio e vedere da vicino come si presenti l’ocra nel suo stato originario. Per sua stessa natura, la polvere dell’ocra “sporca” i vestiti, per cui suggeriamo di non indossare abiti bianchi e soprattutto di scegliere un vestiario che sia poi facilmente lavabile. L’accesso al sentiero è a pagamento e per chi volesse approfondire il tema dell’ocra esiste la possibilità di visitare l’interessante “Conservatoire des Ocres et de la couleur“, realizzato all’interno di un’antica fabbrica, l’Usine Mathieu, dove si lavorava l’ocra nei secoli scorsi. Il Conservatorio delle Ocre si trova a sud-est del paese, sulla strada D104 per Apt

Gordes

Gordes è un bellissimo borgo antico,IMG_5193 che rimane arroccato sul bordo meridionale dell’alto Plateau de Vaucluse. La pietra dei suoi edifici costruiti in stretto contatto, che sembrano sovrapporsi alle rocce e tra di loro in una disordinata armonia, sono fatti di una pietra color beige che si illumina di arancione con il sole della mattina. La vista da sud è uno dei panorami più suberbi della Provenza, con Gordes che rimane circondato dai campi, boschi e piccoli villaggi arroccati sulla Montagne du Luberoncon e con il castello del dodicesimo secolo che svetta imponente su tutta la città e la vallata. Gordes si può visitare in qualsiasi stagione.

 

Il suo fascino muta con il variare dei colori della vegetazione e del cielo. In estate può essere un ottimo spunto per trascorrere una serata al fresco della collina e sfuggire alle temperature torride della pianura provenzale, mentre in inverno se la nebbia attanaglia le vallate, Gordes emerge luminoso con le sue case di pietra dorate dai raggi del debole sole. La primavera è un altro ottimo periodo, quando la Provenza si ricopre di fiori e la calda luce valorizza l’impatto visivo del borgo medioevale di Gordes. Il nome “Gordes” deriva dalla parola celtica “Vordense”. Vordense è poi evoluta nel tempo nel nome attuale di Gordes. La vista da nord del castello mostra sia le parti antiche che le ristrutturazioni di epoca rinascimentale. Era il 1031 quando un castello fu costruito sulla montagna e usando la parola latina “castrum” nacque “Castrum Gordone”. Nel 1148 si aggiunse nei dintorni l’Abbazia di Sénanque, e la città assunse sempre più importanza, ma poi furono i lavori del rinascimento che modellarono il castello di Gordes nel 1525, trasformandolo nella grande attrazione turistica che è oggi.

Tutti gli edifici in Gordes sono fatti di pietra e fanno di terracotta su’ tetti. Per preservare la struttura antica le recinzioni non sono ammesse, e si deve fare uso solamente di muri in pietra. Per la gioia dei fotografi l’energia elettrica e tutti i cavi telefonici sono stati messi in condotte sotterrane. In più tutte le strade sono lastricate di pietre, dando un tocco in più al sublime paesaggio storico. Uno dei punti panoramici più belli di Gordes si trova lungo il percorso che dalla autostrada A7 conduce al borgo medioevale. Per arrivare a Gordes l’uscita della A7 (tratto Marsiglia-Avignone) consigliata è Cavaillon, che si raggiunge oltrepassando il fiume Durance. Da qui si gue il percordo della D2 che conduce a Robion, all’incrocio con la N100 a Coustellet, ma poi si presegue ancora sulla D2 fino alla periferia di Gordes. Ad un certo punto la D2 piega verso destra, e alla rotonda invece di proseguire a Gordes, si svolta a sinistra, dove si possono trovare molti punti panoramici per contemplare un vista fantastica sul centro di Gordes. Una volta alla settimana,più precisamente il martedì mattina, a Gordes è giorno di mercato. Questo è un ottimo momento per visitare la città e vedere i prodotti tipici della Provenza. In una giornata di mercato oltre che godervi i vicoli, gli scorci imprevisti e suggestivi del borgo, affronterete le bancarelle dei mercanti provenzali dove vi verrà offerto cibo, vestiti, strumenti musicali , artigianato della Provenza, decorazioni, e molto di più. Salendo le stradine tortuose arriverete al castello. Del nucleo primitivo del Castrum Gordone rimangono solamente due torri, coronate da piombatoi, ben visibili lungo la facciata nord. Al primo piano del castello troviamo una superba sala lunga ben 23 metri e dal soffitto in legno. Qui è posizionato un magnifico camino, che fu scolpito nel 1541 in bello stile con delle nicchie che dovevano ospitare delle statue. Il castello ospita anche im museo Vasarely, aperto negli anni ’70. Cinque stanze furono messe a disposizione di Victor Vasarély per il suo “Museo Didattico” (Musée didactique) come riconoscimento per avere contribuito ai costi di restauro. Il pittore ungherese (nato nel 908) è uno dei più importanti artisti del Costruttivismo. Da visitare nei dintorni di Gordes. Le attrazioni turistiche principali della zona sono il Village des Bories e l’abbazia di Sénanque, quest’ultima copertina di quasi tutte le guide della Provenza, per le sue coltivazioni di lavanda (vedi foto). Gordes si trova infatti in una regione del Vaucluse con molti edifici interessanti in pietra a secco Bories, in un certo senso degli equivalenti dei nostri trulli pugliesi. Ce ne sono nelle campagne, nelle immediate vicinanze del villaggio, tra cui un gruppo famoso chiamato i tre soldati . Appena accanto a Gordes, ad occidente, si trova il Village de Bories, un antico borgo con tutti edifici in pietra a secco: un incredibile collezione di case, muri, fienili e una varietà di altre strutture , tra cui un negozio del periodo della fabbricazione della seta. Il Village des Bories rimane aperto dalle 09:00-17:30, e costa circa 5 euro per adulto. Ancora vicino a Gordes, si trova Fontaine-de-Vaucluse. Il principale punto di interesse è la sorgente della Sorgue che si trova ai piedi di una rupe alta 240 metri, e stupisce per la sua imponente portata. A nord, ancora in Valchiusa (Vaucluse), ma non più sullo stesso gruppo di colline, si trova il celebre Mont Ventoux, soprannominato il “Gigante della Provenza” a causa della sua dimensione imponente, un prestigiosa località legata al ciclismo su strada che spesso viene visitato dal Tour de France.

 

Les Baux-de-ProvenceIMG_5243

La Provenza si mostra in tutta la sua bellezza nel paesaggio magico delle Alpilles, una catena montuosa con orientamento ovest-est dove si trovano incredibili formazioni rocciose che si possono ammirare lungo la strada che proviene da St. Remy in direzione di Arles. Pareti di roccia verticali si alternano a zone ricche di foreste, rendendo affascinante il paesaggio curva dopo curva. La massima suggestione si raggiunge però a Les Baux, dove i resti di un antica fortezza si fondano con il colore chiaro delle rocce in un connubio che vi riporta indietro nel tempo, al tempo del medioevo quando i signori di Baux dominavo su questo angolo di Provenza.IMG_5248

Il nome di “Baux”, ha dato il nome ad una roccia, la bauxite, scoperta per la prima volta proprio nelle Alpilles, e il nome proviene dal villaggio di Baux-de-Provence. Si tratta di una roccia molto importante dal punto di vista economico, per la sua ricchezza in alluminio. Per arrivare a Les Baux si utilizza la A8 che dal confine italiano conduce verso Aix-en-Provence e Marsiglia, per poi immettersi sulla Autostrada A7. Arrivati a Salon de Provence si può decidere se proseguire sulla A7fino a Cavaillon e da qui proseguire per St. Remy e Les Baux, oppure piegare sulla A54 in direzione di Arles-Nimes e uscire in direzione di Mouries e affrontare le Alpilles dal versante sud fino ai magici paesaggi di Les Baux. Appena dentro l’ingresso del borgo si trovano strette strade ciottolate, bar con terrazza, negozi di souvenir e turisti. Les Baux è un sito turistico molto popolare, vedrete spole di autobus raggiungere il parcheggio durante il giorno, ed è quindi consigliabile visitare il villaggio ed il castello al mattino presto, arrivando già alle 9 di mattino o prima, per gustarsi la magica solitudine delle strade medioevali. Il periodo migliore per visitare il sito è la primavera e l’estate, ma sono anche i momenti di maggiore affollamento. In inverno è più difficile imbattersi nei tour organizzati e le Alpilles hanno un fascino speciale nelle giornate di nebbia in pianura. Le prime tracce della presenza umana sul pianoro di Les Baux-de-Provence dal punto di vista archeologico è attestata dal periodo neolitico, circa 6000 anni avanti Cristo. La presenza di un castello è invece attestata da documenti dallaseconsa metà del 10° secolo. Il primo noto membro della famiglia di Les Baux, Pons Le Jeune, è citato in un testo della fine del 9° secolo. La famiglia resse le vicende del sito, con anche fasi cruente, fino all’ultima superstite, la principessa Alix, è che morì al castello nel 1426. La storia è stata lunga e movimentata durante questo periodo: conflitti (guerre in Les Baux), rivolte, assedi, le guerre di religione, nonostante ciò durante il 16 ° secolo Les Baux divenne un sito prospero, che vide un grande sviluppo architettonico con la costruzione di nuovi appartamenti nel castello e molti palazzi privati. Purtroppo, ci sono poche tracce rimaste di opere d’arte (pittura e arti decorative) risalenti a questo periodo aureo. Il castello fu infine distrutto nel 1632, durante il periodo del Cardinale Richelieu, a causa di problemi provocati da ribelli che vi avevano preso rifugio. Questa distruzione volontaria spiega molto la condizione un po’ fatiscente degli edifici di oggi. Il Castello (Château des Baux) si trova a nord-est del pianoro nel punto più alto (241m) e comprende molti edifici di epoche diverse in diversi stati di conservazione, mostrando i cambiamenti che i signori e gli abitanti di Les Baux hanno applicato attraverso i secoli: tra questi si nota l’estensione del castello stesso e le varie modifiche della Sainte Chapelle – Catherine e la “Ruelle castrale”. Il fascino intenso che il castello emana è dovuto al fatto che il gruppo di edifici è impostato sulla roccia, sfruttando le sue naturali cavità e pareti. Esso include bastioni, le torri, un mastio, una cappella e varie abitazioni. Appartenente al castello medievale, la cappella di Santa Caterina è in parte scavata nella roccia e in parte costruita in pietra. Il coro è di fronte ad est e l’ingresso volge ad ovest. La sua struttura è semplice: rettangolare e composta da una navata con due baie, una sola delle quali ha conservato la sua copertura.

Tracce di archi sulla pareti interne mostrano le modifiche architettoniche successive del complesso. Le parti più antiche potrebbero invece risalire all’11° secolo. La Ruelle Castrale è una corsia che separa il castello dalla Maison du Four e conduce dalla scalinata di pietra alla Cappella di Santa Caterina. Il punto di partenza per il tour di Castello è la Tour de Brau che oggi ospita il museo di storia di Les Baux che ha una mostra di modelli di Castello nel 13 ° secolo e durante il Rinascimento. Il palazzo di Tour de Brau, che apparteneva ad una famiglia dello stesso nome nel corso del 15° e 16° secolo, è stato probabilmente costruito all’inizio del 12 ° secolo. Si tratta di una delle più interessanti residenze del vecchio e nobile paese di Les Baux. Il villaggio: Grand – Rue è la strada principale del villaggio, fiancheggiata da una parte e per quasi tutta la lunghezza da grandi case di una volta appartenenti ai più ricchi borghesi e alle nobili famiglie. L’Hotel de la Manville, oggi il municipio, è senza dubbio la più grande di queste residenze e uno delle meglio conservate. Fu costruita nel 1571 da un architetto di Vivarais per Claude de Manville, che proveniva da una famiglia protestante di Tolosa. Claude I de Manville è stato un capitano della flotta Reale e uno dei cavalieri del Santo Sepolcro. Al primo piano ora nella Camera di Consiglio del Municipio troviamo un monumentale camino (1572) sormontato da un fregio decorato e resti di colonne doriche. La chiesa di Saint-Vincent è uno dei più antichi monumenti del borgo e si trova a “Place Saint Vincent”. Questo monumento ha una pianta quadrata e orientata est-ovest. Tutte le chiese della Valle del Baux sono costruite nello stesso modo, in perfetta conformità con il simbolismo cristiano, che pone la facciata verso il tramonto, da dove viene il buio e l’altare in direzione della luce, che simboleggia Cristo. La chiesa all’interno possiede tre navate. Quella di sinistra, la chiesa primitiva e la parte più antica, risale al 10° secolo. La sua volta semicircolare è decorata con festoni triangolari caratteristici del periodo carolingio. Questa navata ha tre cappelle intagliatenella roccia. La navata principale in stile romanico risale al 12 ° secolo. Nel 1550 una galleria venne aggiunta sopra l’entrata. Sopra l’altare maggiore vi è un bel dipinto raffigurante la sentenza di condanna di Saint Vincent che fu fatto martire. La navata di destra, in stile gotico nel lato nord dell’edificio è composta da 3 cappelle, una delle quali ospita il cenotafio della famiglia Manville, che possiede una fiammeggiante volta gotica. Sulla facciata sud si trova una torretta circolare sormontata da una cupola decorata con la “lanterna dei morti” dove veniva posta una fiamma accesa ad annunciare la morte di un abitante del villaggio. La porte Eyguières, permetteva agli abitanti del villaggio di recuperare l’acqua della pianura del Vallon de la Fontaine, dove si trova una sorgente e una lavanderia. Gli abitanti locali la chiamano semplicemente la porta lou Porteau. Lo stemma della casa di Grimaldi, anche se danneggiato durante la Rivoluzione, è ancora visibile sopra la postierla. Fondata come marchesato nel 1643, Les Baux e le sue torri appartenevano alla famiglia Grimaldi fino al 1790. Anche se la Rivoluzione francese ha abolito i privilegi, il principe Alberto di Monaco conserva il titolo onorario di Marchese di Les Baux.

 

Saint-Remy-de-Provence: Tra Nostradamus e Van Gogh

Sono meno di diecimila gli abitanti che godono della bellezza delicata di Saint-Remy-de-Provence, villaggio di fondazione romana immerso nella campagna della Francia meridionale, nella regione della Provenza-Alpi-Costa Azzurra. Chiamato in Occitano Provenzale “Sant Romieg de Provença”, il borgo è abbracciato dalle Alpilles, le prealpi impreziosite dal fogliame argenteo degli ulivi. Tra gli estimatori di questi luoghi senza tempo, dove la vegetazione che vibra al vento pare sussurrare, ci fu il celebre Vincent Van Gogh che per un anno, dal 1889 al 1890, fu ricoverato nell’ospedale psichiatrico di Saint Paul de Mausole e dipinse ben 150 quadri ispirato dal panorama di Saint-Rémy-de-Provence. Alcuni dei suoi capolavori più noti, come “La notte stellata” IMG_5292o un famoso “Autoritratto” vennero realizzati proprio durante la sua permanenza in città.IMG_5288

Delle 150 tele, che si diffusero immediatamente in varie parti d’Europa e del mondo, Saint-Remy conserva altrettante copie realizzate con maestria, esposte tutto l’anno al Museo Estrine. Si tratta di un palazzo dall’architettura raffinata ed elegante, piacevole da percorrere in ogni scalinata o corridoio, ma è specialmente un omaggio e un monumento al genio del grande pittore. Un altro personaggio legato alla cittadina di Saint-Remy-de-Provence è nientemeno che Nostradamus, che dopo esser venuto alla luce nel piccolo borgo provenzale si trasferì ben presto altrove. Ancora oggi la casa natale reca una targa in suo onore, ma non è consentita la visita all’interno. La principale attrattiva del paese, situata poco al di fuori del cuore cittadino, sono le rovine dell’antica Glanum. Glanum fu un insediamento celto-ligure che tra il II e il I sec a.C. visse sotto il dominio greco, per poi romanizzarsi nelle mani dell’imperatore Augusto. Fu Augusto a trasformare la piccola Glanum in un centro importante, dotato di foro, basilica e curia. Si narra che nel periodo di suo massimo splendore, in età romana, l’insediamento potesse competere in bellezza e imponenza con le città più ammirate del tempo, come Marsiglia, Arles e Orange: secondo gli studiosi, infatti, i resti che oggi possiamo osservare sarebbero solo una minima parte dell’antica maestosa città. Si sono conservati sino ai nostri giorni i templi dedicati alla Fonte Sacra, i resti della basilica, del foro, della curia e di altri templi. Nella parte residenziale, poi, rimangono le terme e la villa di Cybele, oltre ai resti di altre case appartenute a personaggi sicuramente ricchi e potenti.

Ma i primi monumenti di Glanum ad essere scoperti dagli archeologi, per lungo tempo considerati gli unici rimasti, sono il massiccio Mausoleo del 30 a.c. e l’Arco Trionfale, in corrispondenza dell’ingresso in città. Tutti i giorni è possibile visitare il sito, in orari diversi a seconda della stagione, pagando un biglietto che vale decisamente la pena di acquistare. Ma chi osserva gli antichi scavi non deve pensare che i ritrovamenti si limitino a ciò che vede: molti oggetti, infatti, sono stati prelevati da tempo e trasferiti all’Hotel de Sade. Il museo raccoglie una collezione straordinaria di statue, capitelli, frammenti di colonne e di fregi, suppellettili e oggetti della vita quotidiana del tempo. Non mancano poi a Saint-Rémy-de-Provence le occasioni per fare festa e divertirsi. Protagonista immancabile delle manifestazioni è il vino, a cui è dedicato in particolare il Festival d’Estate di Saint-Rémy: la festa si svolge in luglio, è completamente gratuita e dalla mattina alla sera offre la possibilità di visitare le cantine ed assaggiare i prodotti più pregiati di oltre 30 produttori locali.

Le feste popolari legate alla tradizione sono invece la sagra del bestiame, alla fine di settembre, e il festival della transumanza durante il fine settimana di Pentecoste. Raggiungere il borgo fuori dal tempo non è difficile, e le possibilità per arrivare sono varie. Trovandosi proprio nel centro della Provenza, circondato da Marsiglia, Avignone e Arles disposte a triangolo intorno ad esso, Saint-Remy è facilmente raggiungibile con molte strade locali. Il modo più veloce è prendere l’autostrada A7, uscire a Cavaillon e proseguire verso Saint-Remy servendosi delle indicazioni. Chi preferisce arrivare in aereo potrà atterrare all’Aeroporto di Marsiglia, a circa 74 km. Una volta atterrati si verrà accolti dallo splendido clima della Provenza, caratterizzato da temperature miti, brezza fresca e una luce magica. In inverno non si scende mai sino a temperature molto rigide, infatti in gennaio i valori medi vanno da 1°C di minima a 7°C di massima. In luglio invece, il mese più caldo, si va da 16°C di minima media a 29°C di massima media. Luglio è anche il mese meno piovoso, con una media di soli 5 giorni di pioggia al mese, mentre il periodo più colpito dalle precipitazioni è quello che va da ottobre a gennaio, con una media di 10-12 giorni di maltempo al mese.

LA BASILICA DI SAINT- MAXIMIN

Strettamente correlata al Convento Reale Domenicano e alla Sainte Baume, il luogo conserverebbe il teschio di Maria Maddalena e sarcofagi del IV secolo d.C. Il racconto della nostra visita.

Spesso si tende a dimenticare che i luoghi in cui ci rechiamo in visita per uno specifico motivo, sono in realtà anche ricchi di storia millenaria e di vestigia importantissime. E’ il caso di Saint Maximin, che ufficialmente ha una sua storia ben documentata a partire dall’XI secolo, ma bisogna spostarsi nella preistoria per poterne dare una adeguata collocazione. Più recente, almeno della vastità della Storia,è l’epoca gallo-romana, di cui conserva notevoli tracce. Conserva anche importanti edifici di diverse epoche,tra cui i resti di mura del XIII secolo, quand’era fortificata, le arcate del quartiere ebraico medievale, l’Hotel de Ville(il municipio), l’Hotel Dieu (del 1681, era un ospedale detto di Saint Jacques, che disponeva di personale medico e sanitario per la cura di malati e orfani; accanto vi si trovava la cappella dei Penitents bleus,che fungeva da necropoli). La città deve comunque la sua ‘fama’, innegabilmente, alle vicende legate a Maria Maddalena. Spesso lo si trova riportato come Saint Maximin-La Sainte Baume, incorporando sia la località in cui sorge la basilica con i resti della Santa di Magdala e il convento reale domenicano, sia la grotta dove leggenda narra visse gli ultimi trent’anni della propria vita. A circa trecento m di altitudine, Saint Maximin è una piana residuata dal bacino di un antico lago disseccato, circondata dal massiccio della Sainte Baume, dal Monte Aurélien e dalla Montagna della Sainte Victoire.

Qualche rapido ‘ripasso’ per inquadrare gli eventi. Secondo alcune leggende, ma anche nel breviario della diocesi di Aix en Provence, dopo la morte di Gesù,si perpetrò presto una persecuzione da parte degli Ebrei. Parecchi apostoli, assieme a Marta, Maria Maddalena, Lazzaro, Maria Salomè, Maria di Giacomo,vennero arrestati e imbarcati su una nave priva di vele e di remi che -guidata dalla Provvidenza -raggiunse le rive della Provenza (Marsiglia?).Volendo ipotizzare una situazione di disagio sociale,politico, o religioso sul tipo cui assistiamo oggi nel mondo, non ci sarebbe niente di così sconvolgente che una ‘carretta del mare’ (o una nave ‘di linea’ che solcava anche allora il Mediterraneo) abbia in verità potuto solcare i mari e, respinta o non ospitata in altre terre, abbia poi trovato accoglienza sulle coste provenzali.

Ciascuno dei personaggi avrebbe preso strade diversificate, diffondendosi a predicare la Buona Notizia di Gesù Cristo. Dopo l’Evangelizzazione di questi territori, Maria di Magdala (Maddalena) si ritirò in eremitaggio nella grotta della Sainte Baume, dove visse trent’anni in solitudine e penitenza. Avvertita dal Cielo della sua morte imminente, avrebbe ridisceso il lungo cammino ( o, secondo una leggenda, trasportata dagli angeli) per incontrare Saint Maximin, che era divenuto il primo vescovo di Aix, dal quale volle ricevere la Comunione. Il luogo del presunto incontro è ricordato come Santo Pilone (eretto nel 1483).La località sorgeva in origine nei pressi di un ‘castrum’chiamato ‘Redonas’o ‘Rodani’, sviluppato intorno alla pianura così come numerose proprietà agricole che in epoca Romana prendevano il nome di ‘Villa Lata’.

Maddalena sarebbe quindi morta tra le braccia di San Massimino (Saint Maximin) e sepolta nel punto dove oggi sorge la basilica a lui intitolata.

Non esiste documentazione attestante quanto avvenne in realtà. Abbiamo ‘solo’ quattro meravigliosi sarcofagi nella cripta della basilica:uno appartiene a San Massimino, uno a San Sidonio, uno alle sante Marcella e Susanna. E uno…a Maria Maddalena. Una ricostruzione ideale è che questi resti fossero stati venerati fin da allora e -giunti al VIII secolo (716) – per il pericolo delle profanazioni delle incursioni saracene, nascosti sotto terra,dove appunto si trovano ancora oggi, nella parte sotterranea dell’edificio. Sarebbero stati ritrovati nel 1279 da Carlo Ii d’Angiò, a quel tempo conte di Provenza e nipote del re di Francia Luigi il Santo,che nel 1254 era tornato dalla Crociata. In quel tempo, la ‘caccia’alle reliquie era fenomeno attestato e diffusissimo. Abbiamo potuto constatare come tanti luoghi si fregino di conservare un determinato ‘reperto’attribuito a un Santo, quando non alla Santa Croce, alla Madonna,a Gesù in persona (si pensi al Sacro Caliz di Valencia, ad esempio o al Sacro Catino di Genova) e via discorrendo. Possedere una di queste Reliquie significava enorme prestigio per tutte le Istituzioni Civili o Religiose che vi gravitavano attorno, con un grande coinvolgimento di fedeli e pellegrini. Allora ma anche oggi.

Vediamo invece come si è giunti a costruire questa grandiosa basilica, il più grande edificio gotico della Francia meridionale e monumento Nazionale dal 1840.

Scavi condotti tra il 1993-’94 hanno messo in evidenza un precedente edificio, paleocristiano, del V secolo, al quale era stato aggiunto un battistero, forse nel secolo seguente, che comunicavano tramite tre porte. Torna il legame con l’acqua, e la presenza del battistero attesta come il luogo fosse già consacrato al culto da tempi antichi. Il livello cui si trovava è pressappoco lo stesso di quello della cripta attuale dov’è custodita la tomba di Maddalena. Qui si trovava presumibilmente dunque anche la chiesa primitiva,sulla quale venne innalzata una chiesa. Le reliquie vennero inglobate in essa e se ne persero le tracce. Fino a che Carlo II d’Angiò venne a conoscenza della storia di Maria Maddalena e fece cercare le reliquie, facendo scavare nel punto in cui si trova la cripta oggi e le trovò. Sembra che il re -su indicazione di padre Gavoty- sia stato accompagnato in un campo vicino a Villalata, vi abbia trovato una pianta di finocchio tuta verdeggiante (queste erano indicazioni che Maddalena,in un presunto sogno, avrebbe dato a lui affinché venissero ritrovate le sue spoglie). Aiutato dai contadini, si mise a scavare scoprendo la cripta e portando in luce i sarcofagi. Carlo ordinò di far aprire quello di San Sidonio (c’è il motivo e più avanti lo scopriremo):un soave profumo si sprigionò dalla tomba,come se fosse stato aperto un magazzino di erbe aromatiche,controllò l’interno e fece fermare la procedura:per lui quelli erano i resti di Maria Maddalena. Tutto venne richiuso e fu riaperto nove giorni più tardi,alla presenza di un gran numero di persone,prelati,gentiluomini,archivisti di Arles e Aix en Provence.Tutti si meravigliarono del profumo che lo scheletro emanava:la lingua era rimasta incorrotta,seccata ma aderente ancora al palato; mancava l’osso mascellare inferiore e,pare,fossero rimasti anche dei capelli. In tale occasione viene fatto un inventario. Fu subito un evento che si ripercosse a livello civile e religioso e l’ elevazione delle reliquie avvenne nel maggio 1280. In previsione di una grande affluenza di pellegrini, pensò di dar loro degna venerazione facendo costruire una chiesa più grande, negli anni compresi tra il 1295 e il 1296, con annesso convento dei Domenicani,che non viveva di elemosine ma ricevendo dal conte stesso una sovvenzione. I lavori proseguirono fino al 1301, poi si interruppero per riprendere nel 1305.I successori di Carlo II d’Angiò, ma anche pontefici e re, pare si dessero molto da fare per portare a compimento l’opera, che non vedrà la fine che nel corso del XVI secolo. Ma la facciata, come si può notare dalla foto, è grezza, perché non fu mai terminata.

 

Bellissima la navata centrale, terminante con un’abside molto caratteristica:ha infatti sette lati. In origine il numero totale delle vetrate della chiesa era di 66, oggi ne sono rimaste 44 e, per di più, hanno perso tutto il loro valore. I vetri originali istoriati e colorati, infatti, decorati da Didier de la Porte nel 1521,sono stati distrutti durante le guerre di religione (fine XVI sec.).Oggi sono vetri incolori.

La basilica ha tre navate e straordinarie misure. La navata centrale è lunga 72.60 m e alta 29 m sotto la volta; quelle laterali 64,20 m di lunghezza, 16,60 m di altezza e 6,90 di larghezza. Ciascuna cappella è alta 10,25 m; la larghezza complessiva delle tre navate con le cappelle è di 37,20 m, mentre tra i pilastri la navata centrale è lunga 13,20 m; profondità cappelle:5,10 m. La basilica è strutturata in modo che la navata centrale conti nove campate; le laterali otto, ognuna corrispondente ad una cappella.

Il convento reale domenicano

I lavori della basilica procedettero sempre insieme a quelli del Convento Reale Domenicano,per volere di Carlo II e dei suoi successori. Questo convento doveva essere molto importante per tutti loro ed è oggetto di non pochi misteri, a nostro avviso:su richiesta di Carlo II d’Angiò, il papa Bonifacio VIII autenticò le reliquie di Santa Maria Maddalena con una Bolla dell’ 8 degli idi di aprile 1295 indirizzata al re e mandò via i monaci che lì vi erano installati fino a quel momento (probabilmente legati alla chiesa precedente):erano i monaci dell’abbazia di Saint-Victor di Marsiglia era stata fondata da Jean Cassien nel 415 d.C. (unitamente aveva fondato un Priorato della Sainte Baume, ai piedi del Pic des Beguines, in cui accoglievano sia gli anacoreti che i cenobiti, cioè monaci che vivevano in comunità). Questi monaci seguivano la Regola benedettina e a quanto sembra di capire non crearono problemi nel momento in cui venne loro ordinato di lasciare il convento, forse per evitare diatribe sconvenienti per la cittadina: Carlo II d’Angiò era pronto infatti ad usare anche la forza per ottenere il loro allontanamento, dicono le cronache! Non è strano, questo fatto? Perché voleva a ogni costo i Domenicani? Forse i monaci di Saint Victor sapevano una versione della ‘storia’ delle reliquie diversa da quella che si voleva propagandare?

Ufficialmente, Carlo II d’Angiò era in debito di gratitudine con i domenicani perché avevano avuto un ruolo importante nella sua liberazione quand’era prigioniero a Barcellona.Per questo li avrebbe voluti nel ‘suo’convento reale, di cui lui era praticamente il leader. Lui infatti sceglieva il Priore, sulla base di tre nomi che gli venivano presentati, e possiamo immaginare come quei tre nomi fossero già -presumibilmente- ‘pilotati’….Il Convento reale, di fatto, godeva di protezione speciale della Santa Sede, ed era esentato (con tutte le sue dipendenze) dalla giurisdizione dell’abate di Saint-Victor e di quella di ogni ordinario:in pratica doveva obbedire solo al proprio Priore, che però, venendo nominato dal re, era in sostanza una figura emissario del re stesso ed è ovvio non potesse decidere difformemente dalle volontà del re. Questi, infatti, decise il nome del primo priore che doveva installarsi (Guglielmo di Tonneins), decise il numero di frati predicatori che dovevano risiedere nel convento(20 monaci) di Saint Maximin e quelli da insediare alla Sainte Baume (4 monaci) e non solo: il papa stabilì che questo priore dovesse prendersi cura delle anime e del territorio senza essere sottoposto ad alcuna giurisdizione diocesana e senza obbligo di rendere alcun conto;ordinò (con apposita Bolla) che il re potesse visitare il convento quando lo desiderava e che, addirittura, il Priorato era in possesso del re Carlo II, rappresentato dal vescovo di Sisteron, Pietro di Lamanon. Ma c’era qualcos’altro che apparteneva al re, insieme al priorato e al convento, agli edifici, le pertinenze, i terreni, etc.: le reliquie della benedetta Magdalena e dei santi di Provenza. Chi avrebbe contravvenuto a queste disposizioni papali sarebbe stato scomunicato.

La Bolla venne letta il 20 giugno 1295, nella primitiva chiesa di Saint Maximin davanti all’altare di San Michele, alla presenza di molti testimoni. Ingenti somme venivano regolarmente versate ai domenicani per la prosecuzione dei lavori del convento e della basilica, per il loro mantenimento e sostentamento. Nonostante tutto, si dimostrarono a più riprese insufficienti, costringendo l’arresto dei lavori per periodi di tempo più o meno lunghi. Naturalmente si pensò alla costruzione di ambienti idonei ad alloggiare visitatori di spicco (soprattutto monarchi), che volevano venerare le reliquie della santa Maddalena e gli altri Santi provenzali. Attualmente, in quell’antico Ostello reale, risiede il Palazzo di Città o Municipio(dal 1796) ,che affaccia sulla stessa piazza della basilica.

Il convento era dotato di tutti i locali propri di un monastero, che facevano corona attorno al chiostro, che risale al 1434-’80 circa. Il re Renato ampliò a 48 il numero di frati (anzichè 24) e fondò un Collegio Teologico, filosofico, canonico per giovani religiosi del convento, con motivazione di ‘incrementare la gloria e l’onore di santa Maddalena’ definita dal re ‘secretariam et solam apostolam J.Christi’ (1476). Un bel riconoscimento per la figura di Maddalena, che l’agiografia ufficiale ci ha sempre mostrato come una peccatrice redenta…!

Questa situazione privilegiata del convento reale di Saint Maximin restò invariata per secoli;ad essa ricorsero sempre i frati quando v’era necessità di far valere i loro diritti acquisiti.

I Frati Predicatori animarono l’esistenza del convento e molti di essi presero parte attiva alla costruzione. Alcuni dei più bei lavori sono tutt’oggi apprezzabili all’interno,come lo stupendo pulpito ligneo scolpito, opera di padre converso Luigi Godet (finito nel 1756) su cui è rappresentata tutta la storia di Maria Maddalena convertita, abbigliata secondo i costumi del tempo del re Luigi XV. Altro manufatto conosciuti in tutto il mondo per la sua magnificenza,è l’organo(1773) eseguito da fra Giovanni Spirito Isnard, domenicano del convento di Tarascona, che era uno dei più abili organari dell’epoca. Sculture eseguite dai frati si trovano nel coro, che conta ben 94 stalli lignei; tra di esse, quelle del frate converso Vincenzo Funel. Diremo anche che non mancano gli artisti italiani che hanno partecipato, con diverse loro opere, all’arricchimento della basilica stessa.

Le vicende subite dal convento nel proseguo del tempo sono molto variegate:venne anche distrutto dalla popolazione -in parte- perché serviva materiale per ricostruire le mura cittadine, distrutte dalle incursioni del 1357;una perdita che pare costò al convento 8.000 fiorini! Nel 1590 una Congiura fece assediare il convento di Saint Maximin che venne risparmiato, insieme alla chiesa di Santa Maddalena, per intercessione del priore;ancor oggi si vedono i segni delle cannonate che tentarono di aprirsi un varco nella basilica. Con la Rivoluzione francese, i domenicani vennero scacciati (alcuni andarono all’estero,altri rinunziarono alla vita comune,rimanendo sul territorio) e il grande refettorio dei monaci venne adibito a sala per spettacoli! Nel 1793 (nel periodo del Terrore ) le celle dei monaci furono adibite a prigioni per i rei sospettati di avversione al regime e il piccolo refettorio divenne un ‘club’ rivoluzionario locale. Nel 1796 gli edifici monastici furono venduti, e una parte di essi venne occupata da abitazioni private; molta parte andò verso l’abbandono e le profanazioni. Le cronache descrivono una situazione desolante. Come alla Sainte Baume, anche qui arrivò in ‘soccorso’ padre Henri Lacordaire, il quale definì questo luogo ‘il Terzo Sepolcro della Cristianità’ dopo Gerusalemme e Roma (nella sua opera ‘La Vita di Santa Maria Maddalena’).Egli ricomprò nel 1859 tutti i locali del convento, riportandovi anche i domenicani, i quali restarono qui fino al 1957, quando decisero di trasferire la Scuola di studi teologici a Tolosa e decisero di vendere il convento(2).Questa Scuola era divenuta un centro importante di cultura intellettuale,artistica e poetica, riuniva il Centro di formazione e studi della Provincia di Tolosa.Su decisione del Maestro dell’Ordine dei frati Predicatori si decise di trasferire il tutto in detta città.

Un altro pozzo, attualmente esterno agli edifici conventuali, si trova nei pressi dell’Ufficio del Turismo,che oggi è l’unica via di accesso per visitare il chiostro; è protetto da una grata e appare molto profondo. Un tempo faceva parte dell’Antico Collegio e si doveva trovare attiguo al refettorio(come da pianta generale):

Maria Maddalena a Saint Maximin

Potremmo sinteticamente ‘riassumere’ in tre punti essenziali la presenza di Maddalena nella basilica (reliquie, sculture, dipinti), tuttavia mancheremmo di obbiettività in quanto la sua figura troneggia ovunque. E’ lei la protagonista assoluta di questa chiesa. Entrando nell’edificio, dopo che la bocca rimane per un buon lasso di tempo aperta per lo stupore suscitato dalla maestosità,dalla bellezza e dalla linee austere e slanciate che i costruttori hanno saputo imprimerle, si vedrà immediatamente l’abside, in fondo alla navata centrale, caratteristico perché formato da sette lati aperti da una doppia fila di vetrate. Qui si trova l’altare maggiore in marmo prezioso, con medaglioni d’oro;è sormontato da un’ urna in porfido rosso eseguita dallo scultore italiano (romano) Silvio Calce, che contiene le reliquie di S.Maria Maddalena. Più precisamente, dovremmo dire ‘conteneva’ perché andarono disperse nel 1793. L’urna fu donata dall’arcivescovo di Avignone a Santa Maria Maddalena per riporvi le sue reliquie,e fu benedetta da papa Urbano VIII nel 1634. Furono deposte in loco alla presenza del re Luigi XIV e della corte il 5 febbraio 1660.

L’urna è sormontata da una stata bronzea di Maddalena eseguita da Alessandro Algardi.In precedenza,le reliquie della Maddalena venivano esposte al pubblico durante le sue feste, in particolare il 22 luglio, sua ricorrenza, sicuramente dentro un altro reliquiario.

Molte le raffigurazioni di Maria Maddalena nell’abside, sia nei dipinti che negli stucchi, in diversi momenti della sua vita terrena: in tre diverse tele di Boisson, la vediamo -centralmente- alla Sainte Baume, a sinistra al Santo Sepolcro (vuoto perché Gesù è Risorto);a destra penitente. Vi sono inoltre altre raffigurazioni della Santa: a sud del presbiterio un bel bassorilievo in cui è ritratta mentre assume la Comunione da San Massimino (a destra) del Lietaud, e a nord Maddalena in estasi (Rapimento di Maria Maddalena),di autore ignoto.Il marmo proviene da Roma. Sovrasta l’altare con l’urna, una scintillante Gloria in gesso dorato dove, tra un coro di angeli, emerge la SS.Trinità sotto forma di colomba bianca (dempre del Lietaud, nativo de La Ciotat, località costiera non distante,che fu allievo del Bernini e discepolo di P.Puget).

Molto bello è anche l’altare ligneo detto della Passione,di Antonio Ronzen (scuola veneziana), situato nell’abside della navata nord. Opera del XVI secolo, raffigura diciotto medaglioni scandenti le scene della Passione di Cristo, che ‘convergono’ verso la scena che domina la parte centrale, la Crocifissione, in cui ai piedi della croce,in un abbraccio doloroso e passionale, c’è Maria Maddalena. Figure angeliche raccolgono il sangue di Cristo in tre calici:uno da quello che zampilla dal costato,due da quello sgorgante dai polsi. La scena in cui si svolge la narrazione evangelica, non è riferita a quella consueta del Golgota, ma si vede una cittadina costiera (notare le vele che solcano l’acqua), probabile allusione all’Apostolato provenzale di Maria Maddalena. La figura a destra, per chi guarda, racchiude un piccolo mistero. Per tempo fu ritenuto un priore del convento di Saint Maximin, padre Damiani, mentre si è appurato che si tratta del donatore di questo altare, il signore di Semblançay, Giacomo di Beaume.

Rappresentazione (di fr. Gudet) di Maria Maddalena nella cappella omonima:l’immancabile Calice nella sua mano destra. Il dipinto si trova su un armadio detto delle reliquie. Si trova di fronte alla cripta.Gli armadi sono due e hanno avuto sempre la funzione di conservare preziosi reliquiari, tanto che un inventario eseguito dopo il saccheggio del 1793, durante la Rivoluzione, cita un peso di 800 chili di reliquiari! Attraverso la cappella successiva,procedendo lungo la navata laterale sinistra, si poteva accedere anticamente direttamente al convento;oggi vi sono delle fotografie della vita comunitaria dei Domenicani quando si trovavano nel convento reale.

La cripta ipogea è il monumento più antico della Provenza, secondo una tradizione, noto come oratorio di Saint Maximin, primo vescovo di Aix en Provence e compagno di esilio e di apostolato di Maria Maddalena.Secondo gli storici, questo era un monumento funerario di epoca gallo-romana.La tradizione situa davanti a questa cripta la dipartita della Santa Maddalena, dopo aver ricevuto la Comunione dal San Massimino. Sarebbe poi stata interrata,insieme a lui alla sua morte, proprio qui. Su un pieghevole distribuito nella basilica, abbiamo trovato un accenno al fatto che la basilica sorga su un sito religioso merovingio, di cui non sappiamo però altro.

Scendendo la prima rampa di scale d’accesso,sulla destra si nota una statua di Maddalena sul masso della penitenza, con accanto il Calice. La croce ha una corda incrociata a formare una X, nel punto di intersezione.

Ricorderemo come questo luogo,così come la grotta della Sainte Baume,è meta obbligata di ogni Compagnons, cioè i Compagni di Dovere, attivi in Francia come Gilda di Mestiere itinerante, che si rifà alla leggenda di Hiram e usa simboli massonici, come abbiamo visto parlando delle vetrate della Sainte Baume. Maddalena è la loro santa protettrice, e il loro ‘tour’ iniziatico ha come penultima tappa la basilica in cui ci troviamo (per poi terminarlo alla Sainte Baume). Secondo la loro simbolica, Maria Maddalena simbolizza la progressione lenta che, durante tutta una vita seminata di successi e di fallimenti, permetterà all’iniziato di scoprire poco a poco il senso della sua esistenza.E’ qui che lasciano firme e sigilli del loro passaggio, e a loro sembra essere attribuito il ricorrente graffito di un ‘ferro di cavallo’, che abbiamo rilevato infatti copiosamente, sulla parete destra della balaustra, dove c’è la statua di Maddalena vista sopra.Tali simboli -che dovrebbero rivestire un intento simbolico preciso per i Compagnons de Devoir- sono purtroppo mischiati a segni non ben decifrabili e afinalistici lasciati molto probabilmente dai solit’ buontemponi’ nel corso del tempo.

Nonostante ci si renda conto che la leggenda ha il suo fascino,e che non ne vorremmo restare vittime,ci arrendiamo:trovarsi in questo ambiente è altamente suggestivo. Sopra di noi la basilica superiore, edificio imponente e vastissimo; la cripta è così intima, piuttosto ristretta, antichissima e ‘sacra’, perché fin da tempi remoti luogo scelto per sepolture, e poi non dimentichiamo che qui c’era la presenza dell’acqua e del battistero paleocristiano. Maddalena è come una goccia in un Culto primigenio.

La volta fu ricostruita, non è originale, ma risale al tempo della costruzione della chiesa superiore. All’interno della cripta si trovano 4 sarcofagi datati al IV secolo, di magnifica fattura e riccamente istoriati, destinati a personaggi illustri. A sinistra sono allineati quello di Saint Maximin, e quello di Santa Susanna e Marcella (sepolte insieme);a destra quello di San Sidonio. Di fronte, centralmente, c’è quello di Santa Maria Maddalena, che funge anche da altare, su cui è posto un reliquiario dorato contenente il suo teschio. Tutti i reperti sono protetti da vetri chiusi.

Nel reliquiario(opera di Revoil del XIX secolo) che racchiude il teschio, è inserito un cilindro di cristallo, chiuso da entrambi i lati da sigilli d’argento dorato, contenente il brandello di carne (o tessuto osseo) della fronte della Maddalena, quello che, secondo il Vangelo, Gesù avrebbe toccato il mattino della Resurrezione, pronunciando le parole ‘Noli me tangere’. Nel febbraio 1789 una ricognizione sui resti avrebbe fatto staccare queste reliquie, oggi visibili in questo cilindro. Sono state datate queste componenti organiche?A che epoca risalgono?Domande che per ora non hanno risposta;non abbiamo trovato nemmeno una menzione in loco. Speriamo di ricevere ulteriori nozioni in merito da chi ha potuto approfondire il mistero. Unico elemento utile è che i reperti ossei depongono per un’età della donna di circa 50 anni al momento della morte,e che era di origine mediterranea. Secondo il Vangelo di Filippo,apocrifo,Maddalena sarebbe morta a circa 60 anni d’età,nel 63 d.C. circa.

Il sarcofago attribuito a Maria Maddalena è stato datato al IV secolo e il marmo di cui è costituito è stato analizzato nel 1953 in un’indagine condotta dal prof.Astre,della Facoltà di Scienze di Tolosa ed è risultato un materiale rarissimo proveniente dalla cave imperiali di marmo del mar di Marmara,vicino a Costantinopoli.Non è quindi in alabastro, come si credette per secoli ma ugualmente di enorme pregio e finezza. Questo marmo veniva trasportato a Roma (o ad Arles per la Provenza) e lavorato per essere impiegato nella statuaria nobile o illustre. A chi dunque fu originariamente destinato questo manufatto?

All’interno della vetrata che protegge le sante reliquie di Maddalena,sulle pareti laterali si vedono quattro lastre lisce, che recano incise delle figure e delle scritte in latino. Si suppone che siano del V-VI secolo e sono state identificate come altrettante figure citate nell’ Antico Testamento:il sacrificio di Abramo, Daniele nella fossa dei leoni, la casta Susanna(o un’orante?) e, dal Nuovo Testamento, la Vergine Maria Bambina.

Interrogativi irrisolti

Ricorderemo infine, per completare il quadro,poichè a noi piace ‘capire’ quanto abbiamo di fronte, ciò che abbiamo già avuto modo di accennare nella sezione dedicata alla Sainte Baume. La basilica di Saint Maximin è meta di pellegrinaggio da secoli e lo è tuttora, per la presenza delle reliquie di Maria Maddalena o di Magdala. Un’altra abbazia, però, quella di Vezelay, in Borgogna, dichiara di averle in custodia.Da dove arrivavano? I fatti risalirebbero all’XI secolo (1049), quando l’abate Geoffrey de Roussillon, dichiarò di esserne entrato in possesso, convincendo il papa Leone IX a porre il monastero sotto la protezione della Santa Maddalena. Da allora, sarebbe iniziato un culto intensissimo verso l’abbazia borgognona, stuoli di fedeli e pellegrini vi si recavano per venerare le reliquie della Santa. Storicamente nulla è accertabile, anzi pare che gli studiosi concordino nell’affermare che fosse stata un’ iniziativa dell’abate per incrementare il prestigio delle propria abbazia. Comunque, in questa prospettiva, Vezelay sarebbe stata il punto di partenza del culto maddaleniano in Francia. E Saint Maximin, allora?

Il ritrovamento delle supposte reliquie da parte di Carlo II d’Angiò risale al 1279, oltre duecento anni dopo l’avvio del culto a Vezelay. O la storia leggendaria ha delle ‘falle’ non colmate, oppure i conti non tornano.

Ammettendo che anche a Saint Maximin si sia sviluppato un culto parallelo a Vezelay, dove si trovavano le reliquie della santa o quelle venerate come tali?
Si è detto: ‘nascoste’ fin dall’VIII secolo (per proteggerle dai saraceni) nel punto in cui si trovano ancor oggi (cripta) e però genericamente ‘dimenticate’. Com’è possibile?
Qualcuno doveva saperlo, forse proprio quei monaci benedettini che già erano insediati a Saint Maximin, molto prima che Carlo II d’Angiò scoprisse i presunti resti della donna di Magdala e desse avvio al suo culto incessante. Cosa sapevano i monaci al riguardo?
Chi aveva parlato a Carlo II delle presunte reliquie a Saint Maximin? E perché lui sapeva che si trovavano nel sarcofago di San Sidonio? Qualcuno lo aveva informato.
Perché il conte di Provenza angioino Carlo II (che era anche re di Gerusalemme e di Sicilia,duca di Puglia e principe di Capua come si legge nel suo stemma personale) volle allontanare a ogni costo i benedettini, mettendo al loro posto i domenicani? Anche con la forza, se necessario?
I monaci precedenti conoscevano bene il luogo e presumibilmente le sue vicende:avrebbero potuto ‘mandare all’aria’ i suoi piani di trasformazione della Provenza in una meta privilegiata per il pellegrinaggio a Maddalena? Perché?
Sapevano non essere quelli di Maddalena oppure non desideravano affatto che venisse reso noto un culto che avrebbe potuto scompaginare la tranquilla vita monastica che avevano scelto di fare?
Già, ma il culto di chi? Sembra che vi fosse un’iscrizione che citava roi Eudes,e si suppose fosse Eudes d’Aquitania ma egli regnò in Francia nel 710…Non poteva essere, la data era troppo tarda!(e qualche secolo dopo, quando la scienza cominciò a contestare l’appartenenza delle reliquie di Maria Maddalena, l’iscrizione scomparve).Di nuovo venne apposto il coperchio al sarcofago,vennero messi i sigilli.Il 6 maggio 1280 Carlo II d’Angiò fece riaprire di nuovo la tomba per prelevare le ossa di Maddalena e riporle in differenti reliquari e si ebbe una sorpresa:venne trovata un’altra iscrizione dentro il sepolcro, non molto leggibile che diceva:”Qui riposa il corpo di Maddalena (Ici repose le corps de Madeleine).
Da dove spuntava quella seconda iscrizione? Per colmo della peculiarità, un testimone(Bernard Gui) disse trovarsi all’interno di un globo rivestito da cera molto vecchia.
Gli studiosi hanno convenuto che questo monumento funebre apparteneva ad una ricca famiglia cristiana gallo-romana o merovingia.
Adesso non ci si dica che qualche lettore possa avere la classica ‘idea lampante’ in testa e che colleghi Merovingi con la saga del Graal inteso come Sang real,cioè la fantomatica stirpe originata da Gesù e Maddalena (tesi sostenuta da alcuni libri di straordinario successo ma priva di fondamento,almeno secondo la storiografia ufficiale).Fantomatica non tanto:i Merovingi sono certamente una dinastia reale che ha regnato in Francia.E’ fantomatico il fatto che sia potuta originare dai nostri due divini personaggi. Sento già che qualcuno sussurra che Maddalena potrebbe aver partorito in Provenza,e lei e la sua discendenza sepolta appunto a Saint Maximin,un segreto che se fosse autentico avrebbe certamente indotto a tanta venerazione, nonché alla massima segretezza. Se fosse, però. Ma manca qualsiasi certezza.

Carlo II d’Angiò aveva altre mete. Tutto si sarebbe svolto esattamente come era successo secoli prima a Vezelay: portare certi luoghi ad un elevato livello di importanza religiosa e civile con una mossa ‘politica’ degna di re o di persona potente che dir si voglia. Fossero o non fossero le reliquie di Maria di Magdala, l’operazione doveva svilupparsi come da progetto. L’affluenza dei pellegrini fu, come entrambe le città di erano prefisse, fin dal principio immane.

Secondo altre fonti, l’abate di Vezelay,nel 1049, sarebbe venuto a Saint Maximin per prendere le reliquie di Maddalena e trasferirne il culto là ma i suoi resti sarebbero stati messi, nel frattempo, nel sarcofago di un altro Santo, Sidoine (o Sidonio),che ancora oggi si trova nella cripta della basilica di Saint Maximin. Quando l’abate di Vezelay nel 1049 venne per prelevarle, volendone trasferire il culto in quella Abbazia, portò via quelle di San Sidonio e non quelle di Maddalena, che sarebbero ancora qui a Saint Maximin, indisturbate. Dunque in questo caso i sarcofagi comunque erano noti, si sapeva della loro esistenza, non potevano essere interrati! Quindi Carlo II d’Angiò che necessità aveva di farli scavare? Forse nel frattempo (dal 1049 al 1279 per capirci…) erano stati sotterrati nuovamente? Per timore che l’abate di Vezelay magari tornasse, resosi conto(ardua impresa!) dello ‘scambio’ e della presa per il naso, e reclamasse le reliquie ‘autentiche’? Prossimamente ci piacerebbe recarci anche all’abbazia di Vezelay, per renderci conto di come è vissuta la vicenda (e cosa si dice) in merito alle venerate reliquie di Santa Maria Maddalena. Un dato è certo e documentabile:in Provenza esiste un vero culto per Maria Maddalena;sulle guide turistiche si danno per scontate cose che in Italia stentano ad essere chiarite o sottolineate,come il fatto che Gesù avesse anche delle donne tra i suoi Discepoli alcune delle quali lo seguirono fino alla sua morte in croce. Tra di loro Maria Maddalena, Maria di Giacomo e Maria Salomè. Che evangelizzarono esattamente come i loro compagni maschi, gli Apostoli. A ciò deve aggiungersi un’altra leggenda, che vorrebbe Maria Maddalena sbarcare non a Marsiglia ma a Saintes Marie de Ratis, cioè Saintes Maries de la Mer, ma questa è un’altra storia, che racconteremo a parte, perché dobbiamo spostarci in Camargue!

Ci pare che esista una gran commistione di interrogativi e poche certezze. Ma come diciamo spesso in casi come questi, in cui la ‘reliquia’ è uno degli aspetti fondamentali per una religione, il parametro con cui si può osare di trovare una giustificazione è l’atto di fede, spontaneo, incessante. Esso non vuole compromessi:è volontà di seguire un proprio bisogno di credenza, nè può venire troppo a lungo manipolato. Forse Vezelay o Saint Maximin hanno solo fatto riaffiorare un culto ancestrale che esisteva dalla notte dei tempi. Andava solo rivestito di una matrice cristiana cattolica. Forse, è solo un’ipotesi.

 

 

Cannes

Cannes sembra essere fatta di sfarzo: è nei sontuosi alberghi che si ergono sul lungo mare, negli eleganti suppellettili dei caffè all’aperto, è nelle vetrine di negozi lussureggianti, nella scintillante mondanità che popola i locali notturni. A Cannes, perfino le palme hanno un’aria aristocratica quando sventolano mosse dalla brezza.

C’è veramente poco di provenzale in questa città che conta 75.000 abitanti e si distende imponente sul Mediterraneo. Più che altro sembra di essere in via Montenapoleone a Milano, l’unica differenza è che se svolti l’angolo, invece di via Manzoni, c’è lo splendore del mare. Il mito di Cannes risale al 1834 quando Lord Brougham, colpito dalle bellezze del luogo, comincia a promuoverla come luogo di vacanza. Da quel momento, il piccolo villaggio di pescatori, di cui oggi non rimane più traccia, diventa una città e contemporaneamente un esclusivo luogo d’incontro per artisti, capitalisti, politici, aristocratici. A Cannes si ha l’impressione di essere capitati nel bel mezzo di un grandioso appuntamento mondano: è questo il fascino che da più di cento anni questa città continua a esercitare. Non c’è un periodo ideale per essere qui in riviera, la vita non si ferma mai, nemmeno in inverno. In ogni caso la città offre il meglio di sé in estate, quando il porto è pieno di yacht, tutti i locali sono aperti e le vie sono affollate da una moltitudine di visitatori. Indicata sia per un breve soggiorno, sia per una vacanza più lunga, Cannes gode di un clima particolarmente temperato, pertanto è meglio mettere in valigia indumenti leggeri. Calzoncini e t-shirt, però, non saranno sufficienti: per sentirvi a vostro agio in questo ambiente così esclusivo è necessario avere in valigia almeno qualche abito elegante da indossare nelle ricche serate cittadine. Non abbiate paura di dimenticare qualcosa, nei negozi di Cannes si può trovare di tutto, anzi forse l’unica cosa che vi sarà veramente utile è una valigia vuota dove mettere tutti gli acquisti, ovviamente se avete un budget sufficiente. In città c’è più da fare che da vedere. Si può passeggiare sul Boulevard della Croisette, un lungo viale che costeggia la baia sempre colmo di gente, caffè all’aperto e negozi d’artigianato; arrostirsi al sole su spiagge dotate dei migliori confort; oppure prendere il traghetto che porta all’isola di Sainte Margherite, dove spiagge meno frequentate e un bosco di eucalipti vi permetteranno di allontanarvi per qualche ora dalla frenesia che caratterizza Cannes. Ma l’attività che distingue questo luogo di vacanza è spendere soldi. Potete scegliere fra una sterminata gamma di prestigiose boutique dove acquistare i più esclusivi articoli di lusso, oppure tentare la fortuna nei numerosi casinò, come il casinò Croisette o Le Carlton Casinò entrambi sul boulevard principale. A Cannes è essenziale conservare un po’ di energie e risorse da spendere durante le sfavillanti serate che animano la città. Bar, club e discoteche come L’Atelier (Pointe Coisette) dotato di una affascinate terrazza, o Le Baoli (Port Pierre Canto) frequentato da VIP e modelle, o ancora L’Amiral (Hotel Martinez, 73 Boulevard de la Croisette) uno dei preferiti fra i protagonisti del Festival di Cannes, danno vita a serate esclusive. Per chi non si accontentasse dello splendido mare, dello shopping e della vita mondana, la città della Costa Azzurra è in grado di offrire attrattive artistico – culturali di sicuro interesse.

Potete visitare la fortezza dell’Ile Sainte Margherite nella quale secondo il racconto di Dumas sarebbe stato imprigionato Maschera di ferro, e che ora ospita il Museo Marittimo in cui sono raccolti i reperti rinvenuti nei fondali della baia di Cannes, oppure la Cappella e Museo Bellini (Parc Fiorentina, 67bis), una piccola chiesa in stile barocco costruita nel XIX secolo che ospita numerosi lavori del pittore Manuel Bellini, o ancora La Malmison (Croisette, 47), un edificio che risale al 1863 in cui sono raccolti numerosi dipinti d’arte contemporanea. Più moderno, ma ugualmente interessante è Le Palais de Festival, dove oltre al festival del cinema, si tengono diversi concerti musicali e eventi teatrali. Cannes è una città ricca di eventi, ma quello che l’ha resa famosa è il rinomato Festival del Cinema che si tiene ogni anno a maggio. Inaugurato nel 1946 ha continuato a esercitare il suo fascino nel tempo richiamando attori, registi da tutto il mondo. Oggi è forse la manifestazione più esclusiva per presentare la propria opera cinematografica

 

Eze

Inerpicandosi per i tornanti d’oro del suo nero percorso, per riprendere i termini di Stephen Liégard, l’inventore dell’espressione Costa Azzurra, che il visitatore arriva ad Èze, lasciando alla sua sinistra il Sentiero di Nietzsche. È durante l’ascensione che il filosofo compose uno dei capitoli di Così Parlò Zarathustra.IMG_5421

All’entrata del villaggio, la Postierla del XIV secolo, nonostante i segni del tempo e le offese saracene e francesi, sembra ancora attendere gli eventuali assalitori. Un cannone del XIV secolo protegge la prima porta ad arco pieno. Dei merli tradiscono la presenza di bertesche sul cammino di ronda, raggiungibile da una scala situata proprio dietro la seconda porta, coronata da un arco spezzato.IMG_5457

Per meglio scoprire Èze bisogna lasciarsi guidare dall’istinto, fidarsi degli aromi di un gelsomino per trovarsi in uno dei suoi vicoli inondati di sole, su frammenti del muro risalenti all’età del bronzo, di fronte ad oggetti in ferro battuto minuziosamente lavorati ai quali si aggrappa un’indisciplinata camelia o di fronte a pitture a trompe l’œil come le false persiane su di una facciata della Via Principale.

Tra tutte le case del villaggio, quella dei Riquier in Piazza Pianeta, si distingue per la porta ornata di bassorilievi. I Riquier, originari di Nizza, furono tra i primi signori di Èze, ed il villaggio fu il loro più antico feudo fuori Nizza. La loro dominazione durò da XIII al XIV secolo. Nel 1930, uno degli ultimi proprietari di Casa Riquier ha collocato la Fontana all’italiana, il cui rifornimento idrico restò per molto tempo a carico delle cisterne del villaggio. Bisognerà attendere fino al 1952 perché l’acqua arrivi alle case.

Èze accoglie altre notevoli dimore, e in particolare lo Château de la Chèvre d’Or (Castello della Capra d’Oro) e lo Château Èze, antica residenza del principe Guglielmo di Svezia dal 1923 al 1953.

I pianterreni, trasformati in boutique e in atelier di artisti, servivano un tempo da cantine per i vini, o da stalla per il bestiame. Bisogna immaginare questi vicoli percorsi dagli asini di ritorno dai campi terrazzati della vallata dell’Aighetta, o di San Lorenzo d’Èze, carichi di fichi, di carruba, di olive e di agrumi quali i mandarini di Èze.

Centenario dell’unione di Èze alla Francia

La cappella della Santa Croce, conosciuta anche con il nome di “Cappella dei Penitenti Bianchi”, datata 1306, sarebbe il più antico edificio del comune.IMG_5458

È là che si riunivano i membri dell’ordine laico della Confraternita dei “Penitenti Bianchi” di Eza, incaricati di portare l’assistenza del villaggio alla Provenza fino alla fine del XIV secolo. In questa cappella, tra il 15 e il 16 aprile del 1860, gli abitanti votarono all’unanimità il ritorno del loro villaggio alla Francia. All’interno raccoglie oggi un ricco mobilio, e in particolare un crocifisso attribuito a Ludovico Brea.

La facciata spoglia della Chiesa di Nostra Signora dell’Assunzione, iniziata nel 1764 e consacrata nel 1772, contrasta con la magnificenza della navata e del coro, che si caratterizzano per gli ornamenti barocchi e le pitture trompe l’œil (pitture che ingannano l’occhio). All’interno, una croce egiziana ricorda che Èze (in latino Isia) affonda le sue radici nei misteri della dea Iside. Secondo la tradizione i Fenici vi avrebbero eretto un tempio in suo onore. Nel piccolo cimitero disposto sulle terrazze di fronte alla vallata dell’Aighetta, riposa dal 1974 l’attore e umorista Francis Blanche.

In vetta al villaggio, a 429 metri sul livello del mare, si può gustare uno dei panorami più eccezionali della riviera. Il profilo dei cactus e le vestigia del castello si stagliano nel cielo.IMG_5433 Queste ultime testimoniano lo zelo con il quale i soldati di Luigi XIV smantellarono questa fortezza quasi circolare disposta su vari livelli. Il Giardino Esotico, creato nel 1949 dall’ingegnere agronomo Jean Gastaud, raggruppa un centinaio di varietà di piante. Le sue agavi, aloe, euforbie e cactus (tra i quali l’Opuntia, con le sue spine traslucide che riflettono la luce mediterranea) s’incrociano e si riproducono in mezzo a queste aride rovine che sembrano illustrare a loro modo il motto del comune: Moriendo Renascor (Morendo Risorgo).

Storia

Come il resto del litorale delle Alpi Marittime, il territorio del comune d’Eza (Èze ed Esa) è occupato sin dai tempi antichi.

Il monumento più rimarchevole è quello del Monte Bastida (Mont-Bastide) che sovrasta Beaulieu-sur-Mer e la baia di San Giovanni, su uno sperone roccioso che costeggia la Cornice Grande (Grande Corniche).

La tradizione locale, fondata sulle elucubrazioni degli eruditi del XIX secolo ed inizio del XX, ne fece una fondazione fenicia, un palazzo miceneo od un oppidum ligure risalente alla prima Età del ferro.

Le ricerche recenti hanno permesso di mettere in luce un grosso borgo agricolo protetto da una solida cinta muraria, la cui organizzazione urbana è molto chiusa. Grandi abitazioni in pietra secca che sostengono un piano, s’organizzano attorno ad una grande via che attraversa il villaggio da una parte all’altra. Il piano terra (pianterreno) di ogni casa ricovera strutture od impianti di pressaggio, destinate alla produzione domestica del vino o dell’olio d’oliva.

Le tracce d’occupazione più antiche rimontano al I secolo a.C., ma il periodo più forte d’attività si situa tra l’epoca d’Augusto e quella dei Flavi.

Bruno Richerii, cavaliere, originario di Nizza, vicario di Hyères nel 1328, fu cosignore d’Eza. Come per i Badat, il gentilizio Richerii, antico casato consolare nizzardo, sarebbe stato nobilitato nel XIII secolo, grazie alla sua ricchezza e per il favore dei Genovesi che tale famiglia supportava[4]. Famiglio del re Roberto d’Angiò, Bruno era il figlio di Giovanni Richeri (Jean Riquier), cosignore d’Eza, e di Beatrice Badat.

Nel 1333, con suo fratello Marino, possedeva una parte della signoria d’Eza, mentre alcuni anni più tardi, la parte di Marino sembrava esser passata nelle mani di Bruno. Secondo A. Venturini, egli avrebbe avuto per successore suo figlio, Onorato, cosignore d’Eza.

Il 24 luglio 1316, re Roberto d’Angiò domandò al siniscalco di rimettere, se vi fosse stato posto, Bonifacio Richieri, detto Bruno, figlio del defunto Giovanni Richeri (Jean Riquier) d’Eza, ed i suoi fratelli, nel possesso dei castelli di Mentone e di “Pepino” e di far cessare il disturbo che era loro apportato da Balianus Ventus e “consortes sui”.

Il 27 maggio 1348, il fratello del sotto-vicario d’Aix nel 1325 e del vicario di Grasse dal 1340 al 1341, Giovanni, Luigi Rebuffelli fu nominato castellano d’Eza[8]. Onorato Richerii, vicario di Hyères nel 1376, succedette a Bruno e divenne cosignore d’Eza[9].

Dopo il periodo altomedievale di appartenenza di Eza alla Provenza, il paese passa alla Contea di Savoia nel 1388, e da quel momento storico seguirà il destino del Ducato di Savoia.

Epoca moderna[modifica | modifica wikitesto]

Nel 1543, Eza subisce l’offensiva della flotta ottomana di Solimano il Magnifico, alleato di re Francesco I di Francia, e durante i secoli XVII nel XVIII, durante la sua appartenenza al Regno di Sardegna e Piemonte, il villaggio sarà occupato e devastato più volte dall’esercito francese.

Il comune di Eza ha seguito quindi, con tutta la contea di Nizza, fin dal 1388, le vicende storiche prima della Contea di Savoia e del Ducato di Savoia, e poi dopo il Congresso di Vienna, dal 1815 al 1860, le sorti del Regno di Sardegna e Piemonte, per essere poi annesso nel 1861 alla Francia.

 

La cucina Provenzale

La cucina francese è diventata famosa in tutto il mondo e, oggigiorno, i ristoranti francesi sono ormai presenti in quasi tutti i continenti. Tuttavia, la varietà e la creatività dei piatti tipici restano una prerogativa del paese in cui questi sono nati! In Francia, ci sono molte regioni che propongono diverse specialità e vari prodotti locali. In questo articolo, ci soffermeremo sulla cultura del cibo della Provenza nel Sud della Francia, zona che offre una gastronomia davvero particolare rispetto alle regioni del nord e del centro. In Provenza, le possibilità in cucina sono infinite, e questo grazie ad un clima mite e a una zona invidiabile che permette agli abitanti di gustarsi pesce fresco, carne, frutta e verdura tutto l’anno (e non dimentichiamo l’influenza degli altri paesi del Mediterraneo).IMG_5221

 

Marsiglia e la bouillabaisse

Tradizionale bouillabaisse con rouille a Marsiglia

Il piatto tipico più famoso dell’intera zona è forse la bouillabaisse di Marsiglia, la gustosa zuppa o stufato dalle molte varianti. Secondo la maggior parte delle ricette provenzali, la bouillabaisse deve contenere almeno tre tipi di pesce locale, come il pesce ragno, la gallinella di mare, il grongo europeo, lo scorfano rosso e un paio di pesci nobili, ad esempio il pesce San Pietro o la bottatrice.

A Marsiglia, la bouillabaisse viene servita in un modo molto particolare: brodo di pesce con un po’ di rouille (una salsa provenzale piccante e al gusto di pesce) versato su crostini o pane, e in un piatto a parte il pesce saltato in olio d’oliva con altra rouille. Il pesce è spesso accompagnato da vino bianco, ma la Provenza è invece famosa per i suoi tipici vini rosati. Per saperne di più sui vini della regione e sulla vendemmia annuale cliccare qui.

Piatti e prodotti provenzali

 

Calissons d’Aix in Provenza

Anche se Marsiglia e la bouillabaisse sembrano costituire l’esempio più famoso della cucina provenzale, in realtà quasi tutte le città della Provenza sono associate a un prodotto o a un piatto specifico. Ad esempio, Mentone viene associata ai limoni, e addirittura ogni anno organizza una sagra in onore di questo frutto. Nizza (tecnicamente parte della Costa Azzurra) ha dato il suo nome alla Salade Niçoise, che può essere tradotta grosso modo con “insalata di Nizza”.

Aix en Provence è nota per un prodotto più dolce: i Calissons d’Aix. I calissons sono dolcetti tipo biscotti a forma di petalo che consistono in un impasto compatto ricoperto di glassa. Il composto è preparato con mandorle tritate e canditi, il tutto ricoperto con una glassa bianca. In tal modo, si ottengono pasticcini molto dolci e gradevoli.

L’elemento comune a tutti questi piatti è l’utilizzo di diversi prodotti originari della Provenza. Infatti, ingredienti come l’aglio o le olive sono onnipresenti nella maggior parte dei piatti. L’aioli, ad esempio, è un’altra salsa provenzale che, come la maionese, è un’emulsione di uova aromatizzata con aglio e olio d’oliva. Per tradizione, è servita con verdure e pesce (di solito merluzzo) lessati e uova bollite, e viene gustata durante diverse feste estive.IMG_5242

Le olive sono l’ingrediente fondamentale della tipica tapenade, dove vengono sminuzzate finemente e mescolate a capperi, acciughe e olio d’oliva. La tapenade può essere usata sia come crema da spalmare sia come condimento ed è un must di ogni pasto provenzale.

Olive e olio d’oliva sono ingredienti essenziali dei piatti provenzali

In ogni giardino in Provenza troverete degli olivi, oltre alle erbe quali la lavanda, il basilico, il rosmarino e il timo. Inoltre, data la vicinanza al Mar Mediterraneo, nella maggior parte dei piatti tipici vengono impiegati tutti i tipi di pesce fresco. Infine, il clima mite permette a diversa frutta e verdura di maturare tutto l’anno e di avere in estate una grande abbondanza di prodotti freschi.

Un piatto che li utilizza molto è la ricca soupe au pistou, che consiste in diverse verdure estive, fagioli, pasta e, ovviamente, il pistou (la versione francese del pesto alla Genovese). Talvolta è servito con formaggio grattugiato, ma rimane comunque un ottimo piatto.

Cosa e dove mangiare in Provenza

La cucina del sole

Quando chiedevano a Cezanne, che in Provenza è nato, cresciuto e morto, quale fosse il suo piatto preferito, rispondeva “Le patate con un filo d’olio”. Un piatto semplice, proprio come la cucina provenzale, che ha saputo

valorizzare i prodotti semplici della terra e del mare: i pesci, la carne, le erbe aromatiche che nascono spontanee, le verdure e il vino, creando una cucina semplice ma unica, molto simile a quella italiana anche se con una propria identità forte. La gastronomia della Provenza è definita “cucina del sole”, perché come tutte le altre cucine mediterranee usa prodotti che trovano nel sole la fonte principale del proprio gusto. I protagonisti sono l’olio di oliva, l’aglio, rosmarino, timo, maggiorana, combinate sapientemente. Basta fare un giro per una qualsiasi delle cittadine, per accorgersi che i provenzali con la cucina ci sanno fare. Quasi come gli italiani!IMG_5071

Una cucina “quasi italiana” e “quasi spagnola”.

La Provenza è una regione molto estesa, che parte dal confine con l’Italia e arriva fino quasi in Spagna. La cucina quindi varia molto a seconda delle zone: ad est, al confine con l’Italia, è molto simile a quella della nostra Liguria, con la socca frittelle di farina di ceci o la pissaladière, pizza con olive, acciughe, cipolle. Superata la Costa Azzurra la cucina si fa più aromatica e corposa. Ecco i piatti principali della Provenza.

Pesce

La costa della Provenza è una miniera di pesce e frutti di mare: pesci di ogni tipo, acciughe, cozze, ostriche, ricci di mare e gamberi sono i protagonisti della tavola di mare. Le ostriche e le cozze sono così diffuse che esistono bar e ristoranti che offrono solamente Huitres, moules, e champagne. La summa della cucina provenzale di mare è la Bouillabaisse, una zuppa di pesce che secondo gli estimatori raggiunge la perfezione se cucinata nella zona di Arles. La bouillebaisse è una zuppa di pesce, sulla cui composizione ognuno ha una propria idea: tutti però sono daccordo sul fatto che ci vogliono rana pescatrice, triglia, anguilla, pomodoro e zafferano. Si serve prima il brodo di pesce e poi il pesce, che si accompagna con crostini e rouille, una maionese piccante al peperoncino. Anche la brandade è da provare: un purè di stoccafisso con olio d’oliva a crudo.

Carne

Se il pesce prevale sulla costa, verso l’interno è la carne che spadroneggia. L’agnello della zona del Luberon è considerato uno dei migliori al mondo. Gli stufati, i daubes, cotti anche per otto ore di fila e tirati maestosamente con il vino rosso locale sono una vera delizia. Se passate per la Camargue e non avete scrupoli animalistici, ricordate che lì c’è il gardiane de taureau, carne di toro stufata accompagnata da un delizioso riso aromatizzato alle noci. Dal toro si ricava anche salame, salsicce e molto altro.

Vino e liquori

Siamo in Francia, quindi l’unico problema per i vini è districarsi tra le centinaia di etichette di rossi e rosè. Provate il rosè della Cotes de Provence, in particolare quelli venduti nella zona di ad Aix-en- Provence. Lungo le strade, fermatevi in una delle numerose cave, cantine in cui allegri contadini vi faranno assaggiare le loro produzioni, ovviamente cercando di vendere qualche bottiglia. La Provenza è famosa per due liquori: il pastis e l’assenzio. Entrambi hanno la base nell’anice stellato, ma mentre il pastis è usato sopratutto per gli aperitivi, l’assenzio è un liquore che definire digestivo è riduttivo. Oltre all’anice stellato ha anche un’estratto dalla pianta di assenzio. Non è lo stesso assenzio di cui erano ghiotto Van Gogh e che si ritiene lo abbia mandato fuori di testa: ha la stessa radice ma è molto più leggero, se così si può dire. Bevetelo con moderazione, molta moderazione.

Dove mangiare in Provenza

I francesi, come gli italiani, si siedono a tavola tre volte al giorno: la loro colazione (petit dèjeuner) si fa tra le 7 e le 9. I francesi al mattino preferiscono caffè o tè, un croissant o pane burro e marmellata. Le dejeuner (il pranzo) si fa tra le 12 e le 14. Il pranzo francese è composto da almeno due portate: un antipasto, hors d’oeuvre e un piatto principale, entrée che di solito è accompagnato da un tagliere di formaggi a cui seguono frutta e dessert. Per le diner ( la cena), non c’è molta differenza rispetto al pranzo. Si cena tra le 19 e le 21, sempre con due piatti a cui seguono frutta e dessert. La Francia ha una grande varietà di luoghi dove mangiare. Le due grandi istituzioni della gastronomia sono i bistrot e le brasserie. Il bistrot richiama alla mente atmosfere di artisti e poeti; cucina semplice di grande tradizione popolare, una buona carta dei vini, servizio informale e simpatico, conto accettabile, sono gli elementi che hanno decretato il successo di questo posto tanto amato dai francesi. Altrettanto amate sono le brasserie; nate come luoghi di produzione e consumo della birra, le brasserie sono diventate il posto dove si cucinano i piatti tipici della tradizione francese. Se volete gustare la grande varietà dei vini francesi e provenzali, il luogo ideale sono i Bar à vin o i Bar à champagne. Qui potrete trovare le piccole e grandi etichette del vino francese, di solito accompagnate da assaggi di formaggi e salumi francesi.

 

Artigianato Provenzale

Cos’è che rende qualcosa tipicamente “francese”? Il fatto che provenga semplicemente dalla Francia non è sufficiente. Per la maggior parte delle persone, ciò ha a che vedere con un’idea impossibile da esprimere a parole, l’essenza di un certo non so che capace di suggerire la perfezione dell’arte di vivere. Molti pellegrini alla ricerca di questa particolare essenza si ritrovano alle porte di Parigi, e rimangono impressionati dall’arte e dal fascino della Ville Lumière. Ma quando gli stessi parigini pensano al caldo e ai semplici piaceri del vivere alla francese, pensano inevitabilmente alla Provenza.IMG_5064

Purtroppo si sa che ogni viaggio deve finire, prima o poi. Ma potete sempre portare via con voi un po’ di Provenza! Quei particolari oggetti o sapori che vi aiuteranno a rievocare il tiepido ricordo del sole, dell’aria, e la sensazione che i segreti della vita di un luogo siano stati in qualche modo svelati.

I Calisson

I Calisson sono dei dolcetti tipici della Provenza, composti da frutta candita e mandorle, e somigliano molto a dei biscotti di marzapane al gusto di melone. Della lunghezza di circa 5 centimetri, solitamente sono a forma di mandorla e vengono guarniti con un sottile strato di glassa reale. Le origini di questi dolcetti sono legate alla città di Aix-en-Provence, ed è qui che potrete trovare i migliori Calisson del mondo. Sebbene vadano tenuti a temperatura ambiente e si conservino molto bene, sono più buoni serviti freddi. Siete già in viaggio? Date un’occhiata a cos’altro potete fare ad Aix-en-Provence in meno di 48 ore.

 

L’olio d’oliva e le Herbes de Provence

Ogni chef sa che l’olio d’oliva è il re di tutti gli oli in fatto di salute, sapore e tecniche di cottura. Ma non accontentandosi di questo primato, gli artigiani in Provenza hanno cercato di raggiungere la perfezione nei loro oli. Questo ha portato alla nascita di “Herbes de Provence”, un olio d’oliva di ottima qualità, nel quale sono stati lasciati in infusione timo, lavanda ed altre erbe aromatiche. Tutti gli chef di fama mondiale vi si affidano quando devono cucinare pollo arrosto, agnello, patate, zuppa, stufato, carne alla griglia o formaggio di capra. Come lo preferiscono in Provenza? Come salsa in cui intingere un crostino di pane appena sfornato! Se volete saperne di più sui piatti tipici del Sud della Francia, cliccate qui.

Ma non compratene giusto una bottiglia da portare a casa! Una delle cose più belle del trovarsi in un posto nuovo è cucinare i piatti tipici con gli ingredienti locali. La maggior parte degli alberghi, purtroppo, non dà la possibilità agli ospiti di preparare da mangiare. Se vi fermerete qui per meno di un mese, prendete in considerazione l’idea di soggiornare in una delle nostre ville o appartamenti vacanza. Se invece resterete in Provenza per più tempo, date un’occhiata alle nostre ville e appartamenti ammobiliati.

Il sapone provenzaleIMG_5227

Saponette profumate del miglior sapone al mondo: il Savon de Marseille

Il sapone provenzale lavorato o a tripla lavorazione è noto per essere fra i migliori al mondo. Per produrlo, il sapone, una volta lavorato a freddo, viene frantumato, lasciato essiccare, ed infine pressato per tre volte con dei rulli, in modo da rimuovere ogni traccia di soda caustica. Questo processo rende la saponetta così ottenuta molto più dura di quelle normali, e molto meno dannosa per la pelle. È ottimo, infatti, per quelli che hanno una pelle delicata, e l’assenza di soda caustica permette alle essenze profumate di sprigionarsi. La schiuma che ne deriva, inoltre, è molto più abbondante e cremosa. Un altro sapone di origine francese molto famoso è quello di Marsiglia. Il Savon de Marseille viene prodotto attraverso una collaudata tecnica medievale, secondo la quale l’olio d’oliva viene riscaldato per dieci giorni prima di essere versato in degli stampi ed essere tagliato. Vari negozietti in Provenza vendono sia il Sapone di Marsiglia sia quello lavorato, quindi non dimenticatevi di comprare delle saponette alla vostra fragranza preferita!

 

 

I mazzi di lavanda essiccata

I mazzi di lavanda essiccata della Provenza profumano l’ambiente e leniscono i dolori

I campi di lavanda sono oggi sinonimo di Provenza, e alcune delle più belle fotografie della regione mostrano innumerevoli colline di piante violacee ondeggianti. Secondo la medicina olistica, l’odore della lavanda possiede anche delle proprietà curative, in quanto capace di calmare i dolori articolari, di purificare e di favorire il rinnovamento. Proprio per questo, la lavanda è presente in molti aspetti della vita in Provenza, dal tè ai sacchettini profumati, ma anche nei pot-pourri e perfino nel gelato. È ampiamente utilizzata anche come deodorante e profumatore per ambienti, e molti francesi la mettono nei cassetti e negli armadi per profumare i vestiti. Si ritiene sia di buon auspicio lasciare ad essiccare un mazzo di lavanda fuori o vicino alla porta di casa, quindi non potete tornare a casa senza!

Le specialità enologiche

Esistono tanti tipi di vino quanti sono i tipi di persone, e la qualità può variare anche da un acro all’altro. L’uva da vino può rivelarsi estremamente instabile, e la qualità dipende da molti fattori, dal terreno alla quantità di pioggia in un anno. Fortunatamente, il territorio ricco e il clima costante, fanno della Provenza uno dei più grandi produttori di vino del paese, totalizzando la bellezza del 40% di tutto il vino francese. Il vino rosso è il più comune in questa regione, ma i rosé della zona di Aix-en-Provence meritano assolutamente un assaggio.

Le cicale

Esatto, gli insetti. Ma non proprio, in realtà. Diversamente dagli Stati Uniti, dove spuntano ogni 10 o addirittura 17 anni, le cicale in Francia si ripresentano ogni anno. Note per il loro corpo largo e l’insistente canto, la loro costante presenza ha ispirato la gente del luogo, che ne ha fatto una forma d’arte popolare. In tutta la Provenza, infatti, potete trovare cicale decorative in plastica o vetro dipinti. Gli abitanti locali le appendono in giro per la casa e alcune di queste hanno una cavità all’interno per introdurvi fiori o lavanda essiccata. Non sapete bene dove comprarle? Provate nei negozietti nei pressi di Saint-Rémy-de-Provence.

I prodotti in maiolica

Poche cose sono più rappresentative della Provenza come degli oggetti in ceramica dai colori vivaci sparpagliati disordinatamente su tavoli ormai segnati dallo scorrere del tempo. La maiolica è fra le ceramiche più diffuse in Provenza, ed è caratterizzata da allegri disegni dipinti su uno sfondo interamente bianco. Ed il colore bianco è proprio il tratto distintivo di questi pezzi in ceramica, caratteristica che risale al XVII secolo, periodo in cui quest’arte stava cominciando a svilupparsi e i forni dovevano raggiungere una temperatura superiore ai 1000 gradi Celsius per ottenere il risultato desiderato. Faience blanche, dalla città di Faenza che per secoli è stata tra i maggiori produttori di maiolica, è il termine francese con cui si identifica la ceramica che è stata cotta bianca ma priva di decorazioni. Il prodotto in maiolica più famoso è un’ampia terrina, ma in ogni caso molti artigiani in Provenza vendono una vasta scelta di prodotti in questo materiale.

I profumi

La fabbrica di Fragonard, profumiere di livello mondiale

Se siete alla ricerca di un profumo, non potete che andare a Grasse. Grasse è nota a tutti per essere la capitale mondiale del profumo, con una fiorente industria nel settore nata verso la fine del XVIII secolo. I “nasi”, famosi in tutto il mondo, vengono formati a Grasse per distinguere più di 2.000 diverse fragranze, e la città produce più di due terzi dei profumi e degli aromi alimentari di Francia. Visitate la fabbrica di profumi del celebre Fragonard, oppure create la vostra fragranza personale in una delle botteghe di Galimard, a Grasse o ad Eze. Persino l’aria della città profuma da lontano di fiori, grazie alle numerose coltivazioni di gelsomino e caprifoglio, e ciò la rende una mèta ideale per i veri romantici.IMG_5298

Gli utensili in legno d’olivo

Dimenticate i mestoli in acciaio inox e le usurate terrine in plastica. Non solo gli utensili in legno d’olivo sono più belli ed ecologici, ma sono anche indistruttibili: un buon set di questi utensili può durarvi anche una vita. La venatura dell’olivo, inoltre, è molto stretta, e questo tiene alla larga i batteri, mentre il contrasto dato dai suoi cerchi di colore scuro lo rende uno dei legni più apprezzati al mondo. Fortunatamente, il legno d’olivo cresce in abbondanza in Provenza, quindi non dovreste avere problemi a reperire un bel set di utensili in questo materiale.

Le stoffe provenzali

Qual è la naturale reazione a dei tessuti talmente diffusi da mandarne in rovina degli altri? Quella di vietarne la produzione, naturalmente! Nel 1686 i colorati tessuti provenzali, creati su modello di quelli indiani, vennero banditi dalla produzione e dal commercio. I mercanti più furbi cercarono di eludere la legge spostandosi nel Contado Venassino vicino ad Avignone, che, in quanto territorio del papato all’epoca, non era soggetto alla stessa limitazione. (Avignone vi incuriosisce? Scoprite qualcosa in più su questa storica città!) Nacque così un prospero mercato nero, destinato a chiudere i battenti 30 anni più tardi, quando la legge si impose sulla città. Solo nel XIX secolo le antiche fabbriche riapparvero e cominciarono a produrre tessuti con stampati i rivoluzionari disegni che li avevano resi così popolari agli esordi. Se volete acquistarli, andate ad Aix-en-Provence, e capirete cos’è che ha reso i tessuti provenzali così popolari da diventare persino illegali.

 

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